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Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda franz il 28/01/2015, 8:21

VARSAVIA - Il 27 gennaio 1945 i soldati dell'Armata Rossa sovietica liberarono il campo di concentramento tedesco di Auschwitz, ad ovest di Cracovia, nel sud della Polonia. Mentre si avvicinavano, le SS iniziarono l'evacuazione. Circa 60 mila prigionieri furono costretti a marciare verso ovest, la maggior parte, per lo più ebrei, verso la città di Wodzislaw nella parte occidentale dell'Alta Slesia. Migliaia di persone furono uccise in fretta nei giorni precedenti, il più possibile. Durante la marcia della morte le SS spararono a quelli che, stremati, non potevano continuare a camminare. Gennaio, gelo, fame. Morirono in più di 15 mila. Quando entrò, settant'anni fa, l'esercito sovietico trovò e liberò oltre 7 mila sopravvissuti, malati e moribondi. Si stima che circa 1,3 milioni di persone siano state deportate ad Auschwitz tra il 1940 e il 1945. Di queste, almeno 1,1 milioni sono state assassinate.

Nel 1996, il presidente tedesco Roman Herzog ha dichiarato la stessa data giornata nazionale della Memoria. Da allora la cerimonia di commemorazione si svolge ogni anno al Bundestag, dove i testimoni dell'Olocausto vengono invitati a parlare, i rappresentanti e i capi di Stato a rappresentare il mondo che non deve dimenticare. Per i 70 anni dalla liberazione di Auschwitz, la Russia non è stata formalmente invitata. Il presidente russo Vladimir Putin non si unirà agli altri leader mondiali. E' l'ombra causata dalla sua posizione nel conflitto in Ucraina. Non è stato invitato, non formalmente.

Sarà invece il vice primo ministro russo Serghiei Ivanov a rappresentare di Mosca ad Auschwitz. Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha confermato. "Non c'è stato un invito ufficiale" indirizzato al palazzo presidenziale. "C'è stata una lettera del direttore del museo di Auschwitz, all'ambasciatore russo in Polonia, che annunciava la cerimonia e aggiungeva che se volevamo partecipare avremmo dovuto far sapere chi sarebbe andato", ha aggiunto il ministro. "Un invito di questo genere non prevede una risposta obbligatoria", ha insistito Lavrov. La cerimonia - ha dichiarato - "non figura sull'agenda del presidente russo". Il mondo sta dimenticando, perché la Russia, qualsiasi sia la divisione politica attuale, fu la prima ad entrare tra quei campi di morte.

Auschwitz, Polonia, uno dei Paesi più critici nei confronti di Mosca sulla crisi Ucraina. Mosca dalla sua considera il gesto di Varsavia una mancanza di rispetto. Molti ebrei uccisi nell'Olocausto erano cittadini sovietici. "La vittoria sul nazismo dipese dall'impegno collettivo di molti Paesi, gli alleati in Occidente, ma anche l'esercito sovietico", ha detto una fonte diplomatica, un alto livello della comunità ebraica europea, che ha parlato a condizione di anonimato. "La scelta di escludere un Paese per questioni politiche è una vergogna nei confronti dell'Olocausto e della giornata per non dimenticarlo".

La Polonia non si sbilancia. Il ministero degli Esteri si è limitato a dire di non essere l'organizzatore della manifestazione, ma anche che nessun Paese è stato escluso dalla partecipazione. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha preso tempo nell'attesa che i rapporti diplomatici sciogliessero il nodo di una matassa irritabile. Ma è un periodo teso. Varsavia ha incitato gli altri membri dell'Unione Europea ad emettere sanzioni più severe nei confronti della Russia e spinto la Nato a una risposta più ferma. Mosca ha reagito vietando l'importazione di molti prodotti alimentari polacchi.
Commemorazione ad Auschwitz, settant'anni dopo la Polonia non invita Putin

Gli inviti formali alle delegazioni estere sono stati inviati dall'Auschwitz-Birkenau State Museum e dall'International Auschwitz Council. Il governo polacco ha inviato solo una nota informativa. Non formale. La fonte, coinvolta nei negoziati, ha detto che la maggior parte dei Paesi, dopo aver ricevuto la nota informativa, hanno chiesto chiarimenti alla Polonia, per poi decidere di inviare ad Auschwitz delegazioni di alto livello, un capo di governo o capo di Stato, e in alcuni casi entrambi.

