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L'eredità che Prodi ci lascia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda annalu il 24/08/2008, 18:21

Prodi: «Sto benissimo, ma sarei rimasto»
L'ex presidente del Consiglio risponde così a una domanda sulla sua lontanza dalla politica

RICCIONE - Attualmente «sto benissimo, sto meglio di un anno fa, anche se non sono andato via per stare meglio. Io sarei anche rimasto». Così, con ironia, l'ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha replicato al direttore di Radio Dj, Linus, che gli chiedeva come si trovasse in questo momento, lontano dalla politica. «Mi è dispiaciuto molto» ha aggiunto, nel corso della presentazione del suo libro 'La mia visione dei fatti', sui suoi anni alla guida della Commissione Europea, ma «le cose hanno un termine e ora inizia una nuova vita».

I PROBLEMI DEL GOVERNO - Rispondendo poi a chi gli chiedeva un commento sulla gestione dell'attuale esecutivo, Prodi ha risposto: «Quando si governa non si può scontentare troppa gente, ma non scontentando i problemi peggiorano». Il discorso è poi scivoltao sulla moneta unica. Qualora non fosse stata adottata in Italia la moneta unica, di fronte agli attuali corsi dell'economia, il Paese avrebbe rischiato una inflazione estremamente elevata e di trovarsi «in disfacimento». Prodi ha chiarito così il suo pensiero: «Tutti sapevano che l'Italia non poteva stare fuori dall'euro. Senza euro avremmo livelli di inflazione impressionanti e un Paese in disfacimento».

CAMBIAMENTO - Gli anni passati alla guida dell'Italia «sono stati anni belli in cui ho tentato un cambiamento forte della politica italiana attraverso il bipolarismo e la creazione di una grande alleanza di centrosinistra. Due volte ho vinto le elezioni, e due volte il disegno è stato interrotto dalla stessa coalizione» che appoggiava l'esecutivo. Così Romano Prodi a chi gli chiedeva un commento sulla sua esperienza politica italiana. «Spero che qualcun altro possa portare avanti questa esperienza, che reputo l'unica soluzione valida», ha proseguito replicando a chi gli chiedeva cosa vedesse nel futuro del centrosinistra. A giudizio di Prodi, in politica quello che «è importante è il realismo, la serietà e l'onestà con cui la si fa». Questa è l'eredità che si lascia. «Penso - ha proseguito riferendosi ai politici - che il nostro dovere sia mostrare coerenza e obiettivi precisi, anche se il prezzo può essere molto alto».

23 agosto 2008(ultima modifica: 24 agosto 2008)
Da Corriere.it.

Ho sempre apprezzato il lavoro di Prodi, ed ancor più ora ne apprezzo la dignità e la coerenza. Per questo ho evidenziato la sua risposta riguardante la coerenza e l'onestà, nonché la chiarezza negli obiettivi.
Purtroppo non mi sembra che questo spirito sia molto diffuso tra i nostri politici, anche all'interno del PD. E purtroppo non mi sembra che nessuno sia disponibile a pagare il prezzo della coerenza e della chiarezza.
E la cosa mi rattrista.

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Il cuore del PD è nell’Ulivo.Ora serve il coraggio di Prodi.

Messaggioda Sandra Zampa il 26/08/2008, 0:35

Stasera intervengo in questa discussione inviando anche qui il testo che ho pubblicato ieri sera sul mio sito.
Mi sembra di avere dato una prima risposta alle domande, o meglio ai dubbi, che si pone Annarosa... ma continuiamo a parlarne !

S.Z.



Il cuore del PD e’ nell’Ulivo. Ora ci serve lo stesso coraggio che ha avuto Prodi ogni volta che ha sconfitto il suo avversario.

PD: ZAMPA, BENE PRODI, ULIVO NON SUPERATO, VA RISCOPERTOHa sconfitto il suo avversario due volte su due.

(ANSA) - ROMA, 24 AGO - ‘Le parole di Romano Prodi ci esortano a riflettere oggi, insieme ai tanti che hanno a cuore i destini del centrosinistra e del Pd, sul piu’ coraggioso progetto di innovazione della politica italiana, l’Ulivo’. Lo dichiara Sandra Zampa, parlamentare del Pd.

