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Diritti umani, informazione e comunicazione

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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 11/04/2012, 13:30

Chiesa e pedofilia: Golgota italiano

- Federico Tulli -

Un libro coraggioso, schietto, efficace. Un’inchiesta priva di zone d’ombra, che scava a fondo senza mielosi pietismi e falsi moralismi tra le pieghe di un crimine odioso e violentissimo, le cui cause sono ancora scarsamente indagate sebbene sia radicato in tutte le società. Compresa quella occidentale. Golgota, firmato per Piemme dal giornalista di Panorama, Carmelo Abbate (autore del best seller europeo Sex and the Vatican. Viaggio segreto nel regno dei casti, 2011), da pochi giorni in libreria, allarga in maniera significativa lo squarcio nel muro di omertà mediatica che riguarda il fenomeno della pedofilia nel clero cattolico italiano.

Abbate, come hai sviluppato l’idea di scrivere Golgota?

In Sex and the Vatican ho descritto la doppia morale della Chiesa cattolica riguardo ai temi legati alla sessualità, come questa viene vissuta di nascosto dagli appartenenti al clero e spesso come una vera e propria ossessione che sfocia in violenza. Indagando in questi ambiti mi sono trovato a contatto con storie di abusi pedofili, ma volutamente ho scelto di non raccontarle in quel libro. Provavo una sorta di repulsione. Poi, come racconto nelle prime pagine di Golgota, è successo che mi sono imbattuto nella mail di una vittima. Quando ci ho parlato e mi sono reso conto dalle sue risposte di ciò che subisce una persona abusata in età adolescenziale, ho sentito il dovere di chiudere il cerchio. È questa la molla che mi ha portato a scrivere Golgota.

Nel libro c’è la presenza costante di due protagonisti. Il sacerdote violentatore e la sua preda. Con entrambi tu instauri un rapporto che li porta a raccontare e a raccontarsi. Ciò che trasuda dalle tue pagine è l’enorme differenza di spessore emotivo tra queste due persone. Da un lato un calcolatore che tenta di costruire un personaggio dalle sembianze umane con i suoi limiti e le sue (presunte) virtù, risultando invece gelidamente anaffettivo. Dall’altro la dignità, l’indignazione, la sofferenza, la rabbia di un uomo vittima di un crimine paragonato dagli specialisti all’omicidio.

È agghiacciante, in effetti, la differenza. Secondo me dipende proprio dal vissuto diverso delle due figure. Io sono rimasto colpito dalla serialità che caratterizza questi crimini. A un certo punto racconto la storia di un prete brasiliano che nel suo computer aveva memorizzato il “decalogo del pedofilo”. In dieci punti spiega dove individuare la preda, come avvicinarla, in che modo ammaliarla. Non dico che tutti i pedofili siano così, ma penso che anche in colui che non arriva a darsi delle “regole” scritte c’è comunque una serialità, un’abitudine, una “serenità” nei comportamenti. Questa stessa freddezza l’ho riscontrata nel prete intervistato in Golgota. E poi c’è la sua vittima. Che per anni ha tenuto dentro di sé la paura, la vergogna, il silenzio. Quando tutto ciò esplode, il dramma si percepisce a pelle nell’uso delle parole, nel timbro della voce, nelle pause. L’aguzzino invece rimane calmo, con la sua voce piatta come se nulla di particolare fosse successo. Arrivando praticamente a sostenere – tipico dei violentatori – che l’ha fatto per compiacere il bambino.

Golgota offre anche una dettagliata ricostruzione dei dolorosi fatti di cronaca degli ultimi anni. Un periodo che ha segnato profondamente l’immagine della Chiesa cattolica nel mondo, costretta a prendere atto dell’inadeguatezza delle proprie norme a prevenire gli abusi e dell’atteggiamento omertoso dei propri gerarchi. Nel recente simposio internazionale per vescovi e segretari generali “Verso la guarigione e il rinnovamento” (citato anche da Abbate), organizzato dalla Santa Sede all’Università Gregoriana di Roma, il promotore di Giustizia, Charles Scicluna, ha ammesso senza mezzi termini l’esistenza di un «problema culturale» in seno alla Chiesa. Problema che però sembra non essere percepito come tale in tutti gli ambienti ecclesiastici, istituzionali e mediatici, specie quelli italiani. Chi scrive era uno dei 4-5 giornalisti italiani presenti al simposio in mezzo a decine di colleghi stranieri, e si è sentito rispondere dal responsabile della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, che qui da noi «non ci sono i presupposti» per istituire una commissione d’indagine indipendente da parte della Conferenza episcopale. Lombardi intendeva dire che «non c’è un numero tale di episodi» da giustificare inchieste sulla scia di quelle che in Belgio, Irlanda, Stati Uniti e Germania hanno consentito di portare alla luce un fenomeno devastante, dando la forza a migliaia di vittime di denunciare la propria condizione. Come in altri ambiti, anche nella lotta alla pedofilia clericale il nostro Paese è in grave ritardo. Qual è il tuo parere?

