le 4 lezioni del caso Grecia
Inviato: 01/01/2015, 13:39
No a Syriza: le 4 lezioni del caso Grecia (che è un dramma vero)
di Oscar Giannino, su LeoniBlog http://www.leoniblog.it/2014/12/30/perc ... amma-vero/
Con la Grecia era cominciata l’eurocrisi 5 anni fa, e rieccoci. Malgrado sia stata salvata a colpi di centinaia di miliardi, la cura imposta da Fmi, Ue e BCE ha fatto saltare ad Atene governi dopo governi. Ha ristretto al lumicino i partiti che li hanno sostenuti. Ha fatto crescere sofferenza sociale e protesta. Con un 26% di PIL perso, un milione di occupati in meno dei 4,6 milioni del 2007, il 27% di disoccupati, emigrati che hanno superano il mezzo milione l’anno su una popolazione di poco superiore a 11 milioni. Cifre tragiche. Intollerabili e bisogna voltar pagina con una spallata finale, dicono in tanti non solo ad Atene.
In realtà, il caso greco ha 4 lezioni. La prima è che è vano continuare a dare aiuti su aiuti se non si rimediano negli anni i problemi veri. La seconda è che “le vittime” hanno più volte disinvoltamente tirato la corda, e bisogna ricordarsi che assecondarli sempre diventa un azzardo che non vale il costo. La terza è che il problema della sostenibilità reale di debiti ingenti equando è sparito un quarto del Pil esiste, ed è un errore confonderla con la mera sostenibilità finanziaria che “compra” tempo. La quarta è che questa volta l’euroarea non è nuda esposta alla tempesta come nel 2010, ma forse neanche così dotata di armi efficaci a gestire il guaio greco come quasi tutti i commentatori oggi scrivono.
I fatti. Fino a un mese fa tutto sembrava gestibile, dal punto di vista finanziario. Dal secondo trimestre 2014 la Grecia non è più in recessione. Grazie ai poderosi tagli nel settore pubblico, l’avanzo primario sul Pil è superiore al 2%, migliore di quello italiano. La Grecia è tornata in aprile, per la prima volta dal 2009, a emettere sui mercati un titolo pubblico di 5 miliardi di euro. Ma le riforme, i tagli e le privatizzazioni dovevano continuare, tra proteste che da 2 anni e mezzo sono crescenti. Non poteva durare il governo attuale di minoranza, guidato dal leader di Nea Demokratia di centrodestra Antonis Samaras, con l’appoggio esterno del Pasok socialista e di Dimar di sinistra riformista, più volte andato sotto dopo i parlamentari del Pasok uscivano dal partito sotto la pressione delle piazze. Per questo Samaras, d’accordo con la Commissione Juncker e la Merkel, ha tentato un colpo di forza. Ottenuta la prosecuzione dell’ombrello della Trojika per i soli primi 2 mesi del 2015, ha convocato a sorpresa le elezioni del nuovo capo dello Stato, per estendere la sua maggioranza da 155 membri ai 180 necessari per eleggerlo. Altrimenti sarebbe stato scioglimento del parlamento ed elezioni anticipate. Con il rischio concreto di riaprire l’eurocrisi, visto chi è in vantaggio nei sondaggi. Samaras ha perso, e il 25 gennaio ad Atene si vota per l’ennesima volta. Nei sondaggi, oltre il 50% dei voti va a chi non ne può più dell’euro, sia pure divisi tra destra e sinistra.
Gli aiuti alla Grecia. Tra gennaio 2010, quando fu ufficiale che il deficit annuale greco non era del 3,7% come dichiarato ma del 13%, e marzo 2012, Atene è stata beneficiaria di ben 4 diversi pacchetti di sostegno comuni, tra Ue e Fmi, per oltre 150 miliardi di euro, anzi oltre 200 se sommiamo tutte le linee di credito concesse. Ed è passata per due default del suo debito pubblico nel 2010 e 2011, non onorando i pagamenti dei suoi titoli in scadenza, riacquistati da chi è corso in aiuto, e tosando i privati sommando i due interventi del 75% del valore. A fine 2011, di fronte a una nuova ipotesi di abbattimento del 50% del debito pubblico greco, l’allora premier socialista Papandreou forzò la mano, annunciano un referendum popolare che sarebbe stato sicuramente perso per l’euro. L’Europa imbestialita lo fece dimettere, e a un governo tecnico vennero concessi altri pacchi di miliardi di euro di linee di credito in cambio di riforme vere. Governo travolto dopo 5 mesi. C’erano già tutte le premesse per la crisi che travolge oggi Samaras.
