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La mappa della Ndrangheta in Lombardia

La mappa della Ndrangheta in Lombardia

Messaggioda flaviomob il 24/03/2011, 14:57

http://www.corriere.it/cronache/special ... mafiopoli/

Complimenti al Corriere per il sito realizzato: una mappa dettagliata delle attività mafiose in essere a Milano e in Lombardia.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Re: La mappa della Ndrangheta in Lombardia

Messaggioda flaviomob il 25/03/2011, 14:38

Attualità
Scritto da Andrea Meregalli
Venerdì 25 Marzo 2011
Tags: Monza e dintorni

Mentre si fa un gran parlare di 'nrangheta e di come questa organizzazione criminale abbia affondato le proprie marce radici in Brianza, ieri, in quel di Lissone, nella sede del Pd, Pino Masciari, imprenditore di origini calabresi, ha raccontato la sua esperienza.

Costretto a lasciare la sua terra per avere denunciato la pressione della 'ndrangheta, che lo incalza e che lo aggredisce, Masciari, dal 1997, vive, insieme alla moglie e ai figli, un'esistenza fortemente amara, che riassume così: «Vorrei che provaste a immedesimarvi per un momento in quella che è stata la nostra vita: pensatevi chiusi in una casa che non è vostra, in un luogo che non conoscete, dove non conoscete nessuno e dove vi dovete nascondere perché non potete dire chi siete veramente, neanche al vicino di casa. Pensateci, vorrei che per un attimo vi diceste: io da domani mattina sono in un altro posto, in un posto che per me è come avere il nulla intorno. Io da domani non posso più usare il mio nome. Io da domani non sono più nessuno».

Alla presenza di Roberto Corti, candidato sindaco democratico alle prossime amministrative di Desio, città feticcio delle infiltrazioni malavitose in Brianza, Masciari ha presentato il proprio libro: 'Organizzare il Coraggio'.

«Ogni persona che viene a conoscenza della mia storia, mi allunga la vita di un giorno», questa la chiosa di Masciari.

Il suo blog è www.pinomasciari.org

In foto, Pino Masciari, per gentile concessione Elio Talarico

http://www.mbnews.it/attualita/109-attu ... ciari.html


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Re: La mappa della Ndrangheta in Lombardia

Messaggioda flaviomob il 08/04/2011, 21:33

Le radici della mafia al Nord
1 apr 2011

di Marco Nebiolo

Mafia al nord, più la conosci e più ti accorgi di quanto assomigli a quella del sud. Ramificata sul territorio, onnipresente, violenta, prevaricatrice. Lo sa bene chi in certe periferie delle grandi metropoli convive, porta a porta, con i boss e le loro famiglie trapiantate nel settentrione a partire dagli anni 50 e che ne subisce – per lo più in silenzio – piccoli e grandi soprusi quotidiani. Ma soprattutto lo sa chi fa impresa, in particolare nei settori dell’edilizia, del movimento terra, dell’agro alimentare, dei trasporti, e guarda con distacco al clamore suscitato sui media da recenti indagini giudiziarie in territori ritenuti per decenni immuni dal contagio, persino da alcune autorità istituzionali.

Memorabile in questo senso l’affermazione del prefetto di Milano del gennaio 2010 sull’inesistenza della mafia nel capoluogo lombardo, pochi mesi prima che alcune clamorose inchieste della magistratura mostrassero la presenza di strutture criminali radicate a tutti i livelli in Lombardia. Ma chi quotidianamente immerge le mani nel mondo degli affari sa che interi comparti economici delle regioni settentrionali da tempo convivono silenziosamente con la mafia, la subiscono, ci scendono a patti nel modo meno indolore o più vantaggioso, cercando di fare buon viso a cattivo gioco. È in alcune confidenze a “microfono spento” che ho trovato la migliore spiegazione di cosa sia la “colonizzazione” denunciata recentemente dalla Direzione nazionale antimafia nella sua ultima relazione annuale.

