La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Garantire insieme: sicurezza e giustizia uguale per tutti; privacy e diritto del cittadino all'informazione

Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda franz il 18/10/2009, 21:00

Il procuratore antimafia: "In qualche modo quella trattativa salvò la vita a molti ministri"
Luciano Violante: "La fotocopia pubblicata è una bufala, riferimenti a cose che vengono molto dopo"

Grasso: "C'erano contatti con la mafia
la strage Borsellino accelerò la trattativa"


ROMA - La trattativa con la mafia nei primi anni 90 c'è stata e anzi Cosa nostra aveva capito di poter ricattare lo Stato. A sostenerlo è il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, intervistato dal Tg3 della sera. E le sue parole rilanciano la polemica esplosa in questi giorni dopo la consegna alla Procura di Palermo delle copie di quello che il figlio di Vito Ciancimino assicura essere il "papello" elaborato da Riina per avviare la trattativa tra Stato e mafia.

E Piero Grasso spiega: "Quando Riina dice a Brusca, come lui ci riferisce, che 'si sono fatti sotto' vuol dire che è scattato il meccanismo di ricatto nei confronti dello Stato: la strage di Falcone ha funzionato in questo modo. L'accelerazione probabile della strage di Borsellino può allora essere servita a riattivare, ad accelerare la trattativa con i rappresentanti delle istituzioni".

"Anche via D'Amelio - sospetta Grasso - potrebbe essere stata fatta per 'riscaldare' la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Claudio Martelli, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici".

Intanto in un'intervista a La storia siamo noi, in onda domani sera su RaiDue, Agnese Borsellino, vedova del magistrato ucciso, rivela: "Stranamente negli ultimi giorni che precedettero via d'Amelio, mio marito mi faceva abbassare la serranda della stanza da letto, perché diceva che ci potevano osservare dal Castello Utveggio". Il castello Utveggio si trova sul monte Pellegrino e domina dall'alto la città di Palermo; secondo alcuni esperti di mafia sarebbe stato un punto di osservazione da parte di apparati dei servizi segreti.

Ma sono molti gli interrogativi aperti dall'indagine della Procura di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia e i riscontri sull'attendibilità del famoso "papello". In proposito l'ex presidente della Camera Luciano Violante non ha dubbi: "Quel documento pubblicato è una bufala: dico quello pubblicato, perché altri magari no". Secondo Violante si tratta di una falso perché nel documento "si fa riferimento a cose come il 41 bis o la dissociazione, che è un tema che verrà fuori molto tempo dopo" e occorre, quindi, "capire perché è uscito quel documento che è fasullo e che cosa voleva dire".

Non solo. Violante ipotizza scenari più oscuri. "Ho l'impressione - avverte - che il documento che la magistratura ha in mano sia diverso da quello pubblicato. Sta ai magistrati capire cosa è successo: sta a noi spingere senza interpretazioni di parte, perché la verità venga fuori".

(18 ottobre 2009)
http://www.repubblica.it
Ultima modifica di franz il 19/10/2009, 7:15, modificato 1 volta in totale.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda franz il 18/10/2009, 21:09

Intanto grazie ad Anno Zero (trasmissione di due settimane fa, vedi dichiarazione di Martelli) è emerso che Borsellino aveva saputo della trattativa ROS-mafia, alcuni giorni prima di morire ed aveva parlato con carabinieri che la conducevano.
Si stanno ripuntando i riflettori su un momento oscuro e tragioco della storia italiana, tra la fine della prima e la nascita della seconda repubblica, costellato da stragi terroristiche mafiose. Mentre si scoprono dettagli sul "papello" venamo a sapere che sia Di Pietro che Borsellino (entrambi magistrati) erano sotto attacco da parte della mafia e che il primo fu fatto uscire dal paese sotto falso nome, il secondo come sappiamo, no.
Nascita della seconda repubblica, legata all'ascesa fulminea di berlusconi in politica.
Ed al cambio di referenze politiche, cosi' racconta il figlio di Ciancimino tra DC-PSI prima (con Ciancimino, Lima e altri) e Forza Italia poi (con dell'Utri).
Chissà se sapremo mai la verità?
L'appello di Agnese Borsellino va in questo senso.

Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda franz il 19/10/2009, 7:20

Dal corriere

«LA TRATTATIVA HA SALVATO LA VITA A MOLTI MINISTRI» - L'intervista in serata al Tg3 ha fatto seguito a un'altra, uscita sulla Stampa, nella quale il procuratore nazionale antimafia sosteneva che la trattativa tra Stato e mafia «ha salvato la vita a molti ministri. Anche via D'Amelio -afferma Grasso- potrebbe essere stata fatta per "riscaldare" la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Martelli, Andreotti, Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo - dice il magistrato - probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici». Grasso, cita le carte processuali e anche di un "papellino" comparso poco tempo prima del "papello": «Potrebbe essere stato consegnato ai carabinieri del Ros, al col. Mori che nega l'episodio, da uno strano collaboratore dei servizi che chiedeva l'abolizione dell'ergastolo per i capimafia Luciano Liggio, Giovanbattista Pullará, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Bernardo Brusca. Anche quelle richieste ovviamente finirono nel nulla perchè irrealizzabili».

