da pierodm il 02/12/2008, 12:38
Mi trovo d'accordo con diversi tra gl'interventi ultimi, in primis con Manuela.
Dice bene Paolo, quando sottolinea che il PD deve prima darsi un'identità precisa e ragionevolmente solida, e solo dopo, eventualmente, allargare il proprio pensiero ad altro.
Dice bene anche Matthelm, quando ricorda che la gente si aspetta, direi disperatamente, risposte convincenti: il problema è che le risposte convincenti non sono per niente facili da trovare, e tanto meno vengono fuori da continue metamorfosi, ossia dalle "novità" ad ogni costo. Mi azzarderei, anzi, a dire che un partito non dovrebbe nemmeno avere la gente come interlocutore privilegiato, ma la realtà delle cose, i problemi: gl'interlocutori stanno dalle due parti del tavolo, idealmente, mentre un partito dovrebbe sedersi dalla stessa parte dei cittadini e guardare insieme con loro i problemi, e fornire una soluzione, o dare fiducia ai cittadini seduti vicino che il partito ha o avrà la soluzione.
Siamo finalmente concordi su un punto di sostanza con Franz, circa l'essenziale differenza tra due visioni che non sono solo organizzative.
Sul significato, il valore e la gestione delle "differenze" dovremmo parlare a lungo, perché non è tanto in discussione il loro contenuto teorico culturale o sociale, quanto il modo in cui si trasformano in diversità o disomogeneità politiche.
Tanto per fare un esempio: se in una zona "politicamente autonoma" c'è una maggioranza che introduce la pena di morte o gradi significativi di discriminazione razziale, questo è certamente una manifestazione di "volontà popolare" - rimane da vedere semmai se è reale o estorta con sotterfugi elettorali - ma non è che si possa lavarsene le mani con la coscienza tranquilla, come se la cosa non riguardasse tutti: non lo accettiamo nel rapporto tra stati sovrani e lontani, non si vede perché dovremmo considerarlo diversamente in nome di una democrazia "federale".
In altre occasioni ricordavo che l'avvento del partito nazionalsocialista in Germania non fu affatto impedito dall'assetto federale dello stato, ma anzi ne fu grandemente favorito, laddove il movimento nazista prese definitivamente piede in Prussia e usò questo potere per affermarsi nell'intera nazione.
Capisco bene che questo esempio non può essere considerato decisivo, dato che le storie e le situazioni specifiche sono tante, e vanno in tutte le direzioni. Ma qualche riflessione vale la pena farla, senza dare per scontato un potere taumaturgico che di per sé non esiste, o non nella misura che si vorrebbe: le situazioni e le storie, appunto, sono tante e diverse, e qui è necessario sottolineare quello che dice Manuela sul particolarismo e trasformismo tipicamente italiani.
Poi, insisto, tutto ciò vale per un assetto dello stato, laddove potremmo anche accettare, obtorto collo, che in un Land sia vigente la pena di morte in nome di un autonomismo un po' integralistico.
Ma un partito? Avrebbe senso un PD che nel nord padano "dialogasse" (o peggio) sulla pena di morte, e qui nel centro si opponesse?
La pena di morte e altri temi "etici" sono una tipologia che può sembrare particolare, ma credo che un economista saprebbe portare esempi di altri temi considerati più pratici che sfuggono alla dimensione locale e che hanno bisogno, almeno, di avere una sede politica dove essere considerati nella loro globalità nazionale, se non internazionale.
Per concludere, io credo che si potrebbe dare valore a tutte le esigenze federaliste fin qui esposte, organizzando il PD in modo da far contare di più, e in modo vincolante, chi è a stretto contatto con le diverse realtà: la vecchia, e fin'adesso non risolta, questione della democrazia interna, che non è solo un fatto di primarie e di leader, ma di circolazione d'idee e di comunicazione effettiva con la pluralità delle situazioni presenti nella realtà territoriale e sociale.
In questo senso io credo che andrebbe rivisto anche il rapporto con il sindacato, che è una delle organizzazioni più capillarmente inserite nella realtà concretissima della società.