Il rappresentante commerciale di una impresa di Torino che affitta veicoli meccanici per il movimento terra mi ha raccontato, per esempio, del suo rapporto con un importante cliente di Milano. Il torinese sa che dietro quell’imprenditore che paga spesso in contante qualcosa non quadra. Il cliente milanese è un imprenditore ben vestito, poliglotta, affabile. Apparentemente ineccepibile. In disparte dietro di lui, però, c’è sempre un anziano, un signore di poche parole che si esprime solo in dialetto calabrese, verso il quale il manager ogni tanto si volta, per chiedere un cenno di consenso sull’andamento della trattativa. Sull’imprenditore girano brutte voci, ma è un cliente da tenere stretto perché paga le fatture regolarmente. Ogni tanto il manager si lascia sfuggire una battuta macabra, ma non si capisce se siano scherzi di cattivo gusto o velate minacce. Tuttavia il rappresentante commerciale non dimostra timore, né indignazione. Piuttosto rassegnazione, presa d’atto di uno stato di fatto, una convivenza “necessaria”, direbbe il vituperato Lunardi, ex ministro dei lavori pubblici.

Quanti sono gli imprenditori che operano nell’edilizia, nel nolo a caldo o freddo, nei trasporti, nella distribuzione alimentare che vivono situazioni di questo genere a Torino, Modena, Milano? Basta chiedere ai lavoratori edili che quotidianamente popolano i cantieri delle nostre città o agli operatori che nottetempo brulicano nei grandi ortomercati. Sono loro testimoni dei quotidiani compromessi dei propri datori di lavoro con questi interlocutori “con cui non si può discutere”. Loro sanno che bene che i miliardi di euro che Dia, Dna, Eurispes denunciano ogni anno come “fatturato” delle mafie sono investiti ovunque intorno a noi, a nostra insaputa, nelle regioni settentrionali. Sono nel negozio di alimentari sotto casa, sono nei muri del palazzo dove abitiamo, forse sono sulla strada che percorriamo ogni giorno per andare in ufficio. Nell’albergo di lusso quasi sempre vuoto, magari nella boutique in centro che apre e chiude in pochi mesi, nella filiale di banca di provincia dove quei signori ottengono facilmente aperture di credito negate ai più. Chi può dire quante volte, in una giornata, entriamo in contatto con i frutti dei proventi criminali? In questo scenario affermare che le mafie sono un problema del sud è un po’ come sostenere che lo tsunami sia un problema di chi passeggia sulla battigia.

Come ha denunciato pochi giorni fa il governatore della Banca D’Italia Mario Draghi alla Statale di Milano, la colonizzazione mafiosa mette a rischio non solo la crescita economica del paese, ma la natura stessa della democrazia. Scandalizzarsi? Forse è più utile cercare di capire. Un modo per farlo è provare mettersi dalla parte di coloro che con la mafia si trovano quotidianamente faccia a faccia: da un lato le vittime, dall’altro i complici. Perché al nord le mafie, esattamente come al sud, fanno leva in primo luogo sulle debolezze, sulle necessità materiali e sulle ambizioni degli uomini, vittime o complici che siano. Di fronte al bisogno, di fronte alla minaccia, di fronte alla prospettiva di un facile arricchimento l’uomo del nord – al di là di polverosi stereotipi su presunti anticorpi antimafiosi – si è rivelato, come quello del sud, timoroso, insicuro, corruttibile. Affatto desideroso di immolare gli interessi suoi e della sua famiglia sull’altare della giustizia: lo facciano altri, io sopravvivo, prima o poi qualcun(altro) ci penserà. Al nord come al sud, uniti dalla stessa fragilità, meschinità ed istinto di sopravvivenza. Sentimenti umani che vengono esaltati dalla precarietà economica, dalla cultura dell’arrivismo e dell’individualismo, dall’assenza di solidarietà e di senso civico, l’humus su cui le mafie tradizionalmente mettono radici. La facilità con cui le hanno affondate nel nord devono interrogarci sulle fondamenta di una società sfibrata, ripiegata su se stessa, asfittica.