DI PIETRO: «ADESSO FACCIA I NOMI» - «Quelle di Grasso sono parole che non avremmo mai voluto ascoltare». E' di Pietro a reagire nel modo più critico alle due interviste del procuratore: «Deve fare i nomi di chi ha gestito questa indecente mercificazione dello Stato e della sua dignità». «Piero Grasso - continua Di Pietro - deve dire quali politici sono stati salvati e perché la mafia voleva ucciderli. Cosa avevano promesso i politici? Cosa hanno ottenuto? Chi sono i porta nome e porta interessi della mafia in Parlamento? Alcuni nomi li conosciamo: il primo sarebbe stato Giulio Andreotti, uomo di "esperienza" nei rapporti con la mafia, salvato dal reato di favoreggiamento per prescrizione; un altro è Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia, oggi in appello con 9 anni di condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa». «Vogliamo tutti i nomi -prosegue Di Pietro- l'intera lista, per poterli allontanare dalle istituzioni e processare, oltre che per i reati più ovvi, anche per alto tradimento della Patria. Si, di questo stiamo parlando e nessuno in uno Stato ha l'autorità per poter "vendere" i suoi cittadini alla criminalita. I politici coinvolti nella trattativa con la mafia -conclude Di Pietro- vadano a dare le loro indecenti spiegazioni ai familiari di Giovanni Falcone, della moglie, Francesca Morvillo, dei tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montanaro, a quelli di Borsellino, di Agostino Catalano, di Emanuela Loi, di Vincenzo Li Muli, di Walter Eddie Cosina, di Claudio Traina».
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda ranvit il 19/10/2009, 9:58

franz ha scritto:Intanto grazie ad Anno Zero (trasmissione di due settimane fa, vedi dichiarazione di Martelli) è emerso che Borsellino aveva saputo della trattativa ROS-mafia, alcuni giorni prima di morire ed aveva parlato con carabinieri che la conducevano.
Si stanno ripuntando i riflettori su un momento oscuro e tragioco della storia italiana, tra la fine della prima e la nascita della seconda repubblica, costellato da stragi terroristiche mafiose. Mentre si scoprono dettagli sul "papello" venamo a sapere che sia Di Pietro che Borsellino (entrambi magistrati) erano sotto attacco da parte della mafia e che il primo fu fatto uscire dal paese sotto falso nome, il secondo come sappiamo, no.
Nascita della seconda repubblica, legata all'ascesa fulminea di berlusconi in politica.
Ed al cambio di referenze politiche, cosi' racconta il figlio di Ciancimino tra DC-PSI prima (con Ciancimino, Lima e altri) e Forza Italia poi (con dell'Utri).
Chissà se sapremo mai la verità?
L'appello di Agnese Borsellino va in questo senso.

Franz



In quegli anni vivevo in Sicilia.

Ricordo, perchè la cosa mi colpi' molto, che nei mesi precedenti le elezioni del '94 la gente era disorientata : fino a quel momento votavano o Dc o Psi senza troppi pensieri. Ma caduti i due partiti con le inchieste "Mani pulite" la gente non sapeva chi votare e si domandavano l'un l'altro cosa fare. Poi, circa un mese e mezzo prima delle elezioni, di colpo nessuno si chiedeva piu' niente : avrebbero votato tutti (o quasi) per Forza Italia....

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
ranvit
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10669
Iscritto il: 23/05/2008, 15:46

Re: Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda franz il 20/10/2009, 11:30

Il processo a Palermo
Mori: «Non ci fu nessuna
trattativa Stato-mafia»

Il prefetto ammette di aver incontrato più volte l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino

PALERMO - Non ci fu nessuna trattativa tra la mafia e lo Stato. Lo ha detto il prefetto Mario Mori, ex comandante del Ros dei carabinieri, che ha reso dichiarazioni spontanee davanti al Tribunale di Palermo nel processo in cui è imputato di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra, assieme al colonnello Mauro Obinu, per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nel 1995.

