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Diritti umani, informazione e comunicazione

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Francia, aggredita la ragazzina espulsa verso il Kosovo

Messaggioda franz il 21/10/2013, 9:36

Francia, la ragazzina espulsa verso il Kosovo aggredita con tutta la sua famiglia

Leonarda e i parenti erano a Mitrovica: la madre, schiaffeggiata, è stata ricoverata in ospedale. I Verdi francesi: «Scelte inumane»

Leonarda Dibrani, l’adolescente kosovara di etnia rom espulsa dalla Francia il 9 ottobre scorso insieme a tutta la sua famiglia, è stata aggredita domenica pomeriggio a Mitrovica, la città del Kosovo dove è stata costretta a trasferirsi.
ERANO A PASSEGGIO - Secondo quanto riferisce l’agenzia France Presse, degli sconosciuti hanno attaccato la famiglia Dibrani. Un agente di polizia ha confermato: «I Dibrani passeggiavano per Mitrovica con i bambini - i genitori hanno altri 5 figli, quattro nati in Italia e una, di 17 mesi, in Francia ndr - quando sono stati aggrediti da degli sconosciuti».

«NON CI SENTIAMO AL SICURO» - La madre di Leonarda, la 41enne Xhemaili, «è stata schiaffeggiata e ricoverata in ospedale, mentre i bambini, sotto choc, sono stati portati a un commissariato di polizia. È la prova che i Dibrani qui non sono al sicuro». Posizione ribadita anche dal padre di Leonarda, Resat: «Erano 6-7 giovani, ci hanno colto all’improvviso, prendendoci a schiaffi e a botte. Abbiamo paura, non ci sentiamo al sicuro a casa a Mitrovica».

LE POLEMICHE - Nel frattempo le polemiche politiche nei confronti del presidente francese François Hollande e del ministro dell’Interno Manuel Valls proseguono. Leonarda, 15 anni, è stata fermata mentre si trovava in gita scolastica. Ha sempre sostenuto di ritenersi francese e il presidente le ha offerto di tornare a finire gli studi, ma da sola. Offerta sdegnosamente rifiutata dalla ragazzina.

«NEGATO IL DIRITTO ALLA FAMIGLIA» - Adesso i Verdi sollecitano l’autorizzazione «al rientro il piu’ rapido possibile» in Francia dei Dibrani, così come del liceale armeno Khatchit Khachatryan, espulso di recente. La portavoce del partito, Elise Lowy, ha definito «disumane e incomprensibili» le posizioni espresse da Hollande e Valls: «Siamo sorpresi che venga negato a tal punto il diritto a vivere in famiglia, in totale disprezzo delle norme internazionali».

LA FAMIGLIA - I Dibrani avevano chiesto asilo in Francia. Resat Dibrani aveva presentato domanda in Francia nel 2008 sostenendo che tutti i membri erano nati effettivamente in Kosovo. Solo di recente aveva ammesso che i figli erano tutti nati in Italia e di aver mentito nella speranza di facilitare la pratica. Pratica che, Valls ha sottolineato in un’intervista al Journal du Dimanche, «è stata respinta sette volte, e che conteneva documenti fraudolenti».

20 ottobre 2013
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 22/10/2013, 18:41

http://www.ricordatichedevirispondere.i ... =retelgbti

COMBATTERE L’OMOFOBIA E LA TRANSFOBIA E GARANTIRE TUTTI I DIRITTI UMANI ALLE PERSONE LGBTI (LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE)

Punto 1 – Forze di polizia
Punto 2 – Femminicidio
Punto 3 – Migranti
Punto 4 – Carceri
Punto 5 – omofobia
Punto 6 – Rom
Punto 7 – Istituzione per diritti umani
Punto 8 – multinazionali italiane
Punto 9 – Pena di morte
Punto 10 – Commercio armi
Negli ultimi anni, attacchi verbali e fisici nei confronti delle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) si sono verificati in Italia con preoccupante frequenza, mentre diversi esponenti politici e istituzionali hanno continuato a fomentare un clima d’intolleranza e di odio con dichiarazioni palesemente omofobe.

