Una pagina che svela un Salvini diverso ....
Una pagina da seguire!
https://www.facebook.com/permalink.php? ... __tn__=K-RÈ da un po’ di giorni che rimugino sull’inchiesta fatta nei giorni scorsi da ‘La Repubblica’ sulla mia presunta scarsa presenza al Ministero. Come sapete Repubblica non è mai stato un giornale tenero nei miei confronti e questo io non solo lo accetto ma addirittura lo incoraggio, perché ho sempre pensato che l’informazione dovesse svolgere anche un ruolo di cane da guardia del potere e non solo intrattenere, come del resto mi ha insegnato il mio Maestro di giornalismo a ‘La Padania' Gigi Moncalvo. Non ho però difficoltà ad ammettere, con voi che frequentate questo mio piccolo e riservato locus amoenus di riflessione, che inchieste di questo tipo mi feriscono profondamente (dal punto di vista umano, non politico) perché hanno un approccio ragionieristico e da Ispettorato del Lavoro alla funzione sacra che io svolgo.
Il mio rapporto con il Ministero che ho l’onore e il peso di presiedere è duplice: da un lato vi sono l’orgoglio e la responsabilità di servire il paese sulla scia di grandi uomini come Mario Scelba, Giorgio Napolitano e Angelino Alfano, dall’altro quei corridoi tetri e polverosi mi danno inquietudine. Sì, mi danno inquietudine, perché dovrei negarlo?
Come sempre faccio ho cercato di esorcizzare la ferita umana di quell’inchiesta con la letteratura, unico balsamo di una vita frenetica e scandita da orari, protocolli, formalismi, rigidità e pasti da postare sui social. La mia scelta è caduta sullo straordinario ‘Bartleby lo scrivano’ di Melville. (E qui faccio un inciso per svelarvi un piccolo segreto: nonostante le ottime edizioni odierne, curate da Bompiani, rileggo sempre questo racconto nella traduzione di Orsola Nemi ed Henry Furst per Longanesi e non per un vezzo letterario ma perché il loro sodalizio culturale, professionale ed umano mi ricorda i bei giorni perduti con la mia fidanzatina del liceo con la quale lo lessi la prima volta e con la quale ci dilettavamo a tradurre le poesie di Emily Dickinson. Spero mi perdonerete questa debolezza e questo inciso).
Ebbene, tornando a Bartleby, molti commentatori, anche autorevoli come Calvino o Gianni Celati, vedono in lui una figura quasi sepolcrale, spettro di quella depressione che - spesso - finisce per attanagliare le grandi menti. Il “preferirei di no” così insistentemente pronunciato dal protagonista si traduce per loro in una rinuncia a qualsiasi slancio, inedia esistenziale di un mondo ormai perso dietro ai demoni del profitto.
Pur rispettando questa lettura (del resto chi sono io per mettere in discussione Calvino e Celati?) non concordo. Due giorni orsono, discorrendo con l’amico Massimo Casanova (e dopotutto cos’è la sua nota discoteca Papeete di Milano Marittima se non un estremo, dionisiaco e disperato messaggio apotropaico lanciato contro la morte?), finalmente ho avuto l’intuizione giusta e realizzato che anche Bartleby è in realtà una figura dalla grande dimensione vitalistica, il “preferirei di no” è rifiuto del conformismo, non arrendevolezza.
Come Bartleby io non intendo diventare uno di quei politicanti la cui figura Melville descrive come "pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida!”. Non voglio più rinunciare alla mia vita, a me stesso, alle mie piccole gioie quotidiane per inseguire un modello tratteggiato da un giornale – pur autorevole – come Repubblica che credo sia spesso vittima di abbagli derivanti dall’estrazione giacobina del suo fondatore.
E voi amici? Condividete questa mia lettura del breve racconto del papà di Moby Dick o siete d’accordo con Calvino e Celati? Non mi offenderei se voi la pensaste in modo diverso naturalmente, siamo qui per confrontarci.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)