La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Disastro Marchionne

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Fabbrica Italia era una favola

Messaggioda flaviomob il 26/09/2012, 1:07

Domanda: perché la Ferrari continua a incrementare le proprie vendite (quest'anno distribuirà agli operai un premio di produzione di 3600 euro) e Fiat invece non tira fuori un nuovo modello serio e competitivo in Europa?

---

De Benedetti: "Ammiro Marchionne
ma Fabbrica Italia era una favola"


L'imprenditore in un articolo sul Sole 24 Ore mette in guardia l'Italia e l'Europa: "Non si taglino i costi, ma si punti su ricerca e innovazione". E della Fiat: "Il piano era uno specchietto per le allodole. Quando fu annunciato il calo delle immatricolazioni era già in corso"

MILANO - Fabbrica Italia era "uno specchietto per le allodole", "una favola". Lo scrive Carlo De Benedetti a proposito della vicenda Fiat in un intervento sul Sole 24 Ore dedicato alla sfida del lavoro e dell'innovazione per l'Italia e l'Europa. Una sfida che, osserva, non si vince "sul costo del lavoro" ma sulla capacità di investire ed innovare.

"Quando furono annunciati gli investimenti da 20 miliardi - sottolinea De Benedetti a proposito dell'impegno assunto dal Lingotto sull'Italia - il calo delle immatricolazioni in Europa era già in corso. Da 16 milioni di vetture nel 2007 a 13,8 nel 2010. Quindi il quadro non è così cambiato. Ma soprattutto quella cifra era dall'inizio chiaramente sovradimensionata: da una parte non è nelle disponibilità di cassa di Fiat; dall'altra equivarrebbe alla spesa necessaria per far nascere 20 fabbriche nuove. Un'assurdità".

"Quando Marchionne spiega che la Punto si fa in Serbia perché i salari sono geometricamente più bassi, sembra dire un'ovvietà, ma in realtà sbaglia", scrive De Benedetti, secondo il quale "bisogna produrre con costi italiani prodotti di qualità italiana", come stanno facendo i tedeschi. "Se invece non investi in valore aggiunto e innovazione, scapperai sempre e non risolverai i problemi del tuo Paese".

"Pur ammirando le indubbie capacità di Marchionne - aggiunge l'imprenditore - contesto radicalmente la sua argomentazione per la quale in un mercato debole non si investe. Se nel 2014 arriverà una ripresa della domanda di automobili, è evidente che bisogna investire ora, in modo da arrivare con una catena produttiva innovativa e con buoni modelli all'appuntamento con i nuovi potenziali clienti. Per non parlare della catena di vendita, punto di forza tradizionale di Fiat, che di questo passo tra un anno sarà smantellata".

"La Fiat deve investire per fare automobili che portino nelle loro linee e nei loro motori - sottolinea De Benedetti - il marchio positivo della qualità italiana. Altro che Serbia. Ma loro stessi sembrano non crederci più. Rivendicano l'investimento nella Bertone, ma il segno della sfiducia è nell'aver perso in favore di Volkswagen la capacità di design e di alta tecnologia di Giugiaro. Eppure è lì, fuori Torino, a 15 chilometri dagli stabilimenti Fiat. Il segreto del miracolo italiano è stato nella capacità di produrre cose belle, che piacciono al mondo. Oggi invece ci lasciamo scappare Giugiaro e andiamo a fare macchine in Serbia. Pochi investimenti, nessuna innovazione, competizione al ribasso delocalizzando: il modo migliore per perdere la guerra del lavoro. I nostri giovani non ci diranno grazie".


"Come diceva Cipolla - conclude De Benedetti - il segreto del miracolo italiano è stato nella capacità di produrre all'ombra dei campanili cose belle, che piacciono al mondo. Lo è stato sempre. Non è che fosse economico costruire statue in Toscana all'epoca di Michelangelo, ma quelle statue si vendevano bene perché erano belle".
(22 settembre 2012)

http://www.repubblica.it/economia/2012/ ... -43023128/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda franz il 26/09/2012, 8:56

De Benedetti ha qualche ragione ma a quanto pare ignora che anche i tedeschi hanno fabbriche in Serbia.
Il problema dei modelli nuovi è che penso che sulla carta (anzi nei bit dei computer che disegnano i nuovi modelli fino nei minimi dettagli) essi ci siano già ma che non sia opportuno tirarlo fuori oggi, perché venderebbero poco. Inoltre quando arrivasse la ripresa, tra 2 anni, sarebbero vecchi e magari scopiazzati da altri. Oggi non c'è necessità di nuove linee (anzi c'è sovra capacità produttiva) e quindi non credo che servano nuovi stabilimenti. I nuovi modelli possono essere messi in produzione al momento debito e siccome ogni nuovo modello costa, è opportuno salvare l'investimento tenendo il capitale per il momento piu' adatto, non prima.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda flaviomob il 26/09/2012, 14:57