Gli squilibri persistenti. Solo grazie alle 2 ristrutturazioni già avvenute il debito pubblico greco è attualmente al 177% del PIL. Nel senso che già nel 2011 era salito al 170% e oggi, con un PIl ridotto del 27%, sarebbe al 250% e oltre, se non si fosse intervenuti in aiuto. Ma la sua sostenibilità resta un problma. Nel 2015 non sono previste emissioni pubbliche sul mercato – per questo ieri il FMI ha detto che a questo punto si tratterà solo con nuovo governo dopo il 25 gennaio – ma 17 miliardi di titoli scadono comunque nel 2015, 7 nel 2016, 7 nel 2017. Senza sostegno della Trojka, per la Grecia significa tornare a deficit insostenibili per la sua economia reale in ginocchio.
Gli aiuti su cui si trattava. Prima di rischiare e perdere, Samaras pare stesse trattando con Ue, Bce e FMI una nuova linea di credito biennale, per 21 miliardi di euro divisa a metà tra le due rive dell’Atlantico. Poiché non avrebbe comunque intaccato la montagna di debito pubblico, pare anche che Samaras avesse aggiunto la richiesta di estendere di 20 anni la durata di tutti i titoli pubblici in mano europea senza aggravi d’interesse, equivalente a cancellare per circa 50 miliardi un sesto del debito greco attuale. Non ottenuto il via libera, Samaras ha tentato la forzatura. E ha perso. E’ questa comunque la pista che l’Europa si riserva di riaprire, se dopo il 25 gennaio ad Atene ci sarà un governo che chiede il ripudio del debito. Personalmente, sono meno ottimista dei più, sul fatto che funzionerebbe.
I nuovi partiti. Dopo il successo alle ultime europee con il 26% dei voti, la formazione oggi con oltre il 32% nei sondaggi è la sinistra antagonista di Syriza, che ha asciugato il Pasok ridotto a un 5%. Syriza e il suo leader Alexis Tsipras potrebbero crescere ancora. Il quesito è se sommata ai comunisti del KKE, alla sinistra estrema di Potami e a Dimar riuscirà a mettere insieme una maggioranza, visto che attualmente le tre formazioni insieme a stento arrivano al 9%. Dall’altra parte c’è Nea Demokratia che sembra reggere al 30%, i fascisti no euro di Alba Dorata oltre il 6%, la destra costituzionale del partito indipendente sul 5%. Di sicuro, i voti anti austerità e del no all’eurorigore sono in stragrande maggioranza: ma le estreme di destra e sinistra dovrebbero aggiungere i propri voti in parlamento.
La richiesta: il terzo default. Il programma di Syriza è netto: un terzo, massiccio default assistito della Grecia in 4 anni. Grazie alle due ristrutturazioni avvenute, attualmente dei 319 miliardi di debito pubblico greco solo 56 sono sul mercato in mano a privati, ben 205 sono detenuti da governi dell’euroarea, 27 miliardi dalla BCE, e 31 dal FMI. In altre parole questa volta il ripudio del debito non colpisce i mercati, ma gli Stati. E Syriza infatti nel suo programma la residua quota di debito in mani private e del FMI non la tocca, mentre chiede l’abbattimento ulteriore del 50% dei 232 miliardi detenuti da governi dell’euroarea e BCE. E che in più la BCE compri per 60 anni debito greco a interesse zero. Gli economisti che hanno elaborato il piano, George Stathakis e John Milios, sanno che è una provocazione. Ma pensano sia l’unico modo per far saltare l’eurorigore incentrato sul veto della Germania. Se dicono no, i tedeschi costringono la Grecia fuori dall’euro. Ma spalancano così la porta ad altri, a cominciare dall’Italia. Syriza ha già annunciato lo stop a privatizzazioni e ai tagli pubblici, il ripristino delle assunzioni di Stato e delle tredicesime e pensioni saltate. Merril Lynch stima gli effetti in 28 miliardi di deficit in 2 anni, più 17 miliardi di oneri finanziari: cifre da capogiro per un Pil greco 8 volte inferiore a quello italiano.
