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Disastro Marchionne

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Pagando, s'intende

Messaggioda franz il 21/09/2012, 21:27

pianogrande ha scritto:Ovvero la delocalizzazione come giro della questua.

In europa gli aiuti di stato non sono ammessi, ma ci sono forse varie scorciatoie, basta saperle praticare (i francesi nell'auto sono esperti). Obama ha versato miliardi, ma era un prestito. Potrebbe essere questa la soluzione? No, perché l'Italia che ha 2000 miliardi di debiti non ha certo soldi da prestare. Per me la soluzione è una sola: invece di tassare gli utili societari al 50-60% impoverendo le aziende, le quali poi hanno a che fare con un sistema bancario colabrodo che non presta soldi e ridursi quindi a chiedere aiuti allo stato (incentivi per rottamazioni, cassa integrazione etc) tanto varrebbe tassare le aziende come in germania (20%) cosi' che esse possano autofinaziarsi e crescere.
Sarebbe interessante mettere sui due piatti della bilancia sia quello che la FIAT ha ricevuto in aiuti di stato sia le imposte che ha pagato (tranne nei periodi fallimentari di Romiti, che era in rosso e rischiava di fallire).
Per un calcolo completo si potrebbero considere le imposte sugli utili, l'IRAP, l'IVA ma anche (a parte) contributi e irpef dei 200'000 lavoratori. Se FIAT chiude o trasloca, il buco nella casse dello stato quale sarà?
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Il punto non è la Fiat a Detroit, ma portare VW in Italia

Messaggioda franz il 21/09/2012, 21:32

Il punto non è la Fiat a Detroit, ma portare VW in Italia
Pubblicato: Ven, 21/09/2012 - 18:00 • da: Oscar Giannino

da Tempi, 21/09/2012

La riesplosione del caso Fiat a me pare singolarmente patetica. Nell’ottobre 2011 e nella primavera 2012, personalmente ho realizzato due puntate della Versione di Oscar su Radio24 chiedendo ai miei ospiti di indicare quali tra i cinque stabilimenti italiani Fiat a loro giudizio sarebbero stati dismessi, poiché le parole di Marchionne con grande chiarezza indicavano il calcolo esplicito che almeno uno se non due fossero ormai di troppo. Ma il copione che si è continuato a recitare è stato un altro, lo stesso a cui abbiamo assistito nello scontro sulle relazioni industriali, con Cisl, Uil e centrodestra vicini all’azienda, che aveva ottenuto al prezzo di durissime polemiche un’intesa di produttività sostitutiva del contratto nazionale. Anche a costo di uscire da Confindustria. Dall’altra parte, ad attaccare a testa bassa stavano coloro che nel no all’intesa avevano giocato tutto, cioè la Fiom e la sinistra antagonista.

Ridurre il caso Fiat allo scontro sull’intesa aziendale si è rivelata però una colossale cortina fumogena. Che ha finito per avviluppare politica e sindacati, rendendoli schiavi dei sì e dei no che su quell’intesa avevano pronunciato, e giocoforza meno attenti alla semplice e trasparente vicenda industriale. Non so se Marchionne abbia volutamente impostato la battaglia sulla produttività al fine di rendere meno perspicua la sempre maggior debolezza di Fiat in Italia. C’è chi pensa di sì, la mia esperienza mi fa propendere per il no. Per esempio l’uscita da Confindustria non è stata studiata a tavolino. Tecnicamente, era infondata. La Fiat ha sbattuto la porta di una Confindustria che ha fatto dei contratti nazionali derogati e dei contratti aziendali sostitutivi una duplice modalità di relazione industriale a fianco del contratto nazionale di categoria, in precedenza l’unico modello. E lo ha fatto prima e a prescindere dal caso Fiat. Firmando le intese senza Cgil, poi aspettando che anche la Cgil, l’anno successivo, maturasse il suo sì. È stato allora che Fiat è scattata: ma come, reimbarcate la Cgil mentre la Fiom a noi fa la guerra? Sabotaggio! La Marcegaglia è amica dei comunisti, strillarono il Pdl, Libero e il Giornale. Solenni fesserie, che spiegano poi perché il Pdl, che oggi rimprovera il governo, sia stato il primo a restare prigioniero della scelta iperideologica con cui ha sempre giocato questa partita. Qualunque osservatore che conosca l’andamento dell’auto nel mondo avrebbe chiesto più di un anno fa a Marchionne: lei come fa a credere ancora di moltiplicare come ha promesso per più di quattro volte la produzione di auto in Italia entro il 2014? A un giornalista, Marchionne rispose infatti che non ci credeva più. Tanto meno può crederci oggi, col mercato dell’auto europeo che nel 2012 resterà di 2,5 milioni sotto quello del 2007, e con le vendite in Italia tornate ad agosto ai livelli di 40 anni fa.