La legge antidiscriminazione prevede pene aggravate per crimini di odio basati sull’etnia, razza, nazionalità, lingua o religione, ma non tratta allo stesso modo quelli motivati da finalità di discriminazione per l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Inoltre, l’incitamento a commettere atti o provocazioni di violenza omofobica e transfobica non è perseguibile come altre forme di incitamento alla violenza discriminatoria. Questa situazione rischia di favorire l’aumento di intolleranza e violenza verso le persone Lgbti, tuttavia la lacuna legislativa non è stata sinora colmata. Inoltre, nella legislazione italiana manca qualsiasi riconoscimento della rilevanza sociale delle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli. Ciò impedisce a molte persone di godere di diritti umani essenziali per l’autorealizzazione e alimenta la stigmatizzazione delle persone Lgbti.

Il principio di non discriminazione, sancito da numerose convenzioni internazionali, garantisce parità di trattamento tra le persone e stabilisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione, anche quella basata sull’orientamento sessuale. Le autorità italiane hanno la responsabilità di proteggere e garantire la realizzazione dei diritti umani delle persone Lgbti affinché esse non siano vittime di discriminazione, possano godere degli stessi diritti di ogni altro individuo e possano esprimere liberamente il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere senza il rischio di subire abusi.

Scarica l’Agenda in 10 punti



SVILUPPI

Questo ambito presenta il dato molto positivo che, per la prima volta, la discussione sulla legislazione penale contro l’omofobia ha oltrepassato nella discussione parlamentare l’ostacolo delle pregiudiziali di costituzionalità, producendo un dibattito aspro e a tratti molto teso, ma sempre concentrato sui contenuti e di un livello complessivamente migliore che in passato. La tempestiva presentazione a inizio legislatura di diversi disegni di legge sul tema è stata seguita da una rapida calendarizzazione in commissione Giustizia e poi in aula alla Camera, dove il 19 settembre è stato approvato il testo di un ddl12 che estende la Legge Mancino-Reale al movente d’odio basato sulla discriminazione per motivi di identità di genere e orientamento sessuale.

La complessità dell’argomento e del testo adottato, che pur estendendo integralmente l’applicazione della legge vi introduce una clausola c.d. di salvaguardia della libertà di espressione, rende l’analisi particolarmente delicata.

Va innanzitutto rilevato che il testo del ddl accoglie le due principali richieste di Amnesty International Italia, ossia l’estensione delle norme della Legge Mancino-Reale sia nella prima parte – che riguarda il discorso d’odio – che nella seconda – relativa all’aggravante ai reati comuni, quando motivati da odio. È un importante risultato, il quale non sembra essere vanificato dal citato articolo sulla libertà di espressione. Quest’ultimo sarebbe applicabile a tutta la legge e nel testo approvato così recita: “Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente, ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”. Vero è che la disposizione appare in sé superflua, perché la Legge Mancino-Reale si applica solo al discorso d’odio atto e intenzionato a istigare alla violenza contro un determinato gruppo. Né la legge ha presentato sinora criticità relativamente al problema della sua possibile incompatibilità con la libertà d’espressione (problema mai sollevato rispetto ai motivi di discriminazione già inclusi, come etnia, religione ecc.). Per valutare se, oltre che superflua, la c.d. clausola “di salvaguardia della libertà di espressione” possa risultare dannosa, Amnesty International Italia ritiene che nei successivi passaggi del testo vi debba essere una disamina approfondita dei possibili effetti processuali ed extra-processuali. Si auspica, in vista dell’iter al Senato, che si arrivi a un testo complessivamente efficace per combattere l’omofobia e la transfobia, che non venga indebolito nelle diverse parti estremamente positive che attualmente presenta.

Si segnalano ulteriori passi positivi, quali la presentazione di ddl sul matrimonio tra persone dello stesso sesso13 e sull’istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia14.

Scarica il briefing “Quali risposte in sei mesi di Legislatura?”


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 06/11/2013, 16:52

Messico, graziato dopo 13 anni il maestro innocente
di Riccardo Noury

Il 31 ottobre 2013 Alberto Patishtán, un maestro nativo dell’etnia tzotzil dello stato messicano del Chiapas, è tornato in libertà a seguito della grazia decretata il giorno prima dal presidenziale Enrique Peña Nieto.

