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Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda trilogy il 03/10/2011, 12:04

In Italia ormai abbiamo perso ogni capacità di progettare il nostro futuro. In tutti i settori
(sociale, economico, politico )siamo talmente concentrati sul passato, sulla tradizione, che non abbiamo più nulla da dire o da proporre sul futuro.

seguono spunti di riflessione.......+/- qualificati :mrgreen:

Economia
03/10/2011 - COLLOQUIO
"La crisi finirà solo quando cambieremo l'economia"
Jeremy Rifkin, economista e autore di numerosi saggi tradotti in italiano
Il nuovo libro di Rifkin:
la terza rivoluzione industriale?
È già iniziata
PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A NEW YORK
Bisogna cambiare, ora. Anche se non volessimo, la «Terza rivoluzione industriale» è già cominciata, e la crisi economica in corso dovrebbe solo convincerci ad affrettare il passo verso un nuovo paradigma per la nostra società. Un modello che richiede di abbandonare la dipendenza energetica dal petrolio, ma anche di mutare radicalmente i rapporti economici, la politica, l’ambiente, l’istruzione. Così scrive Jeremy Rifkin nel suo ultimo libro, intitolato appunto «The Third Industrial Revolution: How Lateral Power Is Transforming Energy, the Economy, and the World».

Durante un’intervista fatta ad agosto, ci aveva anticipato i contenuti con queste parole: «Verso la fine degli Anni Settanta è terminata la Prima rivoluzione industriale, nel senso che abbiamo smesso di vivere grazie alla ricchezza che producevamo. Siamo entrati nella Seconda rivoluzione industriale, in cui poco alla volta abbiamo bruciato i nostri risparmi e cominciato a vivere di debito». Questo ci ha esposto a crisi ricorrenti: «Ogni volta che c’è una recessione, facciamo sempre la stessa cosa: pompiamo soldi nel mercato e diciamo che vogliamo tagliare le spese. Ma la ripresa si alimenta spendendo, le nostre spese fanno crescere la domanda, i Paesi emergenti ne approfittano aumentando la produzione per moltiplicare l’offerta, e questo fa salire i costi delle materie prime come il petrolio. Di conseguenza tutti i prezzi aumentano, compresi quelli del cibo, e quindi ci ritroviamo in breve in una nuova situazione insostenibile, tornando a fare affidamento sul debito per soddisfare le nostre esigenze. Così non ne verremo mai fuori».

Quindi aveva concluso: «La crisi finirà solo quando cambieremo il nostro paradigma economico. Dobbiamo passare dalla Seconda rivoluzione industriale alla Terza, per smettere di consumare le ricchezze del passato e tornare a produrre liberando la nostra creatività». Ora il libro è in uscita, le anticipazioni circolano in rete, e si può leggere cosa intende.

Energia nuova
«La gestione dell’energia - scrive Rifkin - forma la natura della civiltà. Come è organizzata, come i frutti del commercio sono distribuiti, come viene esercitato il potere politico e le relazioni sociali. Il controllo di produzione e distribuzione dell’energia si sta spostando dalle gigantesche compagnie centralizzate basate sui combustibili fossili, a milioni di piccoli produttori che generano le loro energie rinnovabili e commerciano i surplus». «La nuova era porterà una riorganizzazione dei rapporti di potere a tutti i livelli. Mentre la Prima e la Seconda rivoluzione favorivano centralizzazione e verticalizzazione, con strutture organizzative che operavano nei mercati dall’alto in basso, la Terza si muove per vie laterali, preferendo i modelli di business collaborativi che funzionano meglio nei network. La "democratizzazione dell’energia" ha profonde implicazioni su come orchestriamo l’intera vita umana. Stiamo entrando nell’era del "capitalismo distribuito". Il rapporto da avversari tra venditore e compratore è sostituito dalla relazione collaborativa fra fornitore e utilizzatore».
Nuovi modelli
«Il capitalismo distribuito introduce modelli nuovi, inclusa la stampa tridimensionale nel settore manifatturiero, e le imprese che condividono i risparmi di scala nel campo dei servizi, capaci di ridurre enormemente i capitali, l’energia e i costi del lavoro, incrementando la produttività».