Le statistiche dicono che in Italia i casi di abusi sono stati ottanta in dieci anni. Ma chi ci crede? In nessun altro Paese risiedono tanti sacerdoti come da noi. Questo dà l’idea di quale sia l’atteggiamento della Conferenza episcopale italiana (Cei) riguardo questo fenomeno. Continua a far finta che nel mondo in questi dieci anni non sia accaduto nulla. Io penso che però non sia solo una responsabilità dei vescovi. L’assenza di reazione politica che accomuna i due grandi schieramenti, e soprattutto di copertura mediatica, impensabile altrove, è un fatto tutto italiano. Di fronte a Golgota è stato innalzato un muro di silenzio, come a dire che il libro non esiste. Cioè il problema della pedofilia clericale in Italia non esiste. Lo stesso mi era capitato con Sex and the Vatican. I media nazionali lo hanno ignorato. Di certe cose qui da noi non se ne deve parlare. Questo libro uscì contemporaneamente in Francia e ho partecipato a trasmissioni in prima serata in chiaro su Canal plus, oppure a Radio France dove ho potuto parlare del dramma delle suore abusate. Ero sgomento di fronte alla differenza di atteggiamento tra i mass media italiani e quelli francesi. L’agenzia France press chiese un commento alla Cei sull’uscita di Sex and the Vatican. La risposta fu: “Nessun commento, non intendiamo fare pubblicità a quel libro”. Ecco, questa è la linea editoriale seguita dalla stampa italiana.

La storia della Chiesa cattolica è costellata di abusi sui bambini e gli adolescenti. Lo storico Eric Frattini documenta 17 papi pedofili tra il IV e il XVI secolo. Poi con l’Inquisizione si gettano le basi del sistema legislativo e giudiziario che favoriscono l’omertà e l’insabbiamento dei casi. Un sistema al quale si sono adeguati nell’era moderna Pio XI e Giovanni XXIII, quando firmano rispettivamente nel 1922 e nel 1962 due versioni del Crimen sollicitationis, e Paolo VI. Ma è con Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede durante tutto il suo pontificato, che “la cultura del silenzio” si è radicalizzata. Non a caso porta la firma dell’attuale papa (e del segretario Tarcisio Bertone) il De delicti gravioribus del 2001 con cui si rinnova l’esortazione del Crimen al silenzio sui crimini pedofili. Oggi il Vaticano vorrebbe farci credere che Ratzinger e Benedetto XVI non sono la stessa persona, accusando i media (stranieri) di alimentare una campagna denigratoria nei suoi confronti. Tu dedichi Golgota a Benedetto XVI, come mai?

Morale “sessuale”, coppie di fatto, omosessualità. Quando ho finito di scrivere Sex and the Vatican il mio giudizio nei confronti della Chiesa di Joseph Ratzinger era del tutto negativo. Lavorando a Golgota mi sono reso conto che per quanto riguarda lo specifico tema degli abusi, con le sue prese di posizione, il suo coraggio, il suo pubblico rincrescimento, l’incontro con le vittime e la manifesta vergogna, Benedetto XVI ha scelto un vero e proprio cambio di passo rispetto al Papa che lo ha preceduto. Questo gli va dato atto.

Nessuno però ha mai chiesto ai diretti interessati – le vittime, i “sopravvissuti” – cosa ne pensano delle scuse di Benedetto XVI.

