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L'isola di Pasqua

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

L'isola di Pasqua

Messaggioda pierodm il 30/12/2008, 13:20

Riporto qui di seguito la parte finale di un interessante articolo, che ho conservato e non ricordo più da dove ho ricavato - probabilmente da la Repubblica.
Mi sembra che s'inserisca bene in diversi discorsi che si stanno sviluppando sul forum.


La democrazia e lo spettro dell’isola di Pasqua - di GUSTAVO ZAGREBELSKY

... Una parola d’ordine della grande manifestazione — libertà — ha riassunto tutte le altre, e non si è minimamente pensato di farla seguire da responsabilità. Libertà, da sola, significa una cosa soltanto:
autorizzazione a curare illimitatamente i propri immediati interessi, a costo di dissipare i beni collettivi e permanenti che assicurano un avvenire. Solo la responsabilità può togliere alla libertà il suo veleno distruttivo. Ma, su questo, nessuna parola.
Un popolo di individui liberi e irresponsabili ha i nervi fragili di fronte all’insicurezza per l’avvenire perché avverte, al tempo stesso, di esserne causa senza avere strumenti per affrontarla. Per questo. più di tutto detesta i profeti di sventura e ama chi lo tranquillizza. La paura è uno Strumento politico. Per legare a sé questo popolo, per un demagogo non c’è di meglio che, prima, diffondere paura e, poi, dissiparla. Al potere starà non il grande fratello ma il grande rassicuratore. Naturalmente, i motivi di paura reali. di cui non si ha il controllo, quelli occorre minimizzarli o occultarli. Le risorse energetiche sono alla fine? L’inquinamento ambientale è alle stelle? L’acqua scarseggia? I ghiacci polari si sciolgono? La desertificazione avanza? Niente paura. Gli scienziati non sono d’accordo nelle diagnosi e nelle prognosi. L’Aids continua a diffondersi? Nessun problema. Basta non parlarne più. Lo stesso per le inquietudini morali.
Paesi interi dell’Africa Tropicale muoiono? Le disuguaglianze del mondo aumentano progressivamente? Forse non è così vero e, comunque, non ci deve importare, perché la colpa è loro e dei loro governi. Continuiamo così liberamente e non facciamoci domande inutili!
Nel nucleo del discorso sulla democrazia che non c’è di Ginsborg troviamo la nozione di società civile, il contrario di tutto questo. L’espressione ha ascendenze filosofiche, illuministiche, hegeliane e marxiane, liberali e gramsciane ma qui non è usata in nessuna di queste accezioni. Se ne prendono elementi diversi per costruire una nozione indicante un ambito di rapporti sociali che si collocano prima e fuori dei rapporti di potere pubblico ma si elevano al di sopra dei meri interessi particolari e pongono al potere politico disinteressate ma stringenti domande.
Per Ginsborg, la società civile è una «società civilizzata», portatrice di suoi valori sostenuti da libere energie di natura non egoistica; è il luogo di coloro che sanno alzare lo sguardo dalla loro pura e semplice convenienza individuale, per vedere più avanti e più In largo. E la società partecipante, che vince la passività e l’indifferenza per i problemi comuni, considerate il segno maggiore di malessere delle nostre democrazie, un segno non contraddetto, anzi semmai confermato dall‘alta partecipazione a elezioni vissute come consegna delle difficoltà comuni a qualche grande rassicuratore. L’espressione che più frequentemente ritorna nel libro è «soggetti attivi e dissenzienti»: dissenzienti rispetto all’uniformità antropologica e alla improduttività spirituale indotte dalla società mondiale dei consumi; attivi nell’elaborare valori, punti di vista e bisogni differenziati rispetto a quelli dominanti, Il soggetto della società civile è l’individuo, in quanto però inserito in un «sistema aperto di connessioni» A condizione che possano sprigionare energie sociali al loro esterno, le strutture sociali comunitarie sono viste con favore: associazioni. circoli. club, movimenti di base, organizzazioni non governative nazionali e sopranazionali.