I partecipanti. Annunciando l'arrivo del vice premier russo, un portavoce del museo ha informato che alla manifestazione commemorativa parteciperanno oltre 300 superstiti del campo e i rappresentanti di 38 paesi, compresi i capi di Stato di Francia, Francois Hollande, di Germania, Joachim Gauck, dell'Ucraina, Petro Poroshenko, nonché della Polonia, Bronislaw Komorowski. Dagli Stati Uniti è atteso il segretario del Tesoro Jack Lew, e sono i attesi pure i reali di Belgio e Olanda. Per l'Italia sarà il Presidente del Senato Pietro Grasso nell'esercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica a partecipare, mentre il sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto della Vedova rappresenterà il Governo alla cerimonia.

"Dobbiamo dirlo chiaramente: è l'ultimo anniversario significativo che possiamo commemorare con un gruppo numeroso di sopravvissuti. Per questo è così importante che i reali, i presidenti, i premier e i rappresentanti di rango delle istituzioni internazionali presenti a Birkenau in occasione della commemorazione ascoltino la voce degli ex prigionieri", ha dichiarato Piotr Cywinski, il direttore del memoriale di Auschwitz.

Nella Repubblica Ceca, il presidente Milos Zeman, vicino alla posizione della Russia sull'Ucraina, ha invitato Putin a una più piccola commemorazione dell'Olocausto, prevista per lo stesso giorno dell'evento ad Auschwitz. La Federazione ceca delle Comunità Ebraiche ha però preso le distanze dall'invito. E Putin non andrà neanche lì.

http://www.repubblica.it/speciali/cultu ... ef=HREC1-8
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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda franz il 02/02/2015, 14:00

GIORNO DELLA MEMORIA: TUTTA EUROPA È RESPONSABILE DELLA STRAGE

L’IMMANE MASSACRO NON SAREBBE STATO POSSIBILE SE LA FURIA NAZISTA NON AVESSE TROVATO TERRENO FERTILE DI COLLABORAZIONE DA PARTE DELLE ISTITUZIONI E DELLE POPOLAZIONI DEI PAESI OCCUPATI

Intervento svolto in Senato nella sessione pomeridiana del 27 gennaio, per la celebrazione del Giorno della Memoria

Signor Presidente, Colleghi, si ridurrebbe a ben poca cosa, il Giorno della Memoria, se fosse soltanto l’occasione per ricordare un evento tragico della nostra storia, quasi che si trattasse di una catastrofe naturale, pur di inusitate dimensioni e conseguenze letali. Oppure se fosse l’occasione per ricordare quanto un popolo straniero sia stato capace di ferocia assassina nei confronti di milioni di persone innocenti, sottolineando la nostra distanza, la nostra totale alterità, estraneità e riprovazione. Se così fosse, il Giorno della Memoria avrebbe un effetto poco desiderabile, perché assumerebbe il significato di una acritica autoassoluzione.

Questa giornata di riflessione è stata istituita, invece, allo scopo di ricordarci una ferocia assassina della quale in qualche misura è stata corresponsabile l’Europa intera, Italia compresa. L’immane massacro di milioni di ebrei, ma anche di rom, di omosessuali, e di altri “alieni”, non sarebbe stato possibile se la furia nazista non avesse trovato terreno fertile di collaborazione da parte delle istituzioni e delle popolazioni dei Paesi occupati.

Così, non avrebbe potuto accadere che il 90 per cento degli ebrei polacchi venisse sterminato, se l’antisemitismo nazista non si fosse immediatamente coniugato con un antisemitismo profondamente radicato e diffuso in Polonia. Quanto a casa nostra, non possiamo dimenticare che furono le italianissime leggi razziali del 1938 – quelle che vietavano ai bambini ebrei di frequentare le scuole statali ed escludevano i loro genitori dalle funzioni pubbliche, dagli albi professionali e persino dai consigli di amministrazione di imprese private – a predisporre gli elenchi di cui poi si sarebbero avvalse con facilità le SS per arrestare e deportare ottomila nostri concittadini. Allo stesso modo, non sarebbe bastato neppure un esercito di SS dieci volte maggiore di quello di cui Hitler disponeva per uccidere il 60 per cento degli ebrei ucraini, il 70 per cento di quelli ungheresi, il 50 per cento di quelli rumeni, il 90 per cento di quelli dei Paesi baltici, il 26 per cento di quelli francesi, il 77 per cento di quelli greci, il 60 per cento di quelli belgi, il 75 per cento di quelli olandesi, e molti altri ancora, se in ciascuno di questi Paesi il razzismo e l’antisemitismo non fossero fioriti spontaneamente, se il collaborazionismo, la delazione e l’istinto di razzìa endemici non avessero spianato la strada agli assassini in divisa. Prova ne sia che nell’unico Paese d’Europa occupato dai nazisti nel quale collaborazionismo e antisemitismo non si sono manifestati – la Danimarca – gli invasori sono riusciti a deportare nel campo di Theresienstadt soltanto 52 ebrei, l’uno per cento della popolazione ebraica danese. Dove tutti, dal primo all’ultimo dei cittadini, hanno fatto fino in fondo il loro dovere, cioè hanno fatto muro in difesa dei concittadini ebrei, dove il Modstandsbevægelsen (il movimento non violento di resistenza danese) senza sparare un solo colpo ha saputo costruire una barriera in difesa degli ebrei con il solo materiale del senso civico, della solidarietà e del senso dell’onore di un popolo, dove il Re in persona ha risposto al diktat nazista indossando egli stesso pubblicamente la stella gialla, è bastato questo perché il progetto di sterminio venisse contrastato efficacemente, pur in un Paese militarmente soggiogato. La strage ha potuto moltiplicarsi fino alle dimensioni inimmaginabili della Shoah solo dove questo non è avvenuto, dove i Governi delle nazioni alleate ai nazisti o da essi invase hanno con essi collaborato, dove razzismo e antisemitismo nazista hanno trovato risonanze profonde nella cultura dei Paesi soggiogati.