La vicenda mi sembra riproporre l’inadeguatezza complessiva delle nostre classi dirigenti. Imprenditoriali, sindacali e politiche. Imprenditoriali, perché su Fiat l’impresa italiana si è divisa un anno fa, e adesso Della Valle e Romiti (che addirittura sostiene la Fiom!) rilanciano la divisione. Chiunque attacchi la libertà dell’impresa di allocare la produzione dove convenga indebolisce la battaglia comune per un’Italia più produttiva. Sindacali, perché un conto era dividersi tra chi – con responsabilità e coraggio – ha scelto la produttività confutando l’accusa Fiom di attentato ai diritti, e chi invece su questo ha fatto battaglia politica. Ma altro conto, a maggior ragione avendo votato sì, era il dovere di incalzare l’azienda sul fatto che i suoi sviluppi americani e i dati del mercato euro-italiano rendevano Fabbrica Italia sempre più una chimera. Quanto alla politica, per un secolo ha sussidiato l’azienda torinese, per poi negli ultimi anni non porsi mai il problema di fondo: come attirare in Italia altri produttori a cominciare da Volkswagen? Invece continua a rivolgersi alla Fiat dicendo mafiosamente: l’Italia ti ha dato molto, ergo non sei libera di fare quel che vuoi. Fortuna che, con Marchionne, questo discorso non attacca.

Due volte Marchionne ha salvato Fiat dal fallimento in Italia. È meglio una Fiat per la prima volta saldamente in America, oltre che in Polonia e Brasile e Serbia, perché solo così avrà chance di produrre anche in Russia, India e Cina, senza di che la sua partita è comunque al ribasso tra i big player. Ma porsi il problema di un automotive italiano di eccellenza, che senza Fiat vale ancora 42 miliardi, quello sì che è un problema politico. È aperto da anni, ma la politica di destra e dei tecnici ha finto di non vederlo. La soluzione non è mettere soldi pubblici, all’americana o alla francese o alla tedesca. Ma attirare direttamente i tedeschi a casa nostra. Scommetto che non avverrà. Già si pensa a nuovi incentivi, dimenticando che saranno i concorrenti di Fiat a beneficiarne. E poi mi chiedono perché ho lanciato il movimento Fermare il declino!

https://www.fermareildeclino.it/articol ... -in-italia
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda flaviomob il 23/09/2012, 20:13

L’industria italiana persa nella nebbia


Fiat, l’impegno di Marchionne: «Restiamo in Italia»


Genova - Al vertice di ieri tra il governo e la Fiat si è arrivati con una tensione crescente. L’incontro a Palazzo Chigi è avvenuto in un clima molto differente dal passato. Per due settimane, infatti, intorno a Sergio Marchionne e al Lingotto è montata un’atmosfera di aperta ostilità. Questa volta ad attaccare frontalmente la Fiat e soprattutto colui che ne incarna la strategia non è più stata soltanto la Fiom di Landini, ma una parte significativa del capitalismo italiano.Prima Della Valle, poi sulla sua scia Romiti e, ieri, Carlo De Benedetti: tutte voci di solito discordanti, ma che hanno ritrovato la concordia per mettere sul banco degli accusati la Fiat di oggi.Un po’ più defilata (ma neanche tanto) la Confindustria di Giorgio Squinzi, che ha scelto la giornata del confronto tra governo e Fiat per dare uno schiaffo al Lingotto su un aspetto cruciale come la politica sindacale: ieri è stato firmato il nuovo contratto dei chimici. Senza una sola ora di sciopero. E Squinzi non ha perso l’occasione per rimarcare come sia possibile perseguire l’intesa con le organizzazioni sindacali, nessuna esclusa, nell’interesse dello sviluppo della produttività industriale.

Straordinario comunicatore negli Stati Uniti, Marchionne non lo è stato altrettanto in Italia. Ha via via presentato un volto sempre più arcigno al Paese il cui nome ricorre fin nell’acronimo dell’impresa da lui gestita. La durezza con cui si è rivolto all’opinione pubblica italiana ha fatto dimenticare persino che qualche investimento importante, pur lontanissimo per entità dalle cifre originariamente indicate nel progetto Fabbrica Italia, la Fiat lo ha realizzato: a Pomigliano d’Arco, ma anche nell’area di Grugliasco, dove inizierà la produzione delle nuove Maserati. Marchionne ha scelto progressivamente la via della contrapposizione. Da ultimo anche col ministro Passera, che ha voluto porre a raffronto i successi brasiliani della Fiat con la sua crisi di mercato in Europa.