L’accento però,è posto sulla famiglia: una risorsa fondamentale se sa educare i suoi membri all’apertura e alla responsabilità verso i propri simili; un pericolo mortale se si chiude su se medesima coltivando egoismo familistico.
Questa società civile è più un obbiettivo da perseguire che un dato che possiamo constatare. In essa è riposta la speranza di una politica non di mera sopravvivenza a breve termine, non appiattita su suicidi interessi solo particolari. Non è un soggetto direttamente politico e sbaglierebbe quindi a candidarsi come forza di governo. E infatti un soggetto pre-politico, più un luogo di elaborazione e confronto di istanze sociali che un luogo di sintesi politica Ma una classe politica non totalmente deditaallapropriaauto-riproduzione farebbe bene a prestare attenzione e, anzi, a valorizzare questa risorsa della vita sociale. E lì che si possono trovare le energie che aiutano avedere più in là delle piccole cerchie di interessi egoistici. Constatiamo le difficoltà che incontra un governo, quando chiede sacrifici nel presente, per ragioni che guardano al futuro. Dove può sperare di trovare il consenso necessario,se non in questo genere di società civile, ove sia coltivato il senso delle comuni responsabilità? L’alternativa è il circolo vizioso di forze in competizione particolaristica che si votano all’auto-distruzione, senza nemmeno rendersene conto.
lo un capitolo del suo libro collasso (Einaudi. 2005). il biologo e geografo Jared Diamond narra l’affascinante e terribile storia di Pasqua, l’isolotto in pieno Oceano Pacifico, al largo della costa cilena, un tempo rigoglioso di vita e risorse, I suoi abitanti furono presi da una razionale follia che si manifestava in una gara di potenza tra ciao su chi costruisse e installasse le più mastodontiche raffigurazioni delle proprie fattezze umane, quelle statue che oggi presidiano insensatamente un paesaggio spettrale e dal mare verso terra fissano i visitatori con il loro sguardo di pietra Nel corso ditte secoli, questa corsa al successo e al prestigio fece il deserto attorno a loro. Furono abbattuti i grandi banani il cui tronco serviva a muovere i massi scolpiti e a rizzarli nei campi. La vegetazione si ridusse ad arbusti e sparirono gli animali di terra; gli uccelli cambiarono rotta; senza i tronchi per le canoe, anche la pesca cessò.
Finirono con l’abbrutirsi mangiando i ratti e poi divorandosi tra loro. Ci si chiede come abbiano potuto trascinarsi così in basso, addirittura con i loro stessi sforzi, riducendo una terra feconda in un’infelice gabbia mortifera dalla quale, avendo distrutto anche l’ultimo albero che sarebbe servito per l’ultima imbarcazione, finirono per non poter andarsene via. Una società tanto cieca rispetto al suo avvenire, si dice debba essersi fidata fino all’ultimo delle parole di qualche grande assicuratore che, per non dispiacere al suo popolo e farlo credere libero dì proseguire nel la sua follia, non usava altro che parole di ottimismo, parole con le quali gli impedì di alzare la testa e aprire gli occhi.
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda ranvit il 30/12/2008, 13:31

Ma l'Italia non è l'isola di Pasqua.
Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda pinopic1 il 30/12/2008, 14:44

Nel senso che non sarà necessario aspettare che sia abbattuto anche l'ultimo albero per rendersi conto del disastro.
"Un governo così grande da darti tutto quello che vuoi è anche abbastanza grande da toglierti tutto quello che hai" (Chiunque l'abbia detto per primo)
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda franz il 30/12/2008, 17:02

ranvit ha scritto:Ma l'Italia non è l'isola di Pasqua.
Vittorio

Lo è il pianeta, lo è ogni sistema chiuso.
L'isola di Pasqua è il simbolo di un sistema chiuso (perché troppo lontana dalle altre isole) che perde la sfida della crescita.
Si sta bene, si fanno figli, la popolazione cresce troppo ed arriva ad un punto in cui il sistema chiuso non puo' piu' mantenere la crescita. La stasi pero' contiene al suo interno il conflitto tra farie fazioni e questo conflittop degenera, impoverendo tutti.
Puo' essere la parodia del pianeta? L'autore, che conosco, se lo sarà sicuramente chiesto.
Tuttavia il nostro non è del tutto un sistema chiuso, Ci sono altri pianeti e cresce la tecnologia per visitarli, abitarli.
Ci sono altre stelle con altri pianeti. Non è detto che si faccia la fine dell'isola di Pasqua, anche se è non è escluso.
Comunque oggi l'isola è ancora abitata. Dicono che sono le donne piu' belle del mondo ed io che ne conosciute alcune, nel mio viaggio in Cile 20 anni fa, confermo.
In fondo la civiltà pasquense è solo una della tante civiltà decadute ma non del tutto estinte.
Ne conosciamo altre. Ittiti, babilonesi, persiani, egizi, greci, cartaginesi, etruschi, romani....
Probabilmente tra qualche millenio, a Trantor (per definizione capitale dell'Impero Galattico secondo Isaac Azimov) parleranno in modo mitico della quasi estinta civiltà terrestre, da cui pero' si vocifera tutto sia partito.

