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ho ascoltato il Prof. Martino

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda pinopic1 il 15/05/2009, 16:16

Intanto per trovare esempi di dirigismo in Italia non serve scomodare il comunismo, o meglio non serve scomodare il PCI e i regimi comunisti che furono. Abbiamo nella nostra storia esempi di dirigismo professato da liberali e democristiani, ma sono secondari, e soprattutto abbiamo l'esempio del fascismo.

Ma vogliamo fare un esempio concreto attuale? Se la politica impone a Marchionne di non chiudere stabilimenti in Italia e di non licenziare dipendenti nell'ambito dell'operazione che sta portando avanti, è dirigismo. Se la politica si fa carico della sorte degli operai che perdono il lavoro, fa il suo mestiere.
Liberista deve essere Marchionne, non necessariamente chi ha responsabilità politiche.
Questo al netto degli aiuti di stato avuti dalla Fiat nel corso della sua storia e che in questo caso non devono pesare.
"Un governo così grande da darti tutto quello che vuoi è anche abbastanza grande da toglierti tutto quello che hai" (Chiunque l'abbia detto per primo)
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda gabriele il 15/05/2009, 20:05

Perdonami stefano, ma da quanto ho letto non riesco a capire cosa intendi per "governare".

Governare un processo, economico o sociale, vuol dire interagire con esso. Ovviamente è la misura dell'interazione che diversifica uno status ordinamentale da un altro.

Anche il liberali più convinti erano, e sono, fermi nell'affermare che le regole in una società libera sono fondamentali. Però loro, a differenza di altri, le concepiscono come cosa essenziale per il proseguimento delle attività libere di una società libera, ovvero formata da uomini liberi, e per questo motivo devono essere il meno invasive possibili nella vita privata ed economica degli individui.

Dalla misura dell'intromissione dello stato nella vita di tutti noi, cioè nella sfera privata, si determina inoltre lo status effettivo dello Stato, cioè se è di diritto o etico.

In uno stato etico il liberalismo non può esistere. Semmai possono esistere le forme di neoliberismo che hanno indebolito pesantemente il mondo in questi ultimi 20 anni, anche a causa, come viene affermato da più voci, della mancanza di regole a livello mondiale.

I neoliberali non li considererei dei liberali, anzi, tutt'altro

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Stefano'62 ha scritto:A me il fatto che dove la politica governa tutto sia comunismo non convince nemmeno un pò.
Tutto,ma proprio tutto,deve essere regolamentato (e quindi,per definizione,governato) da leggi che saranno più o meno direttive a seconda dell'ambito e del taglio ideologico della società:se è comunista avranno una definizione e uno spessore determinato da questo,se invece è altro saranno differenti.
E' solo lo spirito con cui le leggi governano questo e quello che determina se siamo in presenza di comunismo,socialismo,liberalismo etc.
Non il fatto che ci siano o meno delle leggi.
Se le leggi lasciassero indifeso un campo vorrebbe dire che la società considera quel campo non interessante e non nevralgico,nemmeno marginalmente,per le finalità per le quali la società stessa si è formata.
Le leggi sono fatte nel nome dello Stato,perciò del popolo,dalla politica,che non è altro che il sistema con cui una moltitudine di persone delega ai propri rappresentanti esattamente questo compito.

Quindi precisando che in quel tutto logicamente non si comprende il moto dei pianeti o la digestione delle termiti del bengala,mi pare che dire che la politica deve governare tutto sia esatto,e non significa per forza dirigismo.

Quello che mi pare sia fallito sul serio con rilevanza addirittura mondiale,è l'esperienza economico finanziaria di quei colossi che per decenni hanno preteso che la politica li lasciasse liberi di fare.
Come un ragazzino che dopo avere frignato perchè i genitori lo lasciassero andare in discoteca perchè ormai si sente adulto,torna a casa sanguinante senza una lira e senza i vestiti.

