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Iper-inflazione: il caso venezuelano

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Iper-inflazione: il caso venezuelano

Messaggioda franz il 12/08/2018, 8:15

Come si diventa un Paese con un'inflazione del 1.000.000%

Paolo MossettiPaolo Mossetti, Contributor

Nelle strade di Caracas, la capitale del Venezuela, le banconote vengono trasportate dal vento come fossero foglie secche: qualcuno le raccoglie, per modellarle come cartapesta, e farci borsette e altri oggetti personali. I prezzi sono schizzati così tanto nell’ultimo anno che molti negozianti rifiutano di farsi pagare in banconote, preferendo il baratto. Il valore della moneta si sta erodendo al punto che i menù dei ristoranti cambiano ogni settimana. Mentre scriviamo, un dollaro è cambiato in circa 200.000 bolivar, la valuta nazionale, ma al mercato nero pare abbia superato svariati milioni. L’Agi riporta che un sigaretta “costa quanto 166 litri di benzina” e “per comprare una gazosa occorre il 12 per cento di un salario minimo”. In condizioni economiche normali, l’inflazione è ritenuta sotto controllo quando oscilla tra il due e il 15 per cento. Sebbene la banca centrale del Venezuela non diffonda informazioni da oltre un anno, gli osservatori internazionali ritengono che il paese sudamericano dovrebbe vedere il suo carovita aumentare nel 2018 di oltre il milione per cento. E non è un errore di battitura.

L’iperinflazione è un fenomeno che si verifica quando il prezzo dei beni al consumo aumenta improvvisamente: semplificando, una moneta perde valore perché i mercati non le credono più. Di solito, quando succede, le condizioni economiche di un Paese sono già precarie, ma a quel punto lo scenario tende a peggiorare, e di parecchio: più disoccupati, meno gettito fiscale, aumento del costo della vita. tutto questo si traduce quasi sempre in instabilità politica e tensioni sociali. È esattamente quello che sta accadendo ad una nazione che possiede strabilianti quantità di petrolio, un esercito di centinaia di migliaia di unità, e che a partire dal 1998, con la presa del potere da parte dell’ex comandante Hugo Chavez, sembrava poter guidare la rinascita socialista in America Latina. Oltre che da banconote senza valore, le strade di Caracas sono attraversate da manifestazioni durissime, dalla violenza di gang sempre più spietate, con decine di esecuzioni al giorno nei quartieri periferici, e carceri disumane che esplodono di detenuti.

Ma come fa uno Stato a ridursi così? A partire dal 1940, conta uno studio del Cato Institute, ci sono stati oltre 50 episodi di iperinflazione. Alcuni, come la Grecia del 1940-45, l’Ungheria del 1945-56 o la Cina del 1947-49 ebbero come precursori storici una guerra devastante, un crollo del gettito fiscale e delle forze occupanti o dei governi autoritari che stamparono moneta come forsennati per finanziare le loro campagne. Nel caso del Nicaragua, 1986-1991, c’era un governo sandinista che provò politiche fiscali espansive in uno scenario di isolamento globale e con le Contras alle porte. Nella Repubblica Federale jugoslava del 1992-1993 la banca centrale, con un deficit alle stelle e una burocrazia anchilosata, perse il controllo della moneta causando l’esplosione dei prezzi.

Uno dei casi più famosi di iperinflazione resta lo Zimbabwe guidato da Robert Mugabe. Tra marzo 2007 e novembre 2008 l’inflazione giornaliera si avvicinava a un tasso del 100 per cento; in pratica i prezzi raddoppiavano ogni 24 ore. Quello che era successo a partire dal 2000 fu che dopo la confisca delle terre ai bianchi la produzione agricola crollò e molte persone hanno lasciarono il Paese, che per di più era anche coinvolto nella guerra civile del Congo. L’aumento spropositato delle spese, la riduzione della popolazione tassabile convinsero il governo a ricorrere alla monetarizzazione del debito, col risultato che a un certo punto la banca locale dovette stampare una banconota che valeva 100 miliardi di dollari locali. Paradossalmente - spiega un economista al Financial Times - lo Zimbabwe ha avuto più chance di raddrizzare le proprie finanze di quante ne abbia oggi il Venezuela, perché possiede un’economia più diversificata rispetto al paese latino.