Ciao,
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda Paolo65 il 03/01/2009, 11:01

La morale della storia è semplice: se la terra produce ogni giorno 100 e noi ne consumiamo 120,alla fine delle scorte non resterà nulla o molto poco,per cui ci massacreremo per quelle poche risorse.

Se invece impareremo a consumare 90 rimetteremo nel giro di alcuni decenni le cose in equilibrio.

La tecnologia ci potrebbe essere di molto aiuto.....ma pure se finiremo di sfornare figli nella misura di 80 mln di individui in più l'anno sulla terra.

Paolo
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda Loredana Poncini il 03/01/2009, 11:54

Mentre "nessun uomo è un'isola" (!), la SARDEGNA lo è...
e l'ANSA di ieri riporta : "SARDEGNA : PD, documento priorità Area Ulivista."
Se non fossi alle prime armi nel web, ve lo riporterei QUI dalla Rassegna Stampa di http://www.ulivisti.it che ho letto poco fa.
P.s. Son fuori tema ? Perdonatemi !
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda franz il 03/01/2009, 12:19

Paolo65 ha scritto:La morale della storia è semplice: se la terra produce ogni giorno 100 e noi ne consumiamo 120,alla fine delle scorte non resterà nulla o molto poco,per cui ci massacreremo per quelle poche risorse.

Se invece impareremo a consumare 90 rimetteremo nel giro di alcuni decenni le cose in equilibrio.

La tecnologia ci potrebbe essere di molto aiuto.....ma pure se finiremo di sfornare figli nella misura di 80 mln di individui in più l'anno sulla terra.

Paolo

La morale della storia è che i "se imparassimo ..." non funzionano. I "se tutti", intendo.
Se la terra produce 100 ad avessimo un solo contandino, lui forse riuscirebbe a calibrare la sua produzione attorno ad un valore sostenibile. Ma già con 10 contadini, che per definizione non sono tutti uguali come per ogni essere umano, qualcuno produrrà 8, qualcuno 10, qualcuno 12 e qualcuno anche 15.
Con milioni e miliardi di esseri umani ogni controllo sulla produzione è impossibile.
È un problema concettuale conosciuto con il nome di "dilemma del desco comune".
Siamo prigionieri della crescita ed in regime di risorse fisse la crescita di qualcuno diventa anche la povertà di altri.
Tuttavia questa era la situazione alcuni secoli fa (il dilemma maltusiano) che pero' oggi è stato superato perché le nostrte risorse sono sempre meno fisse. Ogni epoca trova le sue risorse. Il legno mille anni fa, il carbone il secolo scorso, il petrolio oggi, la fusione domani. In piu' molte cose (sempre piu') che produciamo sono virtuali (come i programmi di computer) e questo rende molti settori del terziario indipendenti da un blocco delle risorse. Basta un computer e diventa base di lavoro per centinaia di programmi, permettendo una moltiplicazione del fatturato e della ricchezza di milioni di addetti senza impiegare e sprecare ulteriori risorse fisiche. Ora stiamo anche imparando a riciclare.
Non sono cosi' pessimista.
Ciao,
Franz
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda Paolo65 il 03/01/2009, 13:39

Non ho il tuo ottimismo anche se il tuo ragionamento fila.

Le difficoltà nascono dalla impossibilità di gestire in modo uniforme le materie prime che ogni paese ha e che per vari motivi sfrutta oltre misura.

Chi ha ha solo legno e poco altro lo vende anche se poi a livello globale le foreste diminuiscono sempre più ecc.

I paesi ricchi debbono garantire lo stesso livello di vita ad i suoi cittadini, mentre i poveri debbono salvaguardare il minimo indispensabile.