La crisi della Fiat e il bluff di Marchionne. I mancati investimenti? Non c’entrano

Posted by keynesblog on 26 settembre 2012 in Economia, Italia, Lavoro

Il bluff di Marchionne continua. L’annuncio che “al momento opportuno” il Lingotto investirà negli stabilimenti italiani del gruppo e che si punterà sull’export, rischia di andare poco lontano. Non c’è un solo produttore europeo che si azzarda ad assemblare vetture in Europa per venderle in Usa (per di più con un cambio eurodollaro a 1,3)


di Andrea Di Stefano e Roberto Romano da “Il Fatto Quotidiano“
Il bluff di Marchionne continua. L’annuncio che “al momento opportuno” Fiat investirà negli stabilimenti italiani del gruppo e che si punterà sull’export, rischia di andare poco lontano. Non c’è un solo produttore europeo che si azzarda ad assemblare vetture in Europa per venderle in Usa (per di più con un cambio euro\dollaro a 1,3). Ma la realtà è che non tutte le colpe sono di Marchionne che ha utilizzato il costo del lavoro come problema italiano in modo strumentale, per deviare l’attenzione dal problema centrale. Tanto più si discuteva di produttività del lavoro, tanto più si nascondevano i problemi veri del settore.

Tanto per essere chiari: la Fiat non sarebbe produttiva e profittevole nemmeno se ci fossero gli schiavi. Con una aggravante, che in qualche misura deve far pensare. Molti imprenditori metalmeccanici hanno appoggiato la lotta di classe della Fiat su orario di lavoro e salario non perché fosse un modello adeguato per rispondere alla crisi del settore, ma perché tornava utile per imporre condizioni di lavoro restrittive. In qualche misura hanno usato Fiat per un tornaconto personale. Infatti, dopo sono arrivate la riforma del marcato del lavoro e la manomissione dell’articolo 18. Questa è la miseria della classe dirigente italiana. Altro che le parole di responsabilità di Della Valle.

Quando ragioniamo del settore manifatturiero dell’auto, dobbiamo comprendere esattamente di cosa stiamo parlando. Discutiamo di Fiat come se fosse una multinazionale più o meno internazionalizzata, in realtà dobbiamo fare uno sforzo di prospettiva. Indiscutibilmente la Fiat in Italia è una grande impresa, ma a livello internazionale non è solo una piccola società comparata ad altre aziende del settore, ma non ha saputo creare le condizioni per diventare una impresa con grandi economie di scala. Infatti solo a determinate condizioni tecniche era ed è possibile rimanere sul mercato. Se ci pensiamo bene anche Marchionne aveva provato a realizzare delle economie di scala sufficienti per misurarsi con il mercato internazionale.

L’INTERESSE PER OPEL. Appena iniziata la crisi economica, subito dopo l’operazione negli Stati Uniti, Marchionne aveva cercato di costruire più di una alleanza con una società automobilistica tedesca (Opel). Marchionne disse al governo (di centrodestra) che non voleva nessun incentivo per l’acquisto di nuove autovetture perché erano dannosi per il mercato, perché aveva compreso perfettamente che stava cambiando in profondità il mercato dell’auto e solo a determinate condizioni era possibile realizzare degli investimenti. Contemporaneamente aveva tentato di agganciare un Paese che stava diventando uno dei due player internazionali del settore automotive. La Germania aveva cominciato a conquistare quote di mercato e costruito una tale forza di fuoco che avrebbe messo in ginocchio tutti gli altri Paesi: con oltre 6 milioni di auto prodotte si possono abbassare i costi di produzione in misura ben più alta di un paese che a mala pena arriva a 600 mila auto prodotte.

Il settore automotive (auto, pulman, trattori, movimentazione terra ed altri), in particolare l’auto, indipendentemente dagli aiuti diretti e indiretti alle imprese automobilistiche sotto forma di incentivi ai consumi accumulati tra il 1999 e il 2009, ha ridimensionato il proprio peso percentuale sull’intera produzione industriale. Il ridimensionamento non è un fatto aneddotico, piuttosto la tendenza dei settori maturi e di scala ogni qualvolta si affacciano nuove produzioni. Quello che sorprende di più è la velocità e l’intensità del cambiamento del settore rispetto alla produzione manifatturiera tra il 1999 e il 2008.