La politica
«La Terza rivoluzione cambia il business, ma anche la politica. C’è un nuovo atteggiamento mentale nelle generazioni di leader socializzati via Internet. La loro politica non riguarda più lo scontro fra destra e sinistra, ma tra il modello autoritario e centralizzato e quello distribuito e collaborativo». «Mentre Prima e Seconda rivoluzione erano accompagnate dalle economie nazionali e dalla governance della nazione-stato, la Terza, essendo distributiva e collaborativa per natura, progredisce lateralmente e favorisce le economie e le unioni governative continentali».

Geopolitica e biosfera
«L’era intercontinentale trasformerà le relazioni internazionali dalla geopolitica alla politica della biosfera. Nella Prima e Seconda rivoluzione, la Terra era concepita in maniera meccanica e utilitaristica. Era vista come contenitore di risorse utili, pronte per essere appropriate a fini economici, e gli stati nazione erano formati per competere e assicurarsi il loro controllo. Il passaggio verso le energie rinnovabili ridefinirà la nozione delle relazioni internazionali lungo le linee del pensiero ecologico... La biosfera ci porta da una visione coloniale della natura, come nemico da saccheggiare e schiavizzare, a una nuova visione della natura come comunità condivisa da proteggere. Il valore utilitaristico della natura sta facendo spazio al suo valore intrinseco. Questo è il significato profondo dello sviluppo sostenibile».

Addio Adam Smith
«Sui mercati, i vuoti scambi di proprietà sono stati parzialmente rovesciati dall’accesso condiviso ai servizi commerciali nei network open-source. Gran parte dell’economia, come viene insegnata oggi, è sempre più irrilevante per spiegare il passato, capire il presente e prevedere il futuro».

L’istruzione
«Preparare la forza lavoro e la cittadinanza per la nuova società richiederà di ripensare i modelli tradizionali di istruzione, con la loro enfasi sul rigido insegnamento e la memorizzazione dei fatti. Nella nuova era globalmente connessa la missione primaria dell’istruzione sarà preparare gli studenti a pensare e agire come parte di una biosfera condivisa. L’approccio dominante dell’insegnamento dall’alto al basso, che ha l’obiettivo di creare un essere competitivo e autonomo, sta dando spazio ad una istruzione "distribuita e collaborativa". L’intelligenza non è qualcosa che si eredita o una risorsa da accumulare, ma piuttosto un’esperienza comune distribuita tra le persone».

La nuova qualità della vita
«La Terza rivoluzione cambia il nostro senso della relazione e la responsabilità verso gli altri esseri umani. Condividere le energie rinnovabili della Terra crea una nuova identità della specie. Questa coscienza di interconnettività sta facendo nascere un nuovo sogno di "qualità della vita", soprattutto tra i giovani. Il sogno americano si colloca nella tradizione illuministica, con la sua enfasi nella ricerca del proprio interesse materiale. Qualità della vita, però, parla di una nuova visione del futuro, basata su interesse collaborativo, connettività e interdipendenza. La vera libertà non sta nell’essere slegato dagli altri, ma in profonda partecipazione con essi. Se la libertà è l’ottimizzazione di una vita, essa si misura con la ricchezza e la diversità delle esperienze di ciascuno, e la forza dei suoi legami sociali. Una vita vissuta meno di così è un’esistenza impoverita».

link: http://www3.lastampa.it/economia/sezion ... tp/423032/

Bossi:
[..]«Se gli imprenditori stanno gridando, troppo secondo me, è perché anche loro qualche difetto ce l'hanno, non c'è più nessuno che è capace di inventare un lavoro». Bossi ha commentato le critiche di Confindustria e di alcuni imprenditori, come Diego Della Valle, all'operato del governo. «Non li vedo tanto capaci di progettare un futuro - ha aggiunto -. Possono parlare, ma se tutto quello che chiedono sono i vantaggi dello Stato, rischiamo di diventare come il sud: chi vive di vantaggi, di aiuto dello Stato, non va molto distante». «Oggi quel che vedo è che certo un po' di tasse in meno farebbe bene alle imprese, ma anche un p0' di idee in più, un po' di capacità in più a investire nel futuro in nuovo lavoro non farebbe male», ha proseguito. «Inutile che dicano "colpa della politica", è colpa di tutti: è colpa di quelli che avevano in mano il volante e non hanno saputo guidare, sennò è troppo semplice dire che è colpa di Berlusconi: quello avrà le sue colpe, ma non è che quando piove è sempre colpa di Berlusconi».[..]
Link: http://www.corriere.it/politica/11_otto ... 417b.shtml