GLI INCONTRI - Mori ha spiegato di aver incontrato più volte l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, ma ha negato che vi sia stata una trattativa sul cosiddetto «papello», le richieste dei boss allo Stato, messe nero su bianco da Totò Riina. «Incontrai più volte Vito Ciancimino e cercai più volte contatti con la commissione Antimafia senza che avessi obbligo di farlo. Proprio gli incontri con Vito Ciancimino furono la prova che una trattativa con Cosa Nostra non ci fu», ha affermato Mori, e ha aggiunto: «Ogni trattativa del genere e questa in particolare che implicava una resa vergognosa dello stato a una banda di criminali assassini sarebbe stata impensabile». L'ex comandante del Ros ed ex capo del Sisde ha parlato a lungo davanti al Tribunale, per rivendicare la correttezza del suo operato. Mori ha preso la parola dopo la deposizione dell'ex presidente della Camera ed ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, Luciano Violante, sentito dai giudici proprio sui contatti che ebbe all'epoca con Mori. L'allora alto ufficiale dei carabinieri aveva informato Violante dell'intenzione di Vito Ciancimino di avere un incontro con la commissione Antimafia. Circostanze che Violante ha sostanzialmente confermato. «Violante ricorda seppur lacunosamente, ma conferma quanto ho detto io. Il mio comportamento fu improntato alla massima trasparenza», ha affermato Mori.

www.corriere.it
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda franz il 20/10/2009, 11:40

Mori: «Non ci fu nessuna
trattativa Stato-mafia»

Mori dal suo punto di vista (colonnello dei ROS) puo' eventualmente affermare che per quanto lo riguarda la trattativa non ando' avanti.
Altri intanto molto probabilmente la proseguirono.
Sostituendo gli intermediari.
Fatto sta che la mafia smise di fare stragi, nel 1993, con la cattura di Riina.
Provenzano prese il suo posto e condusse la pax mafiosa; fu catturato nel 2006, dopo 40 anni di latitanza.
Fu catturato l'11 aprile, in piena concomitanza con le elezioni che portarono alla sconfitta di Berlusconi ad opera di Prodi.
Chi ha preso il posto di Provenzano?

Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Tra mafia e Stato

Messaggioda franz il 21/10/2009, 13:49

da http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... 2112777//0
di Lirio Abbate
Brusca rivela: Riina disse che il nostro referente nella trattativa era il ministro Mancino. Ma dopo l'arresto del padrino, i boss puntarono su Forza Italia e Silvio Berlusconi

E' la vigilia di Natale del 1992, Totò Riina è euforico, eccitato, si sente come fosse il padrone del mondo. In una casa alla periferia di Palermo ha radunato i boss più fidati per gli auguri e per comunicare che lo Stato si è fatto avanti. I picciotti sono impressionati per come il capo dei capi sia così felice. Tanto che quando Giovanni Brusca entra in casa, Totò ù curtu, seduto davanti al tavolo della stanza da pranzo, lo accoglie con un grande sorriso e restando sulla sedia gli dice: "Eh! Finalmente si sono fatti sotto". Riina è tutto contento e tiene stretta in mano una penna: "Ah, ci ho fatto un papello così..." e con le mani indica un foglio di notevoli dimensioni. E aggiunge che in quel pezzo di carta aveva messo, oltre alle richieste sulla legge Gozzini e altri temi di ordine generale, la revisione del maxi processo a Cosa nostra e l'aggiustamento del processo ad alcuni mafiosi fra cui quello a Pippo Calò per la strage del treno 904. Le parole con le quali Riina introduce questo discorso del "papello" Brusca le ricorda così: "Si sono fatti sotto. Ho avuto un messaggio. Viene da Mancino".

L'uomo che uccise Giovanni Falcone - di cui "L'espresso" anticipa il contenuto dei verbali inediti - sostiene che sarebbe Nicola Mancino, attuale vice presidente del Csm che nel 1992 era ministro dell'Interno, il politico che avrebbe "coperto" inizialmente la trattativa fra mafia e Stato. Il tramite sarebbe stato l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, attraverso l'allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. L'ex responsabile del Viminale ha sempre smentito: "Per quanto riguarda la mia responsabilità di ministro dell'Interno confermo che nessuno mi parlò di possibili trattative".

Il contatto politico Riina lo rivela a Natale. Mediata da Bernardo Provenzano attraverso Ciancimino, arriva la risposta al "papello", le cui richieste iniziali allo Stato erano apparse pretese impossibili anche allo zio Binu. Ora le dichiarazioni inedite di Brusca formano come un capitolo iniziale che viene chiuso dalle rivelazioni recenti del neo pentito Gaspare Spatuzza. Spatuzza indica ai pm di Firenze e Palermo il collegamento fra alcuni boss e Marcello dell'Utri (il senatore del Pdl, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa), che si sarebbe fatto carico di creare una connessione con Forza Italia e con il suo amico Silvio Berlusconi. Ma nel dicembre '92 nella casa alla periferia di Palermo, Riina è felice che la trattativa, aperta dopo la morte di Falcone, si fosse mossa perché "Mancino aveva preso questa posizione". E quella è la prima e l'ultima volta nella quale Brusca ha sentito pronunziare il nome di Mancino da Riina. Altri non lo hanno mai indicato, anche se Brusca è sicuro che ne fossero a conoscenza anche alcuni boss, come Salvatore Biondino (detenuto dal giorno dell'arresto di Riina), il latitante Matteo Messina Denaro, il mafioso trapanese Vincenzo Sinacori, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella.