Negli stessi anni in cui si è compiuta quella strage, un’altra se ne stava compiendo, poco più a est, di dimensioni ancora maggiori, che forse non è ancora stata messa a fuoco con lo stesso grado di compiutezza con cui lo è stata la Shoah: la strage staliniana. Coglie certamente un aspetto della realtà storica Primo Levi quando sostiene l’alterità e la diversità di natura e di movente tra questi due genocidi; ma colgono un altro aspetto non meno importante della stessa realtà Varlam Salamov, Aleksandr Solženitsyn e soprattutto Vasilij Grossman, quando sottolineano la sostanza che accomuna profondamente questi – e anche tutti gli altri – genocidi. E allora è giusto ricomprendere nella riflessione, a cui ci richiama il Giorno della Memoria, non solo il genocidio hitleriano, ma anche quello staliniano, e tutti gli altri che hanno costituito il tragico tratto distintivo dell’ultimo secolo: quello degli armeni dell’inizio del Novecento – una sorta di tragica prova generale di quanto sarebbe accaduto trent’anni dopo –, il genocidio perpetrato dai Khmer rossi in Cambogia, quello perpetrato sui Tutsi in Ruanda, quelli che hanno recentemente sconvolto i Paesi balcanici a un passo da casa nostra, e altri ancora.

Forse tra qualche anno o decennio ci verrà imputato a titolo di genocidio un comportamento all’apparenza lontanissimo da quelli sui quali il Giorno della Memoria intende sollecitare la nostra riflessione permanente e la nostra vigilanza morale e civile: l’indifferenza con cui tendiamo a guardare alle migliaia di persone che muoiono nel mare nostrum per sfuggire ad altri genocidi che si perpetrano più a sud o più a est. Una cosa è certa: la sostanza che accomuna questa nuova immane tragedia e le altre menzionate prima non è la loro disumanità (Bernard-Henri Levy all’ONU ha parlato “de cette inhumanité radicale, de cette bassesse, qui s’appelle l’antisémitisme”), ma la loro umanità, il loro appartenere fino in fondo alla nostra natura, il loro dipendere in tutto e per tutto da aggressività esplosive che si annidano dove meno lo sospettiamo. Non sconfiggeremo la ferocia genocidaria di cui abbiamo individuato il passaporto straniero se non faremo fino in fondo i conti con la ferocia genocidaria che, in maggiore o minor misura, è e resterà latente in ogni aggregato umano, anche nel nostro, fin quando un altro gruppo di umani continuerà, solo per il diverso colore della pelle, o la diversa religione, o il venire da un altro continente, a essere considerato come una pericolosa tribù di alieni.

http://www.pietroichino.it/?p=34402
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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda annalu il 02/02/2015, 20:19

Bello il discorso di Ichino.
Grazie Franz, per averlo riportato qui.