Un Esempio, la Finlandia: Il comitato per il futuro del Parlamento Finlandese:

http://web.eduskunta.fi/Resource.phx/pa ... future.htx
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda franz il 03/10/2011, 12:09

Bossi si' che è stato capace di inventarsi un lavoro ... ;)

Molto interessante l'osservazione che la politica "non riguarda più lo scontro fra destra e sinistra, ma tra il modello autoritario e centralizzato e quello distribuito e collaborativo».

Sull'addio ad Adamo Smith pero' mi pare che Rifkin il libro lo venda, non lo condivida ... :o
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda cardif il 03/10/2011, 13:04

Anche a causa della precarizzazione del lavoro si è avuto un calo delle famiglie con figli:
http://www.repubblica.it/2007/05/sezion ... iglia.html
Il progetto per il futuro che questo governo sta attuando con le sue scelte sul (non) sostegno alle famiglie è quello di una società sempre più bisognosa di stranieri. E Bossi lo sostiene.
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda franz il 03/10/2011, 14:03

cardif ha scritto:Anche a causa della precarizzazione del lavoro si è avuto un calo delle famiglie con figli

Il calo delle nascite è iniziato a metà degli anni 70, quando il termine precarizzazione non era ancora entrato nel vocabolario politico. Il calo si è arrestato ciorca 20 anni fa ed ora il numero di figli è costante, anno dopo anno. Per sincerarsene basta cercare una qualsiasi piramide dell'ètà, presente in rete.
http://it.wikipedia.org/wiki/Demografia_d%27Italia
Chiaro che la precarizzazione, dovuta all'eccessivo peso della previdenza e lo stapotere politico degli anziani (gerontocrazia) si è aggravata e viene pagata soprattutto dai giovani che devono farsi una famiglia.
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda cardif il 03/10/2011, 17:50

Nell'articolo di cui ho riportato l'indirizzo c'è scritto:
"Poche nascite, ma le donne italiane vorrebbero più figli. E' il dato che mette sotto accusa la politica e le non-scelte nelle politiche sociali. Le nascite sono leggermente aumentate negli ultimi tre anni (da 1,22 a 1,31) ma è tutto merito delle donne immigrate per cui la natalità negli ultimi dieci anni è passata dal 6 al 10 per cento."

Sarà vero? ;)
ciao, cardif
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda franz il 03/10/2011, 20:44

cardif ha scritto:Sarà vero? ;)
ciao, cardif

Lo ritengo probabile, verosimile. Ma non ho dati di supporto e quindi non posso oggettivamente confermare.
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Jobs la capacità di progettare il futuro l'aveva.

Messaggioda trilogy il 06/10/2011, 16:51

APPLE
Jobs, la vita nel futuro di un'icona dell'era digitale
Fondatore di Apple, ha saputo trovare la sintesi tra tecnologia e cultura pop, avvicinando la figura del "Ceo" aziendale a quella di una rockstar. Con una serie di innovazioni che hanno definito una visione, cambiato l'industria e modificato profondamente la vita delle persone, dal Mac all'iPad

di TIZIANO TONIUTTI

Jobs, la vita nel futuro di un'icona dell'era digitale Steve Jobs con un iPad

CUPERTINO - Anche per chi non ha a che fare con la tecnologia e i computer, il nome di Steve Jobs ha un significato. Per chiunque, è difficile non essersi imbattuti almeno una volta in uno dei prodotti della sua azienda, o in una delle tante copie più o meno riuscite. Il nome di Jobs spicca tra quello dei pionieri dell'era digitale ed è tra i protagonisti assoluti dell'industria contemporanea, e quindi dell'economia del nuovo millennio.