Le risposte a quelle pretese tardavano però ad arrivare. Il pentito ricorda che nei primi di gennaio 1993 il capo di Cosa nostra era preoccupato. Non temeva di essere ucciso, ma di finire in carcere. Il nervosismo lo si notava in tutte le riunioni, tanto da fargli deliberare altri omicidi "facili facili", come l'uccisione di magistrati senza tutela. Un modo per riscaldare la trattativa. La mattina del 15 gennaio 1993, mentre Riina e Biondino si stanno recando alla riunione durante la quale Totò ù curtu avrebbe voluto informare i suoi fedelissimi di ulteriori retroscena sui contatti con gli uomini delle istituzioni, il capo dei capi viene arrestato dai carabinieri.

Brusca è convinto che in quell'incontro il padrino avrebbe messo a nudo i suoi segreti, per condividerli con gli altri nell'eventualità che a lui fosse accaduto qualcosa. Il nome dell'allora ministro era stato riferito a Riina attraverso Ciancimino. E qui Brusca sottolinea che il problema da porsi - e che lui stesso si era posto fin da quando aveva appreso la vicenda del "papello" - è se a Riina fosse stata o meno riferita la verità: "Se le cose stanno così nessun problema per Ciancimino; se invece Ciancimino ha fatto qualche millanteria, ovvero ha "bluffato" con Riina e questi se ne è reso conto, l'ex sindaco allora si è messo in una situazione di grave pericolo che può estendersi anche ai suoi familiari e che può durare a tempo indeterminato". In quel periodo c'erano strani movimenti e Brusca apprende che Mancino sta blindando la sua casa romana con porte e finestre antiproiettile: "Ma perché mai si sta blindando, che motivo ha?". "Non hai nulla da temere perché hai stabilito con noi un accordo", commenta Brusca come in un dialogo a distanza con Mancino: "O se hai da temere ti spaventi perché hai tradito, hai bluffato o hai fatto qualche altra cosa".

Brusca, però, non ha dubbi sul fatto che l'ex sindaco abbia riportato ciò che gli era stato detto sul politico. Tanto che avrebbe avuto dei riscontri sul nome di Mancino. In particolare uno. Nell'incontro di Natale '92 Biondino prese una cartelletta di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio di Gaspare Mutolo, un mafioso pentito. E commentò quasi ironicamente le sue dichiarazioni: "Ma guarda un po': quando un bugiardo dice la verità non gli credono". La frase aveva questo significato: Mutolo aveva detto in passato delle sciocchezze ma aveva anche parlato di Mancino, con particolare riferimento a un incontro di quest'ultimo con Borsellino, in seguito al quale il magistrato aveva manifestato uno stato di tensione, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette. Per Biondino sulla circostanza che riguardava Mancino, Mutolo non aveva detto il falso. Ma l'ex ministro oggi dichiara di non ricordare l'incontro al Viminale con Borsellino.

Questi retroscena Brusca li racconta per la prima volta al pm fiorentino Gabriele Chelazzi che indagava sui mandanti occulti delle stragi. Adesso riscontrerebbero le affermazioni di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, che collabora con i magistrati di Palermo e Caltanissetta svelando retroscena sul negoziato mafia- Stato. Un patto scellerato che avrebbe avuto inizio nel giugno '92, dopo la strage di Capaci, aperto dagli incontri fra il capitano De Donno e Ciancimino. E in questo mercanteggiare, secondo Brusca, Riina avrebbe ucciso Borsellino "per un suo capriccio". Solo per riscaldare la trattativa.

Le rivelazioni del collaboratore di giustizia si spingono fino alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Iniziano con l'attentato a Maurizio Costanzo il 14 maggio '93 e hanno termine a distanza di 11 mesi con l'ordigno contro il pentito Totuccio Contorno. Il tritolo di quegli anni sembra non aver portato nulla di concreto per Cosa nostra. Brusca ricorda che dopo l'arresto di Riina parla con il latitante Matteo Messina Denaro e con il boss Giuseppe Graviano. Chiede se ci sono novità sullo stato della trattativa, ma entrambi dicono: "Siamo a mare", per indicare che non hanno nulla. E da qui che Brusca, Graviano e Bagarella iniziano a percorrere nuove strade per riattivare i contatti istituzionali.

I corleonesi volevano dare una lezione ai carabinieri sospettati (il colonnello Mori e il capitano De Donno) di aver "fatto il bidone". E forse per questo motivo che il 31 ottobre 1993 tentano di uccidere un plotone intero di carabinieri che lasciava lo stadio Olimpico a bordo di un pullman. L'attentato fallisce, come ha spiegato il neo pentito Gaspare Spatuzza, perché il telecomando dei detonatori non funziona. Il piano di morte viene accantonato.