Ciao
Chi sa, fa. Chi non sa, insegna. Chi non sa nemmeno insegnare, dirige. Chi non sa nemmeno dirigere, fa il politico. Chi non sa nemmeno fare il politico, lo elegge.
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda lucameni il 15/05/2009, 20:56

"Liberismo" o "statalismo" sono definizioni in fondo vaghe che vanno riempite di contenuti altrimenti non hanno molto senso.
Ci sono "liberisti" che sono perfettamente d'accordo nel dire che in Italia uno dei maggiori problemi è, oltre la mancanza di merito e di una eccessiva invadenza dello Stato in settori non essenziali, proprio la carenza di ammortizzatori sociali.
Eppure da queste parti "liberismo" è un qualcosa che pare essere peggio della kriptonite.
E ci sono "statalisti" che semmai hanno un'idea "socialista" dell'economia, tipo Svezia, non certo assistenzialista come la conosciamo noi italioti; politica che magari non approvo, ma ritengo sia rispettabile e per la quale non mi straccerei le vesti.
Mi pare che molte delle discussioni nascano dal fare di certe definizioni strumento di polemica gratuita, sopratutto se malamente prese in prestito e usurpate dal ben noto monopolista.
Altrimenti non si arriverebbe a definire con tale superficialità i "liberisti" (quali?) persone prive di qualsiasi valore e umanità.
Fa il paio con la pretesa di possedere l'unica cultura possibile, degna, disprezzando quella altrui non di sinistra (che mi si dice inesistente, o al più di basso livello).
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda pianogrande il 15/05/2009, 22:12

Il minimo risultato che dovrebbe emergere da questa discussione, per me, sarebbe che governare l'economia significa, semplicemente, costringerla a rispettare delle regole nella sua interazione con la società.
Che questo sia necessario e non sia roba da comunisti per definizione mi sembra che trovi un po' tutti daccordo.
Può sembrare poco ma sarebbe già un bel risultato.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda cardif il 16/05/2009, 1:04

Non ho potuto seguire questa discussione da quando è cominciata, ma l'ho studiata tra ieri ed oggi. Non so quanto durerà ancora; mi piacerebbe che alla fine qualcuno facesse una sintesi sulla base dei concetti almeno in larga parte condivisi, tanto per "costruire qualcosa" come dice Ianfran, o per ottenere un "minimo risultato" come dice pianogrande.
Vorrei capire dalle conclusioni, per esempio, quale sia l'idea prevalente di politica. Se prevale l'idea che la politica sia o meno sovrana, nel senso che stia al di sopra deille singole attività sociali.
Si parla di politica scolastica, o agraria, o sanitaria, o ambientalista, o ecologista ed anche economica; perciò mi sono fatto l'idea che la politica sia al di sopra, che "governi" questi vari ambiti (daccordo: senza esagerare!), nel senso che dia gli indirizzi normativi e fissi le regole (che poi però sta al potere giudiziario far rispettare!).
Le regole vengono fatte o disfatte dalla politica: è ovvio che possono essere fatte scelte politiche sbagliate, ma comunque è meglio perché, stando al di sopra e al di fuori dai singoli settori, per il bene comune può coordinare gli interventi limitando gli eventuali contrasti derivanti dalle iniziative che, altrimenti, ogni settore potrebbe imporre a discapito degli altri, con effetti distorcenti. Se in una società l'economia pubblica fosse nelle mani di una sola categoria, ad esempio dei costruttori, il suo habitat verrebbe sommerso dal cemento. La politica, che in una democrazia rappresentativa vera cammina sulle gambe di uomini che difendono le istanze di vari settori, limiterebbe lo scempio. E' successo che la politica ha peccato per omissione concedendo eccessivo liberismo e non ha fatto convivere, stabilendo regole di tutela, i desideri di arricchimento di alcuni con le esigenze di benessere dei tanti, o almeno con il diritto a non essere imbrogliati. E allora: quale può essere il criterio per stabilire il limite minimo oltre il quale la politica deve intervenire ed il limite massimo oltre il quale non deve (ammesso che ci siano)?
La politica non dovrebbe fissare regole anche in ambito economico, e quindi starne al di sopra, senza necessariamente essere comunista o droga per il libero mercato?
Da Wikipedia: "Per economia si intende sia l'utilizzo di risorse scarse per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa, sia un sistema di organizzazione delle attività di tale natura poste in essere da un insieme di persone, organizzazioni e istituzioni." E allora l'economia, oltre a quella gestita dal capofamiglia o dall'amministratore di una azienda o da una organizzazione di più aziende, e cioè dal libero mercato, non è usata dalla politica come strumento per i suoi scopi?
In un sistema democratico la società degli uomini affida ai politici, e per astrazione alla politica, il mandato di governarla per il bene di ciascuno. E' così? Alcuni politici capiscono che il mandato loro affidato è appunto questo: il bene di ciascun membro della società; altri politici credono di dover perseguire gli interessi delle categorie che li hanno sostenuti; altri ancora credono di avere il diritto di curare solo i propri interessi. Ma questa non è politica.
Forse il problema non è l'invadenza della politica nell'economia, ma il poco valore di alcuni uomini politici che il potere economico può comprare (così si dice, ma anche qui io penso che a comprare non sia un "potere" ma uomini senza scrupoli con valori solamente mobiliari ed immobiliari).
Vorrei sapere se si ritiene intangibile o meno la costituzione, e, se sì, con quali criteri. Credo che in linea di principio siano tutto daccordo su un possibile miglioramento, ma dove in concreto? O è vero che solo a parlare di modifiche a qualcuno viene l'orticaria? O ha ragione Stefano'62, secondo cui a qualcuno viene l'orticaria solo a sentir parlare di lavoro e costituzione? Franz dice che "qualcuno teme che criticando un articolo si critichi l'intera Costituzione". E' così?
Una osservazione a pierodm che dice: "Una costituzione non è lo statuto di una s.r.l. o di una s.p.a..". Ma le definizioni su Wikipedia sono:
"La costituzione di un'organizzazione definisce la sua forma, struttura, attività, carattere e regole fondamentali." e "Uno statuto è una raccolta di norme fondamentali, ad esempio relative alla costituzione di uno stato, una regione, un ente, un'associazione o un gruppo sociale.". E non ci vedo grande differenza. Io interpreto l'inizio: "Il Capo provvisorio dello Stato" ... promulga la Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo: ..." in questo modo: "E' costituita la Repubblica Italiana, regolata dalle seguenti norme (che ne costituiscono lo Statuto): ..." E' errato?
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda franz il 16/05/2009, 8:24