Per carità, di fronte a certi drammi ci vuole ben altro che porgere delle scuse. Si può discutere quanto queste siano genuine e spontanee e quanto dietro invece ci sia una necessità “politica” dettata dalla difficile fase storica che sta vivendo la Chiesa, per cui non si può più sottrarre dal prendere una posizione pubblica su questo fenomeno. Però non si può non riconoscere a Ratzinger la svolta rispetto a Wojtyla. In Golgota metto in fila tutte le sue iniziative contro la pedofilia. Il paradosso qual è? Benedetto XVI viene individuato dall’opinione pubblica mondiale come capro espiatorio. Mentre Giovanni Paolo II, sebbene sia quello che più di tutti ha messo la polvere sotto il tappeto, viene beatificato e osannato. Anche così si spiega la mia dedica. Se il fine ultimo è il benessere di chi è stato abusato ed è fare in modo che altri abusi non se ne commettano, Benedetto XVI rappresenta una fiammella di speranza che va alimentata, protetta e legittimata. La strada da seguire è questa e secondo me non va ricacciata nell’oscurità.

Sinossi:
Sono passati quasi trent’anni da quando il primo caso di pedofilia viene segnalato al Papa. Da allora si contano ufficialmente quattromilacinquecento casi nella Chiesa degli Stati Uniti, con oltre due miliardi e mezzo di dollari di risarcimenti pagati. Millesettecento preti accusati di abusi in Brasile. Mille in Irlanda, chiamati a rispondere di trentamila casi. Centodieci sacerdoti condannati in Australia. In Italia si parla di ottanta casi e trecento vittime: quelli rimasti riservati o nascosti sono certo molti di più, ma la Conferenza episcopale italiana non ha mai comunicato dati ufficiali. L’elenco delle Chiese travolte dallo scandalo della pedofilia copre i cinque continenti. Nel corso dell’ultimo decennio i casi di abusi sessuali compiuti da ecclesiastici su minori sono «in drammatico aumento», ha recentemente dichiarato il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio. Ma se si comincia finalmente a prendere coscienza della dimensione del fenomeno, si fatica enormemente a riconoscerne la natura e le cause. Sono solo alcuni dei numeri di Golgota. Ma il lavoro di Carmelo Abbate è tutt’altro che un elenco di numeri. È una rete di incontri: da Roma a New York, da Berlino a Parigi, dall’America Latina all’Africa. Di confessioni inquietanti. Di testimonianze. Di scontri. Rivelazioni sconcertanti. Documenti esclusivi. È, soprattutto, una solida indagine da undercover reporter. Le denunce delle vittime. L’immobilismo delle gerarchie. Il teorema del silenzio. I soldi per pagarlo. I centri per il recupero dei preti pedofili. Le azioni giudiziarie. Il quadro psicologico. Il risultato è una sconvolgente inchiesta, un reportage inedito ed esplosivo.

Carmelo Abbate
Golgota. Viaggio segreto tra Chiesa e pedofilia
Piemme, 378 pagine, €17.50



http://www.cronachelaiche.it/2012/04/ch ... -italiano/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 14/04/2012, 18:11

http://www.vocidallastrada.com/2012/04/ ... enato.html

13 aprile 2012
LA MONSANTO HA AVVELENATO CONSAPEVOLMENTE PROVOCANDO DEVASTANTI DANNI ALLA CRESCITA

Secondo una notizia in via di diffusione appena rilasciata dall'agenzia stampa di un tribunale, la Monsanto viene portata in tribunale da decine di coltivatori di tabacco argentini che dicono che il gigante biotech li ha avvelenati consapevolmente con erbicidi e pesticidi e, come conseguenza, ha causato malformazioni alla nascita "devastanti" nei loro figli. Gli agricoltori stanno facendo causa non solo a Monsanto per conto dei loro figli, ma anche a molti giganti del tabacco. I difetti di nascita, che gli agricoltori dicono si sono verificati di conseguenza, sono molti e comprendono paralisi cerebrale, sindrome di Down, ritardo psicomotorio, dita mancanti, e cecità.
Di Anthony Gucciardi
Natural Society
Gli agricoltori provengono da piccole aziende agricole a gestione familiare nella Provincia di Misiones e vendono il loro tabacco a molti distributori degli Stati Uniti. Le famiglie di agricoltori dicono che aziende del tabacco importanti come la società Philip Morris hanno chiesto loro di usare erbicidi e pesticidi della Monsanto, assicurando loro che i prodotti erano sicuri. Gli agricoltori dichiarano nella loro denuncia che, affermando che le sostanze chimiche tossiche erano sicure, le imprese produttrici di tabacco hanno "ingiustamente causato l'esposizione dei genitori e querelanti per conto dei bambini a questi prodotti chimici e sostanze che loro sapevano, o avrebbero dovuto sapere, avrebbero potuto causare alla prole difetti di nascita devastanti".


