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Ma che schifezza di eurozona è...

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda ranvit il 27/03/2013, 8:35

Flavio non si difendono i redditi a chiacchiere, ma con riforme strutturali capaci di modernizzare il Paese.
Non c'è stato alcun liberismo, nemmeno di "noartri": Anzi! Tanto stupido ed ottuso statalismo...ideologico da parte della sinistra/Cgil (rimasta alla metà del novecento) e populista/personale da parte del berlusconismo (che è un aborto di centrodestra).
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda flaviomob il 27/03/2013, 8:54

La produttività non ristagna da 15-20 anni, ma da quando c'è l'euro.

Immagine

http://www.linkiesta.it/istat-produttivita-italia-ferma


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda flaviomob il 27/03/2013, 8:57

Il pil pro capite ha iniziato a crollare, rispetto alla media UE, da quando c'è l'euro. E' EVIDENTE.

(primo grafico)

http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori ... 000027.pdf

...Nel periodo 2001-2010, il PIL italiano si è gradualmente allontanato della media
europea, con una crescita media annua inferiore di quasi un punto percentuale. Anche il
livello e il tasso di crescita del PIL pro capite sono ora al di sotto della media UE15...

(pagina 4)


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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda ranvit il 27/03/2013, 9:17

La conferma che l'eurozona per noi...e non solo per noi... è stato un disastro!


Va anche detto che molto probabilmente senza l'illusione di essere al sicuro sotto l'ombrello dell'euro, tutti i Paesi ora in difficoltà avrebbero forse fatto meglio...sxiogliamola!
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda ranvit il 27/03/2013, 13:28

Meditate gente, meditate...


E così l'Europa avanza zoppicando, crisi dopo crisi. Può andare – andrà – avanti all'infinito? Non lo so. Sono quasi certo che la strategia dell'austerità competitiva non è in grado di restituire la salute economica alla zona euro: è garanzia di economia e debito fragili in tutta l'Eurozona, crisi bancarie e occupazionali nelle economie più deboli a
tempo indefinito.
Al contempo va detto che c'è una volontà fortissima di non infrangere l'euro. Siamo quindi di fronte a uno scontro tra una forza irresistibile e un oggetto irremovibile. La crisi cipriota è un episodio piccolo, e per certi versi poco rappresentativo, di una storia lunga e dolorosa, il cui ultimo capitolo è ancora lontano dall'essere scritto.
di Martin Wolf - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/sf15e


L'articolo completo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... mb4whH&p=2
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda trilogy il 27/03/2013, 17:20

Il Nobel Krugman consiglia a Cipro di uscire dall'euro. "Ora"

Cipro dovrebbe lasciare l'euro. Ora.
E' questo il consiglio che Paul Krugman, Nobel per l'economia nel 2008, dispensa alla travagliata Isola del Mediterraneo alle prese con una gravissima crisi finanziaria.

Dalle pagine del suo blog sul New York Times, l'economista spiega che il motivo di questa sua visione è molto semplice: stare nell'euro significa andare incontro ad una "depressione incredibilmente grave, che durerà molti anni". Dal momento che Cipro sta tentando di costruire un nuovo settore delle esportazioni, abbandonando la moneta unica e lasciando che la nuova moneta si svaluti fortemente, "accelererebbe incredibilmente" il rilancio dell'export.

Nel frattempo, dato che l'altro importante settore del Paese, ovvero quello bancario, è praticamente scomparso, Cipro dovrebbe puntare sul turismo, innescando un vero e proprio boom.

"Ma è possibile lasciare l'euro?", si domanda il professore di Princeton. "La tesi di Eichengreen - secondo la quale anche solo una ipotizzata uscita potrebbe causare fenomeni di panico quali la fuga di capitali e assalti agli sportelli - è ora opinabile", spiega. Il motivo è semplice: "le banche sono chiuse, e il capitale è controllato. Quindi, se fossi un dittatore, semplicemente prolungherei la chiusura delle banche abbastanza a lungo per preparare la nuova moneta".

fonte: http://www.teleborsa.it/News/2013/03/27 ... a-696.html
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda flaviomob il 27/03/2013, 19:04

Le tasse, la recessione e la diseguaglianza
Pubblicato da keynesblog il 27 marzo 2013 in Economia, Italia


Negli ultimi anni il grado di progressività delle imposte si è significativamente ridotto. Ne hanno beneficiato imprese e contribuenti con redditi elevati, ma non il sistema economico nel suo complesso. È venuto il momento di promuovere una riduzione dell’onere fiscale a beneficio dei redditi più bassi per rilanciare i consumi e la crescita.