http://www.narcomafie.it/2011/04/01/le- ... a-al-nord/


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Re: La mappa della Ndrangheta in Lombardia

Messaggioda flaviomob il 02/06/2011, 16:15

L'INCHIESTA
Quando il boss prende la valigia
Ecco i segreti della mafia al Nord
Le organizzazioni criminali hanno colonizzato il Nord. Moltiplicando i loro affari. Un libro-inchiesta di Federico Varese spiega come ci sono riuscite: alla base del loro potere c'è un bisogno di protezione che lo Stato non riesce ad assolvere di ROBERTO SAVIANO

Incontrai Federico Varese nel 2008, per la mia prima lezione ad Oxford. Ero terrorizzato. Mi accolse il suo sorriso insieme a quello di Davide Gambetta, due veri e propri esploratori del mondo delle mafie. Due maestri. Oxford mi sembrò un luogo che guardava spesso alle dinamiche mafiose del nostro paese e del mondo, con una urgenza più evidente rispetto a tanti altri atenei. Ora Federico Varese pubblica un libro in Italia dopo aver pubblicato molto in Gran Bretagna. Un saggio disciplinato, complesso, un'opera scientifica: Mafie in movimento (Einaudi). Si tratta di un'analisi profonda sul trapianto delle mafie fuori dai propri territori di origine. Fuori da quelli che vengono comunemente percepiti, con superficialità, come i loro confini "naturali". Nel luglio 2010 la maxi-operazione denominata Il Crimine, condotta da Polizia e Carabinieri all'interno dell'indagine coordinata dalle Procure di Milano e di Reggio Calabria, portò a 300 ordinanze di custodia cautelare contro boss riconosciuti e presunti affiliati della 'ndrangheta, di cui 160 in Lombardia.

E all'individuazione di almeno 15 "locali" lombardi. L'eccezionalità di quest'operazione non risiede solo nel numero di persone coinvolte nell'attività criminale, ma soprattutto dalle zone nelle quali molte di queste persone operavano. Non Platì, San Luca, Reggio Calabria, Marina di Gioiosa Ionica, nomi che siamo abituati a sentire quando si parla di 'ndrangheta. Ma Milano, Bollate, Cormano, Rho, Pioltello, Erba. Città e paesi di quel Nord che si è sempre sentito immune. Che ci hanno sempre fatto credere fosse immune.

Se in Calabria rimane il vertice direttivo, la Lombardia emerge come cuore economico dell'associazione: qui la 'ndrangheta è riuscita a ricreare una struttura parallela, dotata di un alto grado di autonomia d'azione. L'Operazione Il Crimine ha totalmente ribaltato l'assioma secondo cui la mafia è frutto della "cultura" del Meridione e che il trapianto mafioso fosse impossibile in zone con un alto tasso di civismo e di "capitale sociale". Ha dimostrato l'ingenuità della convinzione che il soggiorno obbligato sarebbe bastato a redimere i mafiosi.

Ma nessun territorio è immune dalle infiltrazioni, perché la mafia non è una malattia, è un sistema economico e non si eredita come una tara familiare e non si cura con aria di mare come una polmonite. Come spiegarsi altrimenti ciò che è accaduto a Bardonecchia, l'operoso comune piemontese, sciolto per mafia nel 1995?
Dati questi precedenti, e soprattutto adesso, nell'era della globalizzazione e della "società liquida" si sarebbe portati a pensare che anche per le organizzazioni criminali sia più facile espandersi e andare oltre i propri confini. In realtà, questa tesi, che vale certamente per un'impresa legale, non è così scontata quando si parla di imprese illegali. Anzi, gli studiosi di criminalità hanno sempre considerato le mafie stanziali, fortemente radicate nel territorio che governano. È Machiavelli a ricordare che il Principe deve risiedere fra la sua gente. E non dimenticherò mai quanto mi disse Maurizio Prestieri, boss della camorra attualmente collaboratore di giustizia.
"Io lo dico sempre: non dovevamo essere Vip, ma Vipl". Vipl? Chiedo. E cioè? "Sì la L sta per Local". Very Important Person, Local! L'importante è essere importanti solo nel recinto.