L’amministratore delegato di Fiat-Chrysler ha puntigliosamente ricordato al ministro che in Brasile ci sono generosi incentivi per la costruzione delle fabbriche e facilitazioni fiscali per la vendita delle auto. Ha anche aggiunto che nulla di tutto ciò sarebbe possibile all’interno dell’Unione Europea. Ma la sua uscita ha fatto ritenere che il Lingotto, per mantenere gli impianti in Italia, chiedesse agevolazioni speciali. Questo sfondo ha avuto l’effetto di rendere più complicata la delicata trattativa di ieri.

Sullo sfondo, ha aleggiato il problema dell’estensione della cassa integrazione straordinaria, in aperto contrasto con la revisione del sistema degli ammortizzatori sociali patrocinata dal ministro Fornero con la sua riforma del lavoro. La lunga discussione di Palazzo Chigi si è conclusa con un comunicato che non è destinato a soddisfare le attese di chi sperava che dal confronto tra il governo e il Lingotto uscisse una prospettiva chiara sul futuro dell’Italia industriale. Certo, la Fiat conferma l’intenzione di stare in Italia. Ma è difficile ipotizzare oggi quali produzioni destinate all’export potranno essere effettivamente allocate negli stabilimenti italiani per impedirne il decadimento. Il domani della nostra economia permane nebuloso.

http://www.ilsecoloxix.it/p/economia/20 ... bbia.shtml


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Tre ipotesi, o forse anche quattro

Messaggioda franz il 23/09/2012, 22:11

“Caro Monti, come lei ben sa, il Gruppo Fiat Automobiles ha la vocazione di fabbricare auto di media qualità, le vende dove se le comprano e le produce dove le vende, non potendo essere altrimenti. Non pretende di gareggiare con chi fa auto di maggior pregio. Se gli italiani si sentono cresciuti e sono diventati pretenziosi, magari restando pezzenti, se non hanno più soldi per comprare un’auto nuova ma volendola comprare preferiscono una tedesca o una giapponese, facciano pure, ma non dicano che è Fiat a essere ingrata se se ne va”. Con queste parole sincere temo possa esordire l’a.d. della Fiat nell’incontro a Palazzo Chigi. Dico “temo”, perché sarebbe un discorso distruttivo.

Meno probabile mi sembra un altro discorso del tipo: “Caro Monti, il Gruppo Fiat Automobiles ormai è una multinazionale che alloca le fasi della sua attività là dove esiste una più conveniente disponibilità di risorse materiali, lavorative, creditizie. Oggi il divario di competitività dell’Italia è ancora forte, siamo al 40° posto su 59 paesi, grazie a lei abbiamo recuperato due posizioni, ma siamo ancora indietro in mercato del lavoro, finanza pubblica, politica fiscale, infrastrutture di base. Con questi problemi strutturali e questo ritmo di recupero, altro che Monti bis, bisognerebbe arrivare a un Monti decies prima che una multinazionale torni ad aprire qualche fabbrica in Italia.

Nel frattempo chissà quante ne saranno state chiuse”. Questo secondo discorso avrebbe il merito di schiudere le porte a una prova d’appello, se il governo Monti volesse quanto meno elaborare un progetto sistemico di recupero di competitività. Ma lo considero meno probabile perché implicherebbe una propensione di Marchionne a fare per così dire politica. Inoltre, un simile ruolo di pungolo solleciterebbe decisioni governative correttive della struttura che nella storia del nostro paese solo istituzioni comunitarie o mondiali sono riuscite a imporre. In questo caso, Marchionne fungerebbe da vincolo (semi)esterno. È vero che un po’ già l’ha fatto nei confronti del sindacato mesi fa e potrebbe anche ripeterlo con il governo, ma è vero anche il contrario e cioè che si deve essere tanto pentito che non ci pensa proprio a ripetere e aggravare quell’errore.

C’è poi un terzo discorso possibile, il più disastroso: “Caro Monti, noi ce ne andiamo dall’Italia a meno che non ci diate i fattori produttivi alle stesse condizioni dei paesi benchmark, non recuperando competitività, non sareste capaci e ci vorrebbe troppo tempo, ma addossando allo Stato ogni aggravio di costo, dal lavoro all’energia, dal credito al fisco”. Lo considero il più disastroso, perché ciò è proprio quanto alcuni ministri stanno già promettendo a chi si dica disponibile a comprare l’Alcoa, premendo sull’Enel o sulle banche, dimostrando di prediligere per mentalità il mero esercizio del loro potere industriale a una paziente e ben più faticosa opera di ripristino delle condizioni di appetibilità intrinseca del business. Equivale a una spalmatura del fardello sulle spalle di tutti, anche degli artigiani che chiudono bottega. È il contrario di fermare il declino. Una simile deriva travolgerebbe definitivamente questo nostro povero paese, perché nel 99 cento dei casi la pancia degli imprenditori italiani non sopporta la Fiat, ché in passato ha drenato e gli ha sottratto le agevolazioni pubbliche. Nel 99 per cento dei casi, gli imprenditori vorrebbero che questa fiscalizzazione tombale il governo la desse a loro non alla Fiat che ha già avuto.