Per quanto strabilianti, in senso negativo, appaiano i numeri di certe ex colonie europee, nessuna esperienza inflattiva è stata culturalmente e storicamente estrema quanto quella della Repubblica di Weimar. Fra il 1914 e il 1923, in Germania i prezzi all’ingrosso si moltiplicarono per circa 1300 miliardi. Prima della Grande Guerra, un dollaro valeva 4,2 marchi; nel 1923, ne valeva 4,2 miliardi. Il ricordo dell’iperinflazione fu così impattante che veniva in causa ancora alla fine degli anni ‘80 dai critici dell’euro, che cercavano di convincere gli elettori che una nuova moneta non sarebbe mai stata solida quanto il marco. Prima dell’arrivo dei nazisti, la Germania aveva sostituito e stabilizzato la sua moneta, virtualmente azzerato il debito pubblico, ma milioni di persone furono rovinate. Chi ci rimise di più furono le suffragette dell’epoca, convinte a comprare obbligazioni di guerra che sarebbero valse meno di zero, per poi ritrovarsi con un nuovo conflitto mondiale, e senza nemmeno il diritto di voto. Il popolo diede il suo oro in cambio di carta straccia e morte assicurata.

In Venezuela, il dramma dell’iperinflazione è piuttosto recente: nel 1980 i prezzi erano aumentati del 21,4 per cento quando nel resto del mondo erano aumentati del 17,4 per cento. Ma da tre anni a questa parte l’inflazione venezuelana è la più alta del globo. Nel suo report, l’FMI se la prende con il crollo della produzione di petrolio e con i “grandi squilibri macroeconomici” alla radice dei problemi finanziari del Venezuela, mentre il governo di Nicolas Maduro sostiene che il Paese è solo vittima di una guerra economica finanziata dagli Stati Uniti e dai benestanti locali che, privati degli antichi privilegi in favore delle minoranze indigene e dei lavoratori, stanno facendo scorta di beni di prima necessità, portando così all’aumento dei prezzi.

Ma come fa uno Stato membro dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio ad avere carestie infantili? Ai suoi esordi, nel 1998, il bolivarismo prometteva d’essere un modello di sviluppo per tutta l’America Latina, una culla per il progressismo mondiale. Per certi aspetti, e per un po’ di tempo, lo è stato davvero: durante i primi anni di presidenza Chavez la sanità è migliorata, l’aspettativa di vita è aumentata e l’analfabetismo è diminuito; la partecipazione politica è cresciuta notevolmente in quasi tutti gli ambiti della società, dalle fabbriche alle scuole. Ora quel modello è a pezzi, anche a causa della scellerate politiche di Caracas in materia petrolifera. Verso la fine degli anni ‘90 e i primi Duemila, Chavez e la sua corte diplomatica erano diventati tra gli alleati più fedeli dell’OPEC, contribuendo a far incrementare notevolmente il prezzo del greggio. C’era un’utopia di fondo, in questo piano, ereditata dal movimento dei Paesi non-allineati degli anni ‘70: far tornare ad essere il petrolio un’arma politica, vale a dire una tassa indiretta sul Primo mondo da distribuire alla popolazione sotto forma di programmi sociali, sussidi agli agricoltori e infrastrutture. Nulla di tutto questo è andato in porto.

