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Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalisti

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalisti

Messaggioda ranvit il 25/01/2018, 18:41


http://www.linkiesta.it/it/article/2018 ... sti/36906/



Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalisti
Tra i leader presenti al World Economic Forum è difficile trovare un politico davvero aperto al mercato globale, che non metta prima gli interessi della nazione rispetto al resto del mondo: le popolazioni si sono stancate delle promesse di crescita liberiste e globaliste
di Enrico Verga
25 Gennaio 2018 - 07:30
90 873
Il liberismo come lo conosciamo è morto a Davos?

Facciamo un passo indietro per capire lo scenario. Due grandi testate di “sistema” parlano di Davos in chiave opposta.

Dalle pagine del New York Times il 22 gennaio Peter Goodman, titola che il populismo sta svanendo, e quindi a Davos (dove i populisti non sono visti molto bene) c’è motivo di festeggiare.

Dalle pagine del Financial Times (altro baluardo dell’ordine economico capitalista costituito) il 23 gennaio scrive Martin Wolf, titola “Davos: l’Ordine liberale internazionale è malato”.

Una delle due testate liberali si sbaglia.

A Davos si sono ritrovati, come al solito, due gruppi. Finanza e politica.

Il primo gruppo è composto dai leader della finanza privata: banche, assicurazioni, fondi d’investimento e, in breve, chiunque abbia interessi finanziari globali. Gli interessi globali della finanza travalicano il mondo della mera speculazione finanziaria, andando a influenzare altre sfere della vita sociale. La finanza speculativa è alla base della bolla immobiliare 2006-2008 americana, della successiva bolla mondiale delle commodity (che ha fatto crollare alcune delle nazioni più dipendenti dalle esportazioni di materie prime, dal Brasile alla Russia fino ad arrivare alla piccola Repubblica del Sud Africa).

La finanza speculativa ambisce, tra le altre cose, a un mondo senza barriere nazionali. Senza muri, confini. Un mondo dove i capitali oggi possono essere investiti in Cina oggi, e in Africa domani.

Questo gruppo di persone supporta, di norma, quei politici che hanno una agenda globalista. Politici che prediligono un mondo senza muri, dove i cittadini, la forza lavoro, sono commodity senza connotazione. Scambiabili o sostituibili come le mele in un cesto di frutta (dalla Clinton in Usa, alla Merkel o Renzi in Europa).

Il secondo gruppo di persone presenti a Davos sono i politici.

Questi individui rappresentano la gran parte della popolazione mondiale.

La novità di quest’anno a Davos è che molti di questi politici sono di fatto stati eletti con un agenda nazionalista, patriottica, o quanto meno propensa ad accordi che possono danneggiare gli interessi dei loro elettori.

Per comprendere quanti sono i Leader politici nazionalisti (diciamo non proprio globalisti) possiamo controllare la lista direttamente dal sito del World Economic Forum.

Facciamo una breve esplorazione per comprendere perché, a Davos, il liberismo è di fatto morto.

Prima il gruppo dei nazionalisti convinti (quelli stile “prima gli interessi della mia nazione poi il resto del mondo").

Narenda Modi, primo ministro indiano, nazionalista.

La sua politica è più o meno India first. Ha fatto un discorso molto globalista, politicamente corretto. Tuttavia la sua agenda politica è la più nazionalista degli ultimi decenni della storia indiana.

Donald Trump. Presidente Usa, nazionalista.

Thresa May, primo ministro Regno Unito. Nazionalista e secessionista (guida un governo la cui nazione ha deciso di uscire da un accordo politico ed economico di libero scambio in cui era da decenni).

Liu He, rappresentante del governo cinese, esperto di finanza. La Cina a parole è globalista, specialmente ascoltando il discorso del suo leader. Se osserviamo come si muove nei fatti, la Cina è in vero mercantilista: quando si tratta di esportare i suoi prodotti, comprare o invadere mercati stranieri è molto globalista. Se osserviamo la sua politica in difesa delle aziende nazionali chiave, del commercio, la sua strenua difesa della sua valuta e dei suoi interessi finanziari la Cina è tutto fuorchè globalista.