E gli italiani che ne pensano? Paradossalmente, quelli che a nostro avviso sono i due principali meriti del governo Monti, l’essere cioè riuscito a radicare nella testa della gente la consapevolezza di come stanno davvero le cose in Italia e ad aprire le menti a pensare internazionale, giocano non dico a favore, ma quanto meno a comprensione della ruvidezza della posizione di Marchionne.

Pubblicato: Dom, 23/09/2012 - 13:15 • da: Riccardo Gallo
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda Robyn il 24/09/2012, 9:30

Dobbiamo pensare a nuovi investitori stranieri e ad un'industria che produce vetture tutte nostre.La Fiat non credo che possa andare via dall'Italia nel senso che se anche decidesse di andare via gli stabilimenti le strutture di produzione e il simbolo Fiat rimangono in Italia,perchè sono italiani.L'industria dell'auto rimane strategica perche senza questa è tutta l'industria metalmeccanica che ne risente non solo nella produzione ma anche nella legislazione del lavoro che protegge i lavoratori.Quindi l'errore di fondo è pensare che possa esserci solo Fiat che monopolizza l'industria italiana
ciao robyn
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda ranvit il 24/09/2012, 9:40

Ma io vorrei sapere cosa diavolo significa che il Governo dovrebbe fare un "Piano industriale" come sostenuto a tutto spiano da Cgil-Fiom e altri soggetti sinistroidi??? :roll:
Si vuole forse ripetere le scemenze dei Piani quinquennali dell'URSS???

L'unico Piano industriale realmente efficiente e certo di risultati positivi sarebbe quello di:
- eliminare l'Irap (tassa anticostituzionale a mio parere perchè indipendente dal reddito)
- ridurre drasticamente le tasse sugli utili reinvestiti
- ridurre il costo dell'energia
- ridurre drasticamente il potere ed i tempi biblici della burocrazia (cominciando con il dimezzare i burocrati...)
- impedire ai sindacati di fare politica...
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda Iafran il 24/09/2012, 9:59

ranvit ha scritto:- impedire ai sindacati di fare politica...

Molto strano ... quando si invitano tutti, senza pregiudiziali, a farla.

PS - Circa 30-40 anni fa, la stampa inglese (mi sembra) esprimeva le sue perplessità che l'industria italiana fosse quasi concentrata nella sola Fiat.
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda franz il 24/09/2012, 10:03

ranvit ha scritto:Ma io vorrei sapere cosa diavolo significa che il Governo dovrebbe fare un "Piano industriale" come sostenuto a tutto spiano da Cgil-Fiom e altri soggetti sinistroidi??? :roll:

Si, vorrei saperlo anche io. Tecnicamente un "piano industriale" è un "Business Plan".
http://www.borsaitaliana.it/notizie/sot ... triale.htm
Il fatto che il governo dovrebbe fare un Business Plan è grottesco e sarebbe anche esilarante se la situazione non fosse così seria e grave. I piani li devono fare gli imprenditori. Lo Stato deve solo predisporre le condizioni quadro adatte a sviluppare impresa:
    ° educazione di base
    ° formazione professionale e universitaria
    ° legalità, sicurezza e giustizia che funziona
    ° strutture viarie e di comunicazione
    ° uno stato sociale non assistenziale, sostenibile, che fornisca le giuste prestazioni a chi ne ha bisogno
    ° leggi certe, poche e comprensibili
    ° poca burocrazia
    ° fiscalità moderata
E già per fare tutte queste cose c'è da lavorare come minimo 10 anni.

Altra cosa che vorrei tanto sapere è cosa significa "strategico".
Mi pare che piu' che altro significhi "quest'osso non voglio mollarlo" oppure "qui deve occparsene lo Stato e non il mercato".
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda Robyn il 24/09/2012, 10:32

Quest'osso non voglio mollarlo robyn
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Re: Disastro Marchionne

Messaggioda franz il 24/09/2012, 10:45

Robyn ha scritto:Quest'osso non voglio mollarlo robyn

Roba tua?
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