Più recentemente, il sogno bolivariano è stato picconato da più lati: dalle divisioni fra i vari paesi latinoamericani a guida socialista; da Obama, che ha rilanciato il fracking in America del Nord, ha devastato l’alleanza col Messico promuovendo la privatizzazione di Pemex (la compagnia petrolifera di stato messicana) e ha contribuito a diffondere le coltivazioni di biofuel in tutta l’America Centrale. Come se non bastasse, è sopraggiunta la crisi economica del 2008: l’Opec sapeva che un prezzo eccessivo del petrolio non poteva convivere con il calo dei consumi. Per di più Europa, Stati Uniti e Cina investivano già massicciamente in fonti alternative di energia, per un maggiore risparmio. Tutto quello che poteva andare storto, insomma, è andato storto: quando Chavez è morto, all’inizio del 2013, i prezzi del petrolio sono collassati e per il Venezuela è iniziata la catastrofe. “Giusto o sbagliato che sia, non vedremo più un movimento politico che userà il petrolio come una soluzione credibile ai problemi dell’umanità”, ha scritto il giornalista Greg Grandin.

Al Venezuela non sembra riuscire quello che è riuscito in molte nazioni occidentali per secoli. Storicamente, l’inflazione è stata il mezzo occulto utilizzato dagli Stati per ridurre i propri oneri debitori: vale a dire svalutare l’unità di conto nella quale un debito è denominato, quando la crescita non basta, e le imposte straordinarie sul patrimonio, le inadempienze o le conversioni diventano strade politicamente inagibili. La “tassa inflazione” non è un’invenzione del Novecento: ci furono svalutazioni di questo tipo nella Firenze trecentesca, in Castiglia e in Borgogna nel Quattrocento, in Inghilterra e in gran parte degli Stati tedeschi nel primo seicento. In Germania la guerra dei Trent’anni è ricordata anche come “l’epoca dei tosamonete”. Agli albori dell’evo moderno, i prezzi erano altrettanto condizionati dai flussi internazionali di moneta metallica, per non parlare delle fluttuazioni agricole e demografiche - cosa che peraltro è avvenuta nell’Argentina e nel Venezuela di questi anni.

Verso la fine del XVII secolo, alcuni Stati tentarono di ridurre le svalutazioni adottando un sistema di cambi fissi e un sistema di pagamenti unificato. Ma arrivò lo sviluppo della cartamoneta a generare nuove occasioni per generare la tassa inflazione. Dopo la Rivoluzione francese, l’Assemblea Nazionale inventò gli assegnats, moneta che avrebbe dovuto prosciugare gli enormi disavanzi del regime giacobino, ma finì per scatenare un’inflazione tremenda. Goethe pensava probabilmente agli eventi francesi quando scrisse, poco prima della morte (nel 1932) la parte seconda dell’atto primo del Faust, in cui la monetazione sembra portare prosperità. “Carta che vale oro e perle come questa”, dice Mefistofele, “è tanto comoda”. Ma nel quarto atto il diavolo rivela che erano “false ricchezze”, e il paese a cui le ha conferite “cadeva, intanto, in anarchia” e “finì tutto a rotoli”. E tuttavia, durante e dopo la prima guerra mondiale, pur di farsi finanziare la spesa in carri armati e trincee, pressoché tutti gli Stati belligeranti sospesero per decreto i pagamenti in moneta metallica.

Inflazione e deflazione fecero ballare il mondo all’incirca dal 1914 al 1945. Poi, visti i guai causati da banche centrali troppo autonome, i governi decisero di sottometterle al potere politico. Negli anni ‘50 e ‘60, gran parte delle economie subirono una inflazione limitata in virtù delle pacate restrizioni imposte dal sistema di Bretton Woods. Negli anni ‘70 e ‘80, la caduta di quel sistema condusse alla riadozione, più o meno globale, della moneta cartacea, con l’esplosione delle cosiddette “economie elettorali” - da parte di socialdemocratici e conservatori - per assicurarsi la rielezione. Per la prima volta, però, assieme ai prezzi aumentò anche la disoccupazione: arrivederci Curva di Phillips, e benvenuta stagflazione. Ecco alla fine degli anni ‘80 il nuovo cambio di paradigma: arrivò la Reaganomics e la deregulation del sistema finanziario, l’inflazione diminuì e qualcuno ne decretò la definitiva “morte”. Negli anni ‘90 il grande ritorno dei banchieri centrali: liberi, apparentemente, da ingerenze politiche, non puntavano né alla moneta né al cambio fisso, ma al controllo dell’inflazione; in America, in verità, la Fed si preoccupava anche che ci fosse lavoro per tutti. Le prove empiriche hanno dimostrato poi che nei momenti di crisi anche le più autonome banche centrali non si sono sottratte alle pressioni dei governi.