IL BLUFF. La caduta della domanda del 2011 e del 2012 era più che prevedibile date le politiche restrittive adottate da tutti i Paesi europei. Nell’area della triade industriale il settore automotive è passato dal 19,2% al 14,6% (-23,96%); l’Europa dal 17,6% al 12,5% (-28,98%); il nord America dal 16,2% al 10% (-38%). Diversamente da queste aree, il Giappone ha manifestato una crescita del peso percentuale del settore nell’ambito della produzione manifatturiera del 7,09%, dal 28,2% al 30,2%, anche se nel corso degli ultimi 2 anni ha perso 3 punti percentuali, da 33,3% a 30,2%1. Se queste sono le tendenze, il ridimensionamento del settore non solo è inevitabile, ma muta le politiche delle imprese: da un lato si manifesta la necessità di produrre vetture di nuova generazione a basso consumo ed impatto ambientale per i mercati rigidi dei paesi ricchi; dall’altra la necessità di realizzare vetture a basso costo per i mercati a ridotto tasso di motorizzazione.

Queste due linee di tendenza devono fare i conti con una recessione economica e con la compressione dei consumi dei beni durevoli senza precedenti. Quindi, la ristrutturazione del settore in termini di dimensione di scala (adeguata) e di tipologia di prodotto è ineluttabile, ed è l’unica condizione per rimanere sul mercato. Tra l’altro, essendo l’auto un settore maturo e soggetto a domanda di sostituzione, il saldo finale dell’occupazione sarà obbligatoriamente negativo. Molti economisti dimenticano che un aumento del reddito modifica i consumi, non nel senso che si consuma di più, ma che si consumano cose diverse.

Ecco il nodo della questione: tutti sapevano che il mercato dell’auto sarebbe andato incontro ad una grande crisi di ristrutturazione, ma nessuno ha pensato di guidare il processo di razionalizzazione a livello europeo cercando di salvare quanto di buono esisteva. È vero che la Germania non voleva una ristrutturazione europea (il no della Merkel all’operazione Fiat-Opel è più che mai eloquente), ma gli altri produttori e sindacati avrebbero dovuto affrontare seriamente il problema. La Germania ha fatto in modo che fosse il mercato a selezionare i player, cioè ha fatto in modo che solo le società tedesche potessero rimanere sul mercato. Infatti, solo le società tedesche possono permettersi un guerra dei prezzi rinunciando ad un parte dei profitti, sapendo bene che nessuna altra società europea può seguirli su questa strada. La Fiat come le società francesi fanno fatica a coprire i propri costi fissi.

Più semplicemente, l’eccesso di capacità produttiva e la compressione della domanda tendenziale del settore, causata anche dagli infelici sussidi del 2009, impone la predisposizione di una riforma della struttura produttiva, da settori maturi a settori emergenti. In qualche modo le barriere all’entrata (nel settore delle automotive) sono più alte, cioè solo a determinate condizioni-dimensioni è possibile rimanere sul mercato. Sostanzialmente siamo in presenza di un oligopolio-monopolio tecnico: poche società coprono l’intera domanda.

L’OCCUPAZIONE. Se consideriamo il lavoro diretto e indiretto (distribuzione, finanza, ecc.) il settore occupa quasi 13 milioni di lavoratori (Europa a 27), assieme alla maggiore quota di mercato a livello internazionale. La produzione complessiva dell’Ue a 27 sul totale è pari al 25,5%, Cina al 23%, Nafta (Nord America e Messico) 14,6%, Giappone al 13,2%, America Latina 6,2%, con una a produzione che oscilla tra i 16,7 milioni e 17,7 milioni di unità, con una capacità di utilizzo degli impianti media del 65%, rispetto al target “typical profitably zone” del 79%. La principale differenza del settore dell’auto europeo da quello di altre aree economiche è il minor grado di concentrazione.

Infatti il settore non si limita all’assemblaggio e alla produzione di motori, ma opera nei testing, distribuzione e vendita, manutenzione, riciclo e smaltimento dei mezzi. Inoltre, i componenti automotive sono realizzati in strutture verticalmente integrate con la casa madre. Il tratto distintivo per tutte le case automotive è la separazione del braccio finanziario da quello produttivo, che affianca i “consumatori”, il network, il leasing activities. Inoltre, la componente finanziaria realizza un “valore” superiore rispetto al comparto produttivo, come se la produzione fosse di supporto alla finanza, anche se in termini occupazionali e strumentali la produzione d’auto rimane il core business.