Patishtán ha trascorso 13 anni in carcere. Non fosse stato per la campagna promossa dalle organizzazioni messicane per i diritti umani e da Amnesty International, gliene sarebbero toccati altri 47.A 60 anni, infatti, era stato condannato, nel 2000, per omicidio aggravato e rapina durante un’imboscata nella quale erano stati uccisi sette agenti di polizia.

Quel giorno, il 12 giugno 2000, Patishtán non era a El Bosque, dove avvenne l’agguato, ma in una città vicina, a fare il suo lavoro, come sempre. Alla giuria del processo bastarono le dichiarazioni di un presunto testimone, contro quelle di chi era con lui a lezione, per emettere la condanna.

Il sindaco di El Bosque e il governatore dello stato di Chiapas pensavano così, con una pretestuosa accusa e una lunga condanna, di liberarsi del “Profe”, che aveva più volte denunciato la violenza e la corruzione delle istituzioni locali e delle forze di sicurezza.

Invece, la campagna per la sua scarcerazione ha avuto successo. Inoltre, nei 13 anni trascorsi in carcere, nonostante un tumore all’ipofisi e un intervento purtroppo non ancora risolutivo, Patishtán ha continuato a insegnare. Grazie a lui, decine di detenuti hanno imparato a leggere, a scrivere e a conoscere i loro diritti.

Esattamente un anno fa, altri due attivisti nativi, José Ramón Aniceto Gómez e Pascual Agustín Cruz, erano stati rilasciati dopo aver trascorso quasi tre anni in carcere grazie ad accuse precostituite: una rappresaglia giudiziaria destinata a fermare la loro campagna per l’accesso all’acqua nello stato di Puebla.

Chissà quanti altri Patishtán languono nelle carceri del Messico. Amnesty International è tornata a sollecitare una revisione integrale di tutti i procedimenti giudiziari irregolari, sommari e discriminatori che nel corso degli ultimi 20 anni potrebbero aver fatto finire in carcere persone innocenti.

http://lepersoneeladignita.corriere.it/ ... #more-3818


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 06/11/2013, 16:54

La petizioncella è arrivata a trecentodieci firme.

http://www.change.org/it/petizioni/comu ... e-stazioni

Qualche idea per aumentarne la diffusione?


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La pena di morte nel mondo

Messaggioda flaviomob il 12/11/2013, 14:41

Ultimi aggiornamenti qui:

http://www.amnesty.it/rete_pena_di_morte

Newsletter novembre 2013


SOMMARIO

In questo numero:

1. Giappone: salviamo Hakamada Iwao dall'esecuzione. Firma l'appello!
2. Giappone: Corte suprema nega appello a Okunishi Masaru
3. Bielorussia: condanna a morte ribaltata
4. Bielorussia: opinioni a confronto sulla pena di morte
5. Asia: passi avanti verso l'abolizione
6. Iran: essere impiccati due volte? Evitato il record di disumanità
7. Iran: 537 persone messe a morte in un anno
8. Cina: "applicare pena con prudenza", dice presidente Corte suprema
9. Zimbabwe: la nuova Costituzione un'occasione mancata per abolire la pena capitale
10. Amnesty in azione: cartoline dalla Giornata mondiale
11. Usa: sondaggio Gallup, minimo storico per favorevoli a pena di morte
12. Buone notizie: Usa
13. Brevi dal mondo
14. I dati sulla pena di morte (aggiornamento al 24 ottobre 2013)