Passiamo ai finti globalisti: sulla carta sposano un mercato libero ma, nei fatti, per ragione di stato (leggasi volere degli elettori) sono piuttosto nazionalisti, specie nelle scelte economiche.

Macron Emanuele, presidente francese. Globalista quando si tratta di portare a casa investimenti anche da nazioni borderline (esempio il Qatar, che ha alcuni problemi di finanziamento a organizzazioni poco legali), patriottico se si tratta di cooperazione internazionale.

Tra le altre scelte poco globaliste, la visione di Macron sui migranti (meglio a casa loro) e la politica estera di difesa degli interessi nazionali.

Michel Meter, presidente del Brasile succeduto a presidenti populisti come Lula e Rouseff. Di base un personaggio di passaggio. Deve risolvere una penetrazione violenta cinese a svantaggio delle aziende nazionali. In più si trova sotto pressione alle prossime elezioni dalla presenza di due candidati populisti come Lula e Bolsonaro.

Tra gli indecisi, quelli che un po’ stanno a vedere dove tira il vento e un po’ son neutrali: africani e svizzeri.

Tra i globalisti ovviamente Merkel, che fresca di un accordo franco tedesco, è la fiera paladina di un’economia fluida, senza barriere.

Peccato che la posizione tedesca sia, anche in questo caso, molto simile alla Cina.

Se si tratta di esportazioni (la Germania ha un surplus di esportazioni importante e non può permettersi di farlo decrescere) Miss Merkel è pro mondo. Se parliamo di apertura verso il mondo, tuttavia, si nota come la Merkel sia in crisi sul tema migranti con i suoi “potenziali alleati”.

Anche Trudeau, primo ministro canadese, e grande sostenitore del Ceta, è manifestamente globalista, o meglio liberista.

Anche nel suo caso questa passione per i liberi mercati si spiega semplicemente con la bilancia economica canadese che mira a esportare materie prime e beni lavorati.

Un’ulteriore preoccupazione (persino NYT lo ammette), è una crescita dell’indebitamento. Soldi iniettati nel sistema finanziario, un sistema che, si teme, potrebbe non essere in grado di reggere un altra crisi.

Una crisi che spingerebbe ulteriormente la popolazione alla paura e alla ricerca di politici nazionalisti che possano “proteggerli” dal mondo esterno.

La situazione che Wolf ha descritto è semplice: le popolazioni (specialmente la classe media) di un numero piuttosto elevato di stati storicamente democratici e globalisti si sono stancati delle promesse di crescita liberiste e globaliste.

A Davos sembrano non essersi accorti che il liberismo, o se preferiamo il globalismo, come lo abbiamo conosciuto, è morto.

Cosa può fare la finanza globale a Davos per “risolvere” questo piccolo problema?
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalis

Messaggioda pianogrande il 26/01/2018, 1:41

Ognuno fa i propri interessi.

Ma no!

La politica internazionale è fatta di accordi mica di principi guida di valore assoluto.

L'apertura dei mercati si fa se conviene e la discussione da fare è semmai sulla gestione e non sul valore in assoluto di una politica o l'altra.
Il mondo non è così semplice.

Chi può essere globalista se non gli conviene?
E viceversa?

Per esempio, e senza parlare di nazionalismo o protezionismo in modo astratto, Trump fa bene a isolare l'America dal resto del mondo?

E la May con l'Europa?

Etc. etc.

Allora si potrebbe scoprire che possono esserci diverse forme e momenti del globalismo da contrapporre a un nazionalismo che, se è difesa (reale e ragionata e non violentemente semplificata tanto per twittarla agli elettori) degli interessi nazionali è solo una componente del mercato.

Non c'è nord senza sud come non c'è globalismo senza nazionalismo.
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Re: Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalis

Messaggioda franz il 26/01/2018, 13:53

pianogrande ha scritto:Il mondo non è così semplice.

