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Forchielli: «La Cina rallenta? Non è un problema»

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Forchielli: «La Cina rallenta? Non è un problema»

Messaggioda franz il 17/03/2015, 8:05

Forchielli: «La Cina rallenta? Non è un problema»
Parla uno dei maggiori esperti del “Paese di mezzo”: «La crisi cinese è peggiore di quanto si crede»

Intervista di Francesco Cancellato

«La Cina rallenta? Chi se ne importa». Non usa mezze misure, Alberto Forchielli, nel definire le conseguenze della brusca frenata dell’economia della Repubblica Popolare. Fondatore di Mandarin Capital Partners, un fondo di private equity che crea collegamenti tra medie aziende europee e partner commerciali ed industriali cinesi, Forchielli conosce la Cina da oltre trent’anni. Nel suo curriculum un Mba with honour ad Harvard e un curriculum che annovera la World Bank, la European Investiment Bank, Finmeccanica, l'Iri (di cui è stato segretario generali per le privatizzazioni nei primi anni ’90). Più di recente, ha fondato Sourcing Solutions (SSG) - società che offriva soluzioni industriali alle aziende italiane in Cina - e Osservatorio Asia, centro di ricerche non-profit focalizzato sull’estremo Oriente.

Il rallentamento di cui parla Forchielli - di cui parla chiunque parli di Cina, in realtà - è quello relativo alle stime di crescita del Paese di Mezzo. Per il cui Pilsi prevede un aumento, per il 2015, di soli 6.8 punti percentuali, che dovrebbero diventare 6,5 nel 2016. Se pensate sia una pazzia parlare di ”soli 6,8 punti percentuali”, sappiate che è la più bassa crescita cinese degli ultimi venticinque anni. Sotto l’India, per la prima volta da decenni. Soprattutto, sotto la soglia del 7% pianificata dal governo cinese per l'anno in corso, dopo aver mancato - anche se di un solo decimale - l'obiettivo di crescita del 7,5% previsto per il 2014.

C'è chi minimizza il rallentamento, chi dice che è comunque un effetto collaterale, ma previsto, delle politiche del governo e chi invece, nonostante questo, è preoccupato. Lei che ne pensa, Forchielli?


Che il rallentamento è sicuramente più profondo di quel che dicono le cifre. Nessuno crede ai numeri cinesi, del resto. I dati produzione industriali sono orridi, la crescita di investimenti e consumi che rallenta. I conti dell'economia reale non tornano, dal consumo di energia all'acquisto di materie prime. Altro che 6,8%...

Come mai?


Perché nell'attuale modello economico Cinese molto investment e credit intensive non si può mantenere una crescita del 7% o più all’infinito senza espandere il credito a dismisura. E il debito cinese è già oggi al 282% del pil. Non si è mai vista nella storia tanta leva finanziaria in un solo Paese. E non è finita qui.

In che senso?

Che quel credito è di fatto una manovra fiscale, un buco nel bilancio dello Stato. Loro finora sono cresciuti facendo case, investimenti industriali e infrastrutturali. E li hanno finanziati con i soldi delle banche statali, che finanziano le province e le aziende pubbliche, che a loro volta investono. Solo che ormai siamo in una fase di rendimenti marginali molto decrescenti.

Del Presidente Xi Jinping si diceva che volesse cambiare verso all'economia cinese. Che voleva passare da un’economia fatta di investimenti ed export a un’economia trainata dai consumi e dai servizi. Non è che questa caduta sia stata in qualche modo pianificata?

Gli è esplosa in mano. Xi Jinping è un presidente forte con un’economia debole. Lui aveva un obiettivo che era quello di combattere la corruzione, che in Cina è il più urgente dei problemi. Era la gente che glielo chiedeva e questo gli ha dato un enorme consenso. Fra l'altro gli ha pure permesso di eliminare un po' di oppositori..

Ok, ma il modello di sviluppo?