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Carcere e disabilità

Messaggioda flaviomob il 17/11/2013, 13:22

In carcere, dove la disabilità è davvero invisibile
di Franco Bomprezzi

Per fortuna esiste la cronaca. Ossia i fatti. E chi li rivela senza nasconderli. Come ha fatto, oggi, il Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, rendendo noto un episodio incredibile, che giustamente è stato subito portato all’attenzione dei lettori da corriere.it . Un detenuto tenta il suicidio, in una cella del G11, piano terra di Rebibbia. A salvarlo è la prontezza del suo compagno di cella, che si butta per terra, si colloca sotto i suoi piedi e ne sostiene il peso, evitando che il cappio improvvisato consenta l’esito finale del gesto. Il fatto è che il salvatore è una persona con disabilità, che vive in sedia a rotelle. Non ha esitato a gettarsi dalla carrozzina, un gesto non naturale e anche pericoloso, in uno slancio di umanità che di per sé ci interroga sulla realtà del carcere, sulla drammatica situazione nella quale queste persone si trovano a vivere.“Le celle ed i servizi utilizzati non sono adeguati – dice il Garante Angiolo Marroni – per ospitare disabili. Mancano i supporti e capita spesso che i detenuti siano costretti a stare tutto il giorno in cella. Nel G 11 ci sono persone affette da patologie gravi, che avrebbero bisogno di ben altra attenzione”. Ecco, adesso lo sanno tutti. Fino a ieri le poche notizie certe relative alla condizione carceraria delle persone con disabilità circolavano quasi clandestine, basate peraltro su studi seri, come la ricerca di Catia Ferrieri (università di Perugia), che rivela un dato impressionante: sono oltre 200 le persone con disabilità motoria detenute nelle carceri italiane. E quasi uno su due è costretto in celle e in edifici con barriere architettoniche. Difficile persino quantificare esattamente il fenomeno, visto che al questionario proposto dalla ricercatrice hanno risposto solo 14 dei 416 istituti penitenziari italiani.

Non ci sono elementi certi circa il rispetto dei diritti umani, quelli sanciti dalla Costituzione, ma anche quelli della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (legge dello Stato Italiano) che all’art. 14 (“Libertà e sicurezza della persona”) dichiara: “Gli Stati Parti assicurano che, nel caso in cui le persone con disabilità siano private della libertà a seguito di qualsiasi procedura, esse abbiano diritto su base di uguaglianza con gli altri, alle garanzie previste dalle norme internazionali sui diritti umani e siano trattate conformemente agli scopi ed ai principi della presente Convenzione, compreso quello di ricevere un accomodamento ragionevole”. Ecco: un accomodamento ragionevole.

Difficile comprendere ad esempio perché il 27,3 dei detenuti disabili sia in carcere in stato di custodia cautelare, ossia prima della sentenza. Arduo immaginare la possibilità di fuga in sedia a rotelle, ma non si sa mai. Difficile avere informazioni sulla qualità delle cure, sulla competenza dei medici, degli infermieri, che dovrebbero intervenire per garantire, anche in carcere, la salute dei detenuti disabili. Ecco perché l’episodio di Roma mi auguro abbia trovato l’immediato interessamento, almeno telefonico, del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. Un tema sul quale nessuno ragionevolmente troverebbe da obiettare, nel caso in cui il ministro si desse da fare con decisione per ripristinare condizioni di umanità e di pari dignità.

http://invisibili.corriere.it/2013/11/1 ... nvisibile/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda franz il 17/11/2013, 16:03

flaviomob ha scritto:In Israele, ad un cantante vengono comminate 39 frustate da un "tribunale rabbinico"
http://www.mattinonline.ch/2220/israele ... n-cantante

Il link in italiano non funziona.
Una rapida ricerca mi dice che il vero link è questo
http://www.mattinonline.ch/2220israele- ... -cantante/
Su google in italiano si trova solo questa notizia (da mattinonline) ed un messaggio su facebook, che come fonte fa riferimento a quella di mattinonline (un settimanale populista di destra della svizzera italiana che di certo non è fonte degna di fede, e nemmeno di Fede).
Poi c'è naturalmente questo thread, già indicizzato da google (che rapidità).
Insomma nessuna agenzia ufficiale, ansa, reuter, tass. Nulla.
Puzza di bufala lontano un miglio, perché notizie come questa dovrebbero essere date da agenzie, non da settimanali locali. Ed inter nos, sarebbe buona cosa verificare le notizie prima di diffonderle. Devono farlo i giornalisti, dovremmo anche noi.

Perché puzza di bufala lontano un miglio? Beh, ovvio. Nell'articolo (del primo settembre 2010, non ieri) non si fa alcun riferimento a date in cui la cosa sarebbe successa e si aggiunge "La notizia è stata messa a tacere da tutti" che è la classica cigliegina sulla torta, pardon sulla bufala.
In verità si trova un accenno nel citato articolo del Jerusalem Post (http://www.jpost.com/Israel/Sinner-sing ... -by-rabbis ) senza alcuna data e senza conferma che la sanzione religiosa sia stata veramente applicata. Ma chiarendo che il reo si sottomette alla punizione. In pratica sarebbe assimilabile alla condizione in cui Binetti si sottopone al cilicio o a quelli che si flagellano durente le processioni. Il mondo è quello, la pazzia imperversa e le manie religuiose sono le peggiori tra tutte.
Sono cose che fanno notizia solo perché riguardano israele?
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La(ger)mpedusa

Messaggioda flaviomob il 17/12/2013, 17:12

http://www.globalist.it/Detail_News_Dis ... -Lampedusa

La vergogna di Lampedusa

Migranti nudi, in fila per essere disinfettati con una pompa. La denuncia in video girato con un telefonino. Immagini che risvegliano brutti ricordi.