La maggior parte degli agricoltori della zona hanno utilizzato il Roundup della Monsanto, un erbicida che ha come principio attivo il glifosato che si è dimostrato in grado di uccidere le cellule renali umane. E soprattutto, gli agricoltori dicono che le compagnie del tabacco hanno fatto pressione sugli agricoltori perchè usassero il Roundup della Monsanto, nonostante la mancanza di attrezzature di protezione. In altre parole, questi agricoltori, molti in gravi condizioni economiche - sono stati a diretto contatto con il Roundup in grandi concentrazioni, senza equipaggiamento protettivo (o anche esperienza o abilità nella manipolazione della sostanza). Tuttavia, gli agricoltori dicono che i giganti del tabacco hanno richiesto agli agricoltori in difficoltà di 'acquistare quantità eccessive di Roundup ed altri pesticidi'.

Ancora più scioccante, agli agricoltori è stato ordinato di sbarazzarsi degli avanzi di erbicidi e pesticidi in luoghi in cui vengono dilavati direttamente nella rete idrica. Poichè il Roundup della Monsanto è già noto per la contaminazione delle acque sotterranee, questa si presenta come una seria minaccia alle forniture d'acqua pura.
Gli agricoltori pongono fine alla loro denuncia esemplare con una spiegazione del perché le compagnie del tabacco hanno permesso che erbicidi e pesticidi della Monsanto venissero scaricati sulle piccole aziende familiari in quantità talmente grandi e acquistati in quantità eccessive. Nella loro denuncia, gli agricoltori dichiarano che le compagnie del tabacco sono state "motivate ​​da un desiderio di ingiustificato guadagno economico e profitto", senza alcun rispetto per i contadini e le loro bambine e bambini - molti dei quali sono ora affetti da gravi difetti alla nascita a causa dei prodotti della Monsanto.

Tradotto da Anna Moffa e pubblicato in I Lupi Di Einstein


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 18/04/2012, 13:17

http://www.globalist.it/Secure/Detail_N ... 15&typeb=0

Ordinò torture: l'ex ministro Straw nei guai

L'ex esponente libico di Al Qaeda, Belhaj, dopo aver fatto causa agli 007 inglesi, porta alla sbarra l'ex capo della diplomazia di sua Maestà britannica.


Abdel Hakim Belhaj, l'ex mujaheddin vicino ad Al Qaeda e oggi alto comandante libico, ha denunciato Jack Strawn, ex ministro degli Esteri britannico, per essere stato rapito e conseganto alle forze di Gheddafi nel 2004. Come già raccontato da Globalist, Belhaj ha già fatto causa al governo inglese e agli 007 di Sua maestà. Ora la sua azione si allarga a Straw. Gli avvocati che rappresentano Abdel Hakim Belhaj hanno confermato oggi di aver presentato le carte riguardanti la complicità di Straw nelle torture.

Straw è già di fronte alla prospettiva di essere interrogato dagli investigatori di Scotland Yard dopo l'annuncio, all'inizio dell'anno, da parte del Crown Prosecution Service di un'indagine penale aperta riguardo ai modi e al funzionamento dell'extraordinary rendition.

Belhaj e sua moglie sostengono che Straw è stato complice della "tortura, dei trattamenti inumani e degradanti, e delle aggressioni" che dicono sono stati perpetrati su di loro dagli agenti della Cia, così come dalle autorità libiche. Chiedono ora a Straw un risarcimento danni per il trauma subito.

Nei giorni scorsi Francesca Marretta aveva raccontato per Globalist come Londra sia pronta a a pagare un milione di sterline per convincere l'attuale capo del consiglio militare di Tripoli a non portare in tribunale l'Mi6, il servizio segreto esterno britannico.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 18/04/2012, 23:33

Israele: basta con le detenzioni amministrative!
Data di pubblicazione dell'appello: 18.04.2012
Status dell'appello: aperto

Immagine

Ahmad Qatamesh, professore universitario palestinese e commentatore di sinistra di questioni politiche e culturali palestinesi, è detenuto in carcere dalle autorità israeliane dal 21 aprile 2011. È un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver espresso pacificamente le sue convinzioni politiche non violente. Il suo arresto sembra inoltre essere finalizzato a fare pressione sugli attivisti politici palestinesi di sinistra. Ahmad sostiene di non appartenere ad alcun partito politico palestinese.