di Guglielmo Forges Davanzati da Micromegaonline


Nel corso del 2012, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il suo massimo storico, ed è fisiologico il fatto che pressoché tutti i partiti politici dichiarino di volerla ridurre. Si tratta di una congerie di proposte che spesso si basano esclusivamente su ragioni di equità distributiva, a fronte del fatto che la distribuzione dei carichi fiscali ha effetti rilevanti sulla crescita economica. Sebbene implicitamente, esse sono formulate sotto il vincolo del tendenziale pareggio del bilancio pubblico, così che la detassazione di alcuni gruppi sociali non può che implicare l’aumento della pressione fiscale su altri soggetti. E soprattutto si tratta di proposte che non si sa quando e sotto quale forma saranno tradotte in leggi, a fronte del fatto che, nell’immediato, per effetto delle ultime decisioni assunte dal Governo in carica, i contribuenti italiani saranno ulteriormente gravati da tasse (l’incremento dell’IVA e dell’IMU, in primo luogo), per un importo stimato di circa 15 miliardi di euro.

Sulla questione, si confrontano schematicamente due orientamenti.

1) Si ritiene, come si è ritenuto negli ultimi venti anni, che la riduzione delle imposte a beneficio dei lavoratori autonomi, delle imprese e, più in generale, dei redditi elevati generi incrementi di produzione derivanti dal fatto che questi individui reagirebbero (in quanto possono farlo) a una minore tassazione lavorando di più e, per quanto riguarda le imprese, investendo di più. Di fatto, seguendo questa linea, si è prodotta, negli ultimi anni, una condizione nella quale il grado di progressività delle imposte si è significativamente ridotto, ovvero – in termini percentuali – le famiglie con redditi bassi pagano più (o comunque non pagano meno) di quelle con redditi elevati. Al di là di considerazioni che attengono all’equità, va rilevato che queste politiche non hanno prodotto i risultati sperati: il tasso di crescita non è aumentato, e anzi si è ridotto, anche negli anni precedenti lo scoppio della crisi. Si è anche ritenuto che la detassazione dei redditi elevati possa disincentivare l’evasione fiscale. Ma anche questo nesso non ha funzionato: l’evasione fiscale è costantemente aumentata nel corso degli ultimi venti anni, pure a fronte del fatto che l’onere fiscale sugli individui più ricchi si è costantemente e significativamente ridotto. Evidentemente la detassazione non ha alcun effetto sulla “moralità fiscale” dei contribuenti. A ciò occorre aggiungere che l’Italia è arrivata solo nel 2012 all’adozione di provvedimenti di tassazione sulle rendite finanziarie in linea con quelli previsti negli ordinamenti dei maggiori Paesi OCSE.

E’ utile osservare che, stando alle ultime rilevazioni ISTAT, l’incidenza delle imposte sul reddito per tipologia e classe di reddito è stabilmente superiore per i redditi da lavoro dipendente rispetto al lavoro autonomo. Anche sulla base di questa evidenza, si può sostenere che – al di là della legittimazione ‘scientifica’ di politiche di detassazione delle imprese – la scelta in ordine alla distribuzione del carico fiscale non è affatto neutra, e risente dei rapporti di forza degli attori coinvolti e della loro rappresentanza politica. In altri termini, la ripartizione del carico fiscale sembra essere più il risultato di una contrattazione politica che prescinde da considerazioni relative agli effetti macroeconomici, che non l’esito di una scelta finalizzata a generare maggiore crescita economica. Lo si può affermare tenendo conto di una duplice considerazione. In primo luogo, l’aumento della tassazione sugli utili d’impresa (con particolare riferimento alle imprese di grandi dimensioni) può determinare la loro delocalizzazione, così che può essere sufficiente la sola minaccia di delocalizzazione per spingere il Governo a evitare l’adozione di queste misure. In secondo luogo, l’aumento della tassazione su imprese e banche può avere l’effetto di traslare il maggior carico fiscale su prezzi e tassi di interesse, soprattutto in una condizione nella quale queste operano in forme di mercato con bassa intensità competitiva. A ciò si può aggiungere che, per il solo obiettivo di “fare cassa”, è conveniente tassare maggiormente i lavoratori dipendenti, ai quali è sostanzialmente preclusa la possibilità di evadere.

2) Una visione alternativa fa riferimento al fatto che la riduzione dell’onere fiscale a beneficio dei percettori di redditi più bassi genera effetti espansivi, per l’operare di due meccanismi. In primo luogo, poiché che le famiglie con redditi bassi tendono proporzionalmente a consumare più di quanto consumino le famiglie con redditi elevati, la detassazione dei redditi più bassi genera effetti moltiplicativi sul reddito maggiori di quelli derivanti dalla detassazione dei redditi elevati. In secondo luogo, maggiori salari al netto delle imposte sono, di norma, associati a una maggiore produttività del lavoro. In secondo luogo, a fronte di un aumento dei salari, le imprese tendono a reagire innovando, per ripristinare i margini di profitto temporaneamente erosi dall’aumento dei costi. Anche per questa via, vi è da attendersi una maggiore produttività del lavoro e un maggiore tasso di crescita. In tal senso, l’equità distributiva non è un fine in sé, ma un presupposto necessario per ottenere maggiori tassi di crescita.