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Carceri disumane

Messaggioda flaviomob il 04/01/2014, 13:38

http://espresso.repubblica.it/inchieste ... o-1.147573


Il rapporto

Carceri 2013, anatomia di un disastro

Novantanove morti dietro le sbarre negli ultimi mesi, metà dei quali per suicidio. Abusi di potere. Sovraffollamento record. Tagli lineari all'amministrazione penitenziaria. Scarsa applicazione delle misure che permetterebbero ai detenuti di lavorare. La situazione delle prigioni nel nostro Paese non fa che peggiorare. Eppure, qualcosa si potrebbe fare, e non si fa

di Arianna Giunti


Andrea, 44 anni, per un’intera settimana non riesce a camminare, a parlare né a mangiare. Vomita di continuo ed è in preda al delirio. I suoi compagni di cella chiedono aiuto - inutilmente - per 24 ore. Gli infermieri si limitano a misurargli la pressione. Dopo quattro giorni, Andrea è ricoverato al reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove gli viene diagnosticato un “ictus ischemico esteso in sede cerebrale”. Da allora è in coma irreversibile.

C.G., 28 anni, italiano di origini brasiliane, detenuto nel carcere di Asti, viene accompagnato in infermeria per una visita di controllo. Un agente della penitenziaria lo deride per essersi recentemente convertito alla religione islamica. C.G., offeso, dà un calcio alla scrivania. Seguono dieci minuti di inferno: il detenuto viene preso a calci e pugni alla trachea e al torace, un uomo con il volto coperto da un passamontagna lo immobilizza, gli avvolge la testa con un sacchetto di plastica, gli tappa la bocca con il nastro da pacchi e poi lo appende alle grate dell’infermeria con i polsi legati dicendogli: “Dovreste fare tutti la fine di Stefano Cucchi”.

E’ la radiografia di un disastro quella fotografata dall’Osservatorio Antigone nell’ultimo rapporto nazionale 2013 sulla situazione carceraria italiana. Dai diritti violati alla mancanza di piani per il reinserimento sociale, i legali della più attiva associazione a tutela dei detenuti riportano dati e numeri ma anche alcuni degli episodi più gravi avvenuti nell’anno appena trascorso all’interno delle mura carcerarie italiane.

Come i 99 morti in dodici mesi, i suicidi, gli abusi di potere, le inchieste giudiziarie, detenuti malati richiusi in cella anche ben oltre il compimento del settantesimo anno di età. E poi, ancora, un sovraffollamento da record che sfiora il 173% e che fa schizzare l’Italia fra i primi posti della classifica nera europea. Le migliaia di detenuti condannati a meno di un anno di carcere per reati di scarsa rilevanza penale ai quali non vengono applicate le misure alternative al carcere, percentuali sempre più basse di carcerati che riescono a lavorare negli istituti di pena. Infine, tagli poco lineari al bilancio dell’Amministrazione Penitenziaria, che riducono del 47% i costi di mantenimento, assistenza e rieducazione dei detenuti ma che invece fanno aumentare del 12,1% quelli destinati ai costi per il personale.

COME BESTIE IN GABBIA
Sono la Liguria (169,9%), la Puglia (158,1%), l’Emilia Romagna (155,9%) e il Veneto (153,4%) le regioni italiane dove si registrano le vette più alte di sovraffollamento. In totale, per 64.047 detenuti stimati dall’ultimo censimento a fine novembre, sono disponibili - secondo Antigone - solo 37mila posti letto. Una carenza ormai cronica che è stata recentemente confermata anche dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Il sovraffollamento dipende soprattutto dallo scarso uso delle misure alternative al carcere. “Tanto per fare un esempio, la legge Fini-Giovanardi sulle droghe”, spiegano da Antigone, “è fallita nel suo tentativo di pensare a ingressi nelle comunità terapeutiche”. E così ben il 37,4% della popolazione detenuta si trova in stato di custodia cautelare. Un numero senza confronti in Europa. Mentre secondo gli ultimi dati disponibili resi noti dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, la percentuale di tossicodipendenti in Italia ha raggiunto il 23,8% con punte più alte in Sardegna (34,1%), Puglia (32,3%) e Lombardia (30,4%). Ancora più alto il numero di persone detenute per violazione della legge sugli stupefacenti, che arrivano ormai al 38,4% dell’intera popolazione carceraria.