‘Uguale coraggio e capacita’ di innovazione ci sono richiesti anche oggi per superare la crisi che dopo la sconfitta ha investito il Partito Democratico, il cui cuore pulsante e’, e resta, l’Ulivo nato nel 1995.

Sbaglia, dunque - continua Sandra Zampa - chi sostiene che il Partito Democratico rappresenti il ‘dopo Ulivo’. Ripartire da quell’esperienza straordinaria non implica certo il recupero del simbolo o delle sue bandiere sotto le quali abbiamo, per altro, festeggiato le uniche due vittorie del centro sinistra italiano. Ne’, piu’ in generale, puo’ significare un ritorno al passato. Deve essere, al contrario, l’occasione per riscoprire il significato piu’ autentico dell’Ulivo: aperto alla societa’, partecipato, bipolare, laico, inclusivo’.

‘E’ vero - conclude Sandra Zampa - l’Ulivo non e’ riuscito a superare sempre la prova delle alleanze. Ma cio’ non e’ avvenuto per un eccesso di Ulivo. Al contrario. Cio’ e’ avvenuto perche’ si e’ dubitato della sua efficacia. Nel 2005, in occasione delle politiche, non fu possibile presentare una lista unitaria dell’Ulivo; il risultato al Senato e’ noto e sta all’origine della fine del secondo governo Prodi. Sono dunque le incertezze, lo scarso coraggio, il prevalere delle ragioni identitarie dei partiti che ignorano cio’ che la societa’ esige a far danno alla politica’. (ANSA).
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 26/08/2008, 1:46

A me sembra che non ci sia molto da approfondire, circa l'eredità di Romano Prodi.
E che non ci sia, soprattutto, molto da glorificare, al di là di un'eventuale simpatia per il lato umano del personaggio, che rientra nella sfera dei gusti individuali o dell'amicizia, per chi ha lavorato vicino a lui.

L'erdità di Prodi è la situazione nella quale ci troviamo: un centro-sinistra mutilato, una sconfitta elettorale assoluta, il berlusconismo trionfante, una Lega più euforica che mai, gli (ex) neofascisti al governo, il conflitto d'interessi del padrone di Mediaset irrisolto, la solita RAI lottizzata, un sistema elettorale demenziale, nessuna riforma istituzionale realizzata ...

Naturalmente Prodi ha buone ragioni per spiegare come e perché la sua parte di responsabilità sia limitata, forse, sul piano strettamente personale, ma un leader politico ha per così dire una responsabilità oggettiva: anche quella dei limiti e delle malefatte della sua coalizione, dei suoi alleati.

C'è stato un episodio, durante la campagna elettorale precedente - quella della vittoria per ventimila voti - che per me sintetizza il "peso" politico di Prodi, anche se potrebbe sembrare un fatto di puro valore comunicativo.
Nel dibattito televisivo con Berlusconi - una vera e propria tortura mediatica - il Caimano ha lasciato cadere per un momento la maschera, commettendo una gaffe che in qualunque altro paese avrebbe portato al suicidio chi l'avesse commessa: " non penseremo davvero che i figli degli operai possano avere le stesse possibilità dei figli dei ricchi", disse Berlusconi, più o meno.
Il Professore non ha fatto una piega: aveva la palla sul disco del rigore, e il rigore non l'ha nemmeno tirato.

Una semplice mancanza di prontezza polemica, direbbe qualcuno.
Certo, anche questo, e non è roba da poco, in una politica che si è voluto trasformare in leaderistica e personalistica.
Ma anche sintomo di una visione confusa, o almeno una visione rivolta in una direzione sbagliata.
Del resto, un paio d'anni prima il Profesore aveva enunciato la sua "teoria delle maree", secondo la quale lo sviluppo avrebbe automaticamente generato un benessere generalizzato, in una parte più e meno altrove, ma comunque generalizzato.
Una teoria che, per tutto ciò che non è ovvio, risulta francamente stravagante, per un centro-sinistra che si definisce riformista.