Ahmad Qatamesh è stato arrestato dalle forze di sicurezza israeliane il 21 aprile 2011, alle 02:00, a casa del fratello nel quartiere Al-Bireh di Ramallah, nei territori occupati della Cisgiordania. È stato condotto al centro di detenzione di Ofer, in Cisgiordania, e imprigionato dopo che un membro dell'Agenzia per sicurezza di Israele (Isa) lo aveva interrogato per circa 10 minuti e accusato di appartenere all'ufficio politico di un partito palestinese di sinistra che ha un braccio armato, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Pflp). Da allora sono stati emessi nei suoi confronti diversi ordini militari di detenzione amministrativa senza accuse né processi. Sebbene sia stato un sostenitore politico e intellettuale del Pflp negli anni Novanta, Ahmad Qatamesh sostiene di non avere rapporti con loro da oltre 13 anni.

Secondo le informazioni di Amnesty International, Ahmad Qatamesh non è mai stato affiliato al Pflp né ha mai invocato la violenza. Il suo ultimo lavoro era focalizzato sulla ricerca di soluzioni politiche per porre fine al violento conflitto tra israeliani e palestinesi, che definisce un "incubo".

Ahmad Qatamesh ha ricevuto un terzo ordine di detenzione amministrativa il 1° marzo 2012, il giorno in cui il secondo ordine scadeva. Durante la revisione giudiziaria del provvedimento, il 5 marzo 2012, il procuratore militare ha chiesto la conferma dell'ordine da parte del giudice militare.

Ahmad Qatamesh, insieme ad altre persone sottoposte a detenzione amministrativa nella prigione di Ofer in Cisgiordania, ha dichiarato di non riconoscere la legittimità dei tribunali militari e le procedure di detenzione amministrativa, e si è rifiutato di partecipare alle udienze giudiziarie. Dato che la revisione giudiziaria avviene normalmente in presenza del detenuto, l'accusa ha insistito che Ahmad Qatamesh fosse portato in un'aula il 5 marzo. Egli ha ribadito il suo rifiuto del processo da parte di un tribunale militare e ha fatto subito ritorno nella sua cella.

http://www.amnesty.it/stop_detenzioni_a ... ve_israele


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 25/04/2012, 15:13



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Oggi digressione sui diritti degli animali...

Messaggioda flaviomob il 27/04/2012, 12:33

http://www.cadoinpiedi.it/2012/04/26/se ... video.html

Seviziata e umiliata per dieci ore nella vetrina di un negozio londinese: davanti agli occhi inorriditi dei passanti e con indosso solo una tuta color carne, la 24enne Jacqueline Traide si è volontariamente sottoposta ad una lunghissima sequenza di test comunemente effettuati su animali nel campo dei prodotti cosmetici.

Alla ragazza, fra le altre cose costretta con la forza ad ingerire poltiglie con la bocca spalancata da un divaricatore, sono anche state iniettate sostanze irritanti negli occhi. Una dura dimostrazione, allestita nella vetrina di un negozio della catena Lush, specializzata in cosmetica non testata sugli animali.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 28/04/2012, 16:01

di Sergio Canzonieri

Ancora in carcere l’italiano arrestato a Hebron, Israele si appella alla sentenza