L’EVOLUZIONE DEL MERCATO. Il confronto tra i principali Paesi-competitors europei del settore permette di individuare il soggetto (economico e politico) driver della necessaria ristrutturazione del settore delle automotive. Non tutti si sono accorti, ma questa ristrutturazione il mercato l’ha già quasi fatta. La Germania è passata dal 29,93 al 32,50%; la Francia dal 20,45% al 14,44%; l’Italia dal 7,81% al 5,54%. Sostanzialmente Germania e Giappone, in misura minore gli USA, sono i principali players del settore, con attività e dimensioni che condizionano la ristrutturazione (necessaria) del settore. L’analisi dei brevetti del settore, cioè la tutela legale per le nuove produzioni, è abbastanza eloquente: i brevetti europei (Germania) sono pari al 55%, Giappone 22,8%, Nafta 16,0%. Più in particolare la Germania è l’unico paese che è riuscito a mantenere l’utilizzo degli impianti sopra alla soglia critica del 79%, cioè la “typical profitability zone”, sia prima della crisi e sia durante la crisi.

Approfondendo il confronto tra Germania e Italia del settore è possibile cogliere il vantaggio della Germania rispetto a tutti gli altri paesi, in particolare dell’Italia. Infatti, in Germania l’automotive sul complesso della produzione manifatturiera pesa per l’11,80%, mentre in Italia vale il 3,60%. Quindi la crisi della Fiat è una crisi industriale di struttura, non di mancati investimenti.

GLI INVESTIMENTI MANCATI. Circa i presunti mancati investimenti della Fiat non c’è da sorprendersi come non c’è da sorprendersi degli investimenti realizzati dalle imprese tedesche del settore. Utilizzando Keynes si può dire: non possiamo chiedere alle imprese in un periodo di crisi di sviluppare dei nuovi investimenti. La Germania ha tutto l’interesse a sviluppare degli investimenti in nuovi modelli e nuovi prodotti. Ogni investimento alza le barriere all’entrata del settore e garantisce un profitto legato alla conquista di nuovi mercati liberati dai concorrenti più deboli. La Fiat se investisse non farebbe altro che produrre perdite. La sua dimensione di scala non gli permette di ammortizzare questi investimenti nella misura delle imprese tedesche. Fin dall’inizio era evidente che Fabbrica Italia era una presa per i fondelli.

Cosa si potrebbe fare? Forse è giunto il momento di coinvolgere la Commissione Europea per guidare il necessario processo di ristrutturazione del settore delle automotive, in particolare quello dell’auto. Se l’Europa non interviene come agente economico, l’unico equilibrio del settore è quello determinato dal dumping fiscale e salariale che si realizza nei paesi. Sostanzialmente la ristrutturazione si realizza non sul principio della corretta allocazione delle risorse (scarse) e dei vantaggi comparati, ma agirebbe solo dal lato dei costi fiscali. Un esito che, paradossalmente, allontana dal mercato tutte le case automobilistiche. Per queste ragioni l’Europa dovrebbe assumere un ruolo guida del necessario processo di ristrutturazione del settore, sulla base delle competenze, delle economie di scala, nonché dell’orizzonte europeo in materia di green economy. In oltre, l’intervento della Commissione permetterebbe di uscire dalle logiche locali, statali e fiscali, consegnando il progetto automotive alla politica industriale europea, evitando di mettere in competizione le diverse società automobilistiche sulla base dei diritti dei lavoratori.

http://keynesblog.com/2012/09/26/la-cri ... -centrano/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda flaviomob il 28/09/2012, 23:30

Fiat, botta e risposta Clini-Marchionne sugli aiuti per la ricerca non fatta
Il manager: "Il ministro è ingeneroso. In Italia scegliamo noi cosa fare, non lui". Ma negli Stati Uniti l'atteggiamento è diverso. Il titolare dell'Ambiente: "Poco chiaro: ha ricevuto importanti risorse pubbliche per il green, 70 milioni, e non si capisce perché ha mollato"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 28 settembre 2012

Clini? “Ingeneroso. Scegliamo noi cosa fare, non il ministro”. Marchionne? “Poco chiaro, ha ricevuto importanti risorse pubbliche per il green e non si capisce perché ha mollato”. Non erano cadute nel vuoto le critiche del ministro dell’Ambiente alla Fiat per la mancata restituzione al Paese, in termini di ricerca e sviluppo, delle risorse statali ricevute negli ultimi quindici anni: 70 milioni di euro per lo sviluppo di tecnologie innovative. A quattro giorni di stanza, da Parigi, è arrivata la risposta dell’amministratore delegato del Lingotto.

“I lavori di cui il ministro Clini chiede i risultati li abbiamo fatti e abbiamo concluso che non avremmo raggiunto risultati economici e finanziari validi”, ha detto stamattina Marchionne. “Il discorso del ministro è parziale, alcune sue dichiarazioni poco generose verso Fiat. Dimentica che abbiamo il più basso livello di emissioni di Co2. Le scelte vanno fatte al momento giusto, non quando dice il ministro”.