Per quanto un'organizzazione possa essere potente, infatti, il trapianto in un territorio altro sarà reso arduo dalla difficoltà del boss di controllare i suoi affiliati che operano lontano, dalla difficoltà di creare nel nuovo territorio una rete solida di complici e soprattutto dalla difficoltà per il mafioso di crearsi quella stessa "reputazione" che in patria gli permette di essere temuto e rispettato, di essere, appunto, un VIPL. Quindi la decisione di invadere mercati distanti molto spesso non avviene "a tavolino", ma è il risultato di pressioni esterne o interne al gruppo criminale. I mafiosi emigrano perché ricercati dalla giustizia, per salvarsi da faide, perché obbligati al soggiorno in un territorio lontano dal proprio. Le organizzazioni, penso ai casalesi in Emilia Romagna e Spagna o agli 'ndranghetisti in Portogallo, si spostano anche laddove il capitale li porta, ma la dinamica che osserva Varese ha diversa natura.

Fu il soggiorno obbligato che portò i calabresi del clan Mazzaferro, tra gli anni '50 e '70, a trasferirsi a Bardonecchia e a radicarsi qui con la propria organizzazione, arrivando non solo a controllare il settore edile, ma anche a infiltrarsi nella politica locale. E perché il trapianto avvenisse, però, fu determinante la presenza di un fattore fondamentale: la domanda di protezione criminale.

Negli anni '60, quando i boss arrivarono a Bardonecchia per il soggiorno obbligato, il settore edile era in espansione e c'era bisogno di forza lavoro maggiore. Alcune aziende della zona cominciarono quindi a rivolgersi a "faccendieri" che procuravano manodopera del Sud presente a Torino ma che non riusciva a essere assorbita negli stabilimenti Fiat. Questi lavoratori non specializzati e privi di ogni tutela sindacale, pur di guadagnare accettavano occupazioni in nero e mal pagate. I boss calabresi cominciarono così a gestire il cosiddetto "racket delle braccia", un sistema di reclutamento che favoriva sia gli operai immigrati non sindacalizzati, sia le imprese edili della zona. Non solo: trattandosi di lavoro nero, questa mafia era in grado di assicurare anche la soluzione a eventuali conflitti tra dipendenti e datori di lavoro. Un'indagine della Commissione parlamentare antimafia che visitò la zona nel 1974, stimò che l'80% della forza lavoro a Bardonecchia veniva reclutata attraverso canali illegali. Rocco Lo Presti, boss di spicco della 'ndrangheta, il primo ad essere mandato al soggiorno obbligato al Nord, era riuscito a diventare il principale fornitore abusivo di manodopera a buon mercato nella zona, e aveva attirato a Bardonecchia imprese di costruzione dalla Calabria, che presto riuscirono a sbaragliare la concorrenza delle ditte piemontesi. Il controllo sul territorio consentì al gruppo criminale di diversificare i propri interessi e di proteggere altre attività illegali, come il traffico d'armi e di droga e il riciclaggio di denaro. L'ultimo passo fu condizionare la politica e la reazione della società civile non fu sufficiente a impedirlo. Le mafie vincono quando tutti ci guadagnano.

A Verona, invece, il soggiorno obbligato non ha avuto gli stessi effetti. Con un'economia basata principalmente sull'esportazione di prodotti artigianali, c'era minore domanda di protezione criminale perché la mafia non può aiutare gli esportatori a penetrare mercati lontani. L'unico "servizio" che i calabresi potevano fornire agli imprenditori veronesi era quindi la semplice estorsione o il furto di camion carichi di mobili.

