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Le mani bucate delle Regioni

Discussioni su aspetti locali di attualità, specifici o comuni a vari luoghi, ove già non affrontati nei forum tematici. Riforme locali: decentramento e federalismo.

Le mani bucate delle Regioni

Messaggioda franz il 23/08/2012, 21:38

I MILLE RIVOLI DELLA SPESA PUBBLICA
Le mani bucate delle Regioni


La vera spending review decisiva per tagliare seriamente una spesa pubblica capace di divorare metà della ricchezza prodotta nel Paese è quella che dovrebbero fare le Regioni. Tutte: dal Sud al Nord. Perché se è vero che nella Sicilia assurta a simbolo degli sprechi il governatore regionale vanta un numero di collaboratori superiore perfino a quelli del premier britannico, anche i faraonici e costosissimi piani di espansione immobiliare messi in atto da alcune Regioni nordiste lasciano il segno nelle tasche dei contribuenti. Al pari della superficialità con la quale si distribuiscono fiumi di denaro ai gruppi politici delle assemblee legislative o della sfrontatezza che spinge taluni amministratori a elargire consulenze inutili ad amici e parenti. Pessimi esempi, tutti diversi fra loro per gravità e dimensione. Ma che fanno parte della stessa aberrante logica per cui «il denaro di tutti è il denaro di nessuno», secondo una folgorante definizione di Tommaso Padoa-Schioppa.

Un principio applicato «a tappeto» negli ultimi anni, che ha inflitto ferite profonde alle nostre finanze. Nei dieci anni fra il 2000 e il 2009 la spesa pubblica regionale è lievitata da 119 a 209 miliardi. L'aumento, per metà imputabile alla sanità, è stato del 75,6 per cento. Tre volte e mezzo l'inflazione, ma soprattutto il doppio rispetto alla crescita del 37,8 per cento registrata da tutta la spesa pubblica italiana nel suo complesso. La conclusione è semplice. Senza il contributo devastante delle Regioni il rapporto fra spesa pubblica e Prodotto interno lordo sarebbe, al netto degli interessi, più o meno lo stesso di una decina d'anni fa.

E oggi, che ci costano almeno 90 miliardi in più, sicuramente le Regioni e la sanità non funzionano meglio di allora. Questo, sopra ogni altra cosa, dovrebbe far riflettere i profeti di un federalismo casereccio, convinti che per risolvere i problemi dei conti pubblici sia sufficiente decentrare sempre di più. Compresa quella sinistra che nel 2001, al solo scopo di rincorrere la Lega sul suo terreno nella speranza di evitare un tracollo elettorale al Nord, ha creato con la riforma del titolo V della Costituzione le premesse per il disastro: privando nei fatti lo Stato centrale del potere di controllo. La stessa sinistra, con il medesimo personale politico, che fra qualche mese si ricandiderà a prendere in mano le redini del Paese.

Il fatto è che la sciagurata riforma di undici anni fa è stata soltanto la ciliegina sulla torta. Da quando le Regioni sono nate, oltre quarant'anni fa, sono più le cose che non hanno funzionato. I centri decisionali si sono moltiplicati, la pubblica amministrazione è sempre meno efficiente, le procedure più complesse, il groviglio di norme e competenze inestricabile. I veti incrociati paralizzano le scelte. A valle degli apparati regionali sono proliferati centinaia di enti e società che hanno alimentato sprechi e deprecabili pratiche di sottogoverno e clientelismo. L'autonomia si è rivelata talvolta un comodo paravento per dissipare denaro pubblico, senza che lo Stato possa mettere in atto contromisure.

Vedremo in quali programmi elettorali ci sarà l'unica proposta sensata che può rimettere l'Italia in carreggiata, ovvero una revisione radicale del ruolo e delle funzioni delle Regioni. A cominciare dall'abolizione degli statuti speciali. Ma servirà coraggio. Tanto coraggio. Molto più di quello che si vede in circolazione.

Sergio Rizzo 23 agosto 2012 | 7:49 www.corriere.it
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Re: Le mani bucate delle Regioni

Messaggioda Iafran il 21/03/2013, 12:31

E si arriva finanche a togliere alla popolazione quello che si tassa ... per sostenere gli sfizi dei nostri governatori e dei loro sostenitori. Il costo della "casta politico-medica", in Italia, non si tocca (semmai si toccano i servizi)!