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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda flaviomob il 08/02/2015, 17:10

La cultura ebraica come elemento irriducibile, come istanza di non conformità alla dittatura della maggioranza, come fonte di un pensiero originale, nuovo ma con radici antichissime mai spezzate. Freud prendeva bonariamente in giro l'ottimismo di Jung attribuendolo al suo essere cristiano, al suo appartenere cioè ad una religione relativamente "giovane" rispetto all'ebraismo e quindi meno disillusa, pregna di una fiducia nell'innocenza dell'umanità che invece Freud contestava con Eros e Thanatos, pulsioni opposte e conflittuali presenti fin dalla nascita dell'essere umano. I drammi del Novecento (e non solo) ci hanno mostrato come Freud avesse la vista molto lunga.
L'antisemitismo è una delle forme di pregiudizio, di razzismo, di discriminazione, di persecuzione più radicate nella storia e più complesse. Una buona parte è attribuibile alla presa del potere del cristianesimo: per cui risultava facile indicare il capro espiatorio nel diverso e convogliare l'odio popolare verso chi condivideva una fede diversa, utilizzando di volta in volta l'accusa di deicidio per la crocefissione di Cristo o il rancore verso chi prestava ad interesse (anche ad usura) quando la chiesa lo proibiva. In realtà la prima accusa è assurda, perché Gesù stesso era ebreo e la giurisdizione della Palestina era romana (la stessa croce era uno strumento di tortura previsto dai codici dell'impero), mentre la seconda è strumentale perché il prestito ad interesse è diventato un caposaldo del capitalismo dal rinascimento in poi. Il Banco di San Giorgio già nel primo '400 prestava denaro alla stessa Repubblica di Genova in cui aveva visto la luce. Tuttavia gli attacchi antisemiti da parte della chiesa non si estinsero con la tolleranza verso i "mercanti di denaro". L'Ottocento vide una recrudescenza di questa ed altre forme di razzismo: mentre nei confronti di indigeni e degli africani in generale prendevano piede teorie pseudoscientifiche sulla superiorità della razza bianca, contro gli ebrei venivano lanciate accuse violente e palesemente contraddittorie, per dipingerli come destabilizzatori dell'ordine costituito: prima accusati di fomentare il liberalismo anticlericale, poi addirittura il socialismo rivoluzionario per rovesciare le istituzioni. In realtà era la modernità a terrorizzare i razzisti di ogni risma. Una modernità culturale che ha avuto la peculiarità di nascere e prosperare da una storia molto più antica di quella cristiana o musulmana avendo la forza di criticare l'esistente e persino se stessa senza sconti, sempre in profondità, sempre in maniera scomoda. Del resto non fu proprio un nazista a sostenere che quando sentiva la parola cultura sentiva l'impulso di mettere mano alla pistola?


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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda franz il 08/02/2015, 18:37

A proposito di origini dell'antisemitismo ho tovato questa pagina, curata da un vecchio amico internettaro (Wolfgang Pruscha), federalista italo tedesco che qualcuno ricorderà (se era presente ai tempi di pro-prodi e gargonza).
http://www.viaggio-in-germania.de/ebrei.html
Non sapevo che gli ebrei erano ritenuti responsabili delle varie pestilenze che falcidiarono l'europa del medioevo.
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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda flaviomob il 08/02/2015, 19:35

Beh nella spasmodica ricerca del capro espiatorio, la fantasia dei potenti e dei fanatici di turno si è scatenata. Ho letto da qualche parte che nel Cinquecento in Germania era reato il consumo di... caffè!!!

Sono estremamente d'accordo su quanto scrive Hesse, riguardo al link che hai mandato.


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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda franz il 26/02/2015, 9:53

Il tabù dell'antisemitismo discrimina gli arabi? Una tesi ed un commento per discutere

Su nFA: http://noisefromamerika.org/tabu-antise ... i-commento

25 febbraio 2015 • Paolo Di Muccio e ne'elam

La tesi è di Paolo Di Muccio che si chiede, riflettendo sul caso Charlie Hebdo ed altri eventi simili, se non sia venuto il tempo, per l'Europa, di fare a meno del "tabù" (legale) dell'antisemitismo. ne'elam prende in considerazione la tesi di Paolo e la discute, trovando argomenti a favore e contro sia nella discussione odierna sia in quella antica, riassunta attraverso alcuni passaggi del "Libro".

La tesi di Paolo di Muccio

Nel 2008 il disegnatore Maurice Sinet (detto Siné) venne cacciato dalla rivista satirica Charlie Hebdo a causa di una battuta in cui insinuava che Jean Sarkozy, figlio di Nicolas, potesse convertirsi alla religione ebraica per farsi strada nella vita. I Sarkozy protestarono pubblicamente e gran parte dell'establishment intellettuale francese, di destra come di sinistra, accusò Charlie Hebdo di antisemitismo. Il direttore della rivista, Philippe Val, licenziò Siné dichiarando che la battuta "poteva essere interpretata come un collegamento tra la conversione al giudaismo e il successo sociale, e non era né accettabile né difendibile in tribunale" e che "il limite (alla libertà di espressione sulla rivista) è dato da un documento che vieta in particolare qualsiasi esternazione razzista e antisemita".