L'eredità, quindi, di Romano Prodi non è esaltante sul piano politico, ed è assai discutibile su quello "ideologico", oltre a suggerire ricordi imbarazzanti su quello della leadership e della capacità comunicativa.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda lucameni il 26/08/2008, 2:07

brava persona, ottimo economista, pessimo carattere rancoroso, sciaguratamente legato a dogmi tremendi come quello del bipolarismo in salsa Unione (di cui Parisi è il più convinto rappresentante), comunicatore imbarazzante e politico decisamente mediocre.
In questa Italia tutto questo conta, sopratutto l'aspetto comunicativo.
Ricordo alcuni colleghi, di quelli che ammettono non sapere nulla di politica e che quasi si vantano della propria ignoranza (in tutti i campi): erano rimasti estasiati dal Berlusconi barzellettiere.
Alla fin fine a loro non importava nulla di programmi, di leggi vergogna e di tutto quello che sappiamo noi; era il modo di proporsi di B., il fatto che toccasse loro certe corde che con la politica non hanno niente a che fare, che li conquistava.
Il Berlusconi barzellettiere per loro non aveva rivali.
La serietà in Italia non paga, nonostante lo specifico di Prodi e i suoi EVIDENTI difetti.
Hanno successo i furbi e i millantatori, forse per una sorta di identicazione, forse per carattere dei nostri concittadini, forse per ipnosi, forse per ignoranza, forse per la somma di tutto questo.
Mi meraviglio comunque che il Cs persista in questi errori pazzeschi di comunicazione, di cui Prodi - purtroppo - è un fulgido esempio.
Comunicare "bene" non vuol dire diventare berlusconiani, ma in questo momento vuol dire evitare che si persista a bombardare la cittadinanza con "armi di distrazione di massa", quelle stesse che pare abbiano conquistato anche tanti elettori storici di sinistra.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda franz il 26/08/2008, 8:20

Non credo che sia qui il caso di puntualizzare i difetti del personaggio politico Prodi (nessuno è esente da difetti) o quelli degli italiani, che ben conosciamo.
Il successo o l'insuccesso dell'Ulivo è stato guidato sul filo del rasoio tra le capacità di chi ha portato avanti questo progetto e quelle di chi, in varie riprese, ha remato contro. Sandra ricordava che nel 2006 eravamo presenti uniti solo alla Camera (dove infatti abbiamo avuto una forte maggioranza) mentre al Senato i singoli partiti si sono presentati separati.
Con il risultato striminzito che tutti abbiamo visto.
Le responsabilità di quell'errore politico enorme, grave, sono dei politici che guidavano i due principali partiti (DS e DL).
A Fassino e Rutelli quindi andrebbe presentato il conto per la situazione che Prodi ha dovuto gestire nelle precedente legislatura (già notevole che ci sia riuscito per due anni).

Intanto oggi il debito pubblico sotto Berlusconi ha ripreso salire e con il periodo di crisi economico finaziaria che abbiamo credo che tra un po' si rimpiangerà la mancanza di una persona compentente in economia come Prodi, piu' noto per il suo "saper fare" ed i risultati che per le teorie.
A sinistra piacciono tanto le teorie ma all'Italia servono fatti. E Prodi con l'Ulivo di fatti ... ne ha fatti.

Ciao,
Franz
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 27/08/2008, 14:42

Non sono in grado di sapere con certezza quello che serve all'Italia, ma sono certo che di "fatti" ne sono successi tanti, in questi anni, mentre di teorie e di idee di grande livello ne ho viste poche, per non dire nessuna.
Sarebbe intanto il caso, quindi, di smetterla con il "fattismo", che è la versione pragmatica del disfattismo.

Per altro, l'elenco che ho compilato nel mio intervento è appunto un elenco di fatti, ossia di nude e crude constatazioni.

