Parlavo stamattina con il direttore dell'azienda che distribuisce acqua, elettricità e gas in questa "contea" - s.p.a. consortile tra enti locali.
Mi diceva che, su cinquemila utenze, in questi tempi più recenti gl'insolventi sono quasi un migliaio, cioè il 20%, cosa che lui per primo giudica un'enormità in grado di mettere in serissima difficoltà l'azienda.
Aggiungiamoci anche un dato ricavabile secondo logica, secondo il quale probabilmente altrettante sono le utenze che non figurano come insolventi per il rotto della cuffia, ossai gente, famiglie che pagano il dovuto facendo una grande fatica - famiglie che si sforzano di pagare solo perché acqua ed elettricità sono indispensabili, mentre somme analoghe non le pagherebbero per servizi e prodotti di cui potrebbero fare a meno: insomma, pagano perché presi per il collo.
Evidentemente le risorse economiche di una parte consistente della popolazione della zona non sono in grado di far fronte a queste tariffe - si parla di bollette da due, trecento euro e più a bimestre.
Ora, lascimo stare il discorso sulla natura dell'azienda, se sia meglio una s.p.a.pubblica o privata o consortile o che altro, e consideriamo il problema nel suo complesso, guardandolo per così dire da lontano.
Un'azienda - un ristorante, una boutique, uno studio d'informatica, un costruttore di tosaerba - che mettesse in vendita i suoi prodotti ad un prezzo che li mette fuori dalla portata della media dei possibili clienti, dovrebbe prendere atto di essere nel posto sbagliato, o di dover abbassare i prezzi - a meno che sia sbagliato il prodotto, ossia si tratti di una merce eccessivamente preziosa e costosa, riservata per definizione ad una platea ristretta di clienti.
Nel nostro caso, invece, il prodotto non si presenta come prezioso e l'azienda non può "cambiare posto".
Per quanto riguarda l'abbassare i prezzi la questione sembra che non si possa nemmeno cominciare, perché oltre tutto l'azienda non produce direttamente ma ha solo una funzione di distribuzione e manutenzione.
Io non ho idea di come la faccenda si possa affronatre in termini contabili o produttivi, e insomma aziendali, ma il problema che vedo va al di là dell'analsi dei problemi dei singoli soggetti.
Mi cheido come sia diventato possibile un contesto in cui le risorse economiche dei cittadini sono largamente sproporzionate, in negativo, rispetto ai costi di semplice sopravvivenza: luce, gas, acqua, ai quali possiamo aggiungere costi meno necessari in senso assoluto ma comunque di fatto spesso inevitabili se si vuole lavorare e muoversi, come telefono, autostrada, benzina, etc.
Per un gran numero di persone e di famiglie, una volta pagate le varie utenze, e magari un mutuo che è spesso inferiore ad un eventuale affitto, dello stipendio rimane ben poco.
Certo, il problema non riguarda tutti: forse il 50, forse il 40 o il 60% non soffre così tanto una tale ristrettezza economica umiliante, e quindi ce n'è abbastanza perché rimangano risorse familiari sufficienti a fare le vacanze alle Maldive, o più semplicemente per cambiare a tempo debito l'automobile, per andare a cena al ristorante, in piscina, in palestra,per acquistare qualche abituccio griffato.
Ma si può reggere un'economia evoluta su una base del genere? Come dicevo qualche settimana fa, che genere di democrazia ne viene fuori?
Soprattutto - dato che tutto questo serve non per una valutazione morale, ma a farci riflettere su un sistema di produzione, distribuzione e costi evidentemente poco equilibrato - come mai esiste una sperequazione così macroscopica tra certi costi e il potere economico di tanta gente?
Se non ricordo male, molti anni fa gli stipendi non erano particolarmente elevati, ma le famiglie non avevano grosse difficoltà a pagare le proprie bollette domestiche, e anche la più modesta riusciva ad andare fuori a mangiarsi una pizza, magari con due o tre figli.
Naturalmente sono cambiate tante cose: tra le altre, sono aumentate le prestazioni ofefrte da alcuni servizi, come il telefono, le autostrade stesse, le automobili, e sono aumentate le dimensioni medie delle case degli italiani.
Immagino che tutto questo sia catalogabile sotto la voce "sviluppo": in certi casi a me sembra evidente che si tratti di uno sviluppo assolutamente non necessario, e anzi dannoso, se porta alla conseguenza di non poter avere, pagare, utilizzare quello che prima si utlizzava in forma più essenziale.
Uno sviluppo che in realtà accentua le divisioni tra classi di reddito - se proprio non si vuole parlare di classi sociali - e quindi si pone in definitiva in contrapposizione con quello che dovrebbe essere e si sperava che fosse il miglioramento della qualità della vita della maggioranza dei cittadini.
Io non voglio fare, o rivangare, la consueta polemica, ma non credo che non si possa fare a meno di sottolineare che la tendenza a "privatizzare", che si è affermata in questi anni, non ha portato affatto i risultati annunciati - non so se si possa addirittura pensare che la situazione sia decisamente peggiorata a causa di queste privatizzazioni, e di una mnetalità più "aziendale" nell'ambito dei servizi pubblici, o se sia un problema che rigurda il modo in cui trova applicazione questa mentalità, o le incoerenze tra questa logica e il contesto socio-economico che ne è il background.
Non lo so, non sono in grado di fare conti e approfondimenti adeguati, ma mi limito a registrare i fatti - ovviamente guardandoli dalla parte di chi ne subisce i danni, senza inventarmi appartenenze virtuali.