pianogrande ha scritto:Franz.
Pare proprio che ci dobbiamo mettere daccordo su che cosa significhi governare (meglio, come detto da Pierodm, fare politica).
...
Il concetto che l'economia, nell'ambito di una collettività, sia una zona franca dove si possono commettere tutte le nefandezze di questo mondo ti trova daccordo?

No, infatti ho parlato di regole (e quindi implicitamente di controlli e sanzioni).
Ma questo non è governare, è regolare.
pianogrande ha scritto:Chi vigila su questo?
Ma è "semplìce": i comunisti.

????? Lo stato di diritto, non i comunisti. Ok, per il comunismo sovietico era la stessa cosa.

Ciao,
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda franz il 16/05/2009, 8:34

pinopic1 ha scritto:Se la politica non si fa sottomettere e governa la società avendo al centro della sua attenzione l'uomo, il cittadino e i suoi bisogni, costruisce il quadro all'interno del quale l'economia agisce liberamente, con le sue regole e le sue logiche diciamo così tecniche; e all'interno di questo quadro ogni operatore economico può liberamente organizzare i fattori della produzione anche considerando il lavoro meno importante di altri, se necessario.

Ecco vedi che se rileggi comprendi che una cosa è tentare di governare la società, una cosa è voler governare l'economia.
Non sono sinonimi.
Si, dovremmo intenderci sul termine governare, soprattutto in campo economico.
L'economia è un aspetto della società; il governo è un aspetto della volontà umana di dirigere.
Le aziende sono governate singolarmente e non esiste un governo collettivo.
Se ci fosse saremmo di fornte ad un pericoloso monopolio.
Parimenti non deve esistere un governo politico dell'economia (sarebbe una forma di capitalismo di stato) ed in particolare del mercato. Il che non significa che lo stato non debba intervenire (anzi con il welfare è diventato un suo compito da circa un secolo) per alleviare e sosteere chi è in difficoltà. Si puo' discutere se sia giusto salvare una grande azienda dal fallimento, facendo pagare ai contribuenti il costo di errate scelte aziendali. Per me no. Puo' forse essere una misura eccezionale e transitoria, non certo una regola auspicabile pe tutte le imprese e per tutte le situazioni.