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È stato vinto l’appello contro il reimpatrio forzato di Marco, l’attivista italiano di 32 anni arrestato ad Hebron (al-Khalil). Ciò nonostante Israele ha deciso di appellarsi alla sentenza e il caso sarà portato davanti alla Corte Suprema domenica 29 aprile o nei giorni immediatamente successivi. Di seguito una breve cronologia dei fatti.L ’11 aprile Marco si trova a Hebron per partecipare alla conferenza internazionale sulla resistenza popolare nonviolenta. Sta facendo ritorno alla conferenza dopo la pausa pranzo quando la polizia israeliana con l’aiuto dell’esercito arresta lui ed altre 13 persone con l’accusa di partecipare ad una manifestazione non autorizzata. Come mostrano i video non c’è stata violenza da parte degli attivisti e non era in corso alcuna manifestazione.
Quattro di queste tredici persone, due palestinesi e due italiani, rimangono in carcere. Ai due italiani, Marco e Giorgio, viene dato il reimpatrio forzato senza alcun processo, la qual cosa è una brutta novità anche per il sistema giudiziario israeliano. Nel frattempo vengono entrambi spostati in un centro di detenzione per migranti in attesa di espulsione.
Marco decide di resistere all’espulsione affrontando la detenzione per potersi appellare contro il fatto che gli sia stato assegnato reimpatrio forzato e carcere senza un regolare processo. Martedì 17, dopo quasi una settimana di carcere (comunque senza alcun processo o formale accusa), Giorgio viene reimpatriato.
L’appello contro il reimpatrio di Marco ha luogo lunedì 23. Il giudice si riserva di decidere l’indomani, nel frattempo Marco viene trasferito nel carcere per i detenuti comuni di Givon. Martedì 24 il giudice non si presenta, e mercoledì 25 la sentenza afferma che l’appello è stato vinto da Marco. In tutto questo tempo, l’attivista per i diritti umani resta in carcere.
Nonostante sia stato vinto l’appello, le forze di occupazione si contro-appellano chiedendo l’intervento della corte suprema. Questo secondo processo dovrebbe avere luogo domenica 29 o nei giorni immediatamente successivi. Nel frattempo Marco resterà in carcere, pur non esistendo ancora alcuna accusa formale nei suoi confronti.

L’arresto e la tentata espulsione ai danni di Marco si inseriscono all’interno di un escalation ai danni degli attivisti in difesa dei diritti umani che si recano o manifestano l’intenzione di recarsi nei territori occupati palestinesi.

Il 15 aprile a 1200 attivisti internazionali dei 1500 della flytilla “Welcome to Palestine” è stato impedito di raggiungere la Cisgiordania.

Il 17 aprile nella Valle del Giordano un attivista danese è stato colpito al volto da un soldato israeliano con il fucile d’ordinanza, la mitraglietta M-13. L’attivista partecipava ad una manifestazione nonviolenta che consisteva in un tour in bicicletta.

La violazione dei diritti fondamentali e l’incarcerazione senza motivo dei palestinesi resta invece tragicamente costante. Martedì 17 aprile 1200 palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane sono entrati in sciopero della fame, il nome che hanno dato alla loro protesta è “we will live in dignity”, vivremo dignitosamente. Sono infatti più di 4700 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Tra questi nove donne e 190 minori (alcuni hanno 12 anni). Circa 322 prigionieri sono in detenzione amministrativa questo vuol dire che non è stato formalizzata contro di loro alcuna accusa. I prigionieri sono oggetto di tortura e non hanno diritto a ricevere visite dai familiari.



Tratto da: Ancora in carcere l’italiano arrestato a Hebron, Israele si appella alla sentenza | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1tLMEPC1N
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/04/2012, 13:39



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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda franz il 29/04/2012, 17:22

flaviomob ha scritto:Democracy?
Error 404: not found

http://www.notav.info/post/succede-a-ro ... enunciano/

Non è molto chiaro ma leggucchiando qualche articolo del codice di PS e l'articolo linkato semberebbe che ad una manifestazione istituzionale (e quella del 25 aprile lo è) ma secondo me in ogni manifestazione possono partecipare le bandiere ed i gonfaloni della associazioni che aderiscono (quindi quelle dei partigiani etc) ma non altre. Non so se questa è la legge e cosa ne pensiate ma se alla manifestazione della FIOM aderiscono i NoTav e sono invitati, le loro bandiere sventolano mentre ad una manifretazione a cui i Non Tav non hanno aderito o non sono stati invitati, se si vietano le loro bandiere siamo nel pieno legittimo diritto di chi ha organizzato la manifestazione.

Siamo in fatti in presenza di due diritti contrastanti: il primo è quello della ragazza, di manifestare con la sua bandiera, il secondo, quella degli organizzatori, di non vedere sventolare bandiere diverse dalle loro.

Nel conflitto prevale la volontà degloi organizzatori, cui va la responsabilità, insieme alla forze dell'ordine, per quello che succede. Se i NoTav vogliono sventolare le loro bandiere, si fanno la loro manifestazione, concordando l'evento con l'autorità di pubblica sicurezza. Se nella loro manifestazione non volessero veder sventolare bandiere "SiTav" avrebbero ragione ad impedirlo. Se le volessero, nessun problema.
A me sembra perfettamente legittimo e democratico :o
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/04/2012, 18:29

Perfettamente democratico. Lo Stato decide quale bandiera si può esporre e quale no. Mi sembra adeguato... alla Repubblica Democratica Tedesca! ;)


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