Poi ci sono molti paesi dove il capo è un tiranno e se ne frega di tutto meno delle sue tasche.

E' difficile con questo panorama prevedere che le cose in futuro vadano meglio,ma non faccio il "profeta dell'apocalisse".

Spero che ci si fermi qualche metro prima della dead line e l'uomo sia in grado di correggere la rotta fino a che è in tempo.

Paolo
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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda gabriele il 10/01/2009, 11:30

Piero, l'articolo completo:

La democrazia e lo spettro dell' isola di Pasqua

Repubblica — 12 dicembre 2006 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA
LA PUBBLICAZIONE di un piccolo libro e una grande manifestazione popolare, pochi giorni fa, ci hanno messi di fronte a una domanda essenziale per la democrazia. Il libro è La democrazia che non c' è (Einaudi, pagg. 152, euro 8) di Paul Ginsborg, uno studioso assai noto al pubblico italiano per le indagini ch' egli ha dedicato alla realtà italiana con l' attenzione distaccata di chi viene di lontano, ma con la passione di chi è intimamente partecipe dei problemi del Paese che l' annovera tra i professori della sua Università. La manifestazione sono le centinaia di migliaia di persone convenute in piazza San Giovanni a Roma, per protestare contro la legge finanziaria e soprattutto per rinnovare il carisma del leader e di nuovo esibirlo coram populo. Un libro e una manifestazione di piazza: un accostamento già di per sé ricco di simboli rispetto alla domanda. La possiamo enunciare come segue. La democrazia, nella versione rappresentativa che conosciamo, è una classe politica, scelta attraverso elezioni, che immette nelle istituzioni istanze della società per trasformarle in leggi. è dunque, nell' essenziale, un sistema di trasmissione e trasformazione di domande che si attua attraverso una sostituzione dei molti con i pochi: una classe politica al posto della società. Qui, piaccia o no, c' è la radice inestirpabile del carattere oligarchico della democrazia rappresentativa, carattere che per lo più viene occultato in rituali democratici ma che talora non ci si trattiene dall' esibire sfrontatamente. Ma, al di là di ipocrisia o arroganza, ciò che è decisivo è il rapporto di sostanza che si instaura tra questa oligarchia e la società. Dire "società" è però un parlare per astrazioni, perché essa, in concreto, è fatta di parti diverse tra le quali è inevitabile che la rappresentanza proceda per passaggi selettivi: dal popolo tutto intero agli elettori effettivi, dagli elettori alle assemblee parlamentari, dalle assemblee parlamentari alla loro maggioranza, dalla maggioranza al governo, dal governo al suo capo. Si dice spesso che la classe politica è uno specchio, né migliore né peggiore, del Paese che rappresenta, ma è una banale falsità auto-assolutoria. SEGUE A PAGINA 49 La classe politica, ai suoi diversi livelli, è quello che è perché seleziona i suoi riferimenti sociali, illuminandone alcuni e oscurandone altri, stabilendo rapporti con i primi e tagliandoli con i secondi. Per questo, la classe politica non è e non può essere lo specchio della società. Se fosse un semplice rispecchiamento e non una selezione, sarebbe solo una miniatura, mentre la democrazia rappresentativa è tale perché della società la classe politica deve dare una rappresentazione, per poterla governare conseguentemente. Eccoci allora alla domanda: quali sono i riferimenti sociali della nostra classe politica? In breve: che cosa rappresentano i rappresentanti? Questo è il problema qualitativo della democrazia rappresentativa. Guardiamoci attorno. La classe politica "pesca" dalla società le istanze ch' essa vuole rappresentare per ottenere i consensi necessari a mantenere o migliorare le proprie posizioni, secondo la legge ferrea dell' auto-conservazione delle élite. Che cosa trovano? Aspirazioni di massa al benessere materiale, esigenze di sviluppo e di tutela dei soggetti economici, affermazioni di "valori" immateriali della più diversa natura. Tante cose eterogenee e tanti soggetti sociali, conflittuali tra di loro e al loro stesso interno, che, con i mezzi più diversi, leciti e criminali, cercano di farsi strada e che la classe politica è chiamata a selezionare; un caos di istanze tra le quali si deve però fare una