Secondo Marchionne, ”Clini ha presentato un set di alternative per noi non sufficiente. Bisogna lasciare libertà alle aziende di usare tecnologie che preferiscono e non spingerne una più delle altre. Le scelte vanno fatte al momento giusto e non quando dice il ministro, cerchiamo di non imporre soluzioni. Ci ha provato il presidente americano Obama con l’elettrico e non ha funzionato. Queste tecnologie hanno un costo altissimo, ricordatevi che in Europa abbiamo venduto 7 mila auto in sei mesi. Non capisco l’euforia per l’elettrico. E’ inutile che cerchiamo di illuderci che salverà l’industria dell’auto”.

Negli Stati Uniti, però, Marchionne si adegua alle richieste governative. Il manager ha infatti ricordato che il Lingotto lancerà nel 2013 la prima vettura elettrica, una 500. Ma sul mercato americano. “Perderemo 14mila dollari per ogni vettura che venderemo, lo facciamo perché è necessario e perché è una richiesta obbligatoria dello Stato della California”.

”Non abbiamo capito perché Fiat,dopo aver richiesto e ricevuto i finanziamenti, abbia deciso di abbandonare i progetti dei nuovi modelli, diversamente dalle case europee e giapponesi che hanno fatto dell’innovazione sugli stessi segmenti la loro cifra”, ha risposto da Roma il ministro dell’Ambiente. ”I progetti finanziati con importanti risorse pubbliche dal ministero Ambiente, dal ministero della Ricerca e dallo Sviluppo economico erano stati proposti da Fiat per mettere a punto modelli competitivi su auto elettrica, auto a idrogeno, auto ibrida e gas naturale, capaci di posizionare Fiat nel mercato emergente del green automotive e in anticipo rispetto alla legislazione europea”, ha concluso Clini.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09 ... ta/366789/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

A tale of two companies. Non è un paese per il mercato

Messaggioda franz il 29/09/2012, 8:53

A tale of two companies. Non è un paese per il mercato
Massimo Brambilla.

Nella cacofonia mediatico/politica seguita alle parole di Marchionne sulla sostenibilità del progetto Fabbrica Italia così come disegnato solo due anni fa alla luce dell’evoluzione del mercato europeo, quella che è mancata, salvo rari ed isolati casi come, per esempio, l’articolo di Oscar Giannino su questo blog, è stata una seria riflessione su come la vicenda Fiat/Fabbrica Italia sia paradigmatica di come ogni allocazione di risorse non effettuata per mezzo dei meccanismi di mercato ma da parte di un pianificatore centrale per il tramite di strumenti di politica economica sia inefficiente e non porti altro che a bruciare risorse e perdere opportunità.

Pochi settori nella storia economica italiana sono stati sostenuti dalle risorse pubbliche come l’automobile. Questo per una serie di motivi sia di presunta natura sociale, essendo stato storicamente un settore a forte impatto occupazionale sia direttamente che nell’indotto, sia legati ad interessi sindacali e politici in quanto serbatoio di tessere e, di conseguenza, moltiplicatore del potere di rappresentanza di chi appunto sulla base del numero di tessere alimenta il senso della propria presenza nel sistema stesso ed il proprio potere che, infine, di natura ideologica in quanto, in un’economia che ha sempre avuto elementi in comune con i sistemi pianificati (come peraltro rispecchiato nella struttura stessa della carta costituzionale Italiana), il concetto di autarchia nazionale in alcuni settori definiti “strategici” è sempre stata al centro delle strategie del pianificatore pubblico.

Peccato che i continui aiuti pubblici (in forma di incentivi alla rottamazione, ammortizzatori sociali, contributi a fondo perduto in investimenti in capacità produttiva, ecc..) abbiano fatto perdere di vista che la capacità di un’impresa di sopravvivere è funzione solo ed unicamente della sua posizione competitiva sul mercato di riferimento.

Nel mentre che venivano impiegate risorse pubbliche, per esempio, per incentivi alla rottamazione (che, per definizione, non creano nuova domanda ma semplicemente anticipano decisioni di acquisto da un anno all’altro con un effetto meramente finanziario sul sistema) il mercato dell’auto andava a modificarsi strutturalmente. Mentre in Occidente il mercato si consolidava in uno scenario di bassa o nulla crescita e, di conseguenza, il focus della strategia dei produttori si spostava dagli investimenti in capacità produttiva (che è sovradimensionata in Europa) a quelli in innovazione di prodotto e processo, le aree di espansione del mercato si spostavano sulle nuove economie dove il possesso di un’auto ha ancora una valenza di auto realizzazione e dove il mercato è ben lungi dall’essere saturato.