In questa fase si possono inserire le nuove confessioni fatte pochi mesi fa ai pubblici ministeri di Firenze e Palermo dall'ex sicario palermitano Spatuzza. Il neo pentito rivela un nuovo intreccio politico che alcuni boss avviano alla fine del '93. Giuseppe Graviano, secondo Spatuzza, avrebbe allacciato contatti con Marcello Dell'Utri. Ai magistrati Spatuzza dice che la stagione delle bombe non ha portato a nulla di buono per Cosa nostra, tranne il fatto che "venne agganciato ", nella metà degli anni Novanta "il nuovo referente politico: Forza Italia e quindi Silvio Berlusconi".

Il tentativo di allacciare un contatto con il Cavaliere dopo le stragi era stato fatto anche da Brusca e Bagarella. Rivela Brusca: "Parlando con Leoluca Bagarella quando cercavamo di mandare segnali a Silvio Berlusconi che si accingeva a diventare presidente del Consiglio nel '94, gli mandammo a dire "Guardi che la sinistra o i servizi segreti sanno", non so se rendo l'idea...". Spiega sempre il pentito: "Cioè sanno quanto era successo già nel '92-93, le stragi di Borsellino e Falcone, il proiettile di artiglieria fatto trovare al Giardino di Boboli a Firenze, e gli attentati del '93". I mafiosi intendevano mandare un messaggio al "nuovo ceto politico ", facendo capire che "Cosa nostra voleva continuare a trattare".

Perché era stata scelta Forza Italia? Perché "c'erano pezzi delle vecchie "democrazie cristiane", del Partito socialista, erano tutti pezzi politici un po' conservatori cioè sempre contro la sinistra per mentalità nostra. Quindi volevamo dare un'arma ai nuovi "presunti alleati politici", per poi noi trarne un vantaggio, un beneficio".

Le due procure stanno già valutando queste dichiarazioni per decidere se riaprire o meno il procedimento contro Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, archiviato nel 1998. Adesso ci sono nuovi verbali che potrebbero rimettere tutto in discussione e riscrivere la storia recente del nostro Paese.
(21 ottobre 2009)
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Il pentito: "Berlusconi e Dell'Utri nostri referenti

Messaggioda franz il 24/10/2009, 0:09

strano, questa notizia ancora non l'ho letta sui media italiani ma all'estero si'.
Tutti distratti dall'ipotesi di dimissioni di tremonti?
Franz



Secondo l'ex killer di Brancaccio la mafia trattò con la politica e trovò nelle istituzioni i suoi referenti, tra cui Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Il legale del premier Nicolò Ghedini ha annunciato la querela nei confronti del pentito

ROMA - Per anni la mafia trattò con la politica, trovò nelle istituzioni i suoi referenti. Un dialogo, quello tra boss e pezzi dello Stato, durato ben oltre il periodo delle stragi e andato avanti fino al 2004. Ne è convinto Gaspare Spatuzza, ex uomo d'onore del gruppo di fuoco della famiglia Graviano.

I contatti con Berlusconi e Dell'Utri - Con le sue rivelazioni ha aggiunto un altro capitolo all'inchiesta che i magistrati palermitani conducono sulla cosiddetta trattativa. L'8 ottobre scorso, l'ex killer di Brancaccio, soprannominato "U Tignusu" per la sua calvizie, ha riferito ai pm i nomi dei politici con cui la mafia avrebbe dialogato: Silvio Berlusconi e Marcello dell'Utri.

Accuse respinte e querela - Accuse subito respinte dal difensore di Berlusconi, l'avvocato Nicolò Ghedini che ha annunciato querela nei confronti del pentito. "La autorità giudiziaria - ha detto - ha già ampiamente indagato sulle assurde accuse che nel passato erano state mosse nei confronti del Presidente Berlusconi e ne ha accertato, come era ovvio, la più totale estraneità a qualsiasi ipotesi di connessione con la mafia".

Verbale depositato oggi - Il verbale dell'interrogatorio di Spatuzza è stato depositato oggi al processo d'appello al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, accusato di concorso in associazione mafiosa. Se la corte accoglierà le richieste della procura generale, che a sorpresa ha interrotto la requisitoria per chiedere la riapertura dell'istruttoria, Spatuzza potrebbe comparire in aula a raccontare la sua verità sulla trattativa.

La strategia mafiosa di metà anni '90 - A rivelare al collaboratore l'identità degli interlocutori istituzionali della mafia sarebbe stato Giuseppe Graviano, boss stragista a cui il pentito era legatissimo. Dopo le bombe di Firenze, il collaboratore di giustizia e il capomafia si incontrano a Campofelice di Roccella, nel Palermitano. Spatuzza mostra perplessità per la nuova strategia del terrore di Cosa Nostra che, per la prima volta, non colpisce i "nemici" istituzionali o gli avversari interni, ma cittadini comuni. Graviano, quasi stizzito, gli risponde: "Io ne capisco di politica, tu no". "Mi disse - racconta il pentito - che da quei morti avremmo tratto tutti benefici, a partire dai carcerati". Affermazioni che convincono "U Tignusu" che la trattativa riguardava anche la politica.