«Ci doveva essere un grande stimolo per l'imprenditoria privata. Invece questi non beccano uno yuan dalle banche e sono in mano agli sciacalli e agli usurai»

Era chiaro che andasse cambiato. Troppo basato sugli investimenti e sul credito. Era necessario muoverlo più sui consumi, come Corea, Taiwan e Giappone. Qui però le riforme di Xi Jinping sono sono riuscite bene. Xi è un essere umano, del resto, e non può fare tutto: se si spende sulla corruzione, sul rafforzamento del potere, sulla politica estera, in cui è iper-attivo, aprire anche il fronte delle riforme economiche contro le grande lobbies immobiliari e industriali sarebbe stato probabilmente uno sforzo esagerato. Bisognava privatizzare le imprese pubbliche e invece il governo si sta muovendo nella direzione opposta, quella di fare campioni nazionali. Ci doveva essere un grande stimolo per l'imprenditoria privata. Invece questi non beccano uno yuan dalle banche e sono in mano agli sciacalli e agli usurai.

Si parla molto del fenomeno dello shadow banking, di queste banche ombra di cui si sa poco o nulla, ma che di fatto hanno un ruolo fondamentale nell'economia cinese. Di che si tratta, esattamente?

Lateralmente alla normale attività bancaria si è sviluppato questo strano meccanismo di disintermediazione del credito. La gente comune che ha qualche soldo da risparmiare, invece di metterli in banca, li mette in questi fondi che hanno un rendimento al 7%. Fondi che, a loro volta, prestano questi soldi alle imprese con tassi attorno al 15%. Quasi un terzo del credito cinese funziona così.

E i consumi, invece?

«I dipendenti pubblici cinesi guadagnano molto poco, ma il patto era chiaro: io ti pago una miseria, ma chiudo un occhio se rubi. Ora non si può più rubare, le paghe sono rimaste basse e ci sono 30, 40 milioni di persone incazzate»

È un effetto perverso della lotta alla corruzione: basta consumi opulenti, perché chi li fa dà nell'occhio. I dipendenti pubblici cinesi, peraltro, guadagnano molto poco, ma il patto era chiaro: io ti pago una miseria, ma chiudo un occhio se rubi. Ora non si può più rubare, le paghe sono rimaste basse e ci sono 30, 40 milioni di persone incazzate che hanno perso potere d'acquisto. E che si ritrovano in mezzo a un paese che sovraproduce beni, case, infrastrutture. Hanno fatto 8000 km di alta velocità in due anni. Ottomila. Ha senso?

Non stanno giocando col fuoco? A me la situazione sembra esplosiva...

In qualunque altro paese del mondo, una situazione del genere sarebbe il preludio a una crisi finanziaria. In Cina no, perchè il governo ha in mano tutto e ha un sacco di margine per gestire la situazione. Questo non toglie che l’economia, in Cina, sia molto mal gestita. Xi Jinping è una specie di neogollista. Viene il sospetto che non gliene freghi niente dell'economia.

Non c'è il rischio che la Cina esporti deflazione nel mondo? Che metta nei guai pure noi, che abbiamo appena festeggiato il Quantitative Easing di Draghi che dovrebbe far ripartire i prezzi e il Pil?

In un anno terribile come il 2014, ci sono state solo due buone notizie: è il primo anno degli ultimi quaranta in cui non è cresciuto il Co2 in atmosfera. Ed è un anno in cui il prezzo del petrolio si è dimezzato. Perché questo, secondo lei?

Già, perché?

Perché la Cina ha rallentato la produzione, consumando meno carbone e comprando meno petrolio. Non è mica un male, per il mondo, se la Cina rallenta un po'. Sporcano da morire, hanno fatto disastri ambientali dovunque vanno. La crescita cinese è stata un problema enorme, per il mondo. Tutti risparmiano energia tranne loro.

Sta dicendo che è un bene, quindi?

Non è mica un quiz, che devi barrare per forza una casellina. Sto dicendo che, per quanto ci riguarda, potremmo pure fregarcene. È un problema loro, non nostro.