Le origini. Steven Paul Jobs nasce a San Francisco, il 24 febbraio del 1955, da madre americana e padre siriano, ma fu subito dato in adozione a Paul Jobs e alla moglie Clara. Dopo il diploma a Cupertino nel 72, Steve si iscrisse al college, da cui sarebbe uscito solo pochi mesi dopo. Nel 74 Jobs arriva all'Atari di Nolan Bushnell, un altro "big name" nella storia della tecnologia. E ci arriva insieme ad un amico che da lì a poco sarebbe diventato un socio importante, Steve Wozniak. Insieme lavorano sulla scheda logica di Breakout, il famoso videogioco della pallina che abbatte un muro sovrastante, respinta da una racchetta. Ma il rapporto con l'Atari dura poco, e nel 1976 è già tempo per i due Steve di fondare la Apple Computer. Dopo un anno arriva il primo prodotto, l'Apple II, con cui la startup raggiunge il primo milione di dollari e poco dopo, grazie al successo di altre versioni di quella piattaforma, l'azienda si quota in borsa.

Lisa e Mac. Siamo già negli anni 80 quando Apple, viste le ricerche e i risultati di Xerox nello sviluppo di interfacce utente basate sul sistema Wimp (Windows, Icons, Mouse, Pointer, finestre, icone, mouse e freccina), decide di investire in un prodotto informatico di massa nelle intenzioni rivoluzionario: addio tastiera e comandi scritti, ecco il mouse, menu e puntatori. Il primo risultato si chiama Apple Lisa, è un buon prodotto e ancora oggi ambito dai collezionisti. Ma non è un successo commerciale, al contrario del prodotto che ne erediterà l'impostazione, il Macintosh. Un'idea prima che un prodotto, con il focus dell'esperienza utente puntato sui documenti, e non sulle applicazioni, anticipando il "this changes everything", lo slogan "questo cambia tutto" che Jobs l'innovatore sottoscriverà più avanti negli anni. E' il 1984 e il successo del Mac, che si vende bene anche grazie a interessanti opzioni di valutazione del Lisa più una piccola somma, mette il sale sulla coda a tutta l'industria. Tutti propongono sistemi con mouse e icone, Atari, Acorn, Commodore. E anche Microsoft, che nell'85 lancerà la prima versione di Windows, inguardabile, ma l'azienda di Redmond avrà tempo per riparare, e diventare il primo produttore di sistemi operativi "Wimp" del pianeta. Il Mac esce dalla nicchia, un momento che coincide con il successo personale di Jobs, ma dopo un periodo di boom, lo scenario per Steve cambia. Wozniak abbandona la Apple e John Sculley, amministratore delegato dell'azienda, allontana lo stesso Jobs a causa del progressivo calareo delle vendite del Macintosh, dovuto secondo l'ad all'interesse di Jobs per altri progetti che lo portano a trascurare il prodotto di punta di Apple.

Fuori dalla mela. Il mondo è avviato verso la sua prima rivoluzione tecnologica, e per il giovane Steve Jobs offre più di un'opportunità. La prima mela fuori da Apple che Steve decide di cogliere si chiama NeXT, una nuova azienda che Steve fonda con l'intento di creare computer di alto livello per applicazioni professionali. Il momento è ancora magico per l'hardware, ma l'universo dei Pc sta iniziando la sua espansione, che una decina d'anni più tardi diventerà totale, in ogni settore dell'informatica di consumo. I pc compatibili costano molto meno delle workstation NeXT, e possono disporre di molto più software. E quella della nuova generazione di computer del mago Steve è un'avventura che dura poco, anche se lascerà un segno rilevante, e servirà a Jobs per capire cosa mettere e cosa togliere nei prodotti. I computer NeXT montano lettori ottici e Cd-Rom in un momento in cui il mondo utilizza ancora i floppy disk da 5 pollici, e l'azienda, nonostante il flop, verrà rilevata da Apple nel1996, per oltre quattrocentotrenta milioni di dollari, tra contanti e azioni. Una mossa che anticiperà la nascita di MacOs X, il sistema operativo degli attuali Macintosh, basato sull'Os NeXTSTEP. E soprattutto, il ritorno di Steve Jobs alla Apple, due anni più tardi.
Ma prima di tornare nella Mela, che intanto sforna prodotti di livello ma decisamente di nicchia, Jobs si dedica a tutt'altro. Nel 1986 acquista dalla Luscasfilms la Pixar, un'azienda di produzione specializzata in animazione digitale. Lo sguardo lungimirante di Jobs individua in tempo una realtà produttiva che in una decade rivoluzionerà il cinema, introducendo il cartoon elettronico, e sbancando ai botteghini con Toy Story nel 1995 e poi con altri successi come A Bug's Life, Alla ricerca di Nemo e Ratatouille.

