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Pontida vista da Edimburgo

Discussioni su aspetti locali di attualità, specifici o comuni a vari luoghi, ove già non affrontati nei forum tematici. Riforme locali: decentramento e federalismo.

Pontida vista da Edimburgo

Messaggioda franz il 07/09/2008, 18:49

Pontida vista da Edimburgo

Marco Simoni *

Alex Salmond è il primo ministro scozzese, un politico energico e carismatico che guida un governo di minoranza ed un partito che continua ad avere nel suo programma l’indizione di un referendum per l’indipendenza della Scozia.

In questi giorni a Edimburgo, teatro di uno degli esempi recenti maggiormente citati di devolution, si tiene la più grande conferenza mai organizzata dalla associazione universitaria di studi europei (Uaces), e il primo ministro ha tenuto un orgoglioso discorso di benvenuto alle centinaia di docenti universitari giunti da tutto il mondo (con una eccezione: neanche un docente da università italiane nella lista dei partecipanti, il nostro governo, che ha ridotto al lumicino le risorse per la ricerca, potrebbe forse essere sensibile almeno al rischio della “brutta figura”).

La Scozia dal 1999 ha un suo parlamento ed un suo governo, con poteri superiori a quelli delle nostre regioni, in temi come la sanità, l’educazione, la polizia, l’ambiente. Le università, di altissima qualità (il principe William ha studiato a St. Andrews, appena più a nord di Edimburgo), erano completamente gratuite per gli studenti scozzesi a seguito di una decisione del parlamento di Edimburgo; ora le rette vanno pagate a rate dopo essersi laureati ed aver iniziato a lavorare. La finanziaria più recente, scritta da Salmond, prevede tra le altre cose un aumento delle risorse destinate alla assistenza sanitaria di base, in particolare nelle aree più povere, un aumento degli agenti di polizia, ed una diminuzione delle tasse sulle aziende dal tipico sapore conservatore.

Osservare da vicino questa devolution detta e fatta (era nel programma con il quale Blair vinse le elezioni nel 1997 e nel 1998 era già diventata operativa) porta a riflettere sulle enormi differenze con la retorica del federalismo imperante nel nostro paese da circa quindici anni, e sulle recenti proposte del governo.

La Scozia ha una sua identità ed una sua storia di reame distinto da quello inglese. Costumi e tratti culturali unificano molto chiaramente un territorio vasto e lontano da Londra. Ma a parte i temi socio-culturali, che pure conservano la loro rilevanza, la differenza principale sta nel fatto che la Scozia, che ha voluto e ottenuto una ampia autonomia legislativa e impositiva, è uno dei territori più poveri del Regno Unito. Al contrario, i più ferventi sostenitori della necessità storica e delle virtù palingenetiche del federalismo in Italia sono i rappresentanti politici delle regioni ricche.

Negli scorsi mesi, a volte con inutili polemiche condite da interpretazioni dietrologiche, ci si è stupiti della propensione di una parte rilevante del Partito Democratico a tessere un dialogo con la maggioranza, e segnatamente con la Lega, al fine di arrivare ad approvare quel che viene chiamato “federalismo fiscale”, al momento ancora in forma di bozza presentata dal ministro Calderoli a ridosso di Ferragosto. Questa nuova riforma dovrebbe rendere completa la devolution di casa nostra, conferendo entrate fiscali dirette alle regioni, e condizionando trasferimenti a vantaggio delle regioni povere agli standard di efficienza delle regioni più virtuose. Una tabella pubblicata dagli esperti de lavoce.info, Giampaolo Arachi e Alberto Zanardi, mostra come le conseguenze distributive che si possono prevedere siano tutt’altro che marginali. In estrema sintesi, la nuova legge stabilisce il principio per il quale il costo unitario dei servizi deve essere uguale in tutt’Italia.

La redistribuzione a favore delle regioni più povere coprirà solo questi “costi standard”, ossia i costi che sostengono per unità di prestazione le regioni maggiormente efficienti. Per dirla in maniera meno tecnica, la proposta suggerisce che un numero consistente di regioni italiane ha un livello di inefficienza nei servizi pubblici fondamentali che non va più tollerato, e pertanto le regioni più virtuose (e più ricche) devono chiudere i cordoni della borsa per costringere le regioni inefficienti a migliorare. La tabella pubblicata da lavoce.info mostra come siano due i gruppi di regioni che beneficerebbero dall’eventuale approvazione della riforma: le regioni del Nord, e le regioni della cintura rossa dell’Italia centrale ad eccezione dell’Umbria. In altre parole, sia il cuore elettorale della Lega (Lombardia e Veneto), che il cuore elettorale del PD (Toscana, Emilia Romagna, Marche - col Piemonte che fa riferimento ad entrambe le forze politiche, ed al momento è governato dal centrosinistra), avrebbero vantaggi netti in termini di risorse che anziché essere trasferite al sud, potrebbero rimanere nelle regioni d’origine.