prima, fondamentale distinzione, a seconda della prospettiva in cui si collocano: individuale e immediata, oppure generale e duratura. In questa distinzione traspare il pericolo della catastrofe della democrazia, cui è esposta per cecità o incapacità di allargare e allungare lo sguardo. Questa summa divisio fa oggi passare in seconda linea altre polarizzazioni politiche. Destra e sinistra, progressisti e conservatori, laici e credenti, sono divisioni importanti, ma vengono dopo e sono interne a quella principale, tra coloro che sanno interessarsi solo al loro presente e coloro che sanno concepirlo come premessa di un avvenire comune. è una tipologia del carattere degli esseri umani (la cicala e la formica) che oggi assume un significato eminentemente e drammaticamente politico, a fronte degli interrogativi che pesano sul mondo. La grande manifestazione e il piccolo libro di cui si è detto all' inizio sono rappresentativi di questa alternativa. Una parola d' ordine della grande manifestazione - libertà - ha riassunto tutte le altre, e non si è minimamente pensato di farla seguire da responsabilità. Libertà, da sola, significa una cosa soltanto: autorizzazione a curare illimitatamente i propri immediati interessi, a costo di dissipare i beni collettivi e permanenti che assicurano un avvenire. Solo la responsabilità può togliere alla libertà il suo veleno distruttivo. Ma, su questo, nessuna parola. Un popolo di individui liberi e irresponsabili ha i nervi fragili di fronte all' insicurezza per l' avvenire perché avverte, al tempo stesso, di esserne causa senza avere strumenti per affrontarla. Per questo, più di tutto detesta i profeti di sventura e ama chi lo tranquillizza. La paura è uno strumento politico. Per legare a sé questo popolo, per un demagogo non c' è di meglio che, prima, diffondere paura e, poi, dissiparla. Al potere starà non il grande fratello ma il grande rassicuratore. Naturalmente, i motivi di paura reali, di cui non si ha il controllo, quelli occorre minimizzarli o occultarli. Le risorse energetiche sono alla fine? L' inquinamento ambientale è alle stelle? L' acqua scarseggia? I ghiacci polari si sciolgono? La desertificazione avanza? Niente paura. Gli scienziati non sono d' accordo nelle diagnosi e nelle prognosi. L' Aids continua a diffondersi? Nessun problema. Basta non parlarne più. Lo stesso per le inquietudini morali. Paesi interi dell' Africa tropicale muoiono? Le disuguaglianze nel mondo aumentano progressivamente? Forse non è così vero e, comunque, non ci deve importare, perché la colpa è loro e dei loro governi. Continuiamo così liberamente e non facciamoci domande inutili! Nel nucleo del discorso sulla democrazia che non c' è di Ginsborg troviamo la nozione di società civile, il contrario di tutto questo. L' espressione ha ascendenze filosofiche, illuministiche, hegeliane e marxiane, liberali e gramsciane ma qui non è usata in nessuna di queste accezioni. Se ne prendono elementi diversi per costruire una nozione indicante un ambito di rapporti sociali che si collocano prima e fuori dei rapporti di potere pubblico ma si elevano al di sopra dei meri interessi particolari e pongono al potere politico disinteressate ma stringenti domande. Per Ginsborg, la società civile è una «società civilizzata», portatrice di suoi valori sostenuti da libere energie di natura non egoistica; è il luogo di coloro che sanno alzare lo sguardo dalla loro pura e semplice convenienza individuale, per vedere più avanti e più in largo. è la società partecipante, che vince la passività e l' indifferenza per i problemi comuni, considerate il segno maggiore di malessere delle nostre democrazie, un segno non contraddetto, anzi semmai confermato dall' alta partecipazione a elezioni vissute come consegna delle difficoltà comuni a qualche grande rassicuratore. L' espressione che più frequentemente ritorna nel libro è «soggetti attivi e dissenzienti»: dissenzienti rispetto all' uniformità antropologica e alla improduttività spirituale indotte dalla società mondiale dei consumi; attivi nell' elaborare valori, punti di vista e bisogni differenziati rispetto a quelli dominanti. Il soggetto della società civile è l' individuo, in quanto però inserito in un «sistema aperto di connessioni». A condizione che possano sprigionare energie sociali