Chi può essere globalista se non gli conviene?
E viceversa?

Per esempio, e senza parlare di nazionalismo o protezionismo in modo astratto, Trump fa bene a isolare l'America dal resto del mondo?

La soluzione migliore è essere pro-globalizzazione quando si esporta e protezionista sulle importazioni. :lol:
Solo che a chi ci prova andrebbe detto chiaramente quello che disse Totò in questa scena! :-)

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Re: Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalis

Messaggioda pianogrande il 26/01/2018, 14:18

franz ha scritto:La soluzione migliore è essere pro-globalizzazione quando si esporta e protezionista sulle importazioni. :lol:
Solo che a chi ci prova andrebbe detto chiaramente quello che disse Totò in questa scena! :-)

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Ottimo esempio.

Speriamo che la risposta "globale" non si limiti a Hier wird niemand getäuscht.
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Re: Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalis

Messaggioda pianogrande il 26/01/2018, 15:31

E si comincia a ragionare.

http://www.repubblica.it/economia/2018/ ... 0&ref=fbbr

Ecco che Trump, dopo le sparate pro consenso, cambia canale visto che si trova davanti a gente del mestiere e non al conduttore di falciatrici della Louisiana.

Insomma se ne va verso "giusto ed equo" e cioè verso il nulla in attesa di trattative ed accordi veri.

Come insegnano le tecniche di negoziazione, qualcuno gli chiederà cosa significhi per lui giusto ed equo e lì si comincerà a mettere le suole sul terreno.
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Re: Il liberismo è morto a Davos. Ora siamo tutti nazionalis

Messaggioda franz il 26/01/2018, 16:11

DAVOS (GR) (awp/ats) - L'arrivo del presidente americano Donald Trump al Forum economico mondiale (WEF) di Davos (GR) supera per dimensioni qualunque visita precedente alla manifestazione. Moltissimi si sono espressi sulla sua presenza.

Tutti hanno voluto dire la loro, persino un taxista della località grigionese, che è parso piuttosto innervosito: "tutti parlano solo di Trump, sembra quasi che debba arrivare il nuovo Messia". E in effetti pare non esserci discorso in cui non compaia il nome del discusso presidente statunitense.

"Qual è il suo messaggio a Donald Trump?" è la domanda più gettonata al WEF. La premier norvegese e co-direttrice dell'evento, Erna Solberg, ha risposto: "abbiamo bisogno della partecipazione degli Stati Uniti all'arena internazionale, in modo da raggiungere gli obiettivi dello sviluppo globale".

Dure sono state invece ieri le parole della cancelliere tedesca Angela Merkel, che dichiarato: "oggi, 100 anni dopo la catastrofe della Grande Guerra, dobbiamo chiederci se abbiamo davvero imparato la lezione della storia, e a me pare di no. L'unica risposta è la cooperazione e il multilateralismo". Il riferimento sembra essere al protezionismo e all'isolazionismo dell'amministrazione Trump.

Il presidente del Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) Peter Maurer ha invece invitato gli Stati Uniti a fare di più per gli aiuti umanitari. A suo dire, lavori in questo senso nelle zone di crisi stabilizzano le aree interessate, cosa che va a vantaggio anche dell'America.

"Potrebbe essere difficile credere nel riscaldamento globale", ha dal canto suo ironizzato il presidente francese Emmanuel Macron, riferendosi alle massicce nevicate che hanno colpito la cittadina grigionese, oltre che alle esternazioni di Trump sul tema. "Fortuna che quest'anno non avete invitato chi è scettico a proposito del global warming!", ha poi aggiunto.

Il consigliere federale Johann Schneider-Ammann si è invece soffermato su temi più concreti, dichiarando che non teme un esodo delle aziende statunitensi verso gli Usa in seguito alla riforma fiscale varata da Trump. Secondo il capo del Dipartimento federale dell'economia (DEFR) la Confederazione offre condizioni interessanti per le imprese.
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