Ok, ma le esportazioni? Il turismo? La famosa domanda cinese per i prodotti del made in Italy?

«l nostro made in Italy nemmeno se ne accorge, se la Cina rallenta»

Noi abbiamo un deficit di 15 miliardi con la Cina. Che vuol dire che compriamo più di quel che vendiamo. L'Europa ha un disavanzo di 70 miliardi. L'unico paese europeo in pari con la Cina è la Germania. Gli unici esportatori netti in Cina sono i paesi che gli vendono le materie prime. Il nostro made in Italy nemmeno se ne accorge, se la Cina rallenta.

Come finirà, però mi interessa. Come la risolveranno i cinesi questa situazione, secondo lei?

«Quello che sembrava dovesse essere il secolo cinese, si sta rivelando un altro secolo americano»

Nessuno lo sa. La Cina è impossibile da indovinare. Lo scenario più probabile è che, alla fine della storia, non diventi quel gigante che tutti pensavamo sarebbe diventato. Il 60% dei ricchi cinesi vorrebbe andare via dalla Cina. Lo scorso anno hanno investito 22 miliardi di dollari in real estate americano. Addirittura, negli Usa ci sono delle cliniche abusive in cui i cinesi si nascondono per dare alla luce bambini americani. Quello che sembrava dovesse essere il secolo cinese, si sta rivelando un altro secolo americano.

http://www.linkiesta.it/rallentamento-e ... forchielli
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Re: Forchielli: «La Cina rallenta? Non è un problema»

Messaggioda annalu il 17/03/2015, 13:08

Come interpretare la creazione da parte della Cina della Asian Infrastructure Investment Bank e la partecipazione all'iniziativa di numerosi paesi europei, tra i quali l'Italia?
Da Repubblica economia:

Ft: "L'Italia nell'Asian Infrastructure Investment Bank voluta da Pechino"
Il giornale finanziario inglese rivela che il nostro paese avrebbe aderito all'Istituto fondato dalla Cina per attrarre investimenti in infrastrutture, in competizione con la Banca Mondiale di Washington e l'Asian Development Bank sponsorizzata dagli Usa

LONDRA - Dopo la Gran Bretagna, il cui passo ha irritato profondamente gli Stati Uniti, anche l'Italia ha accettato di entrare a far parte della Asian Infrastructure Investment Bank. La AIIB è l'istituto finanziario promosso dalla Cina per costituire - secondo gli Usa - un'alternativa alla Banca Mondiale di Washington e all'Asian Development Bank, sponsorizzata dall'America.

E' quanto rivela il Financial Times secondo il quale la AIIB, voluto con forza da Pechino e visto come fumo negli occhi dagli Usa, faranno parte anche Germania e Francia. Washington, scrive il Ft, ha fatto di tutto per evitare che nazioni occidentali entrassero nella Aiib. L'istituto, fondato a Pechino lo scorso anno, punta ad attrarre investimenti in infrastrutture in settori come trasporti, energia e telecomunicazioni in tutta l'Asia.

Tra i Paesi della regione, ma rimasti finora fuori dalla AIIB, si contano Giappone, Corea del Sud e Australia. A Canberra, però, il premier Tony Abbott ha fatto sapere che a breve farà una scelta finale.

Anche Seul potrebbe rivalutare il suo no all'ingresso nella AIIB, scrive il Financial Times. Mentre il Giappone, insieme agli Usa il maggior 'azionista' della Asian Development Bank, ne resterà fuori, anche per l'accesa rivalità storica con Pechino, alimentata negli ultimi anni dalla contesa sulle isole Senkaku (per Tokyo) Diaoyu (per Pechino).

La AIIB, scrive il Financial Times che cita fonti Ue, avrà a disposizione un bilancio di 50 miliardi di dollari. "La decisione dei Paesi Ue - sottolinea il Ft - rappresenta una significativa sconfitta per l'amministrazione Obama, secondo la quale i Paesi occidentali avrebbero avuto una maggiore influenza sulla nuova banca se tutti insieme ne fossero rimasti fuori".