A proposito poi delle responsabilità di Rutelli, Fassino e degli altri dirigenti della coalizione, prevedevo, anzi ben conoscevo questo gioco delle tre carte in uso nella bassa cucina politica. Il solito scaricabarile.
Prodi non ha mai avuto un partito tutto suo, e perciò non ha mai avuto la possibilità di fare una scelta sbagliata esplicita e la relativa brutta figura.
Ma chi ha la voglia e la pretesa di chiamarsi "leader", e di esserlo di fatto come candidato e come presidente del consiglio, oltre che come "padre nobile" di ulivi e di asinelli e di rivoluzioni bipolari, chi s'incarica di tutti questi ruoli si prende anche il carico di quello che avviene, sia come azioni personali, sia come scelte buone o cattive dei suoi alleati - specialmente quando questi non sono solo alleati, ma sono quelli che lo sostengono politicamente in termini di voti e di organizzazione.

Devo dire che a me, francamente, non importerebbe molto di Prodi, e non insisterei su questo triste argomento della sua "eredità", se non fosse questa l'ennesima prova di un'estenuante propensione a celebrare questo o quell'altro santino di questa o quell'altra fazione, trascurando di prendere atto della situazione reale.
Una situazione che, vista da sinistra, è fallimentare, e che non ha altri padri se non quelli che sono stati i leader di questi ultimi dieci anni: Prodi, Fassino, D'Alema, Marini, Veltroni, Rutelli, Bertinotti, etc.
Il fatto è che tutti cercano anche le briciole di gloria, e nessuno è disposto a farsi carico delle montgne che franano, e tanto meno sono disposti a farlo i militanti e i peones che si sono spesi e compromessi nell'esaltazione del proprio campioncino.

Come ho detto in altre occasioni, sarebbe il caso di smetterla di essere così pazienti e comprensivi, con chi si propone come dirigente e come leader.
Come discriminante di giudizio non vale solo la "vittoria elettorale", perché la politica non è fatta solo di elezioni - e comunque, nel nostro caso, non è che di gloriose vittorie ce ne siano un granché da mettere sui labari.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda franz il 27/08/2008, 18:11

Probabilmente tra i "fatti" ci sta anche non avere sempre la battuta pronta in campagna elettorale ma anche l'ingresso nell'area euro ed il duplice risanamento dei conti (1998 e 2007).
Poi ovviamente ognuno ha una sua personale bilancia per valutare e "pesare" quei fatti ma io a chi ha la battuta pronta preferisco chi mette in ordine i conti disastrati del paese, dato che è una precondizione per fare le riforme che pare che servano al paese (in teoria e in pratica).

Ciao,
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda ranvit il 27/08/2008, 18:24

Sono totalmente d'accordo con pierodm.

Prodi sarà anche un "bravuomo" (nel migliore sei sensi attribuibile a questo termine) ma non basta per essere uno "statista" e cioè un leader.
Nel maggio 2005 doveva avere il coraggio di fare la "lista Prodi" fregandosene della pugnalata al cuore dell'Ulivo della direzione della Margherita (con l'appoggio silenzioso della direzione Ds).
Si è invece affidato alla nomenclatura dei due partiti fatta di mediocri e obsoleti perdenti matricolati....sono 15 anni che prendono solo botte sui denti da Berlusconi.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda annalu il 28/08/2008, 17:03

pierodm ha scritto:Non sono in grado di sapere con certezza quello che serve all'Italia, ma sono certo che di "fatti" ne sono successi tanti, in questi anni, mentre di teorie e di idee di grande livello ne ho viste poche, per non dire nessuna.
Sarebbe intanto il caso, quindi, di smetterla con il "fattismo", che è la versione pragmatica del disfattismo.

Di "fatti" ne accadono continuamente, ma quando si tratta dei politici, e ancor più dei governanti, non si parla di "fatti" comunque avvenuti, ma di azioni compiute allo scopo di ottenere risultati, e di risultati ottenuti.
Si può discutere a volontà se i risultati siano o meno rilevanti, se le azioni compiute fossero adatte agli scopi, e se gli scopi fossero giusti e opportuni. Ma da qui a parlare di "fattismo" come versione pragmatica del disfattismo ... non lo capisco.
A meno che tu non voglia intendere che nessun risultato concreto ha valore se non nella luce di una prospettiva ideale del genere "sol dell'avvenire", cioè che non è importante che il paese sia migliore o peggiore, ma se si stia o meno avvicinando alla socità ideale. Questa visione utopistica della realtà mi spiace, ma non riesco a condividerla.