Il ritorno alla Apple. Intanto per l'azienda della mela multicolore - così era il logo Apple negli anni 90 - gli affari non vanno un granché. Il Macintosh è un buon sistema professionale, utilizzato in ambiti editoriali e multimediali, ma non è una macchina di massa nonostante il programma di licenze: Apple aveva pensato di ripercorrere il successo dei Pc, permettendo a chiunque lo volesse di produrre cloni del Macintosh. L'antesignano dell'iPhone, il Newton, è un clamoroso flop, mentre nel 1996, la prima uscita di Apple nel mondo dei videogiochi con la console Pippin è tutto meno che un successo. E soprattutto, il sistema operativo del Mac non è al passo coi tempi, e con le architetture tecnologiche contemporanee.

Il rientro di Jobs avviene con l'acquisto della NeXT, e in poco tempo Steve riacquista il controllo della società, dopo un periodo di trascorso come consigliere personale del presidente di allora, Gil Amelio. Nella visione di Jobs, l'ambiente di sviluppo ad oggetti su cui si basavano i sistemi NeXT avrebbe dovuto diventare la base del nuovo sistema operativo del Mac. Ma mentre pensava all'interno, Jobs riprogettava il concetto stesso di computer personale, la "mission" di Apple nel mondo che si andava informatizzando a velocità di curvatura. E tagliava, tagliava, tagliava. Via il Newton, via i Mac su licenza. Il futuro da lì a poco si sarebbe chiamato MacOsX e poi Intel, ma intanto c'è da capire cosa fare con MacOs 9 e l'architettura PowerPc di Motorola. Nel 1999 arrivano allora i nuovi iMac, i primi computer colorati.
E' la rinascita di Apple, un boom commerciale incontenibile, il primo vero successo di mercato da lungo tempo. Ma soprattutto è il successo di un'idea: incorporare il design nelle categorie dell'hi-tech. L'iMac colorato è la dimostrazione, secondo Jobs, che la tecnologia può essere piacevole ai sensi. Questa ridefinizione delle basi sarà una delle chiavi del successo dell'azienda negli anni a seguire. Sulla scia degli iMac, buoni riscontri anche per i Mac di fascia alta, i G3 blu, i G4 grafite, e i G5 che inaugurano lo chassis metallico perforato che ancora oggi è, aggiornato, quello dei MacPro. Ma l'iMac significa anche per la prima volta nella storia di Apple, la conquista del mercato di massa. La mela-logo dell'azienda diventa monocromatica, ma i colori arrivano sulle scrivanie degli utenti. E i conti in banca dell'azienda virano nuovamente sul verde intenso.

L'ultima decennio. Gil Amelio non è più al vertice di Apple dal 1997, e sono già tre anni che Steve Jobs è tornato al comando. Il 2001 sarà l'anno di MacOs X, il sistema operativo che anima i Mac fino ai giorni nostri - è da poco stata rilasciata la nuova versione, 10.7 Lion - ma anche e soprattutto della nuova icona pop di Apple: l'iPod. All'inizio, un semplice riproduttore di musica digitale, dalle forme simili al primo Macintosh, solo tascabile. In realtà, un oggetto che apre una nuova era per l'industria musicale, quella della distribuzione via internet. Una transizione dal mondo fisico a quello impalpabile del digitale, di cui Jobs è tra i pionieri, con l'obbiettivo finale della trasformazione completa. L'iPod, iTunes e i nuovi modelli distributivi sono il meteorite che sconvolge la discografia e la obbliga ad evolvere o estinguersi. Accadranno entrambe le cose, ma intanto iPod negli anni diventa il player più venduto del mondo, così come iTunes un negozio elettronico che vende miliardi e miliardi di canzoni. Nel cui catalogo, nel 2010, finiscono anche i Beatles, dopo anni di incontri e scontri tra la Apple Computer di Jobs e la Apple Records, l'etichetta dei Fab Four. Il successo di iPod è travolgente e modifica l'essenza stessa di Apple. L'azienda guadagna e fa paura ai concorrenti. Ma nel 2003 a Steve Jobs viene diagnosticata una rara forma di cancro al pancreas, si opera e l'intervento va a buon fine. Il 2004 è un anno di recupero, e fino al 2006 i prodotti Apple sono evoluzioni di altri già introdotti. Arrivano Macbook e Mac Mini, ma la nuova pietra miliare nel calendario arriverà l'anno successivo.

