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La flessibilità non è la ricetta giusta

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda Robyn il 14/03/2014, 21:07

Nel ddl sul lavoro risulta nascosto da qualche parte il contratto unico.I contratti a termine sono più che sufficenti anzi il limite dovrebbe essere di due anni senza causale per il 20% dei lavoratori.Aggiungere anche il contratto unico a tutele crescenti significa precarizzare il mondo del lavoro e creare delle fasce di lavoratori al servizio della flessibilità senza che che per questi ci sia la minima possibilità di assunzione.Per facilitare l'assunzione a tempo indeterminato e limitare l'uso dei contratti a termine,senza vietarli,bisogna semplificare la flessibilità in uscita con tempi più rapidi del processo del lavoro e cuneo fiscale al 33%.Se invece si torna alla precarizzazione meglio lasciare l'Italia prendere la strada per l'estero per l' europa perche significa che il nostro paese non è psicologicamente recuperabile
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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda flaviomob il 15/03/2014, 17:35

La prima cosa è che i lavoratori precari devono guadagnare molto di più e costare tanto alle aziende che li preferiscono ai dipendenti, disincentivandone l'utilizzo. La flessibilità in uscita (per chi è dipendente) si può realizzare con sussidi e garanzie universali di sostegno al reddito.


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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda Robyn il 15/03/2014, 23:10

E' quello che già si stà facendo con le protezioni cioè indennità+formazione ma per limitare la flessibilità in ingresso senza vietarla,bisogna rendere più semplice la flessibilità in uscita rendendo più breve il processo del lavoro e diminuendo il cuneo.I contratti a termine sono migliori rispetto ad altre forme e mi pare che già esiste un contributo sù di essi che finanzia l'Aspi
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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda Robyn il 18/03/2014, 8:56

Per contrastare la precarietà i contratti a termine devono costare di più di quelli a tempo indeterminato.La cosa si potrebbe risolvere pagando di più il lavoratore flessibile,ma il problema è che se viene assunto a tempo indeterminato ha una diminuzione di reddito,perche prima era flessibile e adesso è a tempo indeterminato.Quindi anziche variare la componente reddito bisogna aumentare il costo dei contratti a termine in altre parti.Ma anche qui l'obiezione che si fà è che il datore di lavoro,se i contratti flessibili costano di più,pur di risparmiare assumerebbe a tempo indeterminato subito ma a scapito della valutazione del merito.Allora l'ideale sarebbe rendere più costosi i contratti a termine flessibili,ma restituire la parte eccedende se c'è l'assunzione a tempo indeterminato.In questo caso però la prova si protrarrebbe per tre anni perche sà che viene restituita tutta la parte eccedente.Allora la migliore cosa è che se dopo 12 mesi c'è l'assunzione a tempo indeterminato viene restituita tutta la parte eccedente.Se invece la prova si protrae dopo i 12 mesi si perde il diritto a qualsiasi restituzione e il contratto a termine continua a costare molto di più.In ogni caso il contratto a tutele crescenti và scartato
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Superfisso

Messaggioda franz il 18/03/2014, 9:16

Secondo me bisogna smetterla di pensare col modello super fisso per cui tutto è determinato numericamente e immutabile e quindi per favorire qualcuno bisogna sfavorire altri. Un po' come una coperta corta, o i piedi stanno al freddo, oppure le spalle. Questa logica produce casi come questi: per favorire i giovani mandi in pensione prima gli anziani, per favorire certi contratti di lavoro ne sfavorisci o penalizzi altri.

Ma il guasto di questa logica è che alla fine il vincolo (la coperta corta) si perpetua e la coperta rimane corta. Non cresce. E noi siamo fermi da 20 anni anche per colpa di questa mentalità e delle scelte politiche sbagliate che facciamo.
Eppure la soluzione è far crescere la coperta, in modo che copra piedi e spalle.

L'ho sostenuto piu' volte: l'economia non è un gioco a somma zero, chi vince, chi perde (chi ha i piedi al freddo e chi no) ma è qualche cosa che produce valore aggiunto, quindi crescita. Non da noi, che non cresciamo da 20 anni ed anzi negli ultimi anni siamo tornati indietro, con dati negativi sull'andamento del PIL.

Per favorire la crescita, meno ostacoli mettiamo meglio è. Vincoli ai contratti, in ingresso ed in uscita, penalizzazioni, imposizioni diverse, contributi previdenziali diversi, sono tutte cose sbagliate.

Vincoli (pochi) uguali per tutti, contributi identici, imposte pure
. Certo, cosi' poi si ha l'impressione che la politica faccia poco. Oggi si chiede alla politica di intervenire e cosa fa? Mette vincoli a destra e a manca (e lo fa spesso piu' volte l'anno) ma questo è l'errore che produce la stagnazione della crescita. Le imprese hanno bisogno di stabilità per crescere, non di normative fiscali e neldiritto del lavoro che cambiano ogni cambio di governo, cosa che avviene fin troppo spesso.
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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda Robyn il 18/03/2014, 10:12

I contratti a termine in Gran Bretagna sono poco usati
A-I contratti a termine sono acasuali e prevedono un limite alla reiterazione
B-Non può esserci disparità di trattamento fra lavoratore a termine e lavoratore a tempo indeterminato
C-Le retribuzioni dei contratti a termine in Gran Bretagna sono molto cresciute tanto che la quota di contratti a termine è sensibilmente scesa eppure lì c'è il merito e la flessibilità in uscita
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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda flaviomob il 18/03/2014, 20:22

Governo Renzi: norme sul lavoro sull’orlo della schizofrenia
di Lavoce.info | 18 marzo 2014

Un decreto legge che stabilisce periodi di prova interminabili e una legge delega che accenna al contratto a tutele crescenti: la contraddizione nei primi passi del Governo sul lavoro è palese. I motivi di urgenza ci sono tutti, ora bisogna scegliere.
di Tito Boeri e Pietro Garibaldi (fonte: lavoce.info)

A leggere il decreto e il disegno di legge-delega sul lavoro usciti dal Consiglio dei ministri di mercoledì scorso, si ha l’impressione di assistere ad una crisi di schizofrenia.