NIENTE LAVORO
E così i detenuti si ritrovano a trascorrere 24 ore al giorno in celle fatiscenti di pochi metri quadrati senza ricambio d’aria né luce. Una condizione di “cattività” che accentua istinti violenti o stati depressivi, che aggrava le malattie e che toglie ai carcerati ogni possibilità di riscatto e recupero sociale. Anche perché le speranze di riuscire a lavorare durante la detenzione, sia per tenere la mente occupata che per costruirsi un futuro una volta liberi, continuano ad affievolirsi. Solo 11.579 detenuti (il 17,5% dei presenti) lavorano attualmente negli istituti per l’Amministrazione penitenziaria. E sono ancora di meno nelle carceri dove non si ricorre al “frazionamento”. Ovvero, dove un tempo lavorava un solo detenuto, riuscendo a ricevere un discreto compenso, oggi sono impiegati in due, spesso per periodi di tempo molto brevi per poter consentire anche agli altri, a rotazione, di lavorare. A questi detenuti, poi, si aggiungono i 2.266 che lavorano per altri datori. Fra di loro, 882 lavorano in carcere, mentre 1.266 fuori dalle strutture. Numeri che però sono distribuiti in maniera molto eterogenea in tutto il Paese: il 39% in Lombardia, il 24,8% in Veneto e il 10% in Lazio. Nel resto d’Italia, invece, le aziende in carcere sono praticamente assenti.

MORTI IN CELLA
E così, in cella, si muore. Nel corso dell’anno 2013 – si legge nel rapporto di Antigone – i detenuti deceduti in carcere sono stati novantanove. Tra le cause, 24 decessi per malattia, 47 per suicidio e 28 per motivi che devono ancora essere accertati. Il primato della morti spetta a Roma Rebibbia (11 decessi in totale di cui 2 per suicidio, 3 per malattia e 6 per cause non accertate). Il detenuto più giovane aveva 21 anni, era marocchino e si è impiccato il giorno dopo Ferragosto nella casa circondariale di Padova. Il detenuto più anziano, invece, aveva 82 anni ed è morto per un malore a Rebibbia. Nonostante fosse affetto da gravi patologie e fosse stato recentemente colpito da un ictus, il Tribunale di sorveglianza aveva rigettato la sua richiesta di scarcerazione. Era molto anziano (81 anni) anche Egidio Corso, detenuto nel carcere di Ferrara, morto durante uno sciopero della fame mentre stava protestando perché non gli avevano concesso una misura alternativa al carcere. In completa solitudine, invece, si è tolto la vita Pasquale Maccarrone, 27 anni, impiccandosi con il lenzuolo del letto nel carcere di Crotone, il giorno dopo il suo arresto.

In carcere si muore anche per malattie non curate. E’ successo ad Alfredo Liotta, trovato cadavere nella sua cella di Siracusa nel luglio del 2012. C’è voluto un anno perché, dopo un esposto all’associazione Antigone, fosse aperta un’inchiesta, ancora in corso. Liotta, malato di anoressia, nei suoi ultimi tre mesi di vita era dimagrito 40 chili e riusciva a muoversi soltanto su sedia a rotelle. Eppure non solo dal suo diario clinico risulta che né la perdita di peso né i parametri vitali siano stati monitorati, ma anzi quando il difensore del detenuto ne ha chiesto la scarcerazione si è sentito rispondere che “Liotta assumeva atteggiamenti artefatti, teatrali, volti alla strumentalizzazione”. Ora ad accertare la verità sarà la Procura di Siracusa, che lo scorso 29 novembre ha iscritto nel registro degli indagati dieci persone (dal direttore del carcere al personale medico competente) disponendo una nuova perizia.