Il progetto di attentato eclatante - Per "riscaldare" il clima Cosa Nostra progetta un attentato eclatante: a saltare in aria dovevano essere i carabinieri. Spatuzza ha carta bianca nell'organizzare la nuova strage e individua come obiettivo lo stadio Olimpico, dove un'autobomba avrebbe dovuto uccidere un centinaio di carabinieri del servizio d'ordine. Per entrare in azione aspetta, però, il via libera di Graviano. I due tornano a incontrarsi a Roma a metà gennaio del 1994. Il capomafia, questa volta, è ancora più esplicito. "Era molto felice - racconta il collaboratore - disse che avevamo ottenuto tutto e che queste persone non erano come quei quattro "crasti" (cornuti ndr) dei socialisti. La persona grazie alla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c'era di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri". "Mi disse - aggiunge - che grazie alla serietà di queste persone noi avevamo ottenuto quello che cercavamo. Usò l'espressione 'ci siamo messi il Paese nelle mani'". L'attentato all'Olimpico fallisce. E l'arresto dei Graviano lo fa definitivamente sfumare.

Le trattative con lo Stato - Nel 2004, a 10 anni di distanza, Spatuzza intuisce che la trattativa è ancora in corso. È detenuto a Tolmezzo insieme a un altro dei Graviano, Filippo. Nelle celle si parla di una possibile dissociazione da Cosa Nostra tesa ad avere benefici carcerari. Il pentito ne parla al boss che prende tempo: "Se non arriva niente da dove deve arrivare - dice Filippo Graviano - anche noi cominciamo a parlare con i magistrati". "Segno - spiega il pentito - che la trattativa era ancora aperta".

ATS
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda Gab il 14/01/2010, 0:02

Gli interrogatori del figlio di don Vito, desecretati 23 verbali:
è questa la ragione per cui il nascondiglio non fu perquisito

Ciancimino jr: "Nel covo di Riina carte da far crollare l'Italia"
"Moro, i servizi dissero alla mafia: non intervenite. Ustica, fu un aereo francese"
di ATTILIO BOLZONI e FRANCO VIVIANO
da repubblica.it

PALERMO - Il covo di Totò Riina non l'hanno mai perquisito "per non far trovare carte che avrebbero fatto crollare l'Italia". E la cattura del capo dei capi è stata voluta da Bernardo Provenzano dentro quella trattativa che, fra le uccisioni di Falcone e di Borsellino, la mafia portò avanti con servizi segreti e ufficiali dei reparti speciali dei carabinieri. É la "cantata" di Massimo Ciancimino, quinto e ultimo figlio dell'ex sindaco di Palermo, sui misteri siciliani. Ventitré verbali desecretati - milleduecento pagine - e depositati al processo contro il generale Mario Mori, accusato di avere favorito la lunga latitanza di Provenzano dopo quell'arresto "concordato".

Ma se sulla cattura di Totò Riina esistono già atti ufficiali d'indagine che smontano la versione dei carabinieri, le altre rivelazioni del rampollo di don Vito svelano tanto altro di Palermo. Dalla fine degli anni '70 sino all'estate del '92. É la sua verità, ereditata per bocca del padre. La storia di alcuni delitti eccellenti, il sequestro di Aldo Moro, la strage di Ustica, i rapporti di Vito Ciancimino con l'Alto Commissario antimafia Emanuele De Francesco e il suo successore Domenico Sica. É l'impasto fra Stato e mafia che ha governato per vent'anni la Sicilia.

Il covo del capo dei capi. Massimo Ciancimino conferma il patto fra Bernardo Provenzano e i carabinieri del Ros, mediato da don Vito, per la cattura di Riina: "Una delle garanzie che mio padre chiese ai carabinieri, e che loro diedero a mio padre, era che nel momento in cui si arrestava Riina bisognava mettere al sicuro un patrimonio di documentazione che il boss custodiva nella sua villa". E ha aggiunto: "Provenzano riferì a mio padre che Totò Riina conservava carte e documenti di proposito con un obiettivo: se l'avessero arrestato avrebbero trovato tante di quelle cose, di quelle carte, che avrebbero fatto crollare l'Italia. Mio padre commentò con me il fatto dicendo che quello era un atteggiamento tipico di Riina. Secondo lui, conoscendo bene molti di questi documenti, sarebbero stati conservati apposta dal Riina con il solo fine di rovinare tante persone in caso di un suo arresto, visto che solo una spiata poteva far finire la sua latitanza".