Il mercato non ci crede. Finora i mercati non credono allo tsunami. Lo spread italiano è risalito ieri a 145 punti, 30 punti più di quello spagnolo, ma stamane scende di 10 punti. Molti analisti ritengono che o Syriza non ce la farà, oppure Europa e Germania tratteranno con Tsipras duramente, e alla fine si troverà una soluzione intermedia tra il tutto e il niente. Alla fine, anche il 50% del debito greco è solo un modesto 1% del Pil europeo. A me questo ottimismo appare troppo scontato. Certo, l’ammontare di cui si parla per una qualunque assistenza ai greci, anche nell’ipotesi più grave, è copribile con la dotazione potenziale dell’ESM. Ma ricordianmoci che l’ESM non è il vecchio EFSF, è gestito dai ministri dell’euroarea. Se i greci davvero dovessero chiedere che a rimetterci siano tutti i paesi membri per il loro terzo default in 4 anni, non vedo la corsa di Padoan e dei suoi colleghi a dar ragione a Tsipras. Ripeto: a rimetterci sarebbero tutti, come abbiamo visto, mica solo i tedeschi copme ripetono i propagandisti. Al contrario, la Germania potrebbe benissimo dire ai greci “accomodatevi fuori, non è certo la svalutazione del vostro modestissimo export a preoccuparci sui mercati”.
In Italia. I tifosi di Syriza da noi sono tanti, anche qui a destra come a sinistra. Di ristrutturazione del debito anche italiano parlano economisti di sinistra come Lucrezia Reichlin e moderati come Paolo Savona o Gustavo Piga. Dalla Lega a Fratelli d’Italia a una bella fetta di Pd passando per un bel po’ di Forza Italia, oltre a SEL e alla Cgil, Syriza da noi ha più tifosi della Juventus. L’Europa politica ha sbagliato molto, a usare male il tempo regalatole dalla Bce di Mario Draghi. Dacché a molti sembrava un bel passo avanti la decisione annunciata a maggioranza dalla BCE di comprare presto titoli pubblici, entro un mese all’Europa potrebbe esser chiesto di perdere 100 miliardi abbuonandoli ai greci. Per che cosa? Dopo averli messi i ginocchio, per farli tornare al loro scassato settore pubblico, il peggiore d’Europa da decenni, nuovamente indicato come salvezza da politici demagoghi. Se non sono errori questi, difficile capire che cosa significhi la parola.
di Oscar Giannino, su LeoniBlog http://www.leoniblog.it/2014/12/30/perc ... amma-vero/
Con la Grecia era cominciata l’eurocrisi 5 anni fa, e rieccoci. Malgrado sia stata salvata a colpi di centinaia di miliardi, la cura imposta da Fmi, Ue e BCE ha fatto saltare ad Atene governi dopo governi. Ha ristretto al lumicino i partiti che li hanno sostenuti. Ha fatto crescere sofferenza sociale e protesta. Con un 26% di PIL perso, un milione di occupati in meno dei 4,6 milioni del 2007, il 27% di disoccupati, emigrati che hanno superano il mezzo milione l’anno su una popolazione di poco superiore a 11 milioni. Cifre tragiche. Intollerabili e bisogna voltar pagina con una spallata finale, dicono in tanti non solo ad Atene.
In realtà, il caso greco ha 4 lezioni. La prima è che è vano continuare a dare aiuti su aiuti se non si rimediano negli anni i problemi veri. La seconda è che “le vittime” hanno più volte disinvoltamente tirato la corda, e bisogna ricordarsi che assecondarli sempre diventa un azzardo che non vale il costo. La terza è che il problema della sostenibilità reale di debiti ingenti equando è sparito un quarto del Pil esiste, ed è un errore confonderla con la mera sostenibilità finanziaria che “compra” tempo. La quarta è che questa volta l’euroarea non è nuda esposta alla tempesta come nel 2010, ma forse neanche così dotata di armi efficaci a gestire il guaio greco come quasi tutti i commentatori oggi scrivono.