Franz
Ultima modifica di franz il 16/05/2009, 10:13, modificato 1 volta in totale.
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda franz il 16/05/2009, 8:52

pianogrande ha scritto:Il minimo risultato che dovrebbe emergere da questa discussione, per me, sarebbe che governare l'economia significa, semplicemente, costringerla a rispettare delle regole nella sua interazione con la società.
Che questo sia necessario e non sia roba da comunisti per definizione mi sembra che trovi un po' tutti daccordo.
Può sembrare poco ma sarebbe già un bel risultato.

Il problema delle regole è fondamentale ma si sbaglia soggetto, forse per eccesso di generalizzazione.

Qualcuno potrebbe dire che la politica ruba. Che bisogna costringere la politica a non rubare.
Si potrebbe dire che qualcosa deve essere sopra la politica, che la politica deve essere governata da qualcosa che sta sopra. Sono convinto che in Vaticano una idea ce l'hanno.

In realtà non è la politica è che ruba. A rubare sono uomini o gruppi di uomini.
Le regole sono per gli uomini o per i gruppi di uomini (persone fisiche e persone giuridiche).
Idem per l'economia. Non è che l'economia ruba e inquina.

Sono soggetti umani a farlo e per controllare e reprimere tutto cio' non serve che "la politica governi l'economia" ma che esista uno stato di diritto, fatto di regole, controllori, polizia, giudici. Questa è pubblica amministrazione, non poliitca.
Se la politica (dove ci sono anche uomini che rubano) controlla l'economia (dove chi sono anche uomini che rubano) non abbiamo sono aiutato una possibile associazione a delinquere.

Quando si parla di politica che governa l'economia si intende, di solito, un vero e proprio dirigismo.
La politca decide ed il mercato si adegua. Come fu per l'equo canone. Con i risultati che sappiamo.

La politica (intesa come insieme di esecutivo e parlamento) invece puo' regolare (e puo' farlo bene come puo' farlo male) e puo' predisporre quelle norme e quelle strutture che agevolano l'economia. Se non sa farlo bene finisce per predisporre norme e strutture che ostacolano o e rallentano l'economia.

Io ritengo che lo sviluppo sia una condizione umana automatica, nel senso che tutti i popoli tendono a svilupparsi e crescere, su tutti i profili (popolazione, reddito, cultura, conscenze, risparmi): Lo stato puo' fare molto per favorire questo processo, limitandone alcune distorsioni, come anche puo' fare (anche involontariamente) molto per rallentarlo.
Probabilmente la probabilità di interventi errati è superiore alla probabilità di interventi positivi.

Questo è tipico dei sistemi complessi. Non puoi intervenire a caso su un sistema complesso (ed una centrale nuclaare è infinitamente meno complessa di un sistema economico come quello italiano) e tanto meno puo' intervenire con la presunzione che viene dal possesso di una visione ideologica, idealistica o da una visione democratica.
In una sistema complesso, costiuito da milioni di compoenti interagenti, si interviene solo con una visione tecnico scientifica.

Ciao,
Franz
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda franz il 16/05/2009, 9:10

pierodm ha scritto:La politica governa tutto, direttamente o indirettamente: anche quando si astiene dal governare questa o quell'altra cosa, dato che in un sistema regolato dal diritto (quindi dalle leggi) un settore che viene trascurato dalla regolamentazione equivale ad una regola che consente tutto e il contrario di tutto.

Ma non è nemmeno questo il punto, data l'ovvietà di quanto detto sopra.
Il punto, ossia l'errore, sta nell'identificazione - fatta così, di passaggio, senza dare troppo nell'occhio - tra politica e governo.
La politica non è "il governo".

Mi fermo qui, dato che non vorrei sovraccaricare Franz di troppo lavoro, visto che è in un abbondantissimo arretrato nel rispondere alle mie argomentazioni.