La trattativa fra le stragi del 1992. Il negoziato con Cosa Nostra iniziò dopo l'uccisione di Falcone. Da una parte Totò Riina. Dall'altra il vice comandante dei Ros Mario Mori, il capitano Giuseppe De Donno e "il signor Franco", un agente dei servizi segreti legato all'Alto commissariato antimafia. E in mezzo Vito Ciancimino. Se in un primo momento Totò Riina è stato un terminale della trattativa per fermare le bombe, dopo la strage Borsellino "è diventato l'obiettivo della trattativa". Racconta ancora il figlio dell'ex sindaco: "Della trattativa erano informati i ministri Virginio Rognoni e Nicola Mancino, questo a mio padre l'ha detto il signor Franco e gliel'hanno confermato il colonnello Mori e il capitano De Donno".

La trattativa dopo le stragi. Nel 1993, un anno dopo Capaci e via D'Amelio, la trattativa mafiosa è andata avanti. E al posto di Vito Ciancimino ormai in carcere, sarebbe stato Marcello Dell'Utri a sostituirlo nel ruolo di mediatore: "Mio padre sosteneva che era l'unico a poter gestire una situazione simile... ha gestito soldi che appartenevano a Stefano Bontate e a persone a lui legate".
L'omicidio Mattarella. Il Presidente della Regione siciliana, ucciso il 6 gennaio del 1980, per Vito Ciancimino fu "un omicidio anomalo". Spiega suo figlio: "Dopo il delitto, mio padre chiese spiegazioni ai servizi segreti... un poliziotto poi gli disse che c'era la mano dei servizi nella morte di Mattarella. Ci fu uno scambio di favori su quell'omicidio.. ".

Il sequestro Moro. Il figlio di don Vito dice che suo padre è sempre stato legato all'intelligence fin dal sequestro di Moro. "La prima volta che mio padre mi ha raccontato di contatti di Cosa Nostra con apparati dello Stato risale al sequestro. E mi ha detto che era stato pregato, e per ben due volte, di non dare seguito alle richieste per fare pressioni su Provenzano perché si attivasse per aiutare lo Stato nelle ricerche del rifugio di Aldo Moro".

Don Vito e Gladio. "Mio padre faceva parte di Gladio", ha rivelato Massimo. E ha spiegato: "Mi disse che all'origine c'era mio nonno Giovanni che, all'epoca dello sbarco degli Alleati in Sicilia, era stato assoldato come interprete". Il figlio di don Vito ricorda poi che il padre aveva costituito le prime società di import export "insieme a un colonnello americano" e che ha partecipato "a diversi incontri" organizzati dalla struttura militare segreta.

L'uccisione del prefetto dalla Chiesa. É la parte più "omissata" dei verbali di Ciancimino. Suo padre gli aveva parlato dell'uccisione di Carlo Alberto dalla Chiesa e dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli "che sono legate", poi il verbale è ancora tutto coperto dal segreto.

La strage di Ustica. Nei racconti del figlio dell'ex sindaco c'è il ricordo dell'aereo precipitato in mare il 27 giugno del 1980: "Quella notte mio padre fu chiamato dal ministro della Difesa Attilio Ruffini che gli disse che era successo un casino: fece chiamare anche l'onorevole Lima. Si seppe subito che era stato un aereo francese che aveva abbattuto per sbaglio il Dc 9, ma bisognava attivare un'operazione di copertura perché questa informazione non venisse fuori".

Gli autisti senatori. Massimo Ciancimino, ricordando di un "pizzino" inviato da Provenzano a suo padre dove si faceva riferimento "a un amico senatore e al nuovo Presidente per l'amnistia", ha confermato che i due erano Marcello Dell'Utri e Totò Cuffaro. Poi ha spiegato dove ha conosciuto l'ex governatore: "L'ho incontrato nel 2001 a una festa dell'ex ministro Aristide Gunnella, credevo di non averlo mai visto prima. Si è presentato e mi ha baciato. Poi, l'ho raccontato a mio padre che mi ha detto: 'Ma come, non te lo ricordi, che faceva l'autista al ministro Mannino? Anche lui aspettava in macchina, fuori, come te che accompagnavi me ... Poi ho collegato... perché quando accompagnavo mio padre dall'onorevole Lima fuori dalla macchina aspettava pure, con me, Cuffaro e anche Renato Schifani che faceva l'autista al senatore La Loggia. Diciamo, che i tre autisti eravamo questi... andavamo a prendere cose al bar per passare tempo.. Ovviamente, loro due, Cuffaro e Schifani, hanno fatto altre carriere: c'è chi è più fortunato nella vita e chi meno... ma tutti e tre una volta eravamo autisti".