La 'ndrangheta cercò allora di prendere il controllo dell'unico mercato illegale di una certa rilevanza presente a Verona in quegli anni: il consumo e il traffico di eroina. Famosa in tutta Italia per la "veronese", la più economica e la più pura, la città veneta era diventata la "Bangkok d'Italia".

Il traffico era gestito da spacciatori locali non legati alla mafia, spesso imprenditori insospettabili, che avevano rapporti ormai consolidati con i fornitori e di fiducia con i clienti, ma soprattutto applicavano a questo mercato le medesime norme di correttezza commerciale che caratterizzavano i settori legali dell'economia. Non c'era quindi bisogno di affidarsi a terzi per far rispettare i patti. La droga la gestivano gli imprenditori veronesi e non c'era spazio per le colonie 'ndranghetiste a meno che non decidessero di intraprendere una guerra.

Ecco allora che la domanda di protezione diventa un fattore determinante per la riuscita del trapianto delle mafie. Domanda connaturata ai mercati illegali, ma spesso presente anche in quelli legali, dove lo Stato, per vari motivi, non è in grado di proteggere i propri cittadini, di risolvere le dispute economiche e commerciali e di far rispettare i patti. In questo caso le parti saranno più propense a rivolgersi a un'autorità "altra" che fornisca protezione alternativa a quella del diritto.

In altri casi la domanda di protezione può scaturire da politiche protezioniste, come accadde agli inizi del '900 a New York con le cosiddette "riforme Gaynor". Si tentò di bloccare la prostituzione, il gioco d'azzardo, il consumo notturno di alcolici e, successivamente, la produzione, la vendita e il trasporto di alcolici e ciò favorì la nascita di un mercato illegale milionario perché quei settori, estremamente redditizi, erano d'improvviso rimasti senza protezione. La mafia siciliana presente a New York fu pronta a intervenire, si espanse e cominciò ad affrancarsi anche dalla madrepatria siciliana.

In quello stesso periodo, alcuni conterranei in cerca della stessa fortuna e in fuga dalle stesse minacce, scelsero di emigrare in Argentina, a Rosario. Una città che, per il boom edilizio pareva rappresentare un'ottima opportunità di affari. Ma il mercato della manodopera a buon mercato era già gestito da impresari che procuravano operai alle aziende edili nel rispetto delle regole e quindi non si creò il bisogno di risolvere le dispute al di fuori della legge. Inoltre l'attivismo sindacale veniva represso con duri interventi degli apparati statali e ai mafiosi non veniva lasciato nemmeno il compito di punire i sindacalisti e gli scioperanti. In aggiunta, in città non esistevano mercati illegali significativi sui quali poter esercitare un controllo.

Dall'analisi di Federico Varese risulta che la sola presenza di mafiosi non è condizione sufficiente perché le organizzazioni criminali si possano radicare in luoghi diversi da quelli in cui sono nate. È essenziale perché questo avvenga che esista una domanda di protezione, è essenziale che lo Stato sia incapace di far rispettare i diritti dei propri cittadini.

Quindi fa danno enorme ritenere le mafie legate unicamente ai propri, marginali, paesi di origine. Fa danno al nord Italia e ai paesi europei considerarsi immuni. Fa danno porre l'attenzione sull'aspetto repressivo e non sulle riforme economiche e di sistema che renderebbero i mercati nazionali immuni ai capitali criminali.

Quando un territorio è minacciato dalla presenza mafiosa, quando ne è invaso, soprattutto se si tratta di paesi in fase di sviluppo, la politica diventa decisiva, al Sud come al Nord, ad Est come ad Ovest, ovunque. E conoscere i fattori che facilitano l'espansione delle mafie, liberarsi da pregiudizi e paraocchi, è un passo fondamentale per combatterle.

(02 giugno 2011)
Repubblica.it


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Re: La mappa della Ndrangheta in Lombardia

Messaggioda flaviomob il 04/06/2011, 16:11

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