L'intuizione iPhone. Nel 2007, la mela bianca non è più un'azienda che produce solo computer, e cambia ragione sociale in Apple Inc. Negli 'anni zero', il Macintosh ha cambiato più volte pelle, si chiama solo Mac e al suo interno non batte più un cuore Motorola, ma Intel. L'iPod è diventato un simbolo generazionale e però manca ancora qualcosa. Qualcosa che arriverà nel giugno di quell'anno e che si chiama iPhone, l'ingresso inatteso e sorprendente di Apple nel mondo dei cellulari. Che d'improvviso appaiono tutti antichi di fronte ad un oggetto a forma di piccolo monolite, completamente privo di tasti sul frontale eccetto uno, multifunzionale. E dotato di touch-screen multitocco, capacità multimediali e navigazione web. E naturalmente, di una funzione iPod. In neanche un anno, il primo iPhone nonostante il prezzo non leggero, vende qualcosa come quattro milioni di pezzi. Ne seguiranno versioni più potenti e, in termini di mercato, molto più voraci. I big della telefonia mobile entrano in crisi di fronte ad un prodotto che fa di tutto e in modo intuitivo, grazie all'interfaccia multitocco di iOs. I produttori di console per videogiochi portatili accusano il colpo, mentre iPhone e iPod divorano fette di mercato riservate da sempre ad altri blasoni del digitale.

Nel 2009, Steve Jobs ha nuovamente problemi di salute, tali da doversi assentare a lungo da Apple. Al suo posto andrà Tim Cook, e questa volta Jobs subirà un trapianto di fegato, donato da un ragazzo di venti anni morto in un incidente d'auto. Un'evenienza che farà dire a Jobs, in un keynote successivo al periodo di recupero, che "tutti dovrebbero diventare donatori di organi".

E mentre iPhone vende milioni di unità, al quartier generale di Apple a Cupertino si pensa già alla data del 27 gennaio 2010. Quella in cui verrà presentato l'iPad, il nuovo arrivato nella famiglia dei dispositivi iOs. Quando Jobs arriva sul palco il giorno del lancio, cita Mark Twain con la frase "Le indiscrezioni riguardo la mia morte sono decisamente esagerate". E poi mostra al mondo un tablet con schermo a colori multitouch e capacità elaborative interessanti, che di fatto crea una nuova categoria di prodotti di consumo. Oltre a generare isterie collettive negli Apple Store di tutto il mondo. La tavoletta magica è un successo immediato, si vende a milioni e porta in dote migliaia di applicazioni a pagamento, che portano i numeri dell'App Store, il negozio di software per iPhone e iPad, a cifre stellari. Il Financial Times nomina Jobs uomo dell'anno. Ma Il 17 gennaio del 2011, Steve annuncia per la seconda volta 1 la necessità di assentarsi per problemi di salute. Indiscrezioni e foto rubate gli danno poche settimane di vita. Ma ancora una volta, alla presentazione del nuovo iPad 2, il 2 marzo 2011, Steve Jobs stupisce il mondo e i mercati, presentandosi personalmente con la nuova versione del tablet in mano. Stavolta nessuna citazione famosa, nessuna battuta. Della salute non si parla.

Se ne parlerà però il 25 agosto dello stesso anno, in cui Steve scrive una lettera all'azienda 2, rimbalzata in un istante in tutto il mondo. "Sfortunatamente è arrivato il giorno in cui non posso più far fronte ai miei impegni", scrive Jobs. Un commiato essenziale, per una delle menti più visionarie e innovative dell'era contemporanea. Quella di un uomo la cui opera di creazione, sintesi e comunicazione ha contribuito a formare e far evolvere una parte dei pensieri, dei linguaggi e degli strumenti che sognavamo ieri e usiamo oggi per creare un domani. E che ha arricchito la nostra identità umana di possibilità digitali.

