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Le piccole secessioni ...

Discussioni su aspetti locali di attualità, specifici o comuni a vari luoghi, ove già non affrontati nei forum tematici. Riforme locali: decentramento e federalismo.

Le piccole secessioni ...

Messaggioda franz il 01/08/2009, 20:28

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Le piccole secessioni di un paese piccolo piccolo

Non ha provocato grandi reazioni il passaggio dei comuni dell'Alta Valmarecchia dalla provincia di Pesaro-Urbino a quella di Rimini. E, dunque, dalle Marche all'Emilia Romagna. Voluto e votato dai cittadini attraverso un referendum popolare circa un paio d'anni fa. Con un consenso plebiscitario. La Valmarecchia è incastrata fra monti, colline e corsi d'acqua. Un paesaggio suggestivo. Dal punto di vista naturale, ma anche architettonico e artistico. Giacimento gastronomico pregevole. Prodotto di riferimento: il pecorino di fossa. In alto, a Pennabilli, Tonino Guerra esorta il suo amico Gianni a coltivare l'ottimismo. Il profumo della vita.

L'Alta Valmarecchia inseguiva da tempo questo obiettivo. In base a buone ragioni: storiche, geografiche, culturali. Novafeltria, Sant'Agata Feltria, Talamello, Pennabilli, Casteldelci, Maiolo. Insieme a San Leo, sovrastata da una rocca cupa e magnifica. Dove venne imprigionato Cagliostro. Sono periferia - meglio: entroterra - di Rimini e non di Pesaro-Urbino. Oggi che anche il Senato ha riconosciuto la loro identità romagnola: festeggiano. "Abbiamo ridato dignità al popolo dell'Alta Valmarecchia di ritornare alla sua madre patria", ha esclamato, commosso, Gianluca Pini, deputato della Lega. Immaginiamo, però, che l'entusiasmo e l'emozione si riverberino anche altrove. In particolare: negli altri comuni che, in tutta Italia, chiedono - da più tempo dell'Alta Valmarecchia, talora - di liberarsi dal giogo imposto dallo Stato centralista. Di riunirsi, anch'essi, alla loro madrepatria. Cambiando provincia e regione. Come negare questa loro aspirazione? Pensiamo ai comuni dell'Altopiano di Asiago. Perché impedire loro di accedere alla provincia di Trento? Insieme (fra gli altri) a Cortina e a Lamon (il primo ad averne fatto richiesta). E perché bloccare la voglia dei cittadini di Portogruaro, Caorle e Concordia Sagittaria di scavalcare i confini della provincia di Venezia per passare a quella di Pordenone? Di trasferirsi dal Veneto al Friuli Venezia Giulia? Oppure, ancora, perché chiudere i confini della Val d'Aosta ai comuni dell'Alto Canavese? A Noasca e Carema, 1000 abitanti in due? Perché frenare la loro voglia di secedere dal Piemonte? Anche in questi realtà locali si sono svolti referendum, partecipati e approvati dalla quasi totalità della popolazione. Anche se, a differenza della Valmarecchia, è legittimo il sospetto che dietro all'iniziativa gli interessi materiali contino molto più che il patriottismo.

Perché entrare in regioni a statuto speciale - come il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta - comporta benefici evidenti e rilevanti. Tuttavia, molti altri comuni nutrono la stessa ambizione, senza però orientarsi verso regioni autonome. Comuni della Campania che intendono passare alla Puglia, al Molise o alla Basilicata. Altri che dalla Toscana vogliono trasferirsi in Emilia Romagna. Oppure che dal Lazio vorrebbero entrare in Umbria. E poi, in definitiva, perché non permettere alla provincia di Bolzano di ritornare ad essere Sud Tirolo e quindi Tirolo? Per lingua e storia è difficile negare l'esistenza di forti legami fra i due contesti.

Certo, in questi tempi si stanno riaprendo fratture territoriali ben più profonde. Tra Nord e Sud, anzitutto. Sudisti e nordisti che si affrontano. Una lotta dura senza paura. Mentre i leghismi affiorano dovunque. Difficile prestare troppa attenzione a piccole secessioni locali che coinvolgono piccoli comuni. Anche se rimettono in discussione e anzi ridisegnano i confini delle regioni e delle province. D'altronde, i confini non si vedono. Soprattutto quelli interni agli stati. (E oggi, spesso, neppure quelli fra gli stati). Mi viene a mente un sentiero sull'Alpe della Luna, in alto, accanto al passo della Bocca Trabaria. Nell'Alto Metauro. Corre e separa, o forse congiunge, tre regioni e tre province. Toscana, Umbria e Marche. Arezzo, Perugia e Pesaro-Urbino. E' il "passo dei tre termini" ma tutti lo chiamano il "sentiero della regina". Quando lo percorro a piedi (il paesaggio è straordinario), giuro, non è visibile la distanza e la distinzione fra una regione e l'altra. Perché i confini sono "costruzioni" sociali, istituzionali, cognitive. Che noi interiorizziamo. Come le mappe, la geografia. Ci servono a capire e a vivere. A guardarci intorno. A situarci. Servono ad avere relazioni con gli altri e con il mondo. E poi delimitano i contesti dentro ai quali agisce l'autorità. Gli spazi di sovranità per le istituzioni. Per questo i cambiamenti di confine non avvengono mai senza conseguenze. Basta pensare a quel che è successo dopo la caduta del muro di Berlino.

Naturalmente, qui si tratta di mutamenti molto meno epici. Non riguardano regimi o sistemi geopolitici mondali. Non ci sono muri che crollano. Semmai, muretti. Questi cambiamenti non intaccano i confini nazionali. Solo quelli locali. Anche se è difficile sminuire il "locale", nei giorni in cui la Lega - con il consenso del ministro Gelmini - alza la voce in nome del rispetto delle tradizioni "locali" nella scuola. Proponendo che ai docenti venga richiesto, come requisito preliminare, la conoscenza della storia e delle culture "locali". Locali. Appunto. Ma quale "locale" - se i nostri confini interni slittano, si spostano senza grandi preoccupazioni politiche? Con il consenso del parlamento? In fondo, in Veneto 4 persone su 10 si dicono d'accordo con le richieste dei comuni che intendono andarsene. Passare a un'altra regione. Il Veneto: dove il 70% degli abitanti parla ancora dialetto (o lingua regionale) "spesso" (Osservatorio Nordest di Demos per "Il Gazzettino": maggio 2009). E dunque: un contesto dove l'identità locale è più forte e coesa che altrove.

Il fatto è che l'Italia brulica di localismi. Afflitta e affetta dal virus della "traslochite", come ha scritto tempo fa Gian Antonio Stella. Dove molti comuni vogliono "traslocare". Da una provincia all'altra, da una regione all'altra. E talora ci riescono. Senza un disegno istituzionale, senza un progetto, senza una direzione e qualcuno la diriga. Per le ragioni più diverse e legittime. Per interesse, per storia, per affinità, per comodità, per comunanza di dialetto. Tante piccole secessioni. A cui non si oppone quasi nessuno. Tanto riguardano piccoli paesi. In un paese altrettanto piccolo.

(31 luglio 2009)
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