A riguardo, occorre ricordare che la produttività del lavoro in Italia ha raggiunto i suoi livelli massimi negli anni settanta, in una fase contrassegnata da una forte presenza dello Stato in economia e da una rilevante conflittualità sociale associata a una forte capacità di mobilitazione del sindacato. L’evidenza empirica mostra, almeno con riferimento al caso italiano, che la caduta dei salari è associata alla riduzione della produttività e del tasso di crescita. Innanzitutto, come attestato nell’ultimo Rapporto ISTAT, i lavoratori italiani percepiscono, in media, un salario inferiore di circa 15 punti percentuali rispetto ai loro colleghi tedeschi. In più, è stato calcolato che posta uguale a 100 la quota dei salari sul PIL nel 1980, questa si è costantemente ridotta in tutti i Paesi OCSE nel corso degli ultimi trenta anni, con la minima accelerazione in Giappone (circa 4 punti percentuali) e la massima accelerazione in Italia (circa 12 punti percentuali).

Come certificato nell’ultimo Rapporto OCSE, la dinamica della produttività del lavoro è, in Italia, ad oggi, fra le più basse nell’ambito dei Paesi industrializzati e, nel corso dell’ultimo ventennio, è costantemente declinata. Si consideri anche che, soprattutto per effetto delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro, gli italiani lavorano, in media, molto più dei loro colleghi dei principali Paesi OCSE. E si consideri anche che, come attestato dai principali Istituti di ricerca, l’Italia è, fra i Paesi OCSE, quello con maggiore disuguaglianza distributiva e maggiore immobilità sociale. L’aumento della pressione fiscale, in particolare, sui ceti più deboli ha largamente contribuito a questi esiti. Sarebbe auspicabile prendere atto degli errori compiuti.

Fonte: micromega-online

http://keynesblog.com/2013/03/27/le-tas ... uaglianza/


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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda ranvit il 29/03/2013, 8:51

L'articolo è qui:

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AbDSBbiH


Non sono più tollerabili passi falsi come quelli ciprioti. L'Europa a senso unico (austerità, austerità, austerità) fa il male di tutti e va combattuta uscendo dal piccolo cabotaggio delle politiche nazionali e dei loro interessi (più o meno forti) a partire da quello tedesco. di Roberto Napoletano - Il Sole 24 Ore -
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda ranvit il 29/03/2013, 8:54

L'articolo è qui:

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AbHRZIiH

La vera lezione del caso Cipro è che la soluzione delle crisi affidata ai singoli Paesi apre sempre nuovi problemi e ha ricadute esterne che possono essere più gravi delle falle che tampona. L'ossessione teutonica che "ognuno deve prima rimettere la casa in ordine" riprenderà un concetto caro a Goethe, ma si scontra sempre di più con problemi che mettono a repentaglio la sopravvivenza dell'unione monetaria e con essa della costruzione europea.
di Marco Onado - Il Sole 24 Ore -
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Re: Ma che schifezza di eurozona è...

Messaggioda ranvit il 29/03/2013, 12:23

Ormai si stanno convincendo tutti....tranne i teutonici e franz... che questa eurozona porta alla disgregazione dell' Europa 8-)



http://www.corriere.it/esteri/13_marzo_ ... 12db.shtml

Hollande: «Austerità pericolosa
Avete visto cos'è successo in Italia?»

Il presidente francese in un'intervista a France 2: egoismi nazionali e populismi, Europa a rischio esplosione

«L'austerità significa condannare l'Europa all'esplosione». Così il presidente francese, Francois Hollande, ha bollato la situazione della crisi economica che sta attraverso il Vecchio Continente. A questa dichiarazione, rilasciata nel corso di un intervento in diretta televisiva su France 2., il presidente francese ha aggiunto: «Bisogna essere rigorosi ma non bisogna lasciare il passo all'austerità. In Europa vedo montare i populismi, gli egoismi nazionali. Avete visto ciò che è successo in Italia?». «Bisogna esser rigorosi - ha detto Hollande - ma non bisogna lasciare il passo all'austerità».
RECESSIONE - «Abbiamo risolto la crisi» ha continuato Hollande - ma alcuni Paesi, come l'Italia, sono sempre fragili». Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, ha spiegato il presidente francese, «sono in recessione». «Ma anche la Francia - ha aggiunto - è a crescita zero e non crea occupazione».
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