al loro esterno, le strutture sociali comunitarie sono viste con favore: associazioni, circoli, club, movimenti di base, organizzazioni non governative nazionali e sopranazionali. L' accento, però, è posto sulla famiglia: una risorsa fondamentale se sa educare i suoi membri all' apertura e alla responsabilità verso i propri simili; un pericolo mortale se si chiude su se medesima coltivando egoismo familistico. Questa società civile è più un obbiettivo da perseguire che un dato che possiamo constatare. In essa è riposta la speranza di una politica non di mera sopravvivenza a breve termine, non appiattita su suicidi interessi solo particolari. Non è un soggetto direttamente politico e sbaglierebbe quindi a candidarsi come forza di governo. è infatti un soggetto pre-politico, più un luogo di elaborazione e confronto di istanze sociali che un luogo di sintesi politica. Ma una classe politica non totalmente dedita alla propria auto-riproduzione farebbe bene a prestare attenzione e, anzi, a valorizzare questa risorsa della vita sociale. è lì che si possono trovare le energie che aiutano a vedere più in là delle piccole cerchie di interessi egoistici. Constatiamo le difficoltà che incontra un governo, quando chiede sacrifici nel presente, per ragioni che guardano al futuro. Dove può sperare di trovare il consenso necessario, se non in questo genere di società civile, ove sia coltivato il senso delle comuni responsabilità? L' alternativa è il circolo vizioso di forze in competizione particolaristica che si votano all' auto-distruzione, senza nemmeno rendersene conto. In un capitolo del suo libro Collasso (Einaudi, 2005), il biologo e geografo Jared Diamond narra l' affascinante e terribile storia di Pasqua, l' isolotto in pieno Oceano Pacifico, al largo della costa cilena, un tempo rigoglioso di vita e risorse. I suoi abitanti furono presi da una razionale follia che si manifestava in una gara di potenza tra clan su chi costruisse e installasse le più mastodontiche raffigurazioni delle proprie fattezze umane, quelle statue che oggi presidiano insensatamente un paesaggio spettrale e dal mare verso terra fissano i visitatori con il loro sguardo di pietra. Nel corso di tre secoli, questa corsa al successo e al prestigio fece il deserto attorno a loro. Furono abbattuti i grandi banani il cui tronco serviva a muovere i massi scolpiti e a rizzarli nei campi. La vegetazione si ridusse ad arbusti e sparirono gli animali di terra; gli uccelli cambiarono rotta; senza i tronchi per le canoe, anche la pesca cessò. Finirono con l' abbrutirsi mangiando i ratti e poi divorandosi tra loro. Ci si chiede come abbiano potuto trascinarsi così in basso, addirittura con i loro stessi sforzi, riducendo una terra feconda in un' infelice gabbia mortifera dalla quale, avendo distrutto anche l' ultimo albero che sarebbe servito per l' ultima imbarcazione, finirono per non poter andarsene via. Una società tanto cieca rispetto al suo avvenire, si dice debba essersi fidata fino all' ultimo delle parole di qualche grande assicuratore che, per non dispiacere al suo popolo e farlo credere libero di proseguire nella sua follia, non usava altro che parole di ottimismo, parole con le quali gli impedì di alzare la testa e aprire gli occhi. - GUSTAVO ZAGREBELSKY


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Re: L'isola di Pasqua

Messaggioda gabriele il 10/01/2009, 11:44

franz ha scritto:Basta un computer e diventa base di lavoro per centinaia di programmi, permettendo una moltiplicazione del fatturato e della ricchezza di milioni di addetti senza impiegare e sprecare ulteriori risorse fisiche.


Francesco, non ti seguo. Dove sta il non impiego (spreco)?
Ci si deve sempre pur muovere con la macchina per andare in ufficio a lavorare. Ci si deve vestire, mangiare, svagare...il lavoro stressa...e allora si va in gita in montagna o al mare, si va in piscina, in palestra, al centro benessere...etc etc...

Le risorse si impegnano comunque. E' insito nella nostra natura. Nella natura in generale. Si passa da uno stato a maggiore energia ad uno inferiore. Aumentiamo l'entropia del ambiente in cui viviamo al fine di diminuirla nel nostro mini sistema aperto che chiamiamo corpo, anche se stiamo fermi a guardare il cielo.
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