pierodm ha scritto:Devo dire che a me, francamente, non importerebbe molto di Prodi, e non insisterei su questo triste argomento della sua "eredità", se non fosse questa l'ennesima prova di un'estenuante propensione a celebrare questo o quell'altro santino di questa o quell'altra fazione, trascurando di prendere atto della situazione reale.
Una situazione che, vista da sinistra, è fallimentare, e che non ha altri padri se non quelli che sono stati i leader di questi ultimi dieci anni: Prodi, Fassino, D'Alema, Marini, Veltroni, Rutelli, Bertinotti, etc.
Il fatto è che tutti cercano anche le briciole di gloria, e nessuno è disposto a farsi carico delle montgne che franano, e tanto meno sono disposti a farlo i militanti e i peones che si sono spesi e compromessi nell'esaltazione del proprio campioncino.

Dunque. Per prima cosa mi scuso, perché so che la mia risposta apparirà confusa, in quanto certo tu sai esprimerti molto meglio. Però ... se il prendere atto della "situazione reale" (purtroppo senza dubbio fallimentare) consiste nel fare di tutta l'erba un fascio, e considerarne responsabili tutti i leader nella stessa misura, senza alcun tentativo di analisi delle relative responsabilità, dubito che sia possibile fare grandi passi avanti.
Non credo proprio di avere né la propensione a celebrare un qualsiasi "santino", né mi sento militante o peones di chicchessia. Mi permetto semplicemente di avere delle opinioni, evidentemente diverse dalle tue.
Ora, dal mio punto di vista pragmatico e non ideologico di leggere la "situazione reale", mi sembra che Prodi (non desidero dare un giudizio globale sulla persona, dato che non lo conosco direttamente) abbia governato ottenendo ogni volta dei risultati positivi concreti per il paese. Piccoli passi se vuoi, che possono apparire insufficienti, ma che nella situazione data ponevano pur sempre un argine allo sfascio.
E poi, la figura di Prodi come appare dai mezzi di informazione è esattamente l'opposto di Berlusconi: poca propensione alle chiacchiere, poca capacità comunicativa, però anche un modo sobrio ed onesto di presentarsi e di agire, e l'attitudine, come ha detto Franz, di fare "fatti", accompagnati da poche parole.
A me un Presidente del Consiglio che appare onesto e poco esibizionista, non so perché, ma piace, e riesco anche ad accontentarmi. Perché in tempi di disonestà diffusa e pubblicizzata, una persona semplicemente perbene è il primo antidoto da contrapporre. E non devo poi essere così l'unica a pensarlo, se Prodi è riuscito due volte a vincere le elezioni, malgrado i suoi limiti comunicativi. Veltroni, che come comunicatore è certo molto più abile, ha ottenuto un risultato più scadente: che sia anche perché le persone - parecchie persone - non desiderano che ad un "grande comunicatore" (solo comunicatore) se ne contrapponga un altro che comunica altrettanto bene, ma preferiscono una personalità differente, che si presenti come onesta e concreta nei fatti?

Se questa mia opinione su Prodi ti porta a classificarmi tra "i peones che si sono spesi e compromessi nell'esaltazione del proprio campioncino" non so che farci, mi spiace. Non penso di essere paziente e comprensiva verso alcun leader, al contrario, ma penso di avere il diritto e il dovere di valutare le diverse personalità singolarmente. Non che il mio giudizio possa avere grande influenza sulle sorti del paese, ma ugualmente avere un'opinione politica mi sembra doveroso, in un paese democratico.

annalu

PS. Ma forse, Piero, tu giudichi sufficiente per ritenere alcuni "militanti e peones" anche solo il fatto che partecipino alla redazione di un forum come questo? E' un dubbio che mi è venuto solo ora, perchè altrimenti non riesco a capire.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 29/08/2008, 2:00

Cara Annalu, neanche il mio giudizio cambia le sorti del paese, e questo mi mette tranquillo.
Sarei meno tranquillo, invece, se ricoprissi o avessi ricoperto una carica pubblica, e peggio che mai quella di leader di partito: i miei giudizi, le mie azioni e omissioni mi farebbero certamente stare poco sereno ... a meno di non non avere quella dote che spesso mostrano i politici di perdonare se stessi con grande generosità per i propri errori e di esaltare qualche risultato che hanno raggiunto.