Dunque è vero che l’inflazione è stata lo strumento con cui la maggior parte degli Stati sviluppati ha fronteggiato gravi squilibri fiscali nel corso dell’ultimo secolo. Ma l’iperinflazione ha una magnitudo talmente più elevata che va considerata un fenomeno a parte, le cui cause restano intricate, e l’eccesso di stampa da parte delle banche centrali non è sempre il motivo principale del disastro. Talvolta le banche si limitano a rispondere al desiderio della gente comune di più carta moneta da spendere, mentre i prezzi salgono, come un tentativo disperato (e quasi sempre fallimentare) di oliare un’economia che altrimenti si fermerebbe del tutto. Ma chi fa partire il rialzo dei prezzi può avere poco o nulla a che fare con le autorità monetarie. Secondo uno studio dell’economista premio Nobel Thomas Sargent del 1981, basato sui casi di Austria, Ungheria, Polonia e Germania durante gli anni venti, l’iperinflazione comincia quando la gente capisce che i governi continueranno ad andare in deficit finanziati dalla continua stampa di moneta da parte delle banche centrali. In un altro studio, pubblicato nel 2007 dal Fondo Monetario Internazionale, si spiega invece come l’iperinflazione può essere fermata: con un vasto mix di riforme normative, tagli alla spesa, liberalizzazioni dei prezzi e dei cambi, limitando il ricorso alla monetarizzazione. Insomma, la troika.

Ammesso che questo funzioni con i paesi poveri e relativamente piccoli, siamo sicuri che i giganti economici che devono gran parte del loro debito ai propri cittadini rischino l’iperinflazione con il finanziamento monetario della spesa pubblica e il deficit di bilancio? La riforma fiscale di Trump farà, con tutta probabilità, aumentare notevolmente il debito statunitense; in Giappone fanno debito come se non ci fosse un domani. Secondo i rappresentanti delle teorie poco ortodosse della Modern Monetary Theory, va bene così: se le banche private e i cittadini non si fidano delle obbligazioni - spiegano - possono intervenire le banche centrali, e i rischi di aumento repentino dei prezzi sono remoti. Probabilmente l’iperinflazione varia da paese a paese perché varia anche la natura del debito pubblico.

Forse l’iperinflazione esisterà finché esistono le banche centrali, finché la gente preferirà l’anonimato del contante alla più tracciabile moneta elettronica tracciabile, fin quando ci sarà qualcuno che avrà bisogno delle banche per gestire i propri crediti, e fino a che i governi useranno i soldi dei contribuenti per controllare tassi di interesse e finanziare le rivoluzioni. D’altronde, le banche centrali sono sotto attacco da tempo, e non solo da parte del mercato azionario privato, che aumentando di peso in maniera esponenziale negli ultimi trent’anni ne ha ridotto l’influenza: mentre il governo venezuelano tenta grottescamente di contenere il tasso di inflazione togliendo tre zero dal bolivar, i cittadini più benestanti provano un approccio differente, facendo salire alle stelle le transazioni in bitcoin. Nelle economie avanzate, le criptovalute servono a speculare, fare scommesse e poco più; laddove le strutture monetarie sono a pezzi, il loro valore potrebbe diventare rilevante. Il governo venezuelano lo ha capito e ha pensato di bene di lanciare la propria criptovaluta. Ma è difficile che gli investitori possano credere alla nuova moneta più di quanto credano in quella che già c’è.

