pianogrande ha scritto:Il succo del discorso, alla fine, è quel ritorno alla terra degli avi (detto, magari, con parole mie) che è l'idea che passa nella testa della gente quando si parla dello stato di Israele.
A prescindere da tutte le disquisizioni sul significato di popolo, di etnia etc. quello che questi studi (queste considerazioni) vogliono dire è che parlare di ritorno non ha molto senso per gente che i suoi avi ce li ha in tutte le parti del mondo e che fa parte del popolo o etnia o religione (o tutto assieme) ebraico per identità culturale e non per discendenza.
[...]
Su questo ideale possiamo fare tutte le considerazioni che vogliamo ma partire dal principio che non si tratta di un reale ritorno a casa ma dell'occupazione di una terra abitata dai veri discendenti degli antichi ebrei (per quanto a loro volta rimescolati e ormai non più ebrei) significa partire da dati più coerenti con la realtà.
Caro Piano, le semplificazioni sono sempre sbagliate, ed anche questa tua attuale "
interessante novità"mi sembra una semplificazione eccessiva.
Non sono particolarmente competente in storia, ma posso dire ciò che credo di aver capito della storia di quel territorio tormentato dove convivono ora israeliani e palestinesi.
Dunque, per una diaspora antica, gli ebrei si sono diffusi in tutto il mondo, ed ovunque nei secoli hanno continuato a riconoscersi come popolo, con una identità definita sia dalla religione che dalle tradizioni storiche e culturali. Nei vari luoghi dove si sono insediati hanno stabilito rapporti più o meno buoni con la popolazione residente, pur mantenendo una loro identità socio-culturale, fatto questo che li ha resi identificabili e facile bersaglio di atteggiamenti xenofobi e razzisti, nonché capro espiatorio ideale nei periodi difficili.
A fine ‘800 in Francia si verificò un caso giudiziario, l’affare Dreyfus, nel quale l’ufficiale alsaziano (francese) di origine ebraica venne accusato di tradimento e collusione con la Germania di Bismark. Il caso si concluse con un errore giudiziario, in quanto Dreyfus venne condannato, pur essendo in seguito riconosciuto del tutto innocente.
Il caso, frutto di razzismo antisemita, fece nascere in Europa un movimento politico detto Sionismo, che rivendicava la necessità della costituzione di uno Stato Ebraico, privo per definizione di ogni forma di antisemitismo. Questo Stato Ebraico andava fondato da qualche parte nel mondo, in Canada, Australia, Stati Uniti (il M5S non ha inventato nulla di nuovo), Argentina ecc., ma alla fine il Movimento Sionista fondato dall’ebreo tedesco Theodor Herzl confermò, nel primo
Congresso Sionista Mondiale di Basilea del 1897, l’obiettivo della fondazione di uno Stato Ebraico in Palestina (vedi tra l’altro
Wikipedia,
Treccani, e
Dizionari di Storia Moderna), ipotesi inizialmente vista con favore dalla Gran Bretagna e dalla Società delle Nazioni.
In Palestina al’epoca convivevano arabi ed ebrei, senza particolari problemi, credo. Il movimento Sionista sollecitava la migrazione di ebrei europei perseguitati per rafforzare gli insediamenti ebraici preesistenti, e la cosa da una parte non fu accolta con entusiasmo da molte comunità ebraiche che non vedevano di buon occhio la necessità di abbandonare i loro luoghi di residenza, dall’altra non fu priva di episodi di violenza tra gruppi di immigrati ebrei e la popolazione locale non israelita.
In questa situazione confusa ed interlocutoria, ogni persecuzione antisemita, ogni Pogrom, non faceva altro che rafforzare l’idea della necessità di uno stato ebraico; l'evento decisivo però fu lo sterminio di sei milioni di ebrei da parte di Hitler. Per farla breve, ovviamente durante il periodo nazista molti ebrei cercarono di sfuggire alle persecuzioni emigrando verso il potenziale stato ebraico, e dopo la fine della guerra la situazione stava diventando esplosiva.
Nel 1947 le Nazioni Unite stabilirono che agli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio non poteva essere inibita l’immigrazione in Palestina, e decretarono la suddivisione del mandato britannico sulla Palestina in due stati, uno ebraico e l’altro arabo (vedi anche
Wikipedia). Il resto è storia nota.
Adesso dal 1947 sono passati quasi settant’anni, che vogliamo fare? Il problema non può essere più se creare o eliminare Israele: lo Stato di Israele è una realtà consolidata, e non si tratta più di “un ritorno degli ebrei alla loro terradi origine”, ma di sopravvivenza di uno stato forte con impostazione democratica di tipo europeo; l’alternativa sarebbe un nuovo esodo e magari un nuovo genocidio.
Detto questo, ovvio che la politica dello Stato di Israele, aggressiva ed espansionistica, può e dve venir criticata. E’ altrettanto ovvio che ogni politica antisemita non può che rafforzare il senso di paura e di accerchiamento degli israeliani e degli ebrei in generale, portando il governo israeliano a politiche sempre più di destra e sempre più espansionistiche, sulla base della paura di una possibile distruzione totale e definitiva.
Avrebbe senso ora affermare che gli ebrei israeliani non sono un popolo (mentre lo sono sempre di più) e che il racconto biblico non parla degli ebrei della diaspora? Vogliamo davvero farne un problema di “razza” nel senso genetico del termine, come aveva fatto Hitler e come a volte fanno alcuni gruppi estremisti antisemiti, ma a volte anche ebraici?
Nel 1947 l’UNSCOP(
United Nations Special Committee on Palestine) giunse alla conclusione “che soddisfare le pur motivate richieste di entrambi era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle due posizioni (
Storia di israele) . Mi sembra che al momento le conclusioni non possano che essere le stesse, con l’aggravante dei settant’anni trascorsi.
Non ho soluzioni da suggerire, suggerisco solo una grande cautela.
Annalu