Venendo a noi, è chiaro che lo scopo non è quello di giudicare Prodi in se stesso, ma di ragionare intorno al modo con il quale si giudica la politica.
Quando ho usato i termini di "militanti" e di "peones" sapevo esattamente quello che facevo.
L'obiettivo non era quello di classificare le persone, ma di sottolineare uno status, o meglio, due distinti status: quello di chi, militando, sceglie un punto di vista, una fazione, ed è portato a difenderne i leader, e quello di chi è comune cittadino senza particolari poteri e s'immedesima in un leader che di potere ne ha, sposandone in buona fede e con sincera determinazione la figura, facendo di questa scelta una questione non di militanza ma di pura opinione.
Nella mia definizione c'è sicuramente polemica, ma altrettanto certamente non c'è disprezzo: semmai c'è l'embrione di un discorso che riguarda l'effettivo potere che hanno le persone rispetto alla politica e agli organigrammi di partito, e rispetto alle scelte di questi, al problema della rappresentanza, etc.
Personalmente sono, con tutta evidenza, nella schiera dei peones, così come per lunghi (intermittenti) tratti sono stato in quella dei militanti, pur non riuscendo mai a riconoscermi in un leader che mi entusiasmasse pienamente.
Ma questa è autobiografia, e nelle autobiografie la verità individuale e la passione possono benissimo convivere con i limiti e gli errori più gravi: la famosa "condizione umana", alla quale si appellano perfino i ragazzi che scelsero Salò.

E' vero: il termine "fatti" significa "risultati", e infatti proprio ai risultati mi riferivo nella mia valutazione del consolato di Prodi, e li ho elencati sia pure in sintesi esemplificativa.
A cercare bene, di risultati diversi e variegati se ne trovano altri, sicuramente più positivi, per qualunque governo e per qualunque partito o personaggio: alla fine ci si ritrova a sommare e sottrarre le mele con le pere, ossia "fatti" diversi e su piani diversi.
Bisogna quindi sapere che cosa stiamo cercando, e su quale piano ci stiamo muovendo.
Nel dare la mia valutazione, ho guardato i "risultati" politici: lo stato della coalizione, il panorama politico italiano, la prevalenza di alcune idee diffuse, la consistenza, la natura e l'impatto effettivo di alcune direttrici di marcia e di alcune riforme, e infine le omissioni.
L'Italia non è migliore, e non sta meglio oggi, di quanto non stesse dieci anni fa, e lo stesso vale per la parte progressista di questo paese - tanto per essere eufemistici.
Tu dici: "si può discutere a volontà se i risultati siano o meno rilevanti, se le azioni compiute fossero adatte agli scopi... ", ed è appunto questo che facciamo. Ma che senso ha fare questo, se non per determinare la natura e la qualità dei "fatti"?
Se i fatti accertati sono importanti, e le omissioni poche o marginali, allora è giusto che siano evocati a difesa del leader di turno.
Se non lo sono, mentre prevalgono le omissioni o gli errori, allora i fatti risultano a carico del leader.

Succede però che esiste un vezzo, quello di discutere tirando fuori dal cappello questo concetto dei "fatti", come una specie di spada di Brenno: un espediente che viene perfino spiegato nei manuali del buon manager, quando si trova in una riunione - trattare i convenuti da chiacchieroni, o almeno lasciar intendere che questo è il rischio, mettendo in campo lo spauracchio intellettuale dei "fatti", e chi lo dice per primo è come se solo lui avesse questa magica e decisiva visione propsttica della realtà.
Ecco, questo è il "fattismo". Un espediente dialettico, così come è un espediente dialettico l'accusa di "disfattismo" che viene lanciata come una volta si accusavano le donne scomode di stregoneria.