(13 gennaio 2010)
Avatar utente
Gab
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 506
Iscritto il: 22/05/2008, 16:52
Località: Livorno

Mafia, stragi del '92 e trattativa con lo Stato

Messaggioda franz il 21/05/2010, 9:13

Caltanissetta - Dello 007, ancora al lavoro, parla anche Ciancimino jr
Un funzionario dei Servizi segreti
indagato per la strage di via D'Amelio
Riconosciuto dal pentito Spatuzza. Accusa di concorso in strage


ROMA — Un funzionario dei servizi segreti tuttora in forza all'Aisi, l'Agenzia di informazioni per la sicurezza interna che ha sostituito il vecchio Sisde, è indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso nella strage di via d'Amelio, nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. È un nome poco noto alle cronache, ma comparso più volte nelle inchieste siciliane sui rapporti tra Cosa nostra ed esponenti delle istituzioni. Ha lavorato ed era amico con Bruno Contrada, l'ex poliziotto e numero 3 del Sisde condannato a dieci anni di carcere per concorso in associazione mafiosa, è comparso come testimone in quello e in altri processi ed inchieste.

Adesso è lui al centro degli accertamenti da parte dei magistrati che hanno riaperto l'indagine sull'autobomba esplosa il pomeriggio del 19 luglio 1992, 56 giorni dopo la strage di Capaci che aveva ucciso Giovanni Falcone. L'ordigno fu sistemato all'interno di una Fiat 126 rubata da Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio. Il quale due anni fa ha deciso di collaborare con la giustizia, e nell'interrogatorio del 17 dicembre 2008 reso ai pubblici ministeri di Firenze, che indagano sulle stragi del '93 in continente, a proposito dei contatti di Cosa nostra con ambienti esterni ha detto: «C'è una questione su via D'Amelio, che c'ho una figura di una persona che non avevo mai visto e che non conosco. Quando io consegno la 126 in questo garage (dove fu imbottita di esplosivo, ndr), insieme a Renzino Tinnirello ("uomo d’onore" della stessa cosca, ndr), c'è questa persona che io sconosco. Una figura che rimane in sospeso».

Lo stesso episodio l'aveva riferito agli inquirenti di Caltanissetta e prima ancora al superprocuratore antimafia Pietro Grasso, durante i colloqui investigativi; specificando che quando notò lo sconosciuto abbassò lo sguardo per mostrare di non averlo notato e di non essere interessato a sapere chi fosse. Nel tentativo di risalire all'identità del misterioso personaggio, i pm hanno sottoposto al neo-pentito dei voluminosi album di fotografie di appartenenti ai servizi segreti e alle forze dell'ordine. In due di queste, Spatuzza ha riconosciuto il funzionario all’epoca del Sisde e oggi dell’Aisi. Certo, si tratta dell'indicazione di una persona vista una volta sola sedici anni prima, che gli inquirenti hanno cominciato a valutare con le dovute riserve. Ma l'attendibilità del collaboratore di giustizia (lo stesso che ha testimoniato dei presunti contatti di Cosa Nostra con Dell'Utri e Berlusconi nel 1993, per come gli furono riferiti dal capomafia Giuseppe Graviano) per i magistrati è ormai fuori discussione.

Tanto che alla proposta del programma di protezione riservato ai pentiti, avanzata dalla Procura di Firenze, si sono associati gli uffici di Caltanissetta e Palermo, nonché la Direzione nazionale antimafia. Mentre erano in corso le verifiche sulla deposizione di Spatuzza è arrivato Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo che sta testimoniando sui rapporti tra suo padre — che si muoveva per conto di Bernardo Provenzano — e rappresentati dello Stato. Anche a lui sono stati sottoposti gli album di foto forniti dall'attuale dirigenza dei Servizi segreti, e sfogliandoli ha indicato due personaggi che secondo lui erano vicini al «signor Franco», l'uomo «di apparato » che incontrava sia suo padre che Provenzano. Uno dei volti riconosciuti dal giovane Ciancimino corrisponde a quello sul quale aveva già messo il dito Spatuzza. Secondo il figlio dell'ex sindaco mafioso, quell'uomo è colui che ha continuato ad avere contatti con Vito Ciancimino quando era detenuto, a partire dal dicembre 1992, entrando e uscendo spesso dal carcere di Rebibbia.

Dunque, se le individuazioni fotografiche dovessero corrispondere alla realtà e trovassero riscontri, la stessa persona presente tra i boss in una fase cruciale della preparazione dell'attentato a Paolo Borsellino— episodio catalogato fin da subito come difficilmente circoscrivibile ai soli interessi mafiosi — ha anche partecipato ai contatti tra Cosa nostra e istituzioni durante la «trattativa» avviata nel 1992, passata attraverso le stragi e proseguita (secondo Spatuzza, ma anche Ciancimino jr) fino ai primi anni Duemila. Ipotesi che confermerebbe misteriosi e inquietanti scenari, già immaginati in base ad altri elementi, sul ruolo di alcuni segmenti dello Stato nei rapporti con la mafia durante la sanguinosa e destabilizzante stagione delle stragi.

Giovanni Bianconi
21 maggio 2010 www.corriere.it
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58


Torna a Sicurezza, Giustizia, Informazione

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 13 ospiti