Senza cure è stato lasciato anche Andrea Angelini, 44 anni, attualmente ricoverato all’Unità Operativa Gravi Cerebrolesioni di Imola in stato di coma irreversibile. La notte del 3 marzo 2013, mentre si trovava detenuto al reparto G12 della casa circondariale di Rebibbia, ha un gravissimo malore. I suoi compagni di cella, spaventati, chiedono aiuto. Nessuno li ascolta per 24 ore. Altri quattro giorni devono trascorrere perché possa essere ricoverato in ospedale, dopo che gli infermieri del carcere si erano limitati a misurargli la pressione. La mattina del 13 marzo Angelini viene ricoverato al Sandro Pertini di Roma, dove gli viene diagnosticato un ictus ischemico. Le sue condizioni peggiorano ancora e viene trasferito al centro rianimazione del San Filippo Neri di Roma e poi, ancora, a Imola. Un pellegrinaggio inutile, visto che da allora il 44enne non ha più ripreso conoscenza. Anche in questo caso la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un fascicolo, contro ignoti.
Sono in corso due inchieste (una amministrativa portata avanti dal Dap e una giudiziaria per omicidio colposo aperta dalla Procura di Napoli) per il caso di Federico Perna, un detenuto affetto da una grave patologia epatica e da disagi psichici morto lo scorso 8 novembre a Poggioreale. Perna era entrato in carcere il 20 settembre al Regina Coeli di Roma, poi era stato spostato a Velletri, quindi a Cassino, poi a Viterbo, ancora a Napoli Secondigliano e infine a Poggioreale. Secondo alcune testimonianze, “il detenuto sputava sangue da una settimana”.


ABU GHRAIB AD ASTI
L’ultimo rapporto di Antigone fa luce, anche, su un mondo sottaciuto di violenze fisiche e psicologiche all’interno delle carceri italiane. Un caso di razzismo, violenza e sopraffazione si sarebbe verificato per esempio nel penitenziario piemontese di Asti, già scosso da un’inchiesta giudiziaria che due anni fa si è conclusa con la prescrizione di quattro agenti di polizia penitenziaria accusati di aver sottoposto a feroci pestaggi notturni quattro detenuti. Stavolta i fatti risalgono al 2010 e ad accusare due appartenenti alla polizia penitenziaria è C.G., italiano di origini brasiliane di 28 anni. L’uomo, durante una visita di controllo in infermeria, viene deriso per la sua fede islamica. “Mi hanno detto che Maometto puzzava”, racconterà poi. Il detenuto, molto religioso, reagisce dando un calcio alla scrivania. In tutta risposta viene preso a calci e pugni, imbavagliato e legato alle grate dell’infermeria, il tutto accompagnato da macabri avvertimenti come “farai la fine dei tuoi fratelli ad Abu Ghraib” e “dovreste morire tutti come Stefano Cucchi”. L’uomo molto tempo dopo riesce ad aggirare il muro di omertà inviando una lettera al suo avvocato a nome del suo compagno di cella e solo in seguito a una lunghissima indagine i due agenti sono stati portati a giudizio. Il processo inizierà il prossimo aprile davanti al Tribunale di Asti.

BABY CRIMINALI
Migliora leggermente, invece, secondo l’osservatorio di Antigone, la situazione dei minorenni in carcere. Negli istituti di pena minorili, infatti, ben l’85,6% dei ragazzi uscirà in seguito all’applicazione di una misura cautelare alternativa. Significativo anche l’andamento dei minorenni che saranno collocati presso le comunità sia ministeriali che private, tra il 2001 e il 2012 (ultimi dati disponibili) che sono passati da 1.339 casi nel 2001 a 2.037 nel 2012. Un tendenza che in questi anni ha contribuito a contenere le presenze in carcere. Un discorso molto simile quello della messa in prova ai servizi sociali. Si è passati da 788 provvedimenti nel 1992 a 3.216 nel 2011 con un incremento cresciuto di quasi quattro volte.

COSA FARE?
Da parte degli esperti di Antigone, nel rapporto 2013 arrivano anche suggerimenti concreti rivolti al ministero della Giustizia, che ha promesso una riforma carceraria in tempi brevissimi. I punti fondamentali sono dieci, tutti finalizzati a favorire la reintegrazione dei detenuti.