(06 ottobre 2011)
da: http://www.repubblica.it/tecnologia/201 ... 2775724-11
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda franz il 06/10/2011, 17:20

Interessante l'accostamento tra due visionari. Rifkin e Jobs.
Il primo dice che bisogna cambiare l'economia, paradigma, modello. Come se fossero cose che si fanno o studiano a tavolino. 8-)
Il secondo lo ha fatto concretamente, come Bill Gates, costruendo oggetti, piattaforme, rivoluzionando l'era della comunicazione.
Insieme ovviamente ad altri, come, Intel, Motorola, perché senza hardware e ricerca scientifica non esiste software che tenga.
Il tutto pero' in un modo imprevedibile, perché chi ha costruito i primi PC, chi ha sviluppato la rete Internet o i moderni sistemi di telefonia mobile (che sono computer centinaia di volte piu' potenti dei primi pc fatti da IBM e Apple) non sapeva cosa sarebbe successo.

Cosa significa allora progettare il futuro?
In termini ideologici, nulla, se non una bella frase, buona per la stampa o un convegno.
In termini pratici, concreti, tutto. Perché chiunque "sappia fare" puo' in qualche modo cambiare il futuro; chi delle prsone che gli stanno vicino, chi (piu' geniale) di milioni e miliardi di persone. Senza espressamente volerlo fare.
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda trilogy il 06/10/2011, 18:01

franz ha scritto:Cosa significa allora progettare il futuro?


Secondo me la capacità di progettare il futuro è immaginare un mondo diverso da quello attuale, e possibilmente migliore.
I prodotti, i servizi, le norme ecc. vengono dopo. Sono solo lo strumento pratico per rendere concreto uno scenario immaginario.
Quando alla Sony crearono il walkman imaginavano un mondo dove si potesse ascoltare la musica ovunque;
quando all'Olivetti lanciarono il programma 101 pensavano ad un calcolatore piccolo, facile da usare, poco costoso in grado di memorizzare le informazioni. Eravamo negli anni 60 quando l'unica alternativa erano i giganteschi calcolatori dell'IBM. La 101 fu un prodotto straordinario per l'epoca, il nonno dei personal computer.
Così Rifkin, quando ha cominciato a sostenere l'idea di una produzione di elettricità distribuita, ha fatto lo stesso passaggio che era stato fatto in precedenza per i computers.
Jobs ha trasformato un prodotto freddo, da lavoro come il il PC in un oggetto di stile, trovo molto azzeccata una vignetta che ho visto oggi, che lo colloca in Paradiso tra Einstein e Charlie Chaplin.

[..] tra i fan della Mela, sento tanta passione. Una passione che è il riconoscimento del fatto che, attraverso il Mac, Jobs ha consentito ad ogni utente di liberare le proprie energie creative, creando uno strumento elegante, chiaro e pulito. Un ambiente - introdotto dal suono accogliente e caldo dell'avvio del computer - distante anni luce dal mondo articolato e barocco di Windows. Visibile nell'attenzione per tutti quei dettagli - design, interfaccia e poi gesti - che hanno creato un ambiente di vita confortevole, adatto a cullare i sogni. Perchè il 'think different' è tutto qui. Un claim che non diventa banale omologazione ma si trasforma in un invito a cercare ciascuno la propria strada, come ci racconta Jobs nella citata lectio magistralis a Stanford. Un invito a scoprire quell'incredibile libertà che sta oltre lo schermo, a due passi di mouse e, poi, a due passi di click.[..]
da: http://lorenzaparisi.nova100.ilsole24or ... -jobs.html
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Re: Abbiamo perso la capacità di progettare il futuro

Messaggioda franz il 06/10/2011, 23:24

trilogy ha scritto:Secondo me la capacità di progettare il futuro è immaginare un mondo diverso da quello attuale, e possibilmente migliore

Immaginare (scenari) e progettare (prodotti) sono due cose (due abilità) diverse.
la seconda è molto piu' dificile, perché passano alla stora solo quelli che hanno avuro succeso concreto.
Molti scenari immaginifici (interessanti) sono sfociati in grandi flop (prodotti).
Molti prodotti sono diventati "mitici" anche senza una particolare visione del futuro.
Solo si viveva nel posto giusto, nel momento giusto, avendo studiato nelle università giuste.
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