https://www.forbes.it/sites/it/2018/08/ ... 3081d53e57
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Re: Iper-inflazione: il caso venezuelano

Messaggioda franz il 12/08/2018, 8:18

AMANTI DEL REGIME VENEZUELANO NE ABBIAMO? UN GRANDE LUCIANO CAPONE SU TWITTER

Una storia di autoritarismo, menzogne, sovranismo e iperinflazione. C’è un caso in Venezuela che ben rappresenta il fallimento totale del regime degli eredi di Chávez. È quello che riguarda El Nacional, l’ultimo giornale indipendente di opposizione.

Nonostante le ritorsioni e le aggressioni squadriste, El Nacional racconta l’emergenza economica, umanitaria e democratica del paese. Ma ora dopo 75anni di storia rischia di chiudere, come già capitato a tre quarti dei giornali in 5 anni e a 54 radio e televisioni in 18 mesi.

Nel 2015 El Nacional riprese un articolo del quotidiano spagnolo Abc che raccontava di un’inchiesta per narcotraffico delle autorità statunitensi a carico di Diosdado Cabello, numero due di Nicolás Maduro e leader dell'ala militare molto potente nel regime socialista.

Per quell’articolo, che riportava una notizia confermata poi dalle sanzioni degli Usa all’uomo forte del regime, El Nacional è stato portato in tribunale da Cabello e il suo proprietario Miguel Henrique Otero costretto all’esilio in Spagna per timore di finire in galera.

A giugno il giornale è stato condannato a un risarcimento di 1 miliardo di bolivares. Il problema è che ora, a causa dell’iperinflazione che secondo il Fmi quest’anno salirà al tasso monstre di 1.000.000% (1milione per cento), quel miliardo di bolivares vale solo 300 dollari.

Il tribunale ha ovviamente sancito che la somma deve essere rivalutata, ma c’è un altro problema: la Banca centrale del Venezuela non pubblica i dati sull’inflazione da oltre tre anni per nascondere le informazioni ai cittadini. Come allora si fa a stabilire il risarcimento?

Visto che non gli conviene usare i dati falsi del regime, Cabello ha dichiarato che bisogna applicare il tasso di inflazione del 300 mila per cento diffuso dal giornale: “Dato che El Nacional non mente mai, la cifra dovrebbe essere quella che hanno messo in prima pagina”.

Ma, e questo è il paradosso nel paradosso, se El Nacional non mente mai allora vuol dire che non ha diffamato. La logica e la verità sono dalla parte del giornale, ma dove manca la libertà e dominano menzogna e prepotenza non servono a molto. Anzi, sono crimini da reprimere.

Gregorio Pignataro su FB


Link informativi
https://it.wikipedia.org/wiki/Diosdado_Cabello
https://it.wikipedia.org/wiki/Cartello_dei_soli
https://es.wikipedia.org/wiki/C%C3%A1rtel_de_los_Soles
https://en.wikipedia.org/wiki/Cartel_of_the_Suns
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Re: Iper-inflazione: il caso venezuelano

Messaggioda franz il 12/08/2018, 9:21

Lezioni dal Venezuela per l’Italia del cambiamento
Il sovranismo porta alla perdita di sovranità

di Alberto Bisin*

4 Agosto 2018 alle 06:00

Senza nessuna intenzione di tentare un commento generale sulla drammatica situazione economica del Venezuela, che richiederebbe ben più spazio e maggiori conoscenze da parte mia, si possono offire solo due brevi considerazioni. La prima è che se la postura del presidente Nicolás Maduro e del suo governo davanti alla iperinflazione che sventola il suo paese è tragicomica, la realtà è invece davvero tragica, ma di una tragedia annunciata e annunciabile. Il Venezuela di Hugo Chávez e poi di Maduro ha seguito riga per riga il copione del populismo di stampo latino-americano, che motivato da una necessaria lotta alla povertà, si manifesta attraverso redistribuzione inefficiente, nazionalizzazioni, riforme autocratiche, spesa pubblica incontrollata, corruzione, e stampa di moneta a volontà.