I fatti. Fino a un mese fa tutto sembrava gestibile, dal punto di vista finanziario. Dal secondo trimestre 2014 la Grecia non è più in recessione. Grazie ai poderosi tagli nel settore pubblico, l’avanzo primario sul Pil è superiore al 2%, migliore di quello italiano. La Grecia è tornata in aprile, per la prima volta dal 2009, a emettere sui mercati un titolo pubblico di 5 miliardi di euro. Ma le riforme, i tagli e le privatizzazioni dovevano continuare, tra proteste che da 2 anni e mezzo sono crescenti. Non poteva durare il governo attuale di minoranza, guidato dal leader di Nea Demokratia di centrodestra Antonis Samaras, con l’appoggio esterno del Pasok socialista e di Dimar di sinistra riformista, più volte andato sotto dopo i parlamentari del Pasok uscivano dal partito sotto la pressione delle piazze. Per questo Samaras, d’accordo con la Commissione Juncker e la Merkel, ha tentato un colpo di forza. Ottenuta la prosecuzione dell’ombrello della Trojika per i soli primi 2 mesi del 2015, ha convocato a sorpresa le elezioni del nuovo capo dello Stato, per estendere la sua maggioranza da 155 membri ai 180 necessari per eleggerlo. Altrimenti sarebbe stato scioglimento del parlamento ed elezioni anticipate. Con il rischio concreto di riaprire l’eurocrisi, visto chi è in vantaggio nei sondaggi. Samaras ha perso, e il 25 gennaio ad Atene si vota per l’ennesima volta. Nei sondaggi, oltre il 50% dei voti va a chi non ne può più dell’euro, sia pure divisi tra destra e sinistra.
Gli aiuti alla Grecia. Tra gennaio 2010, quando fu ufficiale che il deficit annuale greco non era del 3,7% come dichiarato ma del 13%, e marzo 2012, Atene è stata beneficiaria di ben 4 diversi pacchetti di sostegno comuni, tra Ue e Fmi, per oltre 150 miliardi di euro, anzi oltre 200 se sommiamo tutte le linee di credito concesse. Ed è passata per due default del suo debito pubblico nel 2010 e 2011, non onorando i pagamenti dei suoi titoli in scadenza, riacquistati da chi è corso in aiuto, e tosando i privati sommando i due interventi del 75% del valore. A fine 2011, di fronte a una nuova ipotesi di abbattimento del 50% del debito pubblico greco, l’allora premier socialista Papandreou forzò la mano, annunciano un referendum popolare che sarebbe stato sicuramente perso per l’euro. L’Europa imbestialita lo fece dimettere, e a un governo tecnico vennero concessi altri pacchi di miliardi di euro di linee di credito in cambio di riforme vere. Governo travolto dopo 5 mesi. C’erano già tutte le premesse per la crisi che travolge oggi Samaras.
Gli squilibri persistenti. Solo grazie alle 2 ristrutturazioni già avvenute il debito pubblico greco è attualmente al 177% del PIL. Nel senso che già nel 2011 era salito al 170% e oggi, con un PIl ridotto del 27%, sarebbe al 250% e oltre, se non si fosse intervenuti in aiuto. Ma la sua sostenibilità resta un problma. Nel 2015 non sono previste emissioni pubbliche sul mercato – per questo ieri il FMI ha detto che a questo punto si tratterà solo con nuovo governo dopo il 25 gennaio – ma 17 miliardi di titoli scadono comunque nel 2015, 7 nel 2016, 7 nel 2017. Senza sostegno della Trojka, per la Grecia significa tornare a deficit insostenibili per la sua economia reale in ginocchio.
Gli aiuti su cui si trattava. Prima di rischiare e perdere, Samaras pare stesse trattando con Ue, Bce e FMI una nuova linea di credito biennale, per 21 miliardi di euro divisa a metà tra le due rive dell’Atlantico. Poiché non avrebbe comunque intaccato la montagna di debito pubblico, pare anche che Samaras avesse aggiunto la richiesta di estendere di 20 anni la durata di tutti i titoli pubblici in mano europea senza aggravi d’interesse, equivalente a cancellare per circa 50 miliardi un sesto del debito greco attuale. Non ottenuto il via libera, Samaras ha tentato la forzatura. E ha perso. E’ questa comunque la pista che l’Europa si riserva di riaprire, se dopo il 25 gennaio ad Atene ci sarà un governo che chiede il ripudio del debito. Personalmente, sono meno ottimista dei più, sul fatto che funzionerebbe.
