da soniadf il 01/09/2010, 1:54
ma il messaggio è chiaro: piu' studiate, piu' guadagnate, meglio lavorate.
Si vede che vivi in Svizzera.
Conosco un sacco di ragazze laureate che lavorano in un call center. Pardon, lavoravano, perché il contratto di collaborazione è finito e quindi sono ora disoccupate, senza alcuna indennità, perché non hanno diritto neanche a quella ridicola una tantum per precari, da erogare solo se nell’anno precedente non hai superato i 20.000 euro lordi. Inoltre, non sono abbastanza disoccupate per avere l’esenzione del ticket, in quanto dovevano essere disoccupate dall’anno scorso. Insomma, niente, lavoratrici fantasma, che pure hanno pagato irpef e inps nei loro anni lavorativi. Un contratto da precario non ti fornisce nessuna liquidazione, o tredicesima, o ferie e malattie pagate.
Negli ultimi anni io ho sperimentato lavori interinali e contratti a progetto.
I primi servono alle amministrazioni pubbliche per aggirare la normativa sui bandi per la selezione del personale. Si fa un bando per scegliere l’agenzia interinale che “somministrerà” i lavoratori più idoenei. E’ evidente che l’agenzia che vincerà la gara d’appalto fornirà poi i lavoratori decisi dall’amministrazione.
Io sono entrata nel mazzo perché ero conosciuta come esperta del settore, ma mi sono dovuta accontentare di uno stipendio esiguo, perché con la cifra stanziata hanno voluto assumere quattro addetti invece di due, facendo contenti tutti i politici del consiglio d’amministrazione, pardon “salvaguardando gli equilibri”, come dicono loro.
Insomma, un lavoro doppio a metà prezzo, prendere o lasciare.
I contratti a progetto sono un altro espediente per sistemare raccomandati un po’ dappertutto per quanto riguarda il pubblico, mentre per il privato sono una manna del cielo.
Lavoratori a tutti gli effetti, ma senza diritti e senza futuro, perché i contributi pagati nella gestione separata non valgono niente. Lavoratori precari che coabitano nello stesso ufficio, con dipendenti a contratto indeterminato, e che lavorano come sospesi in un ambiente che non li accoglie completamente, gomito a gomito con colleghi che programmano ferie, che ricevono buoni-pasto, che aspettano la gratifica natalizia, che, semplicemente, fanno progetti di vita che tu non puoi fare.
A volte ti accorgi che della tua competenza non sanno che farsene, sono abituati a un tran-tran che assicura comunque un lavoro standard.
Più studiate, più guadagnate, meglio lavorate, è forse uno slogan svizzero, ma la meritocrazia non è un criterio universale, Franz. In Italia, la mia laurea non ha mai aperto neanche mezza porta.
Non avendo una famiglia particolarmente introdotta, ho sempre trovato lavoro perché conoscevo qualche lingua. Oggi, non basterebbe neanche quello.
Tu parli del livello scolastico ma, per la mia esperienza, sono sempre stata circondata da donne laureate, sistematicamente sottoposte ad uomini molto meno colti di loro, forti solo della spavalda arroganza con la quale si rivestono di un ruolo, convinti di esserne all’altezza.
Mentre ho sempre conosciuto donne preoccupate di meritarsi la posizione che si sono conquistata, dopo aver dimostrato ampiamente la necessaria competenza.
Insomma, lo studio e l’impegno non sono affatto direttamente proporzionali alla qualità del lavoro e al guadagno, ed è strano che tu pensi il contrario.
La qualità del lavoro dipende dal contesto in cui operi, il guadagno dipende dal settore più o meno ricco in cui sei inserito.
Tempo fa, leggevo dei guadagni di un barbiere alla camera dei deputati o di qualche altro addetto in luoghi istituzionali o lavorativi ricchi, guadagni esorbitanti rispetto a colleghi “normali”.
I nostri ricercatori a 800 euro mensili sono uno scandalo e una sconfitta per l’intero sistema paese, che li ha formati e poi li condanna all’indigenza e al precariato, mentre in tutti gli altri paesi evoluti avrebbero sicurezza e dignità economica.
Il mercato del lavoro, in Italia, è un disastro truccato ed è veramente singolare sentire redarguire le donne italiane, che, ripeto, non trovano mai uno sbocco facile attraverso la preparazione, ma questo è un discorso che, in fondo, riguarda anche gli uomini.
Solo che gli uomini sono più bravi ad introdursi in gruppi di potere, a ritagliarsi spazi e ad assumere ruoli, mettendo il cappello sopra la sedia, circondati da donne che fanno, mentre loro “decidono” solo perché operano in clans fondamentalmente maschili.
Soniadf