Qualunque economista che non abbia voluto nascondere la testa sotto la sabbia ideologica avrebbe potuto annunciare dove conduce questa strada, in teoria e nella pratica storica e corrente. Purtroppo questa annunciazione è stata coperta dal vocale supporto di gran parte dei commentatori che hanno abbracciato prima Chávez e poi Maduro, in un impeto di “prima la politica, basta conti della serva” e di “dagli al neoliberismo”, in un afflato di entusiasmo giovanile alla ricerca del nuovo Fidel. E’ importante ricordare questi impeti e afflati, non tanto per segnare una vittoria dell’economia come disciplina (un po’ anche, lo devo ammettere), ma soprattutto perché la passione per questo populismo ha le stesse radici e le stesse forme della passione odierna per il “sovranismo”: la ricerca di una soluzione semplice e indolore per un problema complesso, che finisce spesso per prendere le forme di una “moneta filosofale”, con un capro espiatorio a cui addossare il proprio fallimento economico (i gringos o i tedeschi).

Il secondo commento è più tecnico, economico, ma anch’esso lega la situazione del Venezuela al sovranismo di moda oggi in Italia e non solo. L’iperinflazione che attanaglia (e affama) il Venezuela è il risultato di un meccanismo ben noto. Creare moneta permette al governo di ottenere beni e servizi necessari, di pagare salari ai dipendenti pubblici, di comprare supporto politico e di oliare i propri meccanismi corrotti. Ma quando c’è tanta moneta in circolazione, il suo valore in termini di beni di consumo si riduce. I salari reali scendono perché i prezzi salgono. La sola capacità di creare moneta senza limiti, quindi, in un contesto istituzionale come quello venezuelano e nel mezzo di una crisi economica, ingenera aspettative di ulteriore stampa di moneta, aumento dei prezzi in anticipo, ulteriore stampa … e quindi una spirale inflazionistica.

Per questo motivo ora Maduro cerca di legare la moneta al petrolio che il paese possiede. Cioè abbandona in principio la fiat money. Dice: se non vi fidate della mia moneta, vi do petrolio, a cambio prefissato. In questo modo si vincola a non stampare moneta in futuro: se la moneta perde valore chi la possiede chiederà petrolio. Lo fa creando una nuova valuta, il “Petro”, con una mossa confusa, un trucco, apparentemente. E poi il petrolio non è facilmente appropriabile, chi lo tira fuori di terra? Maduro vuole capra e cavoli: i vantaggi di un vincolo senza perdere realmente il potere di creare moneta. In questi termini, la nuova politica monetaria non avrà successo.

Ma il punto fondamentale è un altro. Lo si può ripetere in altra forma, in caso fosse poco chiara la relazione col sovranismo nostrano: è proprio la sovranità monetaria che sta azzoppando il Venezuela di Maduro. Egli è costretto ad abbandonarla per fermare le aspettative di inflazione: il sovranismo lo ha portato alla perdita di sovranità monetaria. Storicamente questo in America Latina ha significato “dollarizzazione”, ma per motivi politico-ideologici legare la propria valuta al dollaro non è una strada che Maduro può seguire. Di qui la pagliacciata del “Petro”, con retorica blockchain che suona tecno-rivoluzionaria e a cui c’è pure chi abbocca alle nostre latitudini.

Ovviamente quella venezuelana è una situazione istituzionale estrema, ma in forma più leggera le banche centrali di tutti i paesi sviluppati hanno “divorziato” dai propri governi negli anni ’70 per la medesima ragione, per poter garantire indipendentemente dal ciclo politico la stabilità del valore della moneta.

