CHE FINE FANNO IL SENATO E LA DEMOCRAZIA?
APRILE 2014
E’ da quarant’anni che si assiste alla discussione sulla riforma del bicameralismo perfetto, ossia di quel procedimento legislativo che assegna a Camera e Senato egual ‘peso’ e identici poteri: una scelta operata dai padri costituenti, all’indomani della fine del regime fascista, per evitare derive autoritarie.
E’ indubbio il fatto che l’attuale sistema legislativo risulti lento, farraginoso e barocco e, non a caso, da anni se ne propone una sua modifica. Il problema è, però, ad oggi, tutto insito nel modello alternativo che si propone e nelle modalità con le quali si vorrebbe affrontare l’iter parlamentare ed è per questo che è deviante la divisione che alcune testate giornalistiche, si veda il Corriere della Sera, puntualmente ripropongono quando si parla di riforme costituzionali: la solita dicotomia tra difensori dello ‘status quo’ e innovatori.
Se si esamina, al netto di retoriche propagandistiche, la proposta di modifica dell’assetto istituzionale approvata in Consiglio dei Ministri, si comprende infatti il perché molti oggi si schierino contro tale disegno di legge costituzionale, il perché da più parti si paventa la ‘deriva autoritaria’ o ‘padronale’.
Il modello proposto dal Governo e che, secondo il Presidente del Consiglio, dovrebbe essere approvato in prima lettura già il 25 Maggio (secondo tempistiche tutte funzionali al voto sulle Europee, più che ad un reale dibattito interno).
Come sarà composto il Senato?
Il nuovo Senato delle Autonomie non sarà più eletto in modo diretto, con conseguente riduzione degli spazi di democrazia diretta nel nostro Paese, bensì vedrà tra i suoi membri i Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia autonoma, nonché, per ciascuna Regione, da due membri eletti dal Consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti da un collegio composto dai sindaci delle rispettive regioni.
Il Senato delle Autonomie sarebbe poi integrato nella sua composizione dagli ex Presidenti della Repubblica, come già avviene ora, e da ben 21 cittadini illustri, insigniti di alti meriti verso la Patria. Questi durerebbero in carica per 7 anni e andrebbero a sostituire le figure oggi esistenti dei senatori a vita. Anche su questo numero così alto ci sarebbe qualcosa da ridire, vista la grande discrezionalità con cui per l’appunto 21 membri del Senato sarebbero nominati.
Quali problemi ha questa composizione?
I membri provenienti dagli Enti Locali non sarebbero retribuiti per la posizione ricoperta nel Senato, ma rivestirebbero comunque un doppio incarico. Sulle stesse persone, quindi, risulterebbero cumulati più impegni difficili da gestire in contemporanea, per esempio i Sindaci di città come Roma o Milano si troverebbero a dover affrontare incombenze su più fronti con risultati difficilmente ottimali.
Oltre al problema del doppio incarico per i rappresentanti degli Enti Locali, questa composizione sembra entrare in contrasto con l’ art 67 della Costituzione (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”): i nuovi senatori avrebbero un vincolo di mandato, dovendo rappresentare prima di tutto la Regione o il Comune di appartenenza. Tale sistema porterebbe a potenziare i particolarismi locali, specialmente quelli dei comuni capoluogo di Regione che sarebbero rappresentati maggiormente al contrario dei piccoli centri.
Inoltre, parimenti a quanto accade in sede di Conferenza Stato-Regioni (della quale, attualmente, si ignora il futuro), anche nell’attuale riforma del Senato si prevede un meccanismo di raccordo solo fra ‘esecutivi’, ossia solo fra maggioranze. Per capirci con un paradosso: se una forza politica dovesse conquistare con il 50%+1 dei voti in una tornata elettorale tutte o la maggior parte delle regioni e dei comuni rappresentati nel Senato delle Autonomie, vi sarebbe il 49% della popolazione italiana non o poco rappresentata.
