L’assemblea degli imprenditori: qui chiuderanno 2mila ditte
Varese e gli artigiani ribelli
«L'autunno ci fa paura»
Il malessere delle «partite Iva» in una delle zone più ricche d'Europa. «Il governo aiuta soltanto i soliti noti»
Dal nostro inviato Dario Di Vico
JERAGO con ORAGO (Varese) - I Cento Giorni del conto alla rovescia sono cominciati. In una calda serata di metà giugno capita che nel Varesotto trecento tra artigiani e piccoli imprenditori si riuniscano per sfogare le loro ansie. E per far sapere alle autorità preposte che Ocse e Fmi avranno pure sentenziato che «il peggio è passato» ma ai loro occhi la ripresa dopo le ferie estive, il temutissimo settembre dell’anno di grazia 2009, si presenta a tinte fosche. E se lo ha detto l’Emma Marcegaglia, figurarsi loro che di santi in paradiso non ne hanno. Il paese ha un nome da scioglilingua, Jerago con Orago, è a pochi chilometri a sud di Varese, laddove la Lombardia assomiglia al Veneto dei cento capannoni: 57 aziende ogni chilometro quadrato, più di una partita Iva in ogni famiglia. Quasi tutti a Jerago, come nei paesi limitrofi, sono artigiani o micro-imprenditori e di conseguenza nel vecchio auditorium (con le sedie di legno) di proprietà dell’onnipresente Curia c’è idealmente presente l’intera popolazione della zona, il genius loci.
Ad organizzare con puntiglio l’adunata è stato un piccolo imprenditore metalmeccanico, Alberto Vanzini, un moto perpetuo che per settimane ha inondato di email il ministro Tremonti, la Regione, la Rai e i suoi colleghi. E ha trovato modo di coinvolgere anche i comitati spontanei di Imprese che resistono nati tra Torino e Cuneo e arrivati in delegazione fin qui nel Varesotto. Sul palco c’è il sindaco del Pdl - medico anche lui con partita Iva - accanto al senatore leghista, all’assessore regionale formigoniano Raffaele Cattaneo e al rappresentante della Provincia anche lui leghista, di quelli con regolare cravatta verde. Uno spaccato della rappresentanza politica territoriale tutta rigorosamente di centro-destra e tutta in grado di sciorinare facilmente l’alfabeto d’impresa. Capace in sostanza di dimostrare al pubblico «che non siamo altro da voi, che la fatica di portare avanti un’azienda la conosciamo anche noi».
Eppure stavolta qualcosa scricchiola tra politica e territorio in una delle aree più ricche dell’intera Europa, l’effetto comunità non basta più a sedare gli animi, la paura di abbassare la claire in autunno una volta per tutte è così forte che le solidarietà anche quelle più automatiche vacillano. È improbabile che qualcuno dei presenti in platea abbia votato a sinistra due domeniche fa, ma il clima per certi versi ricorda le assemblee «laburiste» degli anni Settanta. Con una piccola differenza: al posto degli operai e dei loro striscioni rossi, ora c’è il nuovo Quarto Stato, i micro-imprenditori che non amano portare cartelli e sventolare bandiere e che prima di entrare in sala compilano diligentemente il foglio che riepiloga le aziende presenti. Una volta seduti restano inchiodati al loro posto, non gridano slogan, non fischiano, ma non per questo è facile convincerli. Anzi. I politici- oratori sanno benissimo che quelli in platea sono propri elettori sanno però altrettanto bene che il governo di Roma di margini per intervenire non ne ha tanti. Con grande coraggio lo ammette Massimo Garavaglia, il senatore del Carroccio che segue le partite Iva: loda la politica rigorista del ministro Giulio Tremonti e coerentemente sostiene che gli incentivi fiscali non è detto che arrivino. «Si farà qualcosina in più di quello che abbiamo già fatto». (Seguono timidi battimani di stima).
L’applauso più forte scatta invece quando Giorgio Merletti, il presidente della Confartigianato se la prende con i soldi che il governo ha dato alla Fiat, all’Alitalia e persino alla Indesit dei Merloni. «Berlusconi un anno fa ci aveva detto che ciò che va bene per le piccole medie imprese va bene per il Paese, ma poi ha aperto il portafoglio solo per i soliti noti ». Gli enti locali, invece — lo riconoscono tutti — hanno fatto i salti mortali nonostante dovessero obbedire al patto di stabilità. Hanno trovato nelle pieghe del bilancio le finanze per tutelare le fasce deboli o per ampliare la copertura degli ammortizzatori sociali. Ricordate gli stanziamenti per attutire le difficoltà di Malpensa e che servivano a risarcire lo schiaffo di Air France? Beh, alla fine si è speso meno di quanto si pensasse e una buona fetta è servita per pagare la cassa integrazione alle aziende dell’indotto che ne avevano bisogno.
In Lombardia più di 4 mila imprese stanno per chiedere nuova Cassa ma il numero shock lo pronuncia proprio Merletti: «Dai nostri calcoli in autunno nella provincia di Varese chiuderanno almeno 2 mila aziende». Nessuno se la sente di smentirlo, la gente in platea sobbalza ma in cuor suo lo sapeva. Le autorità sul palco cominciano un tantino a preoccuparsi della temperatura (politica). Perché da quel punto in poi è come si fosse aperta una diga. «In Italia le grandi imprese non falliscono mai e delocalizzano quando vogliono» sostiene il giovane rappresentante della Confapi e propone di stornare i soldi tolti agli usurai e alla mafia per darli alle aziendine del Nord. Il segretario locale degli artigiani rossi, la Cna, attacca Gerico e tutti in sala sanno che non se la sta prendendo con la città biblica bensì con il software che governa «il calcolo di congruità» degli studi di settore ed è l’avversario dichiarato di ogni partita Iva. Gli applausi fioccano.
Per rincarare la dose prendono il microfono i torinesi di Imprese che resistono e ce n’è per tutti, dalla Confindustria all’Istat ma il bersaglio privilegiato è il sistema del credito. «Uno dei nostri - raccontano i piemontesi - ha scritto una mail al direttore della sua banca e gli ha detto 'che devo fare della mia azienda, se volete che chiuda ditemelo ma non lasciatemi qua a prendermi l’esaurimento nervoso'». In una normale e paludata assemblea sarebbe arrivato il momento delle conclusioni. Il più coraggioso tra i politici sul palco si incarica di tirarle come da manuale ma, incassato il battimani di circostanza, a microfoni spenti ammette preoccupato: «Quello di stasera è un segnale non sottovalutare. Non l’avrei detto». Intanto fuori dall’auditorium nei commenti a caldo degli artigiani ribelli c’è spazio anche per i paragoni più impegnativi. «La Cina è diventata così perché ha sostenuto le piccole e medie imprese!» Domenica si replica: nuova assemblea, stavolta a Varese.
17 giugno 2009
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