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03 ... to/536842/

Sanità, ticket aumentati del 40% e più di un cittadino su due si rivolge al privato
di Adele Lapertosa

Sembrano lontani anni luce quel 2007 in cui ci si vantava che secondo l’Oms la nostra era la seconda sanità migliore al mondo per capacità e qualità dell’assistenza. Un patrimonio che non basta più e che si rischia di perdere. La realtà di oggi vede infatti i ticket sui farmaci aumentati del 40 per cento, più di un cittadino su due che paga di tasca propria visite ed esami per evitare le file della sanità pubblica e perché, tra ticket e superticket, spesso il privato costa meno. C’è poi l’esplosione del welfare ‘fai da te’, con le badanti (774mila) che superano i dipendenti di asl e ospedali (664mila). E’ questo il bilancio 2011 della politica di rigore nei conti nella sanità italiana, che emerge dal Rapporto Oasi 2012 dell’Università Bocconi.

Di fatto l’austerity sanitaria si sta traducendo in un taglio dei servizi, più tasse, e insoddisfazione nei cittadini, il cui giudizio è impietoso. Nel Centro-Sud la maggioranza valuta inadeguati i servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale (53,5% al Centro, e 62,2 per cento al Sud, contro una media italiana del 43,9 per cento). A influire sul livello di qualità percepito c’è anche la massiccia politica di tagli messa in atto dalle otto Regioni sottoposte ai piani di rientro, tanto che il 57,8 per cento di chi vive in Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Piemonte, Calabria, Puglia e Sicilia si è dichiarato insoddisfatto, contro il 23,3 per cento delle altre Regioni.

Il caro ticket pesa sulle tasche degli italiani per circa 5 miliardi di euro, tra compartecipazione della spesa sui farmaci e per visite specialistiche ed esami diagnostici. E a questa cifra, è probabile che dal primo gennaio 2014 si debbano aggiungere altri due miliardi di euro per effetto dell’ultima manovra Tremonti dell’estate 2011, se non ci saranno interventi correttivi, ora più che mai difficili, vista la situazione economica e politica. Per i farmaci gli italiani tirano fuori dal portafoglio circa un miliardo di euro, di cui circa 300 milioni da imputare al ticket vero e proprio, e gli altri 7-800 milioni di euro per il cosiddetto ‘spread‘, cioè la differenza tra il prezzo rimborsato dal Ssn e quello del medicinale che si vuole acquistare (generalmente tra farmaco generico e griffato). Ma la compartecipazione maggiore si ha per visite ed esami, per cui ormai i cittadini sempre più spesso si rivolgono al privato-privato. A fine 2012 i cittadini hanno speso quasi 1,3 miliardi di euro per le prestazioni di specialistica ambulatoriale nelle strutture pubbliche, e circa 3 miliardi di euro nelle strutture private convenzionate tra ticket nazionali (con una franchigia a 36 euro) e i superticket regionali, che aggiungono una quota fissa per ricetta (in genere di 10 euro).

Ad acuire il malcontento, c’è anche il fatto che oltre alla cosiddetta spesa ‘out of pocket’, cioè di tasca propria, i cittadini contribuiscono a pagare la sanità, che dovrebbe essere finanziata dalla fiscalità generale, con il moltiplicarsi di tasse, tributi e balzelli locali, utilizzati dalle Regioni per evitare di sforare i bilanci e ritrovarsi con i conti in rosso. Tra il 2011 e il 2012, secondo dati del ministero del ministero della Salute e dell’osservatorio Uil sulle politiche sociali, elaborati dalla Fiaso (Federazione di asl e ospedali), le Regioni hanno raccolto in questo modo quasi 5 miliardi, senza i quali già nel 2011 ben 16 di loro avrebbero tinto di rosso i propri bilanci sanitari. Per pareggiare i conti le Regioni in rosso hanno aumentato tributi locali e addizionali Irpef per 2,2 miliardi di euro nel 2011. Solo Valle d’Aosta, Friuli, Trento e Bolzano, Basilicata e Sardegna non hanno rincarato il bollo auto e cartolarizzato i debiti. E anche se per far fronte alla crisi e crescente penuria di risorse di questi ultimi anni, asl e ospedali sono ricorsi più spesso innovazioni gestionali, reti cliniche interaziendali per patologia e riorganizzazione degli ospedali per intensità di cura, il problema é che i loro manager continuano ad essere esposti ai venti della politica. In media i direttori generali di asl e ospedali restano in carica 3,6 anni, meno della durata dei loro contratti, che è di 5 anni. Altri anche per un solo anno. Insomma, finora i tagli della spesa sanitaria non sembrano aver portato alla tanto sospirata razionalizzazione della spesa e a minori sprechi, ma a meno servizi e più tasse.
Iafran
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