Anche l'economia governa, visto che senza soldi e senza reddito (uno dei prodotti piu' interessanti del sistema economico) non si fa nulla. Anche la politica ha bisogno (sempre maggiore) di soldi e senza di questi nemmeno la cultura fa grandi passi.
Nel senso che un asrtista puo' produrre tutto quello che vuole (se ha risorse) ma per distribuirlo, farlo vedere a tutti, (se musica, libro, film) ha bisogno di risorse economiche o di risevgliare l'interese di chi ne ha.

Da questo deduciamo che l'economia governa la poliitca? Per me no.
Ma sicuramente politica ed economia nulla farebbero senza la cultura, le conoscenze, il saper fare.
Deduciamo allora che la cultura governa l'conomia o governa la poliitca? Per me no.
Deduciamo caso mai che l'economia e la politica interagiscono, scambiandosi cose che rendono profittevole il tutto per la società (che è l'insieme).

Intanto per capirci tutti meglio dovremmo discutere a livello sistemico. Diciamo società, politica, cultura, economia, a faremmo meglio a parlare di sistema sociale, composto da sottosistema economico, sottostema politico, sottosistema culturale. Ogni sottosistema dei tre è in relazione con gli altri due. Nel senso che da e riceve. Per me è una realzione simbiotiotica e cooperativa. Nessuno governa ma nessuno vivrebbe senza gli altri.

Ciao,
Franz

Nota: per il resto le risposte le ho date anche agli altri forumisti e non sono tenuto a rispondere sistematicamente a tutte le cosnsiderazioni poste da tutti. Infatti il forum diventerebbe illeggibile. Piu' o meno come mettere un chicco di riso sulla prima casella di una scacchiera, due sulla seconda e via di seguito. Meglio quindi concentrarsi sui dialoghi piu' promettenti mantenendo il tutto in un limite di leggibilità e fruibilità. Nelle risposte che ho dato ad altri per me ci sono i punti piu' importanti che dovevo anche a te. Ovviamente quelli che io reputo piu' importanti.
Ultima modifica di franz il 16/05/2009, 9:23, modificato 1 volta in totale.
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Re: ho ascoltato il Prof. Martino

Messaggioda franz il 16/05/2009, 9:22

pinopic1 ha scritto:Ma vogliamo fare un esempio concreto attuale? Se la politica impone a Marchionne di non chiudere stabilimenti in Italia e di non licenziare dipendenti nell'ambito dell'operazione che sta portando avanti, è dirigismo. Se la politica si fa carico della sorte degli operai che perdono il lavoro, fa il suo mestiere.

perettamento d'accordo.
Se la politica dicesse a Marchionne cosa fare (cosa chiudere o non chudere, cosa produrre o non produrre) sarebbe un atto di dirigismo sull'economia e sul mercato. Ovviamente se Marchionne ha bisogno di un aiuto statale allora è gisto che lo stato chieda in cambio qualche cosa e magari po' dire di non chiudere uno stabilimento o di produrre auto elettriche.
Questo è molto meno dirigismo perché è pur sempre un relazione di mercato, di scambio (anche se quando uno dei due è in difficoltà lo scambio non è paritario). Sempre per non dimenticare ovvietà, è chiaro che la politica chiede a chi costrusce auto di farle sicure, coi freni, le luci, il clackson ma questo non è "dirigismo", è regolazione.
Sono poi regole per tutte le auto, non solo per quelle della FIAT.

Se la politica si fa carico della sorte di chi perde il lavoro, non è dirigismo. Non è un intervento sull'economia ma sulla società. Con il welfare.
Un intervento che avrà comunque un costo economico (che qualcuno quindi, non illudiamoci, paga) ma ha anche un vantaggio di mercato (un operaio con un reddito sostitutivo è comunque un consumatore migliore di uno senza piu' una lira in tasca) e sociale (discorso sulla inclusione ed esclusione sociale di chi perde il lavoro).
Tanto è vero che a parte l'Italia (dove vale solo per le solite categorie previlegiate) questa cosa viene fatta ovunque nei paesi occidentali e capitalisti su base universale (ttti i lavoratori dipendenti).

Non so come siamo arrivati qui ma si parlava di lavoro e sviluppo ...

Franz
Ultima modifica di franz il 16/05/2009, 10:19, modificato 1 volta in totale.
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