Che funzioni avrebbe questo Senato
L’ inutilità dell’organo così costituito si palesa, soprattutto, se si esaminano le funzioni ad esso assegnate: un Senato che non voterà la fiducia né il bilancio dello Stato, che potrà proporre modifiche ai testi di legge ma solo in alcune materie (tra le altre, norme generali sul governo del territorio e ratifica dei trattati U.E.). Ma a preoccupare è un’altra norma: vi è la possibilità per la Camera di ignorare, con un voto a maggioranza assoluta (data dalla Legge Elettorale c.d. Italicum), le proposte di modifica avanzate dal Senato.
Un nuovo organo che dovrebbe, tuttavia, continuare ad occuparsi delle leggi di revisione costituzionale, funzione che desta non poche perplessità, poiché a cambiare la Costituzione, potrebbero concorrere senatori eletti attraverso un meccanismo di secondo grado e non direttamente dai cittadini.
Insomma, una riforma del Senato frutto di una propaganda becera sul taglio dei costi della politica ( la mancanza di indennità per i senatori è uno dei cavalli di battaglia del premier), manchevole di qualsiasi profilo di innovazione e utilità reale.
Il monocameralismo di fatto e l’esclusione del dissenso
Il sistema monocamerale che si creerebbe è sicuramente l’ aspetto più ambiguo e rischioso di tale riforma.
Qualora venisse approvato l’Italicum, infatti, l’unica Camera che voterà la Fiducia e che sarà detentrice della funzione legislativa verrà eletta attraverso un meccanismo iper-maggioritario. Secondo il modello elettorale proposto, infatti, una lista che raggiunge il 37% dei voti godrebbe di un premio che le consentirebbe la maggioranza assoluta dei seggi. Qualora nessuna lista raggiungesse il 37% vi sarebbe il ballottaggio tra la prima e la seconda coalizione e la maggioranza dei seggi verrebbe data alla lista che vince questo secondo turno (ballottaggio). Per fare un altro esempio potrebbero esserci delle elezioni con le prime due liste che arrivano entrambi al 25 %. Nel secondo turno una delle due vince e prende la maggioranza assoluta dei seggi e, quindi, il Paese verrebbe governato da una coalizione che ha il consenso reale di solo ¼ degli elettori: è il trionfo del “governo del meno peggio”.
Se a ciò si aggiunge il sistema delle liste bloccate e le alte soglie di sbarramento previste prende forma un sistema che sacrifica il valore costituzionale del pluralismo sull’altare di una governabilità imposta oltre ogni limite. Le liste non in coalizione dovranno raggiungere l’8% di voti, cioè più di 2 milioni di voti, per avere dei parlamentari. Si potrebbe creare un sistema in cui milioni di elettori non sono rappresentati in Parlamento.
La deriva populista e anti-rappresentativa del sistema politico italiano si è palesata in questi anni nell’ ‘ubriacatura maggioritaria’ e nell’opzione per il bipolarismo. Sistema, quest’ultimo, che rappresenta non solo uno stampo calato sulla società ma, oltretutto, nega artificialmente il pluralismo politico, mortificando il dissenso e semplificando la complessità sociale.
Verso un regime Presidenziale
E’interessante soffermarsi sulla modifica proposta all’Art 72 della Costituzione che rafforzerebbe tantissimo il potere del Governo come avviene nelle Repubbliche Presidenziali: un disegno di legge del governo potrà essere, infatti, iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro 60 giorni dalla richiesta. Se non venisse votato entro i 60 giorni il testo dovrà essere posto in votazione, senza possibilità di modifica da parte dei deputati. Insomma, si costituzionalizza il meccanismo della ‘ ghigliottina’ per i disegni di legge del governo, con buona pace della dialettica parlamentare e del confronto tra differenti visioni politiche.
Quello che Renzi non dice
Il dato che emerge da questa breve analisi è sicuramente uno: la svolta autoritaria non è la paranoia di anziani ‘parrucconi’ conservatori, bensì un pericolo reale insito nel modello proposto. Un inutile Senato delle Autonomie (e comunque dispendioso), una Camera eletta con l’Italicum che esclude le minoranze e il dissenso, un rafforzamento dei poteri dell’Esecutivo e l’assenza di contrappesi devasteranno ancor di più la nostra democrazia. La propagandistica rottamazione di un sistema considerato vecchio e oramai superato ci restituisce di fatto un nuovo modello che, al fine di assecondare le istanze populiste, risulta peggiore di quello presente.