Per citare poche cifre, il Veneto e l’Emilia Romagna avrebbero rispettivamente circa 400 e 300 milioni di euro in più nelle loro casse rispetto ad oggi, mentre la Calabria e la Campania una decurtazione rispettivamente di circa 500 e 900 milioni di euro. Non serve la dietrologia per capire come mai il PD e la Lega possano trovare convergenze, basta guardare i numeri. Una strategia così radicale potrebbe anche avere successo, spingendo la classe politica meridionale a comportamenti più virtuosi, a reagire alla contrazione di risorse con un grande sforzo collettivo che migliori l'efficienza dei servizi, distribuendo le scarse risorse in base al merito e ai risultati. Come possa bastare ridurre le risorse a disposizione per migliorare i comportamenti individuali rimane tuttavia qualcosa che andrebbe spiegato. Al contrario, una maggiore scarsità di risorse potrebbe esacerbare il ricorso a pratiche clientelari, in una lotta per la sopravvivenza dai costi sociali molto pesanti.

Ricerche recenti e ancora in corso alla London School of Economics, mostrano come la devoluzione di potere a livello locale abbia conseguenze virtuose solo in regioni relativamente ricche, mentre finisce per aumentare il peso dei rapporti clientelari, peggiorando livelli già bassi di etica pubblica e gestione della spesa, in regioni povere e con scarsa capacità amministrativa.

Credo comunque che vi siano pochi dubbi sul fatto che una contrazione così radicale di risorse pubbliche avrebbe effetti molto severi nel breve periodo. Una politica seria non dovrebbe nascondere questo dato, ma forse giustificarlo come l’amara medicina da prendere per sperare di cambiare il corso dello sviluppo del meridione. Spiegare come lo Stato debba allontanarsi (ancora di più) dai suoi territori in maggiore sofferenza sociale, nella speranza che sappiano rialzarsi da soli.

Per fare questo tuttavia, sarebbe necessaria, sia a destra che (in maniera diversa) a sinistra, una idea nazionale ed anche europea nella quale inscrivere questo progetto federalista, che parla in maniera ossessiva un linguaggio tecnico ma che, mutando sostanzialmente i principi di solidarietà economica, finisce per mutare profondamente il contratto sociale della nostra tradizione risorgimentale e repubblicana. Quale sia il posto di questa nuova Italia e di queste regioni nell’Europa del XXI secolo rimane invece una domanda senza risposta, così simile all'assenza di docenti da università italiane alla conferenza di Edimburgo di questi giorni. Al contrario, concludendo il suo discorso davanti alla platea degli europeisti, il primo ministro scozzese che sogna una Scozia indipendente ha fatto tre cose. Ha magnificato le tradizioni della sua terra “patria dell’Illuminismo”, che tanto ha contribuito al progresso europeo; ha indicato le sfide principali che vuole affrontare nel contesto globale: fare della Scozia la principale esportatrice di energia pulita; ha poi chiuso con quella retorica che funziona sempre quando è preceduta da contenuti seri, citando “l’istinto naturale” degli scozzesi di essere e sentirsi europei, perché quella europea “è la strada davanti” da percorrere tutti assieme. Mai Edimburgo sembrò così lontana da Pontida.

* docente di economia politica alla London School of Economics

Pubblicato il: 06.09.08
Modificato il: 06.09.08 alle ore 8.42
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Re: Pontida vista da Edimburgo

Messaggioda pagheca il 09/09/2008, 17:35

Stesse considerazioni si applicano al Galles, altra regione indipendente del regno che per qualche motivo viene sempre dimenticata quando si parla di devolution.

Anche qui si ha una regione molto povera, piuttosto uniforme come caratteristiche etniche, con una lingua a parte (il Welsh) e una grande voglia di independenza dall'"occupante" ("l'inglese"). Le regioni interne, dopo la chiusura delle miniere di carbone, sono caratterizzate da un elevato livello di disoccupazione e da infrastrutture poco sviluppate (la costa est del Wales e' ancora oggi non collegata da autostrade). Ma le cose stanno cambiando. La disoccupazione e' in calo, gli investimenti del governo centrale cominciano a fruttare.

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