E questa è anche la ragione per cui l’Italia è entrata nell’euro, perché la sua debole struttura politico istituzionale l’avrebbe portata a deficit e monetizzazione (così si pensava allora). Oggi la struttura istituzionale è se possibile peggiore: il programma di governo è irresponsabile in termini di spesa, tanto che l’unica opzione di realizzarlo è attraverso Eurexit e monetizzazione del debito (questo sono i “Minibot”), appunto. L’Italia non è né sarà il Venezuela, ma il cuore del problema economico del sovranismo monetario è lo stesso: una banca centrale che dipende dal governo porta a instabilità monetaria, soprattutto in un sistema istituzionale che favorisce l’irresponsabilità fiscale.

*Economista, New York University
https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/08/ ... to-208414/
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Re: Iper-inflazione: il caso venezuelano

Messaggioda franz il 13/08/2018, 15:08

Non solo Colombia, ora anche Ecuador

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lec ... 63850.html

L'Ecuador dichiara l'emergenza per l'afflusso dei migranti venezuelani
In Ecuador più di 4 mila migranti arrivano ogni giorno nel tentativo di fuggire dalle crisi in corso in Venezuela

Matteo Orlando - Ven, 10/08/2018 - 18:18

L'Ecuador ha dichiarato lo stato di emergenza per l'afflusso di migranti venezuelani che scappano dalla fame.

Più di 4 mila migranti, infatti, arrivano ogni giorno in Ecuador nel tentativo di fuggire dalle crisi in corso in Venezuela.

Lo stato di emergenza è stato dichiarato, per la prima volta nella storia del paese sudamericano, in tre stati del nord del paese e rimarrà in vigore almeno fino alla fine di agosto.

Il Ministero degli Affari Esteri e della Mobilità Umana ha dichiarato che la mossa è necessaria per organizzare un piano di emergenza per assisterli.

Santiago Chavez, vice ministro della mobilità umana, ha affermato che il piano "darà una risposta efficace e un aiuto concreto per la protezione di coloro che entreranno nel territorio ecuadoriano".

Come parte del piano di emergenza, saranno assunti funzionari addetti all'immigrazione. Altri dottori, assistenti sociali e psicologi verranno inviati nelle province di Carchi, Pinchincha e El Oro, lungo il confine tra Ecuador e Colombia, per assistere i migranti malati e vulnerabili.

Le organizzazioni umanitarie internazionali aiuteranno l’Ecuador fornendo tende, acqua e cibo.

Numerosi paesi latinoamericani stanno introducendo misure speciali per far fronte alla migrazione dal Venezuela, gente che scappa dalla dittatura comunista voluta dal presidente Nicolas Maduro, un totalitarismo socialista che ha causato una crisi politica, sociale ed economica senza precedenti, con una iperinflazione stratosferica.

In questo mese di agosto l'ex presidente colombiano Juan Manuel Santos ha concesso 440 mila permessi di soggiorno temporaneo ai profughi venezuelani, per consentire loro di studiare, lavorare e ricevere cure mediche in Colombia.

Il Brasile ha dichiarato lo stato di emergenza a maggio e ha chiuso temporaneamente il confine settentrionale con il Venezuela lo scorso 7 agosto.

L'Argentina ha accolto più di 31 mila venezuelani secondo una legge che consente ai cittadini stranieri di rimanere nel paese "quando ci sono ragioni eccezionali di natura umanitaria".

Molti venezuelani continuano a scegliere di lasciare il loro paese mentre la recessione sta entrando nel suo quinto anno consecutivo di egemonia.
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Re: Iper-inflazione: il caso venezuelano

Messaggioda flaviomob il 15/09/2018, 0:16

https://www.investireoggi.it/obbligazio ... -contagio/

Crisi finanziaria in Argentina, Turchia e Venezuela. Ci sarà un contagio?
John Greenwood, Capo Economista di Invesco, analizza lo scenario economico e fornisce la sua prospettiva sulle possibili conseguenze della crisi finanziaria in Argentina, Turchia e Venezuela


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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