Se da un lato Charlie Hebdo ha sempre pubblicato battute feroci contro tutte le religioni, anche quella ebraica, dall'altro non ha mai osato giocare col fuoco dei cliché antisemiti, inammissibili nell'Europa post-Shoah. Proprio a sottolineare questo stato di cose, in occasione del recente arresto del controverso comico antiebraico Dieudonné, il premier francese Manuel Valls ha dichiarato che "l'antisemitismo, il razzismo e il negazionismo non sono ammessi in Francia". E infatti nessuno oserebbe mai raffigurare pubblicamente gli ebrei con il naso adunco a contare avidamente dei soldi: ciò configurerebbe chiaramente il reato di "istigazione all'odio nazionale, razziale o religioso". Pubblicare invece una vignetta con lo Spirito Santo che sodomizza Cristo, come ha fatto proprio Charlie Hebdo nel 2012, non rientra in tale fattispecie. I francesi distinguono tra i due casi perché nel primo riconoscono il disprezzo verso una popolazione, mentre nel secondo al massimo vedono lo svilimento di figure religiose, ma non di chi le venera.

Eppure, a ben leggere il recente catalogo delle condanne per antisemitismo e quello delle mancate condanne per islamofobia, si può riconoscere un certo squilibrio nella giurisprudenza francese. Dieudonné, ad esempio, nel 2007 venne giudicato colpevole di aver diffamato la comunità ebraica per aver affermato, durante un viaggio in Algeria, che "la lobby sionista coltiva il monopolio della sofferenza" e "sfrutta il ricordo della Shoah" facendone "pornografia memoriale". A ben guardare si trattò però di una semplice opinione politica, ancorché detestabile. Per contro nel 2002 venne riconosciuta come legittima l'affermazione che "l'Islam è la religione più stupida di tutte", fatta dallo scrittore Michel Houellebecq. Ma in che cosa può consistere la presunta stupidità della religione musulmana se non nel praticarla? La ministra della giustizia francese, Christiane Taubirà, ha pochi giorni fa sottolineato con grande solennità che in Francia si può disegnare tutto, persino un profeta. Eppure la battuta che è costata un arresto a Dieudonné dopo l'attentato in Francia ("Io mi sento Charlie Coulibaly") appare sì spregevole, ma anche del tutto legittima: essa esprime una lacerazione d'animo, una vicinanza emotiva ad un terrorista forse, ma da quando è diventato illegale in Francia fare affermazioni sul proprio stato d'animo?

Nel mondo, le reazioni all'arresto di Dieudonné sono state le più disparate. Leggendo ad esempio i commenti alla notizia sulla pagina americana dello Huffington Post, si poteva notare sorpresa da un lato e derisione per le contraddizioni francesi dall'altro. I siti di notizie dei paesi arabi e musulmani si sono mostrati invece sgomenti o indignati. Sul Facebook francese decine di migliaia di utenti hanno aggiunto la scritta "Je suis Dieudonné" alla propria foto personale e hanno chiesto pubblicamente una libertà d'espressione senza discriminazioni, il che è un segnale allarmante dello scontro che potrebbe esplodere in Francia qualora gli arabi continuassero a sentirsi come dei cittadini di serie B.

Il nocciolo del problema è che la religione musulmana è tratto essenziale dell'identità della stragrande maggioranza degli immigrati arabi in Francia e quindi deridere essa è, in una certa misura, deridere tutti loro. Si ricordi a tale proposito che l'identità degli ebrei è invece ormai da tempo distinta dalla religione ebraica, tanto che Israele si definisce uno stato ebraico laico.

In Francia, così come in quasi tutta Europa, siamo abituati fin da piccoli a porre particolare attenzione a come trattiamo e parliamo degli ebrei. Ciò ha chiare ragioni storiche: dopo i terribili crimini commessi da noi europei durante la seconda guerra mondiale, abbiamo il dovere morale di combattere l'antisemitismo. Anzi, a dir la verità, l'antisemitismo pubblico è per noi un vero e proprio tabù, molto sentito in generale sia in Francia che in Italia (dai due paesi vennero deportati verso i campi di sterminio decine di migliaia di ebrei).

Probabilmente qualche lettore starà già storcendo il naso, pronto a darmi dell'antisemita solo perché ho parlato apertamente del tabù dell'antisemitismo: se si parla di un tabù lo si indebolisce, il che è chiaramente parte del tabù. Fino ad oggi in realtà ho sempre pensato anche io che fosse sacrosanto. Sono convinto però che sia arrivato il momento di metterlo in discussione chiedendo se debba valere anche per gli immigrati arabi.