Gli articoli 1 e 2 del decreto sembrano ripresi pari pari dagli articoli 3 e 4 della proposta di legge Sacconi, Albertini, Berger e Casini. È ora possibile assumere per otto volte nell’arco di tre anni un lavoratore con un contratto a tempo determinato di 4/5 mesi. Una norma di questo tipo di fatto introduce un periodo di prova di 3 anni in cui il datore può licenziare senza pagare un’indennità, senza dare un minimo di preavviso e senza neanche motivazione. L’unica differenza è che Sacconi et al. mettevano questi articoli in un disegno di legge delega, mentre il governo Renzi li ha messi in un decreto d’urgenza, di efficacia immediata.

Lo strumento della legge delega è stato invece utilizzato dal Governo per “semplificare” e “riordinare” le diverse figure contrattuali, introducendo “eventualmente in via sperimentale” un contratto “a tutele crescente per i lavoratori coinvolti”. Forse in questo c’è il riferimento alla proposta di contratto a tutele crescenti più volte formulata su questo sito.

Il problema è che il decreto con la nuova prova triennale rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello da noi formulato. Un periodo di prova così lungo spiazza qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di inserimento. E dopo un periodo di prova di 3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento come il nostro che allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l’anzianità aziendale media in Italia è attorno ai 15 anni.

Inoltre il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato.

La nostra proposta, il disegno di legge depositato in Camera e Senato, aveva esattamente la filosofia opposta: ridurre le barriere, unificare laddove oggi c’è segmentazione.

Abbiamo già denunciato su lavoce.info come i vincoli burocratici introdotti dalla legge 92 abbiano ridotto le assunzioni. Quei vincoli andavano rimossi creando un percorso di ingresso nel mercato del lavoro che superasse l’attuale segmentazione. Invece con il decreto Poletti si è scelto di aumentarla ulteriormente: così il mercato del lavoro italiano sarà ancora più spaccato a metà.

La confusione è molta. Il governo deve ora scegliere. Se converte in legge il decreto rende improponibile l’art 4 della legge delega che introduce il contratto a tutele crescenti. Se invece vuole davvero facilitare la stabilizzazione graduale del lavoro, abbandoni il decreto e approvi in tempi brevissimi la legge-delega.

I motivi di urgenza con una disoccupazione giovanile sopra il 40 per cento ci sono tutti.

In ogni caso le due cose non possono coesistere: vanno in direzioni diametralmente opposte.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... ia/918148/


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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda Robyn il 18/03/2014, 21:03

Il lavoratore flessibile con contratto a termine ha diritto ad un reddito più alto rispetto a quello a tempo indeterminato perche flessibile e questo porta come conseguenza che la flessibilità,l'utilizzo dei contratti a termine,ci sia solo quando è necessario non proibendo i contratti a termine ma eliminando gli abusi.Il contratto a tutele crescenti è più ostativo perche già dopo sei mesi c'è la fase giudiziale per i disciplinari e può interrompersi in qualsiasi momento per ragioni economiche dando una modesta indennità al lavoratore,di conseguenza sono meno garantisti.Al contrario i contratti a termine sono più garantisti perche si sà quando finisce il contratto e in caso di interruzione anticipata al lavoratore spetta la retribuzione dei mesi mancanti alla sua conclusione.In breve i contratti di quattro mesi acasuali rinnovati per otto volte non rappresentano un problema se la retribuzione del lavoratore a termine è maggiore di quella del lavoratore a tempo indeterminato perche questa cosa tempera l'utilizzo dei contratti a termine.Invece se i contratti a tempo determinato costassero come quelli stabili la precarietà aumenterebbe e i diritti di base del lavoratore come ferie malattia reddito subirebbero un'indebolimento e sarebbe indebolita la crescita.Quindi il contratto a tutele crescenti andrebbe stralciato in partenza.Allo stesso tempo per deflazionare la flessibilità in ingresso bisogna deflazionare la flessibilità in uscita con tempi più rapidi del processo del lavoro.Solo cosi la prova è di durata giusta e c'è la possibilità di avere il contratto a tempo indeterminato che però contempla una maggiore flessibilità in uscita dove intervengono le protezioni.L'art 18 tutela i diritti di base come reddito ferie malattia non il posto di lavoro che se perso scattano le protezioni che sono formazione +indennità
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Re: La flessibilità non è la ricetta giusta

Messaggioda Robyn il 19/03/2014, 16:46

Già si può cominciare ad agire in questo senso.In caso di contratto a termine le risorse vanno per intero al reddito del lavoratore,invece nel caso del contratto a tempo indeterminato la maggior parte al lavoratore e la parte restante al cuneo fiscale,e la prossima volta in modo più incisivo sul cuneo fiscale del lavoro a tempo indeterminato portandolo al 33%.In questo modo si comincia a disegnare un sistema dove per il contratto a termine c'è un reddito più alto con un costo del lavoro più alto e per l'indeterminato un costo del lavoro più basso e un reddito più basso rispetto al tempo determinato con un cuneo fiscale al 33% per l'indeterminato
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