L'iniziativa dell'AIIB, "lanciata dal presidente (cinese) Xi Jinping è uno degli elementi di una "offensiva più ampia di Pechino per creare nuove istituzioni economiche e finanziarie che ne accresceranno l'influenza internazionale".

Washington ha accolto con apparente neutralità la notizia, riferita dal Financial Times, che dopo la Gran Bretagna anche Italia, Francia e Germania hanno aderito alla 'Asian Infrastructure Investment Bank', l'istituto finanziario promosso dalla Cina per costituire un'alternativa alla Banca Mondiale di Washington e alla 'Asian Development Bank', sponsorizzata sempre dall'America.

Il responsabile del desk Asia-Pacifico del dipartimento di Stato, Daniel Russel da Seul, ha chiarito che i dubbi Usa sulla AIIB restano ma, ha aggiunto, ogni singola nazione è libera di aderire al progetto: "Ogni governo può fare le proprie scelte (sul fatto che) il modo (migliore) per raggiungere i propri obiettivi sia quello di entrare a far parte (di AIIB) prima che i termini dell'accordo sia chiariti o se sia quello di aspettare per vedere quali saranno i risultati una volta che la banca avrà iniziato ad operare".

Il riferimento è alla scadenza del 31 marzo, fissata da Pechino, per i Paesi che intendono aderire all'AIIB con la status privilegiato di membri fondatori e non di semplici componenti, in caso di ingresso dopo la fine del mese.
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Re: Forchielli: «La Cina rallenta? Non è un problema»

Messaggioda franz il 19/03/2015, 9:32

il rallentamento è sicuramente più profondo di quel che dicono le cifre. Nessuno crede ai numeri cinesi, del resto. I dati produzione industriali sono orridi, la crescita di investimenti e consumi che rallenta. I conti dell'economia reale non tornano, dal consumo di energia all'acquisto di materie prime. Altro che 6,8%...


Il fatto è che la Cina ha un PIL che per quasi il 50% è costituito da investimenti. Dato che di solito nei paesi occidentali evoluti oscilla tra il 17 ed il 20%.

household consumption: 36.3%
government consumption: 13.7%
investment in fixed capital: 46%
investment in inventories: 1.2%
exports of goods and services: 25.1%
imports of goods and services: -22.2%

Quindi se calassero gli investimenti ed i consumi il PIL cinese si sgonfierebbe abbastanza rapidamente.

Preoccupante è la bolla immobiliare, che contribuisce ad un buon 13% del PIL, con un particolare veramente notevole: Il dato viene inglobato nel PIL non al momento della vendita ma al momento della costruzione a tetto, cosa che ha permesso di realizzare decine e decine di città fantasma, disabitate, in cui sarebbe possibile girare quei film apocalittici tipo post-fine-del-mondo. Quindi speculazioni immobiliari, non investimenti che generano vera ricchezza per il paese.
Interessante questo breve documentario su sky, che mi hanno segnalato.
http://video.sky.it/news/mondo/vice_on_ ... 198539.vid

I cinesi sono quindi obbligati, per mantenere la crescita, a continuare ad investire.. Poichè quasi tutto quello che potevano fare lo hanno fatto (autostrade, edifici, ferrovie ad alta velocità) e lo hanno sovradimensionato, ora cercano di investire all'estero, comprando un po' di tutto. E lo fanno a debito. Non debito pubblico ma debito privato (280% del PIL) ... ecco diciamo che in queste condizioni parlare di aderire a progetti di investimento in Cina è quanto mai rischioso, una sorta di schema Ponzi che potrebbe crollare da un momento all'altro.

E se crolla la Cina, le ripercussioni sono mondiali. Penso ai partner di import export (usa, australia, giappone, sud korea, germania)
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