Pertanto, se si fosse lasciato agire il mercato come strumento di allocazione principe delle risorse, si sarebbe diminuita la capacità produttiva in Italia per incrementarla in altri contesti e, contestualmente, investito in innovazione e ricerca per conquistare quote di mercato in un contesto in contrazione (come, per esempio, ha fatto Toyota negli USA).

Ma il pianificatore pubblico ed i sindacati non hanno avuto alcun interesse a farlo. Meglio mantenere in vita impianti produttivi inefficienti ma strumentali agli interessi di breve termine degli allocatori delle risorse pubbliche che confrontarsi liberamente sul mercato. Meglio dilapidare patrimoni pubblici che investire nel futuro, garantendo nel contempo meccanismi di protezione per i lavoratori.

Mentre si consumava la farsa di Fiat, il mercato vedeva un’espansione degli investimenti nell’industria ferroviaria sia in ragione della crescente attenzione sull’impatto ecologico dei trasporti, che dell’efficienza del trasporto su rotaia rispetto a quello su strada determinando un incremento della quota degli investimenti ferroviari sul totale degli investimenti nel settore trasporti (pari a circa l’1% del PIL dei Paesi OCSE) dal 15 al 23% nel corso degli ultimi 15 anni (fonte: International Transport Forum).

Ma anche in questo ambito il pianificatore pubblico Italiano ha fallito. Invece di aprire il settore al mercato si è deciso di mantenere una presenza dell’industria di stato tramite AnsaldoBreda. Risultato che, mentre i competitor privati di Ansaldo Breda si andavano ad affermare sui mercati mondiali incrementando dimensioni e redditività (la divisione trasporti ferroviari di Bombardier ha ricavi 2011 per 9,7 miliardi di Dollari con un EBIT del 7,2%,, quella di Siemens ricavi per 6.3 miliardi di Euro con un EBIT del 6,7% e Caf ricavi per 1.7 miliardi di Euro con un EBIT del 10%), Ansaldo Breda negli ultimi 6 anni ha accumulato perdite per un miliardo di Euro (con un fatturato 2011 pari a 570 milioni di Euro ed un EBIT negativo per 646 milioni). In aggiunta a questo nel momento in cui una società privata ha fatto un pesante investimento nel settore ferroviario in Italia (Ntv che, come noto, fa capo a Montezemolo) Ansaldo Breda si è dichiarata impossibilitata a presentare un’offerta competitiva.

Le vicende di Fiat e di AnsaldoBreda sono la dimostrazione del fallimento di ogni illusione ad opporsi alle dinamiche del mercato tramite sussidi o tramite l’intervento pubblico nel’economia. Ci testimoniano di immense risorse pubbliche che avrebbero potuto essere restituite al privato ed investite in settori strategici con effetti positivi sulla ricchezza del Paese e sull’occupazione creando, nel contempo, meccanismi di protezione per i lavoratori ma che invece sono servite a tutelare lo status quo di cui hanno beneficiato tutti i complici del sistema.

Purtroppo in Italia in questi anni invece di ascoltare il mercato si è preferito sedersi a tavoli di consultazione con la parti sociali per interminabili consultazioni programmatiche. L’effetto è la deserficazione industriale di parte del Paese. È anche da un cambio di mentalità su questi temi che potremo fermare il declino dell’Italia.

http://www.chicago-blog.it/2012/09/28/a ... brambilla/



A proposito di elettrico, non mi è chiaro a cosa ci si voglia riferire.
Oggi l'unico aspetto percorribile è quello della macchina ibrida, cosa ormai nota e consolidata e sui cui credo non ci sia ancora molta ricerca da fare. Non sono certo vetture economiche ma sono nella fascia medio alta, forse non proprio quella del consumatore italiano ed europeo in tempo di crisi. Ho diversi concessionari tra i miei clienti e vado a trovarli spesso trovando in esposizione sempre le stesse macchine ibride. A parole tutti parlano di elettrico ma quasi nessuno lo compra. Ancora troppo costoso.
Se invece parliamo di macchine elettriche pure le cose peggiorano drasticamente perché anche con prestazioni scarse (autonomia e velcità basse) il prezzo è sostenuto e fuori mercato. Con prestazioni ottime (da 300 a 500 km di autonomia e potenza elevata) il prezzo è sopra i 150'000 euro (come per la Tesla sportiva Roadster) e le condizioni di ricarica sono proibitive. Idem per la piu' economica serie S, che hai voglia a dire che si ricarica di notte! Per ricaricare una Tesla a piena autonomia ci vogliono 80 Ampere in casa, perché con la normale presa al 15A ricarichi 5 miglia in un'ora, e quindi in 10 ore hai nel "serbatorio" solo 50 miglia da fare. Ma chi in Italia ha 80 Ampere in casa? E poi con cosa produciamo la corrente elettrica? Con il gas, il carbone, il petrolio? Ed a quale prezzo?
Ci sono anche altre tecnologie, naturalmente, ma chi le ha sviluppate ha provveduto a proteggersi con un brevetto.
Se proprio vogliamo sviluppare l'elettrico e fare ricerca credo che si dovrebbe fare un progetto europeo, che unisca piu' case automobilistiche (senza fondi dello stato). E naturalmente bisogna sviluppare la rete di ricarica in strada e qui si che è l'ente pubblico che deve darsi da fare.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda flaviomob il 29/09/2012, 12:24

