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La PA verso il digitale: riforma epocale o il solito annuncio?
Mettere on line i servizi contribuisce a diminuire i costi della burocrazia
di Laura Rinaldi , pubblicato il 25 aprile 2011
“Il XXI secolo è il secolo digitale, così come il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore e il XX secolo dall’elettricità”. Così si legge nell’appello “Diamo all’Italia una strategia digitale” pubblicato lo scorso 31 gennaio sul sito agenda digitale e sul Corriere della Sera per sollecitare maggiore impegno ed attenzione su questi temi. La rivoluzione digitale, declinata nei suoi aspetti culturali, sociali ed economici, è davvero “una riforma epocale” in grado di migliorare qualità della vita, competitività e occupazione nel nostro Paese. Anche la Commissione Europea ha definito l’Agenda Digitale e prefigura una crescita dell’Unione grazie alla Internet economy ed alla diffusione dell’ICT (Information and Communication Technology ).
Se restringiamo il campo all’attività della Pubblica Amministrazione, certamente il passaggio ad una amministrazione digitale - c.d. e- Government - rappresenta oggi una nuova frontiera dagli orizzonti ampi e promettenti, anche più vasti della precedente fase della “aziendalizzazione”. Rendere disponibili on line il maggior numero di servizi rivolti al pubblico contribuisce a diminuire i costi della burocrazia ed è un elemento cardine nella riorganizzazione delle amministrazioni per aumentare la trasparenza e ridurre formalità e adempimenti per le imprese e per i cittadini.
Una rivoluzione tecnologica dunque, che dovrebbe vedere la pubblica amministrazione dell’intero Paese in primo piano per superare, da un lato, il divario digitale dei cittadini - nel 2010 i servizi e-Government sono stati usati solo dal 16% degli italiani, contro il 31% della media dell'Europa a 15 Paesi – e, dall’altro, la stessa pubblica amministrazione dovrebbe porsi come capofila per sviluppare le infrastrutture necessarie, in primis la banda larga nazionale e la banda ultralarga.
Qualcosa si sta facendo, seguendo la linea tracciata dal Piano e-Government 2012. Molto di più resta da fare, anche sul fronte degli investimenti statali necessari per le infrastrutture (di recente dirottati a beneficio della TV digitale). E’ vero, il nuovo Codice per l’Amministrazione Digitale (CAD) è da poco entrato in vigore. La pubblica amministrazione si dematerializza e detta i tempi per la sua digitalizzazione: entro i prossimi 18 mesi famiglie e imprese potranno colloquiare tramite rete informatica con le amministrazioni locali e centrali. Come sempre però non basta scrivere le riforme in una legge, ma è necessario seguirle molto da vicino da organi politici e dirigenti di ciascuna amministrazione. Molte “buone pratiche”, per fortuna, sono già sotto i nostri occhi. Si pensi, ad esempio, alla rivoluzione digitale compiuta dall’INPS nei propri servizi, oppure alla possibilità di aprire un'impresa direttamente via internet, inviando una singola comunicazione al "Registro delle Imprese"; registrare un contratto d’affitto on line con l’Agenzia delle Entrate o stampare da casa un certificato anagrafico.
In tema di giustizia, il processo potrebbe davvero diventare “più breve” grazie alle innovazioni digitali negli uffici dei tribunali già prospettate negli accordi siglati in diverse Regioni – (ad es. Piemonte, Toscana, Puglia) - con i ministri per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e il Ministero della Giustizia. Si cominciano così a sperimentare la digitalizzazione degli atti processuali, la trasmissione degli atti in via telematica e i pagamenti on line.
Sul fronte della “sanità digitale”, per fare qualche esempio, sta diventando realtà l’invio telematico dei certificati di malattia da parte del medico di base, mentre si va definendo il Fascicolo Sanitario Elettronico. Anche la scuola è coinvolta grazie alla possibilità di usare internet nelle comunicazioni scuola-famiglia .
Tutto bene dunque?
In realtà il lavoro è appena all’inizio. La vera sfida è come realizzare tutto questo “al di dentro” delle singole amministrazioni, perché le buone pratiche non rimangano isolate e perché il cittadino non si senta preso in giro dai soliti annunci di riforma. Al momento però la pubblica amministrazione sembra trovarsi nel mezzo di una stagione per molti versi ancora incompiuta: riforma Brunetta da un lato, ma anche blocco triennale delle retribuzioni, l’intesa con i sindacati che di fatto congela per 3 anni la possibilità di premiare davvero i migliori. E ancora, la spesa per la formazione dei pubblici dipendenti ridotta del 50% rispetto allo scorso anno.
Che fare allora?
Intanto l’Agenda digitale, con i suoi investimenti e i suoi piani di sviluppo dovrebbe entrare a pieno titolo nei programmi elettorali delle prossime elezioni amministrative, prima, e di quelle politiche, dopo. Non soltanto un generico accenno alla “innovazione”, ma la promessa di conseguire una vera semplificazione ed un concreto efficientamento della burocrazia attraverso la digitalizzazione dei servizi, pagamenti compresi, fra cittadini, imprese e pubblica amministrazione. La buona politica non può ignorare che si va aprendo una competizione vera fra le amministrazioni, fra le città e fra le regioni nell’affrontare il passaggio al digitale. La posta in gioco di questa sfida sarà la capacità di mettere in moto un reale strumento di sviluppo economico e sociale del territorio, in grado di attrarre maggiori risorse per le amministrazioni più virtuose che riusciranno ad andare al di là degli annunci e a traghettare la propria operatività nel nuovo formato digitale.
E ancora, la buona politica non può ignorare che la rivoluzione digitale può determinare anche nuove forme di partecipazione democratica alle decisioni (e-partecipation) e modelli di “open government”, su cui sta puntando molto l’America di Obama.
Se ci sarà attenzione e cura a questi temi da parte della classe politica, allora nelle amministrazioni la rivoluzione digitale comincerà ad essere percepita come un forte obiettivo comune, in grado di coinvolgere i manager pubblici e a cascata tutti i dipendenti, chiamati a superare il proprio divario digitale e ad impegnarsi in prima persona. Largo spazio potrà allora aprirsi in queste amministrazioni – speriamo - non per far lavorare esperti, consulenti e manager superpagati, ma tanti giovani, che sono già naturalmente “nativi digitali”, capaci di portare una carica enorme di innovazione. Largo spazio potrà aprirsi anche per impiegati e dirigenti, perché la loro carriera possa finalmente essere valorizzata sulla base della capacità e del merito, come già dice la legge e prevede la recente proposta di modifica (ancora un annuncio di riforma!) dell’art. 97 della Costituzione.
Laura Rinaldi è dirigente presso il Comune di Torino. Dal 2010 coordina i servizi generali per l'istruzione. Ha pubblicato "Autonomia, Poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato".