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Ma Obama non è Kennedy

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Ma Obama non è Kennedy

Messaggioda FreeRider il 11/06/2008, 15:16

Ma Obama non è Kennedy

Gerardo Morina

Ormai gliel’hanno detto in molti, in troppi perché lui, Barack Obama, unico candidato democratico alla Casa Bianca dopo la sconfitta di Hillary Clinton, non si autoconvinca di essere quasi una reincarnazione di un Kennedy. Anzi, fu lui per primo, nel discorso di Des Moines dello scorso gennaio, a incoraggiare il paragone: «Sarò il primo presidente nero, come John Fitzgerald Kennedy fu il primo cattolico», disse.

A dargli man forte, nello stesso periodo di tempo, ecco poi Ted Sorensen , vale a dire il più stretto collaboratore di John Kennedy, esprimersi con un giudizio che avrà una decisa influenza sulla scelta del clan Kennedy nel fornire il proprio appoggio ad Obama: «John Kennedy e Barack Obama hanno un numero impressionante di punti in comune, capaci di sedurre e di entusiasmare folle sempre più grandi e sempre più giovani di americani».

A distanza di pochi giorni, precisamente il 27 gennaio, ecco ancora comparire sul «New York Times» un editoriale a firma di Caroline Kennedy, in cui la cinquantenne figlia di John esortava l’America ad eleggere Barack Obama, da lei definito «un presidente come mio padre». Non stupì quindi che, quattro mesi dopo, l’attuale capo-clan dei Kennedy, il senatore Edward, elargisse il suo sostegno morale e materiale al candidato di colore sulla base del fatto che «Obama è il nuovo John Kennedy». Fino ad arrivare ai giorni scorsi, quando l’«Huffington Post», uno dei più influenti e seguiti blog politici americani, sparge la voce che la stessa Caroline potrebbe diventare presto la vice di Obama. Per il blog è anzi più di una voce perché, scrive, «Caroline è la persona scelta dal fato per portare a compimento lo storico lascito politico e ideale dei Kennedy, interrotto da troppe tragedie». A questo punto, soprattutto se la voce avrà un riscontro concreto, il mito Obama-Kennedy è costruito ad arte e risulta difficile da smuovere.

La verità è tuttavia molto più complicata e scomoda del mito. Fa crollare il castello di carte se si osserva che Caroline Kennedy, pur vivendo nella naturale idealizzazione del padre, nella sua prima discesa in campo politico compare soprattutto nella veste di esecutrice della scelta compiuta dallo zio Edward? Scelta, peraltro, che avrà senz’altro la sua dose di idealismo, ma che da parte del capo-clan dei Kennedy è avvenuta essenzialmente in funzione anti- Hillary, suggellando all’interno del partito democratico la fine del clan Clinton (ideologicamente più moderato) con la reinstaurazione del clan Kennedy, oggi nella persona del senatore Edward, su posizioni nettamente più «liberal», ovvero di sinistra radicale.

Che poi il mito Kennedy il quale, come tutti i miti, è tanto più potente in quanto legato a personaggi immaturamente e tragicamente scomparsi, si sviluppi ancora una volta, questo indica non solo la necessità insopprimibile di far rivivere un passato considerato glorioso, ma il profondo e naturale senso di nostalgia del popolo americano, nutrito per riflesso anche da coloro che non erano nati quando i due fratelli Kennedy, John e Bob, vennero a distanza di cinque anni assassinati.
Certo, a ben guardare, le analogie non mancano.

Obama e John Kennedy (ma forse più ancora Bob) incarnano la giovinezza, il carisma, l’eloquenza e il messaggio di cambiamento e di «nuove frontiere» che tanto catalizzano gli americani e non solo loro. Obama viene descritto come il personaggio portatore del nuovo e della speranza e il suo messaggio ha un valore comune a quello di JFK. E certo, al di là del fascino mondiale che la presidenza Kennedy, anche grazie a Jacqueline, poi emanò, sconvolgerebbe nuovamente il mito osservare che Kennedy vinse la Casa Bianca perché in campo repubblicano Ike Eisenhower (personaggio allora molto più popolare di lui) non poté ripresentarsi avendo già esaurito due mandati presidenziali e il candidato repubblicano da sconfiggere divenne Richard Nixon, al quale lo stesso Eisenhower negò il suo totale appoggio.

Ma anche le analogie Obama-Kennedy finiscono presto con l’esaurirsi se si considerano invece le diversità che separano i due. In un articolo scritto per il periodico «Washington Monthly», Ted Widmer, già estensore dei discorsi di politica estera di Bill Clinton, fa notare che chiunque abbia conosciuto il giovane Kennedy non può non ricordarlo come uno statista estremamente informato ed esperto prima ancora di arrivare alla Casa Bianca. Questo grazie soprattutto al fatto che, avendo avuto un padre ambasciatore degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy entrò alla Casa Bianca con un bagaglio di viaggi e di conoscenze che gli consentirono di maneggiare con competenza la politica estera del tempo, anche se non fu esente da passi falsi come la disastrosa decisione dello sbarco della Baia dei Porci a Cuba.

A parte il suo prolungato soggiorno giovanile in Indonesia, osserva Widmer, Obama è invece digiuno sia di grandi viaggi sia di conoscenze specifiche in politica estera, caratteristiche che non per questo gli precludono la presidenza ma che comunque non possono far reggere un confronto con Kennedy. Saltano poi all’occhio altre diversità. John Kennedy mantenne per tutta la durata della sua breve presidenza una linea ideologica «di terza via». In un’intervista a «Newsweek» del 1983 lo stesso Ted Sorensen ammise che JFK «non si identificò mai come un liberal e solamente dopo la sua morte i liberal del partito gli attribuirono erroneamente tale connotazione».

Kennedy era inoltre un «realista», più falco che colomba se si pensa a come impugnò la questione della Guerra Fredda con l’allora URSS e se si pensa che fu lui a coinvolgere sempre più massicciamente gli Stati Uniti nella Guerra del Vietnam. Anche questo rientra in quelle cose che poco si rammentano sempre al fine di non disturbare il mito, fatto soprattutto del Kennedy che porge una matita al figlio John-John accovacciato sotto la sua scrivania o della figlia Caroline che irrompe in una conferenza stampa indossando le scarpe con i tacchi della madre. Per non parlare poi di Jacqueline Kennedy che segue in velo nero il feretro del marito e del piccolo John-John che saluta militarmente. Un’altra era, altre persone, altri miti.

Ma il fatto è anche che chi conobbe di persona Kennedy e ne venne abbagliato non permette facilmente che vengano tracciati facili paragoni. Significativa fu la risposta data durante un dibattito televisivo del 1988 da Lloyd Bentsen, prescelto come vice dall’allora candidato democratico alla presidenza Michael Dukakis, a Dan Quayle, vice scelto dal candidato repubblicano George Bush padre, che poi vinse le elezioni. A Quayle, che solo per la sua figura figura fisica avvenente pretese di paragonarsi proprio a John Kennedy, Bentsen lanciò parole di fuoco: «Senatore, io ho servito nell’amministrazione Kennedy. Ho conosciuto Kennedy, eravamo amici. Ma mi creda senatore, Lei non è John Kennedy». Da allora nessuno aveva più osato simili paragoni. Fino ad oggi, quando, per motivi elettorali, tutto sembra essere ammesso.

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L'economia secondo Obama

Messaggioda franz il 13/06/2008, 14:22

Il candidato democratico spiega la sua ricetta in campo economico
"Aumenterò le tasse agli americani che hanno un reddito alto"
L'economia secondo Obama
"Amo il mercato ma difendo i deboli"


di JOHN HARWOOD
SENATORE Barack Obama, la benzina ha superato negli Usa la media nazionale dei quattro dollari al gallone. Allo stato delle cose, è vero che non c'è nulla che una volta eletto presidente lei - o chiunque altro - potrà fare per migliorare la situazione in tempi brevi?
"Quel che e vero è che in questo momento, in considerazione del prezzo globale del petrolio, non è possibile abbassare artificialmente il costo della benzina. Ciò che invece possiamo fare, è dare alle persone un immediato sollievo tramite la legislazione fiscale. Per questo ho proposto di accelerare i tempi per offrire un rimborso che porti centinaia di dollari nelle tasche delle famiglie, in modo da controbilanciare alcuni di questi aumenti durante l'estate e l'autunno. Nel lungo termine però, l'unica cosa che possiamo fare per far fronte al costo della benzina è di cambiare il modo in cui consumiamo petrolio. Questo significa investire in carburanti alternativi, innalzare i parametri di efficienza energetica per le automobili, aiutare l'industria automobilistica a ristrutturarsi internamente".

L'alto costo del petrolio potrebbe però paradossalmente diventare una cosa positiva, una spinta per passare a energie alternative?
"Abbiamo consumato e consumiamo energia come se le fonti fossero illimitate. Adesso, con la rapida crescita di India e Cina, sappiamo che i nostri bisogni superano di gran lunga le riserve disponibili".

Una domanda di economia di più ampio respiro: ci troviamo per la prima volta dopo molto tempo di fronte al rischio di una crescita lenta e al tempo stesso di una ripresa dell'inflazione. Di queste, quale considera al momento più rischiosa? E cosa farebbe per scongiurarle?
"Credo che il grande problema che ci troviamo ad affrontare in questo momento sia dovuto al fatto che a causa della crisi dei mutui e della contrazione del mercato finanziario l'economia stia rapidamente rallentando. E questo accade in un momento in cui già risentiamo di altri fattori, in particolare legati al petrolio e alle materie prime. Se riuscissimo a stabilizzare il mercato finanziario, a realizzare le iniziative che ho proposto, che prevedono che sia le persone che hanno un mutuo sia gli istituti di credito scendano a compromesso, permettendo ai primi di mantenere la propria casa, riusciremmo ad aiutare le imprese che hanno progetti validi, che creano prodotti validi e offrono servizi validi a rimettersi in sesto".

Le tasse saranno un tema importante della campagna elettorale. McCain l'ha già attaccata a questo proposito. Lei ha parlato di tagli fiscali, tra l'altro per gli anziani e per chi ha una casa.
"Non c'è dubbio che ogni programma che attuerò sarà basato sulla situazione economica che erediterò da George Bush. Credo che chi gestisce l'economia dovrebbe basare le proprie decisioni sui fatti, e non sull'ideologia. Per questo, anche se propendo per un certo tipo di politica, dovrò vedere come andranno le cose, e sollecitare molte opinioni diverse... "

Quindi lei può ipotizzare il differimento di alcune di quelle iniziative?
"Qualche iniziativa potrà forse essere differita, ma credo che i principi base necessari per riportare giustizia nell'economia e incoraggiare la crescita economica dal basso restino importanti. Ritengo che il principio generale, ovvero di aumentare le tasse per gli americani che hanno un reddito alto, come me, e venire incontro a chi non ha tratto grande beneficio da questa nuova economia globale, sia valido. Tenga presente che per quanto riguarda tutte queste proposte, io voglio assicurarmi di definire chi sono i "ricchi", per essere certo di non andare a colpire il ceto medio. In genere io definisco "ricchi" coloro che guadagnano almeno 250.000 dollari l'anno. Questo significa ad esempio che se aumenteremo le tassa sui capital gains io esonererò dal pagarla coloro che di fatto sono solo piccoli investitori, e mi rivolgerò piuttosto a chi negli ultimi venti anni si è molto, molto arricchito".

Per quanto riguarda il suo approccio generale all'economia, lei ha criticato gli accordi commerciali perché ritiene che non vadano a vantaggio dei lavoratori americani, ha attaccato gli speculatori di Wall Street, critica le grandi aziende. Lei è populista?
"Io sono pro-crescita e pro-libero mercato. Amo il mercato, credo che rappresenti il mezzo migliore mai ideato per distribuire le risorse e produrre enorme ricchezza, per l'America o il mondo. Come ho già detto, credo che il mercato sia ormai sbilanciato. Non è la prima volta: è accaduto spesso, in particolare in epoche di grandi cambiamenti tecnologici ed economici. È accaduto quando siamo passati dalle fattorie alle fabbriche, quando siamo passati dalle fabbriche all'era dell'informazione, e ancora adesso ci stiamo adattando a questo nuovo contesto. C'è chi si è molto arricchito in questa nuova economia globale, c'è stata molto dislocazione. Io ho detto soltanto: facciamo in modo che la nostra economia prenda in considerazione non solo chi guadagna ma anche chi ci rimette".

Con John McCain lei ha una cosa in comune: nessuna esperienza nel settore privato o nella gestione di grandi organizzazioni. Cosa farà per prepararsi a gestire l'economia Usa, ma anche per convincere gli americani che è all'altezza di quel compito?
"Credo che il compito del presidente sia quello di mettere insieme le persone migliori e formare una squadra che sappia gestire l'economia. La nostra filosofia sarà: come possiamo creare un ambiente che favorisca la crescita economica? Come possiamo creare nuove opportunità, diffondere le innovazioni e assicurarci che la crescita economica parta dal basso e che gli americani comuni possano continuare a vivere il proprio sogno?"

Copyright © 2008 The New York Times Company - traduzione Marzia Porta
(13 giugno 2008)

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Re: Ma Obama non è Kennedy

Messaggioda carlo gualtieri il 15/06/2008, 21:24

ma quando riusciremo a uscire dalla mitologia e a vedere la realtà? Se c'é da rimpiangere qualcosa, a proposito degli U.S.A., non é J.F.Kennedy. ma é semmai A. Stevenson, il miglior possibile presidente che gli U.S.A. abbiano rifiutato, e se mai l'ultimo Bob Kennedy, già molto lontano dal fratello, fratello che era apparentato con la mafia e fra i principali responsabili del disastro del Vietnam. Spero proprio che Obama NON sia un nuovo J.F.Kennedy.
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Obama: "Abbattere tutti i Muri che dividono popoli e razze"

Messaggioda franz il 25/07/2008, 9:06

Il candidato democratico fa sognare la folla radunata a Berlino
E ai microfoni di Sky Tg 24 dice: "Verrò presto in Italia"

Obama: "Abbattere tutti i Muri
che dividono popoli e razze"

Il discorso davanti a oltre 100 mila persone entusiaste
Grande enfasi sulla collaborazione tra Usa e Unione europea

BERLINO - Barack Obama verrà presto in Italia: "La amo, un Paese meraviglioso, prometto che verrò appena possibile", dice il candidato democratico ai microfoni fi Sky Tg 24. Proprio nel giorno in cui, da Berlino, pronuncia un trionfale discorso davanti alla Colonna della Vittoria, applaudito da oltre centomila tedeschi entusiasti: "L'America non può isolarsi, l'Europa neanche. E' arrivato il momento di costruire nuovi ponti, di abbattere i Muri che dividono popoli e razze".

"Vogliamo una Unione europea forte - sostiene il senatore dell'Illinois - l'Europa è il migliore partner degli Usa". E allora, prosegue, "insieme bisogna unirci per salvare il pianeta". Abbattendo tutte le diversità: tra neri e bianchi, tra musulmani e ebrei, tra ricchi e poveri. "Usa e Europa dovranno fare di più per questo - aggiunge - non vi parlo da candidato americano - ha aggiunto - ma da cittadino del mondo. Non assomiglio agli americani che hanno parlato qui prima di me, la mia storia personale è diversa, una storia americana. Il padre di mio padre era un servo degli inglesi, un cuoco".

"Ringrazio la Merkel e il ministro degli Esteri Steinmeier per il benvenuto che mi hanno dato - dice ancota Obama - ma ringrazio soprattutto Berlino. Questa città come molte altre conosce il sogno della Libertà". E ancora: "Persone del mondo guardate Berlino, dove il Muro è caduto e dove la storia ha provato che non c'è una sfida che non si può combattere per il mondo unito".

Tra i suoi passaggi più politici, da segnalare quelli sull'Iran ("deve abbandonare le sue ambizioni nucleari militari") e sull'Afghanistan: "L'America non può farlo da sola, il popolo afghano ha bisogno delle nostre truppe e delle vostre truppe (europee, ndr)".

In definitiva, per Obama, un grande successo. In questo tour europeo che prosegue a Parigi, e che segue le trasferte in Afghanistan e in Israel. E con la capitale tedesca caduta in piena obamamania. E se nel 1963 John Kennedy è passato alla storia per la celebre frase "Ich bin ein berliner", oggi l'aspirante presidente ha conquistato tutti con un semplice "I love Berlin".

La frase è stata pronunciata al termine dei suoi colloqui con il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier. Dopo gli incontri con le autorità, tra cui questa mattina il ricevimento in Cancelleria del capo di governo tedesco Angela Merkel, Obama ha fatto una scappata all'hotel di lusso Ritz Carlton, per fare un'oretta di fitness. Poi, il bagno di folla, con circa 100 mila persone pronte a seguire il suo discorso alla Siegessaeule, la Volonna della vittoria, che sorge al centro del Tiergarten.

(24 luglio 2008)
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Re: Obama: "Abbattere tutti i Muri che dividono popoli e razze"

Messaggioda franz il 25/07/2008, 11:53

franz ha scritto:Il candidato democratico fa sognare la folla radunata a Berlino
E ai microfoni di Sky Tg 24 dice: "Verrò presto in Italia"

Obama: "Abbattere tutti i Muri
che dividono popoli e razze"

Il discorso davanti a oltre 100 mila persone entusiaste
Grande enfasi sulla collaborazione tra Usa e Unione europea


Ecco il discorso, da youtube

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ciao,
Franz
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Re: Ma Obama non è Kennedy

Messaggioda ranvit il 25/07/2008, 13:12

carlo gualtieri ha scritto:ma quando riusciremo a uscire dalla mitologia e a vedere la realtà? Se c'é da rimpiangere qualcosa, a proposito degli U.S.A., non é J.F.Kennedy. ma é semmai A. Stevenson, il miglior possibile presidente che gli U.S.A. abbiano rifiutato, e se mai l'ultimo Bob Kennedy, già molto lontano dal fratello, fratello che era apparentato con la mafia e fra i principali responsabili del disastro del Vietnam. Spero proprio che Obama NON sia un nuovo J.F.Kennedy.



Stavo per scrivere le stesse cose....ben detto Carlo!
Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Ma Obama non è Kennedy ...

Messaggioda franz il 10/09/2008, 14:11

...e queste dichiarazioni sembrano confermarlo

Obama: "Il cambiamento di Sarah?
Come mettere rossetto a un maiale"


LEBANON (Virginia) - Il cambiamento rappresentato da Sarah Palin? "Come mettere il rossetto a un maiale". Così Barack Obama ha lanciato il suo attacco più violento all'indirizzo dei suoi avversari Repubblicani nella corsa alla Casa Bianca. Con un giudizio pesante sul ruolo della governatrice dell'Alaska candidata da John McCain alla vicepresidenza. Intanto cambiano, anche se di poco, i numeri della gara: un nuovo sondaggio di Nbc News e Wall Street Journal assegna a Obama un lievissimo vantaggio, 47% contro 46%, rispetto al repubblicano John McCain.

"Noi - ha rivendicato Obama nel corso di un comizio tenuto ieri sera davanti a oltre duemila persone a Lebanon, Virginia - di cambiamento abbiamo parlato quando nei sondaggi andavamo bene e quando andavamo male. Dall'altra parte, all'improvviso, vengono fuori a dire 'siamo per il cambiamento pure noi'. Pensateci un po', si tratta degli stessi tizi che negli ultimi otto anni hanno detenuto il potere". Poi, l'affondo: "Si può anche dare il rossetto a un maiale, ma resta pur sempre un maiale, si può anche avvolgere un pesce vecchio in un foglio di giornale e chiamarlo cambiamento, ma dopo otto anni continuerà a puzzare. Ne abbiamo avuto abbastanza", ha esclamato, suscitando la standing ovation del pubblico.

La stessa Palin, durante la convention nazionale dei Repubblicani, a Saint Paul, aveva detto che la sola differenza tra un pitbull e una "hockey mom" come lei - una casalinga di provincia che accompagna di persona i figli piccoli a giocare a hockey - consiste nel fatto che la governatrice dell'Alaska usa appunto il "rossetto".

Lo staff di McCain ha reagito accusando Obama di tattica scorretta e sessismo. La replica non a caso è stata affidata a una donna, Jane Swift, che al pari dell'agguerrita Sarah guidò a suo tempo uno Stato americano, il Massachusetts: "Parole vergognose, non si può paragonare il governatore Palin a un maiale. Posso soltanto giudicarle disgustose".

Jane Swift presiede lo staff che la stessa Palin ha creato quando ha avuto la certezza della nomination e che, fedele alla sua matrice teocon, ha battezzato "Squadra della verità". Quello usato da Obama "è semplicemente un linguaggio infantile", ha insistito la collaboratrice della vice di McCain, che ha quindi chiesto le scuse del candidato democratico.

Quando i giornalisti le hanno chiesto se fosse poi così sicura che il senatore dell'Illinois ce l'avesse proprio con la governatrice dell'Alaska, Swift ha avuto buon gioco a ribattere che "in lizza c'è una donna sola e, per quanto ne so è l'unica a fare uso del rossetto". L'attacco del rivale è stato "sessista, ed è solo l'ultimo di una serie di commenti offensivi" riservati a Palin. "Speravo - ha concluso - che il senatore Obama avesse imparato come affrontare un dibattito comportandosi in modo rispettoso durante le primarie del suo partito", quando cioè dovette vedersela con l'ex first lady Hillary Clinton alla quale, ha ricordato Swift, i suoi collaboratori non risparmiarono frasi altrettanto pesanti.

Anche la contro-replica è venuta da una donna, l'assistente di Obama, Anita Dunn: "Questa ipocrita ramanzina sulla suscettibilità in materia di sesso rappresenta il massimo del cinismo e mette a nudo la campagna disonorevole che McCain ha scelto di intraprendere. Quando è troppo è troppo, quello di McCain è un patetico tentativo di giocare la carta del genere sessuale per replicare al mero uso di un'analogia corrente".

Dunn ha poi ricordato una dichiarazione fatta dal candidato repubblicano, riportata dal Chicago Tribune il ottobre 2007. A chiosa di una proposta sull'assistenza sanitaria pubblica, formulata da Hillary Clinton - all'apoca ancora in corsa per la Casa Bianca - McCain la liquidò osservando: "Penso vogliano dare un po' di rossetto a un maiale, che però resta un maiale".

Dopo le rispettive convention di Denver (democratica) e St.Paul (repubblicana) si conferma intanto il sostanziale testa a testa fra i candidati: un nuovo sondaggio effettuato tra sabato e lunedì scorso da Nbc News e Wall Street Journal assegna a Obama un lieve vantaggio, 47% contro il 46% di McCain. Il vantaggio di Obama tuttavia si è ridotto dai 6 punti in più registrati a luglio e dai 3 in più di agosto, riferisce l'edizione online di Nbc. Altri sondaggi recenti testimoniano forti recuperi di popolarità di McCain che - grazie all'entusiasmo suscitato dalla candidatura di Palin - viene dato in molti casi in vantaggio su Obama.

(10 settembre 2008)
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Re: Ma Obama non è Kennedy

Messaggioda franz il 25/09/2008, 7:31

La questioni economiche hanno rovesciato a favore di Obama
l'andamento della campagna presidenziale. Gli errori di McCain

Quando il carattere
ha la meglio sull'esperienza.
..
di MATT BROWNE

"It's the economy, stupid!": l'ormai tristemente famosa battuta di James Carville quest'anno potrebbe rivelarsi premonitrice. Da settimane gli strateghi del partito democratico esortavano Barack Obama a smetterla di ingaggiare battaglie collaterali con la candidata conservatrice alla vicepresidenza Sarah Palin e a concentrarsi senza riserve e ulteriori distrazioni sulle questioni vere e che più contano. La crisi di Wall Street della settimana scorsa gli ha forzato la mano e ha cambiato radicalmente il panorama elettorale, riportandolo a favore di Obama. Mentre i titoli finanziari crollavano, l'indice di gradimento di Obama è risalito, e in questo momento egli ha un vantaggio su John McCain di quattro punti percentuali.

Questo rovescio di fortuna dipende davvero soltanto dall'economia? È opinione diffusa che una flessione economica favorisca quasi sempre il partito all'opposizione, e i democratici oltre tutto paiono a loro agio più quando devono discutere di questioni interne che quando devono affrontare temi di politica estera. Il crollo di Wall Street ha indotto molti illustri specialisti democratici a instaurare un parallelo con la Grande Depressione degli anni Trenta che preparò e precorse la vittoria di Franklin Delano Roosevelt e ben venti anni di governo democratico.

In realtà, gli eventi di questa settimana avrebbero potuto avere sviluppi diversi. Sul versante economico, rispetto a McCain, Obama gode da parte dell'elettorato di una fiducia soltanto marginalmente superiore, e di fatto in tempi di grande paura - quale è quella generata dall'attuale crisi finanziaria - l'elettorato americano spesso si affida più volentieri alla "sicurezza" del Gop, il Grand Old Party.

In realtà, il vantaggio di Obama dipende tanto dalla natura della reazione del suo avversario quanto dalla sua stessa visione di ripresa economica per l'America.

Per buona parte della settimana scorsa, la reazione di McCain alla crisi finanziaria ha fatto notizia su tutti i giornali: sostenitore da sempre della deregulation, egli ha cercato quasi freneticamente di reinventarsi come populista addirittura favorevole alla regulation.

Il candidato repubblicano ha passato un'intera settimana a cercare in ogni modo possibile di prendere l'iniziativa e rimanere in vantaggio, spesso senza neppure concedersi il tempo necessario a riflettere opportunamente sugli avvenimenti. Ha promesso di riformare la "cultura da casinò" di Wall Street e la cattiva gestione di Washington, ha proposto di istituire una commissione governativa incaricata di studiare a fondo la crisi, in un primo tempo si è opposto al piano di salvataggio in extremis di AIG per poi avallarlo, ha chiamato in causa la Sec (la Securities and Exchange Commission), e infine ha annunciato la sua proposta: quella di pianificare un'operazione di salvataggio identica in tutto e per tutto a quella a cui le autorità federali avevano già deciso di dar vita. Poiché si è rimangiato l'affermazione secondo cui le fondamenta dell'economia americana sono solide, e poiché dichiara adesso che "siamo in una crisi totale", ogni sua azione è parsa rafforzare la sua stessa ammissione che l'economia dopo tutto non è il suo punto forte. Come ha sostenuto George Will sulle pagine del Washington Post, sotto la pressione di una crisi finanziaria uno dei candidati si è comportato come un giocatore alle prime armi, agitato e confuso, entrato in una squadra troppo forte per lui, e quel candidato non è Barack Obama.

Nel bel mezzo della crisi, però, i repubblicani non si sono fatti sfuggire il fatto che anche Obama ha omesso di fare una proposta significativa. Tuttavia, quando per encomiare l'operato della Federal Reserve e impegnarsi a lasciarla lavorare senza intralci, Obama venerdì si è rivolto alla stampa affiancato da consulenti economici di primo piano dell'Era Clinton - tra i quali spiccavano gli ex segretari del Tesoro Robert Rubin e Larry Summers - il candidato democratico ha trasformato la crisi in un'opportunità per tornare in vantaggio nei sondaggi.

A rivelarsi deleteria per McCain non è stata soltanto la sua reazione incerta e ambigua, ma soprattutto la natura viscerale e istintiva della stessa. Criticando duramente McCain per il suo attacco personale a Chris Cox, presidente della Sec, il Wall Street Journal ha definito il candidato repubblicano "impedito" e "non-presidenziale". In effetti, la reazione di McCain alla crisi è stata rivelatrice nella misura in cui ha messo in luce il suo modo melodrammatico di intendere la politica, un modo di fare caratterizzato dall'impulsività, che lo induce a reagire emotivamente agli eventi e a contrapporre coloro che sono dalla sua parte e quanti sono contro di lui perché "corrotti" o perché "hanno tradito la fiducia dell'opinione pubblica".

Ed è proprio questo suo tratto caratteriale a poter offrire a Obama l'occasione di aggiudicarsi una per altro improbabile vittoria nel dibattito di venerdì prossimo tra i candidati alla presidenza, quando il tema caldo potrà ancora una volta cambiare, virando in questo caso verso la politica estera.

Quando l'estate scorsa lo staff della campagna di Obama ha accettato di sostituire il tema del primo faccia a faccia tra i candidati, passando dalla politica interna a quella estera, in buona parte si è voluto interpretare questa decisione come il desiderio da parte della campagna di Obama di affrontare in primo luogo la sfida più difficile. David Axelrod - stratega capo di Obama - ammette che questa decisione può aver colto molti di sorpresa, ma non quanto la fiducia che Obama nutre in sé stesso di poter vincere il primo faccia a faccia, attaccando McCain proprio sulle sue opinioni e il suo temperamento. Obama sosterrà che McCain reagisce di istinto a qualsiasi situazione - non soltanto alle crisi finanziarie, dunque - con un medesimo livello di ansia, senza avere una visione strategica più ampia. La reazione spropositata di McCain alla crisi russo-georgiana, che egli ha cercato di far passare come un "avvenimento in grado di cambiare il mondo", ne è un esempio, mentre la sua tranquilla convinzione che nel futuro dell'America ci saranno altre guerre ne è un sintomo ulteriore.

Se Obama saprà mettere in evidenza e in rapporto tra loro la frenetica reazione di McCain alla crisi finanziaria con le sue più esplicite carenze in materia di politica estera, allora potrà addurre validi argomenti per affermare che, quando si parla di caratteristiche che deve avere un presidente, il carattere e la padronanza di sé possono avere la meglio sull'esperienza e sull'affidabilità morale. Se ci riuscirà, allora la Casa Bianca sarà per lui più vicina.

Matt Browne, ex-direttore di Policy Network, la fondazione politica legata a Peter Mandelson e Tony Blair, è senior fellow al Center of American Progress.

(Traduzione di Anna Bissanti)

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Primo duello Obama McCain

Messaggioda franz il 27/09/2008, 11:12

LE PAGELLE DEL PRIMO CONFRONTO
McCain senza carisma
Obama troppo freddo
di VITTORIO ZUCCONI

JOHN MCCAIN 6-
Ci si attendeva poco e quindi dà molto. Conferma il sospetto che si senta il capitano di una squadra in svantaggio che deve rimontare lanciando attacchi diretti e personali all'avversario che palesemente disprezza e infatti riesce con qualche successo a irritare, approfittando del fatto che giocava in casa, sul campo della politica estera e della strategia. L'attacco personale è sempre rischioso, perché può indisporre gli spettatori, ma McCain deve rischiare per vincere, anche se si scopre. Ripete per sette volte che Obama "non capisce", che è ingenuo e inesperto, dunque non è pronto ad assumere il timone degli Stati Uniti dal 20 gennaio prossimo, seguendo, come era ovvio avrebbe fatto, il copione già scritto da Hillary Clinton per contendere le primarie al più giovane rivale.