I nuovi partiti. Dopo il successo alle ultime europee con il 26% dei voti, la formazione oggi con oltre il 32% nei sondaggi è la sinistra antagonista di Syriza, che ha asciugato il Pasok ridotto a un 5%. Syriza e il suo leader Alexis Tsipras potrebbero crescere ancora. Il quesito è se sommata ai comunisti del KKE, alla sinistra estrema di Potami e a Dimar riuscirà a mettere insieme una maggioranza, visto che attualmente le tre formazioni insieme a stento arrivano al 9%. Dall’altra parte c’è Nea Demokratia che sembra reggere al 30%, i fascisti no euro di Alba Dorata oltre il 6%, la destra costituzionale del partito indipendente sul 5%. Di sicuro, i voti anti austerità e del no all’eurorigore sono in stragrande maggioranza: ma le estreme di destra e sinistra dovrebbero aggiungere i propri voti in parlamento.
La richiesta: il terzo default. Il programma di Syriza è netto: un terzo, massiccio default assistito della Grecia in 4 anni. Grazie alle due ristrutturazioni avvenute, attualmente dei 319 miliardi di debito pubblico greco solo 56 sono sul mercato in mano a privati, ben 205 sono detenuti da governi dell’euroarea, 27 miliardi dalla BCE, e 31 dal FMI. In altre parole questa volta il ripudio del debito non colpisce i mercati, ma gli Stati. E Syriza infatti nel suo programma la residua quota di debito in mani private e del FMI non la tocca, mentre chiede l’abbattimento ulteriore del 50% dei 232 miliardi detenuti da governi dell’euroarea e BCE. E che in più la BCE compri per 60 anni debito greco a interesse zero. Gli economisti che hanno elaborato il piano, George Stathakis e John Milios, sanno che è una provocazione. Ma pensano sia l’unico modo per far saltare l’eurorigore incentrato sul veto della Germania. Se dicono no, i tedeschi costringono la Grecia fuori dall’euro. Ma spalancano così la porta ad altri, a cominciare dall’Italia. Syriza ha già annunciato lo stop a privatizzazioni e ai tagli pubblici, il ripristino delle assunzioni di Stato e delle tredicesime e pensioni saltate. Merril Lynch stima gli effetti in 28 miliardi di deficit in 2 anni, più 17 miliardi di oneri finanziari: cifre da capogiro per un Pil greco 8 volte inferiore a quello italiano.
Il mercato non ci crede. Finora i mercati non credono allo tsunami. Lo spread italiano è risalito ieri a 145 punti, 30 punti più di quello spagnolo, ma stamane scende di 10 punti. Molti analisti ritengono che o Syriza non ce la farà, oppure Europa e Germania tratteranno con Tsipras duramente, e alla fine si troverà una soluzione intermedia tra il tutto e il niente. Alla fine, anche il 50% del debito greco è solo un modesto 1% del Pil europeo. A me questo ottimismo appare troppo scontato. Certo, l’ammontare di cui si parla per una qualunque assistenza ai greci, anche nell’ipotesi più grave, è copribile con la dotazione potenziale dell’ESM. Ma ricordianmoci che l’ESM non è il vecchio EFSF, è gestito dai ministri dell’euroarea. Se i greci davvero dovessero chiedere che a rimetterci siano tutti i paesi membri per il loro terzo default in 4 anni, non vedo la corsa di Padoan e dei suoi colleghi a dar ragione a Tsipras. Ripeto: a rimetterci sarebbero tutti, come abbiamo visto, mica solo i tedeschi copme ripetono i propagandisti. Al contrario, la Germania potrebbe benissimo dire ai greci “accomodatevi fuori, non è certo la svalutazione del vostro modestissimo export a preoccuparci sui mercati”.
In Italia. I tifosi di Syriza da noi sono tanti, anche qui a destra come a sinistra. Di ristrutturazione del debito anche italiano parlano economisti di sinistra come Lucrezia Reichlin e moderati come Paolo Savona o Gustavo Piga. Dalla Lega a Fratelli d’Italia a una bella fetta di Pd passando per un bel po’ di Forza Italia, oltre a SEL e alla Cgil, Syriza da noi ha più tifosi della Juventus. L’Europa politica ha sbagliato molto, a usare male il tempo regalatole dalla Bce di Mario Draghi. Dacché a molti sembrava un bel passo avanti la decisione annunciata a maggioranza dalla BCE di comprare presto titoli pubblici, entro un mese all’Europa potrebbe esser chiesto di perdere 100 miliardi abbuonandoli ai greci. Per che cosa? Dopo averli messi i ginocchio, per farli tornare al loro scassato settore pubblico, il peggiore d’Europa da decenni, nuovamente indicato come salvezza da politici demagoghi. Se non sono errori questi, difficile capire che cosa significhi la parola.