Tu dici anche: "a meno che tu non voglia intendere che nessun risultato concreto ha valore se non nella luce di una prospettiva ideale del genere "sol dell'avvenire ".
Qui siamo nella solita, estenuante diatriba sull'utopia e sui piccoli passi.
A me sembra che, intanto, il nostro paese e la situazione politica siano assai lontani dalla Città del Sole, e per certi versi somigli più ad un incubo che ad un sogno utopico: quindi vedere la situazione com'è non è un esercizio da sognatori insoddisfatti, ma un semplice, modestissimo atto di realismo.
In dettaglio, i risultati concreti hanno il valore che deriva dai loro effetti, e dalle conseguenze che determinano, oltre che dal quadro generale in cui si collocano: non basta che i piedi facciano un piccolo passo perché questo abbia un valore comunque importante.
Inoltre la politica, specialmente se giudichiamo un leader o un partito, non è l'esercizio di fine corso di una ballerinetta, che giustamente merita un applauso quando fa del suo meglio.
Fare bene qualcosa, laddove si dovrebbero far bene un centinaio di cose diverse, e in un quadro dove cento buone azioni sarebbero appena sufficienti a tenere il naso fuori dall'acqua, è un risultato miserevole.
Riocordo che da ragazziono mi colpì una paginetta di Topolino, dove Pippo si trovava di fronte ad un tronco con un coltello in mano, e cominciava a scheggiarlo: vignetta dopo vignetta, i trucioli aumentavano e il tronco si affinava sempre di più, fino a che Pippo ottenne un meraviglioso stuzzicadenti. Con grande soddisfazione: bravo Pippo, che bella cosa che
hai "fatto"!

Infine parliamo della comunicazione, non dimenticando che stiamo parlando di un leader, un presidente del consiglio, non di un ministro, di un semplice parlamentare o di un grand commis.
Cominciamo col dire che io - come tanti altri - abbiamo votato perfino per Rutelli: quindi il fatto che Prodi abbia preso voti non significa praticamente niente, anche per questo profilo comunicativo.
Al contrario di una ormai ampiamente smentita retorica democraticistica, il voto vale per un giudizio su chi lo dà, più che su chi lo riceve - specialmente in un sistema politico come il nostro.
Inoltre, nel giudicare Prodi un comunicatore mediocre non si fa - nessuno intende fare - un automatico paragone con Berlusconi, il quale tra l'altro non è affatto quel grande comunicatore che tutti si affannano a proclamare: diciamo che nello stile sono due opposti estremismi di mediocrità. Chiudendo gli occhi, Prodi dà meno fastidio, perché si sente di meno.
Succede però che Berlusconi, buono o cattivo comunicatore che sia, piace al suo pubblico, e in fin dei conti le cose che deve dire le dice, oltre a dirne tante altre che non dovrebbe nemmeno pensare.
Ora, io appartengo al numero di quelli che hanno avversato fin dal primo momento la personalizzazione della politica, e dunque al peso che le doti individuali hanno nel confronto: ma non sono né cieco, nè irrealistico, e quindi - una volta che il sistema è diventato questo, anche ad opera di Prodi - ha le sue regole, la sua logica.
In questa logica "comunicare" è essenziale: non tanto per governare o per elaborare progetti di riforma (nessuno è così scemo da pensare che si studia "comunicando"), ma per competere, per far conoscere il proprio pensiero, per convincere, e insomma per fare tutte quelle cose che non spettano ad uno studioso, ma spettano pesantemnte ad uno che vuole essere "leader".
Certamente, poi, ognuno di noi ha le proprie preferenze, e non è escluso che anche un dibattito muto possa piacere, o possa piacere un mormorìo confessionale, o una totale assenza di vis polemica, tanto quanto può piacere uno che manda affanculo l'avversario come fa Grillo, o uno che fa le boccacce. Se siamo al punto di dover scegliere tra questi estremi, siamo messi male: e infatti siamo messi male.

Tutto sommato, anch'io mi accontento, come mi sono sempre accontentato, perfino al tempo delle Belle Bandiere.
Ma mi vorrei accontentare di qualcosa di più, non tanto perché "mi piace", ma perché mi convince con i fatti, con i risultati politici.
Accontentarsi di quello che siamo oggi, dimenticando come ci siamo arrivati e ad opera di chi, è da masochisti. Io credo.
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