La risposta, secondo me, è no: non è giusto che l'Europa imponga il proprio tabù anche agli immigrati arabi, perché gli arabi con la Shoah non hanno nulla a che vedere, né storicamente né culturalmente. E non si può neanche pensare che l'Europa debba avere maggior riguardo per gli ebrei indipendentemente dalla Shoah: l'ostilità verso le minoranze arabe non è mai stata, nella storia, inferiore a quella verso le minoranze ebraiche.

E non crediate ai soliti estremisti quando vi dicono (a proposito di diffamazione di popoli) che i palestinesi durante la seconda guerra mondiale erano nazisti. Non è vero, anzi in molti addirittura si arruolarono con l'Inghilterra. L'unica importante personalità palestinese che collaborò coi nazisti fu il criminale di guerra al-Hussein, Gran Muftì di Gerusalemme in esilio. E si ricordi che tutto il mondo arabo era ancora prevalentemente sotto il controllo di Francia e Inghilterra. Se è vero che alcuni arabi, una minoranza, si schierarono a favore della Germania nazista, fu quasi esclusivamente per liberarsi dell'oppressione coloniale, visto che Hitler considerava gli arabi di razza inferiore (essendo anche essi semiti).

Quando ho espresso questa tesi sulla mia bacheca di Facebook, alcune persone hanno obiettato sia giusto che gli immigrati arabi si integrino, adeguandosi alla nostra cultura, e quindi anche ai nostri tabù. Ho due controargomentazioni. La prima è che in realtà stiamo parlando per la gran parte di figli e nipoti di immigrati, cittadini europei a tutti gli effetti, e stranieri nelle loro terre d'origine. Parlare nel loro caso di integrazione o adeguamento vuol dire precisamente considerarli cittadini di serie B. La seconda argomentazione è di carattere psicologico. Benché sia vero che le colpe non si tramandano di padre in figlio, abbiamo tutti provato orrore nel pensare che in generale i nostri padri e nonni sono stati parte di un regime criminale (pochissimi furono in percentuale i dissidenti). Siamo per questo ben felici di poter espiare in minima parte quella terribile colpa, nonché di poter dimostrare al mondo intero che non faremo mai più gli stessi errori. Tutto questo non può però valere per gli immigrati arabi e i loro discendenti, né è giusto che siano loro a farne le spese.

Tra le tante controverse sentenze che riguardano Dieudonné, gli è stato intimato di tagliare da un suo video su YouTube la seguente dichiarazione: "Sono contro la violenza e non sono antisemita... io non debbo decidere tra ebrei e nazisti, in questa vicenda sono neutrale, non sono nato nel 1900... dunque non so cosa sia successo... ho la mia piccola idea, ma comunque... ". Ora ditemi, in tutta onestà, è giusto da un lato permettere qualunque insulto all'Islam e dall'altro vietare le provocatorie allusioni revisioniste di un comico? E questo stato di cose, secondo voi, allevia o aggrava il conflitto strisciante in Francia tra la comunità araba e quella ebraica?

La Francia e l'Europa intera saranno presto costrette a decidere se uscire o meno dal dopo-Shoah, facendo cadere il tabù dell'antisemitismo e trattando alla pari arabi ed ebrei. La decisione è certamente tragica perché qualunque scelta faremo, sbaglieremo: se rinunciamo al tabù dell'antisemitismo faremo un torto agli ebrei; se lo manterremo faremo un torto agli arabi. Ma in un mondo realmente moderno e laico, la libertà di espressione deve valere per tutti o per nessuno. I reati di opinione oggigiorno andrebbero probabilmente aboliti, ma se proprio li vogliamo mantenere, essi devono valere per tutti. Quando si iniziano a fare dei distinguo si finisce sempre per essere più indulgenti con le fazioni amiche, e si comincia a sentire lo sgradevole odore dell'ipocrisia.

==== (segue)
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Re: Speciale di Repubblica sul giorno della Memoria

Messaggioda franz il 26/02/2015, 9:56

(continua)

Il commento di ne'elam

La tesi di Paolo è sostanzialmente una. Qualunque scelta si adotti per "decidere se uscire o meno dal tabù dell’antisemitismo, e trattando alla pari arabi ed ebrei", si fa un torto. Sempre usando le sue parole, "se rinunciamo al tabù dell'antisemitismo faremo un torto agli ebrei; se lo manterremo faremo un torto agli arabi". Se si vuole concretamente dare senso alla nozione di libertà di espressione, una delle maggiori conquiste delle società moderne e laiche, i reati di opinione vanno cancellati dall’ordinamento. Se a questa libertà si pongono dei limiti, essi devono valere per tutti allo stesso modo, senza discriminazioni. Sulla questione del tabù dell’antisemitismo tornerò dopo.