Ha tutto il carisma e la capacità di seduzione di una minestrina al brodo di dadi servita nel refettorio di una casa di riposo, e mostra la comprensibile tendenza dell'anziano a incespicare su nomi difficili come quello di Ahmadinejad, che deve ripetere per tre volte prima di azzeccare, ma riesce a evitare che il disastro finanziario in corso, il suo bizzarro comportamento degli ultimi tre giorni e quel piano di salvataggio della Borsa con soldi pubblici in pieno stile Alitalia voluto da Bush e che i suoi stessi colleghi di partito definiscono "socialistico" (sic) gli restino appesi attorno al collo. Il suo obbiettivo principale era quello di essere bianco accanto al nero e quello gli sarebbe riuscito anche se fosse stato zitto per 90 minuti. La sufficienza se la aggiudica ammettendo per due volte che sotto la gestione Bush, prigionieri sono stati torturati. "Non dovremo mai più torturare". Soltanto per questo, merita i tre punti.

BARACK OBAMA 5+
Ci si aspettava molto e quindi dà poco. Non riesce ad approfittare dell'assist che questa settimana di "Mc Follies" e la scomposta agitazione del vecchio senatore di fronte al caos finanziario e al pasticcio del piano Bush salva-Borsa gli avevano offerto e si chiude in un catenaccio politico e retorico come troppo spesso gli accade nei dibattiti. Soffre della sindrome classica di tutti i candidati democratici, Bill Clinton eccettuato, la tendenza a parlare in politichese e in termini complessi, aggravato dal suo personale tic di inserire pause nel mezzo delle fasi e di ripetere parole come "io, io, io" che lo fanno apparire balbuziente e incerto. Di fronte all'evidente disprezzo del collerico dirimpettaio, che a volte sembra fare la parte che Al Gore interpretò contro Bush, risponde con argomentazioni e distinguo ed elenchi che non arrivano al cuore.

Nel suo terrore di apparire troppo "caldo" (leggi: nero) si mostra un po' troppo "freddo" (leggi: bianco) e dunque proietta un'immagine cerebrale e compunta che vuol essere presidenziale, ma risulta distaccata. I dibattiti non servono a sciorinare piattaforme e programmi politico economici che non vengono poi mai rispettati e non avrebbero comunque alcun senso di fronte a un futuro delle finanze pubbliche sconosciuto e terrificante. Servono a conquistare il pubblico attraverso esibizione di carattere, personalità, spontaneità simulata e passione. Fu detto che Bush vinse perché apparve come il compagno di scuola con il quale si andrebbe a bere una birra. Se questo è il criterio, Obama è apparso come il compagno dal quale si copierebbero volentieri i compiti. Continua a fare molto gioco e a non fare il gol decisivo. Ma i primi sondaggi sembrano darlo vincitore e spiegano la aggressività di McCain. Conta sull'ipotesi che il 2008 sia l'anno in cui il cervello torna a contare più della birra. Il più se lo merita ricordando a McCain una delle sue gaffe più sensazionali, quando dimostrò, in un momento di tenera senilità, di non sapere che Zapatero è il premier di una nazione della Nato e non un subcomandante zapatista.

JIM LEHRER 7
L'arbitro è il migliore della partita. Pur essendo addirittura più anziano del senatore (ha 74 anni) il vecchio "anchor" dell'esemplare telegiornale della tv pubblica Pbs è il più vivo dei tre e tenta ripetutamente di strappare McCain e Obama alla stucchevole recitazione dei loro "talking points", delle lezioncine insegnate e memorizzate dalle loro badanti politiche, senza mai mostrarsi nè untuoso, nè partigiano, nè deferente con nessuno dei due. Neppure lui riesce a far dire le cose con le loro parole, ma esibisce quella virtù del giornalismo americano che purtroppo non ha attraversato l'Atlantico insieme con i tanti vizi: la brevità. Pone domande brevi e dirette, conoscendo bene la legge delle interviste televisive e radiofoniche: più lunga è la domanda, più facile sarà per l'intervistato pensare a come aggirarle e a come mentire. Purtroppo è un dinosauro sopravvissuto alla generazione estinta o in via di estinzione dei Cronkite, Murrow, Reasoner, Brokaw, Schafer e Wallace il vecchio.

(27 settembre 2008)
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