Fra questi compaiono l’apertura delle celle e delle sezioni per almeno dieci ore al giorno, creare all’interno del carcere laboratori e aree verdi, introdurre il web nelle carceri per informarsi e partecipare alla vita pubblica e consentire – ovviamente a chi non è considerato socialmente pericoloso – di comunicare con i parenti attraverso posta elettronica. Per quanto riguarda la salute, una risposta efficace alla malasanità fra le mura carcerarie sarebbe quella di creare una figura che sia intesa come un medico di fiducia. Suggerimenti arrivano anche per quanto riguarda la vita quotidiana dei detenuti, che spesso si ritrovano a dovere fare i conti con i prezzi “gonfiati” del sopravvitto degli spacci interni alle carceri, più volte segnalati dalla Corte dei Conti. Importantissimo, poi, il fronte istruzione. Sono ancora troppo pochi – solo 316 – i detenuti che si sono iscritti nell’ultimo anno a corsi universitari.

Mentre nel 2012 si sono contati solamente 18 laureati. “E’ importante incentivare ulteriormente gli studi superiori come tassello fondamentale anti recidiva per il percorso individuale”, spiegano da Antigone, “il detenuto deve essere messo in condizione di sostenere un calendario di esami paragonabile a quello ordinario”.


http://espresso.repubblica.it/inchieste ... o-1.147573


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 05/01/2014, 17:55

Già pubblicato su questi schermi (credo)... Ma purtroppo sempre attuale:

POTEVANO PENSARCI PRIMA

Il rumore del blindo che si chiude alle tue spalle non lo dimentichi. Ti entra dentro e comincia a scavare, lentamente. Eppure non è questo a eroderti l'anima in carcere, ma la vita di tutti i giorni. Avete presente la sensazione che provate in un locale piccolo, maleodorante e sovraffollato? Potreste viverci dentro 23 ore al giorno? Impossibile? No, no; possibile.
"Basta con le lamentele. Potevano pensarci prima", ci sentiamo spesso rispondere. Ora immaginate di essere in una stanza larga tre passi e lunga sei. Metteteci sei letti a castello, tre da una parte e tre dall'altra. Quattro armadietti, un tavolo e un paio di sedie, non di più. Manca qualcosa?
Ah già, il bagno. Tazza, lavandino e una doccia. Finestra? Niente vetri; plexigras, sbarre in acciaio e bocche di lupo verso l'esterno. Il cielo non si vede, la sua assenza fa parte delle pene accessorie. Siete tra quelli che in un letto a castello scelgono quello sopra? Ahi, siete a più di due metri da terra. L'unica alternativa è dormire legati, sperando di non aver conti in sospeso con nessuno.
Poi ci sono gli stupri, i suicidi, i suicidi dopo gli stupri; ingoiando lamette, appendendosi con le lenzuola per il collo, infilando la testa in sacchetti di plastica collegati a fornellini da campeggio...
Troppa ansia, meglio scendere dalla branda. No, non ora; non è il vostro turno. "Ma io voglio fare solo due passi". Appunto, non è il vostro turno. Non si può nemmeno stare in piedi tutti assieme, figuriamoci camminare!
Come? State male? Chiamiamo un agente. Al momento sono tutti occupati. Aspettate. Il lavoro è tanto e loro sono pochi. Meglio prendere dei tranquillanti, quelli non mancano mai. Forse potreste sperare nelle cosiddette misure alternative. Non contateci troppo, però; meno di 15.000 detenuti in Italia riescono a beneficiarne. Nel resto d'Europa - Francia, Germania, Spagna, Inghilterra - sono almeno 10 volte tanto.
"Basta con le lamentele! Potevano pensarci prima", continuerà a dire qualcuno.
Dal 2009 a oggi la Corte europea dei diritti umani è intervenuta diverse volte per condannare l'Italia a pagare risarcimenti per le condizioni delle carceri; l'ultima volta ci è costato 100.000 euro e se le cose non cambiano presto potrebbero trasformarsi in milioni. "Come milioni? C'è la crisi, quei soldi ci servono per la sanità, la scuola, la disoccupazione...".
Vero.

E sapete cosa ci risponderanno da Strasburgo?

Basta con le lamentele! Potevate pensarci prima.

(Collettivo Sabot, per Amnesty International)


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