Paolo inizia il suo argomento utilizzando due esempi, a suo modo di vedere paradigmatici, tratti dall'esperienza francese. Il ​primo​, sul quale si dilunga meno, riguarda un ex-collaboratore di Charlie Hebdo, Siné, licenziato perché aveva ironizzato sul figlio di Sarkosi che voleva farsi ebreo per mettere le mani sui soldi di una ricca ereditiera. Sulla questione dell'antisemitismo Siné aveva già chiarito il suo pensiero in una intervista radio di qualche anno prima

Je suis antisémite depuis qu’Israël bombarde. Je suis antisémite et je n’ai plus peur de l’avouer. Je vais faire dorénavant des croix gammées sur tous les murs... Rue des Rosiers, contre Rosenberg-Goldenberg, je suis pour... On en a plein le cul. Je veux que chaque Juif vive dans la peur, sauf s’il est pro-palestinien... Qu’ils meurent ! Ils me font chier... Ça fait deux mille ans qu’ils nous font chier... ces enfoirés... Il faut les euthanasier... Soi-disant les Juifs qui ont un folklore à la con, à la Chagall de merde... Y a qu’une race au monde... Tu sais que ça se reproduit entre eux, les Juifs... C’est quand même fou... Ce sont des cons congénitaux.

Successivamente si scusò per questa sua intemperanza, sostenendo che quando lo avevano intervistato non era propriamente sobrio.
Il licenziato vide riconosciute le sue ragioni dal tribunale e l'editore del settimanale lo ​indennizzò per essere stato messo alla porta. La sua libertà di esprimere pubblicamente il proprio antisemitismo venne deprecata da molti ma non venne minimamente messa in discussione dalla magistratura. Come esempio di doppio metro a sfavore di chi si esprime da antisemita non solo non funziona, semmai prova esattamente il contrario.

Il secondo esempio riguarda ​Dieudonné M'Bala MBala​.
Dieudonné, per chi non lo sapesse, è un comico francese che nei suoi spettacoli fa dell'antisemitismo il suo cavallo di battaglia. Secondo Paolo, le idee del comico detestabili ma pur sempre opinioni, le condanne che ha subito sono la prova di questo doppio metro.
Che in entrambi i casi si tratti di antisemitismo è fuori discussione. Sostenere il contrario - ma non è questo quello che sostiene Paolo - significa insultare l'intelligenza di chi ha letto l'intervista di Siné o visto, anche solo di sfuggita, gli spettacoli di Dieudonné. Valga per tutti il suo rincrescimento per la chiusura delle camere a gas che ha impedito di far fuori tutti gli ebrei francesi.

Sul punto faccio totalmente mie le considerazioni di ​Seth Mandel e ​James Tobin​ sulla rivista Commentary.
Il primo osserva

He’s been “convicted” [Dieudonné ndr.] time and again for his racism and anti-Semitism. Dieudonné’s hateful act should be shunned, but not by punished by the government. Yet as Dieudonné’s popularity has increased, so has the French government’s authoritarian response–one that should be anathema to a free society


Dello stesso tenore le osservazioni del secondo, qualche mese dopo

efforts to restrict free speech in this manner — even the sort of hateful, Holocaust-denying speech practiced by Dieudonné — are bound to backfire and this is exactly what has happened in France. Dieudonné’s audience hasn’t just increased as a result of rulings banning his performances and fining him for Holocaust denial have enabled him to bridge the vast gap between Muslim immigrants and right-wing French nationalists who share their hatred for Jews. This is bad news for France and Europe. But the problem here goes deeper than the way the measures employed by government authorities and Jewish groups to punish Dieudonné have predictably boomeranged on them and turned him into a counter-cultural hero. This depressing spectacle can be represented as something new in which social media and the Internet have provided a forum for disgruntled people looking for a spokesman for their desire to use the Jews as a convenient scapegoat for their troubles. But Dieudonné is merely the latest outbreak of the same old European sickness that produced the very Holocaust that the comedian has tried to deny.

Commentary è il mensile espressione della parte più conservatrice dell'ebraismo americano e questo spiega il crudo giudizio sull'Europa.
Il loro punto - che io condivido e credo anche Paolo sia del medesimo avviso - è che non si cura il problema dell'antisemitismo con la messa al bando dei Dieudonné. Condannandoli si offrono argomenti ai loro sostenitori per presentarli alla pubblica opinione come vittime dell'odiosa macchina repressiva orchestrata dalla lobby ebraica. Questa è la declinazione particolare del caso in questione; l’argomento contro l’intervento di giudici e governi in faccende del genere, è assolutamente generale.