Innanzitutto si potrebbe rispondere che per tagliare i costi della politica basterebbe diminuire gli stipendi che prendono i Parlamentari, come già molti dicono e hanno detto, sapendo che c’è un rischio: i Padri Costituenti avevano deciso di dare lo stipendio cosicché tutti potessero svolgere il lavoro parlamentare senza il rischio di essere corrotti. La corruzione è comunque entrata dentro la politica nonostante gli stipendi ma non si può pensare che la democrazia sia a costo zero.
Inoltre un Senato delle Autonomie non cancellerebbe i costi legati ai lavori parlamentari, i soldi per le iniziative, gli uffici stampa, il mantenimento degli uffici, ecc.
Oggi sarebbero ben altre le politiche di spesa da fare: i tagli alle spese militari ne sono solo un esempio ma anche il ripensamento del patto di stabilità che blocca i bilanci dei comuni e degli enti locali o la cancellazione del Fiscal Compact e del Pareggio di Bilancio.
Inoltre va aggiunto che abolire una camera certamente non renderà più veloci i tempi di approvazione delle leggi: si pensi che le due Camere possono essere utilizzate contemporaneamente come due canali diversi in cui far discutere e approvare due leggi distinte, per poi compiere i due procedimenti per i due atti legislativi nelle altre rispettive camere. Sembrerebbe dunque, a rigor di logica, che nello stesso tempo possano venire approvate più leggi.
E’ da aggiungere che la presenza di due camere è giustificata da una precisa ratio, ovvero il fatto che una camera possa avere funzione correttiva rispetto ai possibili errori commessi dall’altra, oltre che essere luogo di riflessione rispetto a questioni complesse che meritino decisioni più ponderate rispetto a quelle che una sola camera potrebbe prendere.
Siamo quindi molto lontani dal modello del Bundesrat tedesco e, nel contempo, tale nuovo organo non rappresenta neppure un contrappeso all’eccessivo potere della maggioranza che si andrebbe a configurare con l’applicazione dell’Italicum per l’elezione della Camera dei Deputati.
http://www.retedellaconoscenza.it/2014/ ... mocrazia/#
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------
BRAVI QUESTI RAGAZZI !! Mi convincono a continuare questa mia lotta impari. Mi danno fiducia nell'avvenire. http://www.retedellaconoscenza.it/chi-siamo-2/
Certo, parlare di eliminare alcune spese fa molto effetto di questi tempi.
E' un vecchio vizietto, questo, del berlusca.
Fai sondaggi e poi dai in pasto alla gran massa quello che richiede e immediatamente te li sei fatti amici.
Ma la politica dove sta, allora?
L' "impalcatura" di un programma politico si regge con i sondaggi o dev'essere qualcosa di diverso?
In tempi di fame dare 90-100 €, chi non li vorrebbe e chi non voterebbe il proponente?
Eliminare il senato in fretta e furia per rispettare i calendari senza averne studiato attentamente come saranno sostituiti questi contrappesi puo' giustificare l'eliminazione di queste spese o serve ben altro?
Il prezzo per poter governare puo' passare per queste vie?
Certo, sara' piu' facile, ma son queste scorciatoie che dovremmo prendere o la democrazia ha bisogno di ben altro per avere dei consensi e quindi partecipazione?
Certo, come detto sopra, sara' piu facile avere un governo che governi ma che senso avrebbe se ci troveremo difronte ad un elettorato che per meta' non si sente rappresentato e il cui governo rappresentera' solo il 25% + 1 di questo elettorato votante?
Non son tante queste mie domande e per questo vorrei, se possibile, che qualcuno mi rispondesse senza accusarmi poi di stalking e prendermi il 61bis
hola amigos