da pierodm il 09/10/2008, 16:05
Mi metto in tandem con Pagheca, e facciamo il tridente con Pinopic, accomunati soprattutto da un concetto fondamentale: lo stato socio-culturale dell'Italia è a livelli miserabili.
Se non si è d'accordo su questo, gli altri discorsi vanno tutti bene, più o meno.
Ovviamente, in un sistema politico "l'Italia" non significa "tutti gl'italiani" presi uno per uno, ma significa che è miserabile la cifra culturale, il senso civico, l'attenzione politica di una maggioranza consistente, ossia di una maggioranza tale da fare massa critica, da archetipo e sicuro riferimento per chi fa del marketing elettorale alla ricerca di un consenso relativamente facile.
Il fatto è che dichiare che l'Italia è un paese normale, o dichiarare - come sto facendo - che siamo in condizioni miserabili è ugualmente facile, sul piano della pura dichiarazione.
Sul piano politico ed elettorale però i due punti di vista non sono uguali.
Prendere atto, apertamente, che siamo in condizioni miserabili non paga, non è affatto facile: innanzi tutto si rischia di fare la figura "antidemocratica" di chi disprezza gli elettori, e poi si ha l'obbligo immediatamente conseguente di proporre una controffensiva adeguatamente drastica - col rischio di fare la figura di "radicali".
Sembra perciò molto più conveniente convincersi e dichiare che le cose non siano così tragiche, che ci sono tanti giovani che fanno volontariato, che nei giri elettorali "abbiamo incontrato tanta gente informata ed entusiasta", e meno male che ci viene risparmiato della Ferrari ammirata in tutto il mondo e di Gucci, Valentino e Dolce&Gabbana - ma qualcuno l'occhiolino lo strizza pure, un po' di sbieco.
Purtroppo, ci siamo abituati al degrado umano e culturale, e misuriamo lo stato delle cose in base alle nostre aspettative, diventate a mano a mano più limitate.
Io devo confessare che non mi capita più da molto tempo di conversare o di discutere, non solo di politica ma anche di vita civile, con la gente che incontro, salvo rare eccezioni: che il buon Vittorio ci creda o no, non si tratta di schifiltosità intellettuale, ma di una vera e propria incomunicabilità tra stati mentali che prescinde dal livello di "istruzione" e nella gran parte dei casi anche dallo schieramento strettamente politico.
E' sempre possibile schiamazzare e fare i tifosi, questo sì.
Su molti argomenti - possibili argomenti - mi sembra di essere tornato ai tempi in cui ero bambino o poco più, quando sul rapporto tra persone, sul come-va-il-mondo, sul ruolo delle donne, sulle gerarchie sociali, etc, era possibile solo lo scontro frontale tra generazioni, una graniticamente convinta di rappresentare l' "eterno buon senso antico", l'altra che tentava di ragionare su tutto senza paraocchi e con molti rischi di prendere cantonate, ma persuasa che anche le cantonate fanno parte del gioco. Da bambino o poco più ascoltavo e assistevo allo scontro, e ricordo che vedevo sulle facce dei "vecchi" chiusa ma sofferente, come di chi difende strenuamente un mondo con il sospetto di avere torto, anche se non del tutto.
Adesso invece assisto a questo ritorno - in alcuni casi una revanche - e vedo un'aria falsamente aperta, chiacchierina, ma livorosa e soprattutto orgogliosa delle propria ignoranza, del proprio semplicismo, del'accetta con la quale troncano discorsi complicatissimi, che farebbero tremare i polsi a Hegel e a Kant messi insieme.
A volte - spesso - ho l'impressione che ci sia in giro una specie di sollievo, come quello di chi è stato fuori a cena in giacca e cravatta, con le scarpe nuove che stringono, e non vede l'ora di tornare a casa per mettersi in mutande e ciavatte.
Solo così, per altro, si spiega il continuo tornare con astio sui cinquant'anni passati, nei quali sembra che si stati costretti a seguire con fatica e sacrificio idee "di sinistra", che in realtà erano soltanto un poco più civili, specialmente se messe in rapporto con l'italietta fascista e clericale da cui uscivamo.
Tutto questo, ovviamente, avviene sul background di un'informazione piallata e su un'ignoranza (analfabetismo di ritorno) di massa, in un paese che di suo era già nella situazione di non aver mai avuto una classe dirigente e "borghese" colta, che facesse da modello.
Esiste però una scappatoia, che possiamo chiamare il "trucco di Sisto V", il vecchietto che si presnetò in Conclave mezzo sgangherato e dimesso, e che poi, una volta eletto Papa, buttò via il mantello, si drizzò sulla schiena e fece un culo così a tutti, governando con piglio deciso e dando una bella botta alla vecchia Roma che aveva trovato.
Chi pensa che papa Sisto sia un po' troppo, va bene anche Giovanni XXIII, in apparenza bonaccione, ma che ha fatto fare alla Chiesa la svolta più importante del secolo, e forse non solo del secolo.
Esempi - non a caso tutti papalini - che non parlano di personaggi che non siano a loro modo figli dei tempi, o che si siano posti come "eretici", ma che semplicemente hanno usato il potere che avevano conquistato per attuare idee forti e profondi convincimenti, che erano però in qualche modo elitari e poco in linea con le idee prevalenti nel corpo della gerarchia, e certamente molto più avanti della cultura media prevalente nel "popolo".
Scendendo alle nostre piccole cose, non c'è dubbio che Veltroni abbia l'idea di voler fare il papa Giovanni, più che papa Sisto: il guaio è che in democrazia la parte dev'essere scelta prima e non dopo le elezioni, e che in questa Italia attuale la sorte non premia né Giovanni, né Sisto, ma favorisce assai di più un Pio IX, o magari un Alessandro VI Borgia.
Ite missa est.