Come ha detto anche Marchionne, prima quando si navigava in cattive acque la lira perdeva valore e le esportazioni potevano ripartire. In fondo la fluttuazione del cambio fa parte dei meccanismi di mercato ed è soggetta alla legge domanda/offerta. L'Italia non è mai entrata veramente nell'euro, come mentalità, come aspettative, come organizzazione economica e sociale. Anzi, negli ultimi vent'anni c'è stata una regressione in tutti i campi.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda franz il 29/09/2012, 12:39

flaviomob ha scritto:Come ha detto anche Marchionne, prima quando si navigava in cattive acque la lira perdeva valore e le esportazioni potevano ripartire. In fondo la fluttuazione del cambio fa parte dei meccanismi di mercato ed è soggetta alla legge domanda/offerta. L'Italia non è mai entrata veramente nell'euro, come mentalità, come aspettative, come organizzazione economica e sociale. Anzi, negli ultimi vent'anni c'è stata una regressione in tutti i campi.

Certo, d'accordo ma la perdita di valore della lira significava perdita di valore dei salari ed un aumento del costo delle importazioni (autovetture estere comprese) e quindi alla FIAT di allora forse andava pure bene (vendeva di più nel mercato interno ed in quello estero). Tuttavia aumentavano anche i tassi di interesse, quello che le famiglie e le industrie pagano per avere in prestito i capitali che non hanno e l'inflazione galoppante (10-20%) erodeva i risparmi ed i redditi.
Vero che "l'Italia non è mai entrata veramente nell'euro, come mentalità, come aspettative, come organizzazione economica e sociale" ed ha perso così una fantastica occasione ma chiediamoci anche perché e soprattutto chi si è offerto per far credere agli italiani non fosse necessario farlo, che si poteva andar eavanti così, ... finché la barca va.
Prodi aveva fatto chiaramente capire che con l'Euro era fondamentale iniziare la stagione delle riforme e non vivacchare piu' di debito ed inflazione. Ma sappiamo che dopo due anni Prodi è stato "defenestrato" dalla casta di centro sinistra, la quale poi è stata esautorata da quella di centro destra. La FIAT ha rischiato il fallimento (forse non ve lo ricordate) e Marchionne ha salvato il salvabile cosi' come Monti ha fatto lo stesso alla fine del 2011 per il Paese.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda flaviomob il 29/09/2012, 18:53

(ASCA) - Longarone (BL), 29 set - ''Non mi fa molto piacere che Fiat elettrica venga prodotta a Detroit e non in Italia''. Lo ha detto Corrado Clini, ministro dell'ambiente, a margine di Expo Dolomiti a Longarone.

''Noi abbiamo cofinanziato progetti per lo sviluppo delle tecnologie verdi, nella Fiat in particolare, soprattutto in una fase che era strategica per la scelta della direzione di marcia della Fiat con fondi pubblici italiani. Ora che la Fiat elettrica venga prodotta a Detroit e non in Italia non mi fa molto piacere - ha detto Clini a Longarone -. Io avrei voluto che Fiat, come era nei progetti che abbiamo avviato, diventasse il collettore, l'infrastruttura per valorizzare le avanzate competenze tecnologiche italiane nel settore dell'elettronica, delle batterie, nel settore dei materiali per l'auto che sono poi alla base per lo sviluppo delle tecnologie dell'auto ibrida e elettrica. Che poi questo avvenga fuori dall'Italia non mi fa molto piacere''.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda flaviomob il 10/10/2012, 21:58

Su Marchionne cito Totò: lei è un cretino, s'informi

Gianni Cipriani
mercoledì 10 ottobre 2012 21:14



Si potrebbe dire che Marchionne, in un colpo solo, è riuscito a far guadagnare punti ad uno che ha litigato fin da piccolo con la simpatia, come Matteo Renzi. Oppure che è riuscito a rendere ancora più dura la contrapposizione tra la Fiorentina e la Juventus, che sportivamente già si odiano abbastanza tra di loro. Ma non è questo il punto. Aver detto che Firenze è una piccola e poverà città, è una metafora della rinnovata e sfrontata arroganza padronale di cui il ricchissimo manager della Fiat è da tempo l'emblema.