Dopo i terribili eventi parigini di Charlie Hebdo la sensibilità a favore della libertà d'opinione, anche nella sue forme più crude e discutibili, si è andata rafforzando, almeno in Francia. Una cosa è la satira, anche volgare e di cattivo gusto come quella del comico francese, altra cosa sono i reati veri e propri, intendo quelli diversi dai reati di opinione.

Quindi, alla fin fine, perché trattare differentemente Charlie Hebdo da Dieudonné?
Su questo sono totalmente d'accordo con Paolo. I reati di espressione e di opinione, per quanto sgradevoli o addirittura esecrabili possano apparire agli occhi di chicchessia, vanno eliminati dall'ordinamento legale. La libertà di esprimere le proprie opinioni, per quanto detestabli, deve valere per tutti, senza eccezioni. Dieudonné compreso.

Tuttavia si tratta ​realmente​ di opinioni?

Sartre, nel suo ​Réflexions sur la question juive,​ ci mette in guardia

Mi rifiuto di chiamare ​opinione una dottrina che prende di mira espressamente persone determinate, che tende a sopprimere i loro diritti e a sterminarle

L’argomento usato da Sartre va ben oltre l’antisemitismo

...l’ebreo è qui solo un pretesto: altrove ci si servirà del negro, o del giallo. La sua esistenza permette semplicemente all’antisemita di soffocare sul nascere ogni angoscia persuadendosi che il suo posto è stato da sempre segnato nel mondo, che lo attende e che egli ha, per tradizione, il diritto d’occuparlo. L’antisemitismo, in una parola, è la paura di fronte alla condizione umana. L’antisemita è l’uomo che vuole essere roccia spietata, un torrente furioso, fulmine devastatore: tutto fuorché un uomo.

Sulla questione del tabù dell'antisemitismo sarei propenso a credere a Tom Lehrer (grazie a Enzo Michelangeli per la citazione) ed ho idee diverse da quelle di Paolo. Ha perfettamente ragione quando sostiene che non devono essere loro a subire le conseguenze di una questione della quale non portano responsabilità. Imporre loro questa sensibilità europea che trae origine dal senso di colpa per la Shoah, non ha ragion d'essere. Nelle parole di Paolo

Tutto questo non può valere per gli immigrati arabi e i loro discendenti ne è giusto che siano loro a farne le spese.

Tuttavia che vi sia un serio problema di antisemitismo diffuso presso i giovani musulmani in Europa è fin troppo evidente. Ammetto che dopo il caso Halimi è difficile convincermi del contrario. Le analisi recenti ​mostrano che i giovani musulmani in Europa sono significativamente più antisemiti (più del doppio) dei non musulmani.

Many young Muslims in Europe exhibit antisemitic attitudes; some resort to violence. While polls reveal that only a minority of European Muslims endorse antisemitic views, they also show that the level of antisemitism is significantly higher among Muslims than among non-Muslims. Our survey of young male Muslims from Berlin, Paris, and London provides some insights into sources and reasoning about negative views of Jews among young Muslims. The genesis of antisemitic views cannot be reduced to a single factor. Ethnic or religious identity and interpretations of Islam are significant for some. In this sense, use of the term Muslim antisemitism is apt and meaningful. Others relate their hostility toward Jews to their hatred of the State of Israel. Many use classic antisemitic attitudes that are also widespread in mainstream European society. However, negative views of Jews have become the norm in some young Muslim social circles so that they do not feel the need to justify them. This facilitates radical forms of antisemitism and antisemitic violence.


Le preoccupazioni di Paolo sulla questione della discriminazione sono serie e comprensibili. Io trovo risposta nel capitolo 25 del Deuteronomio [versione italiana di E. Toaff]

13​ Non avrai nella tua tasca due pesi diversi, uno grande e uno piccolo,

14​ né terrai in casa due misure diverse, una grande e una piccola.

15​ Avrai un peso regolare e giusto ed una misura regolare e giusta.

Come al solito nel Libro le risposte alle domande di chi interroga prendonono strade imprevedibili. Due versetti dopo, infatti, il Libro ammonisce

17​ Ricordati di ciò che ti fece ‘Amalec quando eri in viaggio, allorché uscisti dall'Egitto,

18 che ti assalì sulla strada e colpì tutti coloro che affranti erano rimasti indietro mentre tu eri stanco e sfinito ...

19 ... cancellerai il ricordo di ‘Amalec di sotto al cielo; non dimenticarlo!​



http://noisefromamerika.org/tabu-antise ... i-commento
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