E non si tratta, a mio avviso, sono di una personale propensione alla sfrontatezza e perfino alla maleducazione, che sono attitudini soggettive. No. Si tratta di guardare il mondo (comprese le persone) con gli occhi del mercato, del profitto, della mercificazione. E cos'è Firenze se la si guarda con questi occhi? Una città ricca di storia? Ma cos'è la storia per costoro? Una città ricca di cultura? Ma cos'è la cultura per costoro? Una città a misura d'uomo? Ma cos'è l'uomo per costoro? Se andiamo a riguardare negli archivi dei giornali, non si sono mai lamentati dei guasti ambientali di una industrializzazione selvaggia; della tragedia dei morti sul lavoro; delle regole di civiltà del lavoro calpestate.

Il loro orizzonte culturale e umano è fatto di prati asfaltati; di capannoni fumanti, di strade inquinate e assordanti. Non c'è da meravigliarsi se Ponte Vecchio, piazza della Signoria, il Davide siano cosette da poveri e provinciali. Sotto alcuni aspetti mi verrebbe perfino voglia di ringraziare Marchionne, per aver fatto capire anche ai più riottosi (quelli che proponevano per lui tappeti rossi ancora poco tempo fa...) il vero volto di questa deriva culturale ed etica, ancor prima che economica. L'arroganza diventata sistema, la prepotenza passivamente accettata dalla politica, o gran parte di essa, subalterna al dio mercato, incapace di pretendere ruolo e sovranità.

Ma chissà perché mi torna in mente Totò (chissà se il grande manager abbia una vaga idea di chi sia...) e una delle sue celebri frasi: lei è un cretino, si informi. Ecco, si informi. Anche se per informarsi non si deve sfruttare nessuno e non si realizzano profitti.

http://www.globalist.it/Detail_News_Dis ... -s-informi

I fiorentini rispondono a Marchionne: noi il David, tu la Duna :lol:
Dopo le parole dell'ad del Lingotto contro Firenze, definita «piccola e povera», sui social network si scatenano i fiorentini con battute e minacce di non comprare più Fiat.

Non si è fatta attendere, soprattutto attraverso i social network, la reazione dei fiorentini dopo le parole sprezzanti di Sergio Marchionne sulla loro città. L'ad del Lingotto, nella foga di attaccare il sindaco Matteo Renzi, è andato oltre, troppo oltre, dichiarando: «Firenze è una città piccola e povera».

E così i cittadini della «città piccola e povera» non si sono fatti pregare e hanno replicato, con l'ironia e il feroce sarcasmo per cui sono famosi. «Noi abbiamo il David, la Fiat la Multipla». E poi su Facebook appaiono i video degli spot delle automobili meno riuscite della storia del Lingotto.

Mentre su Twitter gli hashtag #Marchionne e #piccoliepoveri prendono quota: «Siamo #piccoliepoveri ma a noi la Duna non ci sarebbe mai venuta in mente», scrive Hagakure, mentre Chiara rivendica che «Benigni ce l'abbiamo noi», e tutti snocciolano previsioni nefaste per le vendite dei concessionari Fiat del capoluogo toscano nel futuro prossimo.

http://www.globalist.it/Secure/Detail_N ... 45&typeb=0


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Disastro Marchionne

Messaggioda lucameni il 10/10/2012, 23:12

Sono uno dei piccoli e poveri e quindi qualcosina posso dire.
A parte frasi buttate là nella foga polemica un po' stupisce che una personache, pur molto spregiudicata come Marchionne, si faccia sorprendere con queste "cadute di gusto". Per carità, Firenze non è molto grande come città, ha subito un impoverimento soprattutto culturale non da poco, come molte città d'arte italiane. Ma queste sono considerazioni seriose ed anche serie. Le battute che mettono in relazione un sindaco come Renzi, che pure critico senza farne un mostro micidiale, con la "qualità" di una città non hanno senso. Logico innanzitutto.
Comunque sia i fiorentini hanno risposto già alla loro maniera, malgrado non sia sempre piacevole vedere tutta questa foga polemica nata da una frase infelice. Diciamo pure ad minchiam.
In rete c'è già un festival.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
lucameni
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1679
Iscritto il: 22/06/2008, 1:36

PrecedenteProssimo

Torna a Che fare? Discussioni di oggi per le prospettive di domani

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 14 ospiti

cron