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Medio oriente: l’orrore e la logica di guerra

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Perché Hamas vuole la guerra?

Messaggioda franz il 28/07/2014, 13:30

Perché Hamas vuole la guerra?

di Daniel Pipes (*)

17 luglio 2014 ESTERI

In uno studio magistrale, dal titolo Le cause delle guerra, Geoffrey Blainey osserva che i politici iniziano le guerre quando sono ottimisti sulle prospettive di vincere, altrimenti eviterebbero di combattere.

E allora perché Hamas ha provocato la guerra con Israele? Di punto in bianco, l’11 giugno è iniziato il lancio di razzi, che ha mandato in frantumi una quiete in vigore dal novembre 2012. [Il rapimento dei 3 coloni è del 12 giugno, NdR] Il mistero di questa esplosione di violenza ha spinto David Horowitz, direttore del Times of Israel, a rilevare che i combattimenti in corso “non sono minimamente giustificati”. E perché la leadership israeliana ha risposto in modo irrisorio, cercando di evitare il combattimento? È così, anche se entrambe le parti sanno che le forze israeliane sono di gran lunga superiori a Hamas in ogni settore: raccolta di informazioni, comando e controllo, tecnologia, potenza di fuoco, dominio dello spazio aereo.

Come si spiega questa inversione di ruoli? Gli islamisti sono così fanatici al punto che non gliene importa nulla di perdere? I sionisti hanno troppa paura di morire nei combattimenti? In realtà, i leader di Hamas sono abbastanza razionali. Periodicamente (è successo nel 2006, 2008, 2012) decidono di fare guerra a Israele ben sapendo di essere battuti sul campo di battaglia, ma rimangono ottimisti su una cosa: vincere a livello politico. I leader israeliani, al contrario, ritengono di poter vincere a livello militare ma temono una sconfitta politica: critiche da parte della stampa, per esempio, o le risoluzioni delle Nazioni Unite.

Concentrarsi sulla politica rappresenta un cambiamento storico; nei primi venticinque anni di vita di Israele abbiamo assistito a ripetute sfide alla sua esistenza (soprattutto nel 1948-1949, 1967 e nel 1973) e non si sapeva come quelle guerre sarebbero andate a finire. Ricordo il primo giorno della guerra dei Sei giorni del 1967, quando gli egiziani proclamavano splendidi trionfi, mentre il silenzio della stampa israeliana faceva pensare a una catastrofe. È stato uno shock apprendere che Israele aveva ottenuto la più grande vittoria negli annali della guerra. Il punto è che le sorti della guerra furono decise in modo imprevedibile sul campo di battaglia.

Non è più così: le sorti delle guerre arabo-israeliane degli ultimi quarant’anni sono state prevedibili. Tutti sapevano che le forze israeliane avrebbero prevalso. È stato come giocare a guardie e ladri piuttosto che combattere una guerra. Paradossalmente, questa asimmetria sposta l’attenzione dalla vittoria e dalla sconfitta alle questioni etiche e politiche. I quattro conflitti scoppiati dal 2006 hanno rinverdito la reputazione offuscata di Hamas di “movimento di resistenza”, hanno costruito la solidarietà sul fronte interno, hanno fomentato il disaccordo fra arabi e ebrei in Israele, hanno spronato i palestinesi e altri musulmani a diventare degli attentatori suicidi. E poi hanno imbarazzato i leader arabi non-islamisti, hanno garantito nuove risoluzioni da parte delle Nazioni Unite a discapito di Israele, hanno indotto gli europei a imporre delle sanzioni più severe contro Israele. In più hanno aperto i rubinetti della critica corrosiva contro lo Stato ebraico da parte della sinistra internazionale e sono riusciti a ottenere un aiuto supplementare dalla Repubblica islamica dell’Iran.

Il Santo Graal della guerra politica è riscuotere la simpatia della sinistra globale presentandosi come perdenti e vittime. Va sottolineato che, da un punto di vista storico, questo è molto strano: tradizionalmente i combattenti hanno sempre cercato di spaventare il nemico mostrandosi come terribili e inarrestabili.

La strategia di questa nuova guerra annovera una serie di espedienti come invocare l’appoggio di personaggi famosi, fare appello alle coscienze e l’utilizzo di semplici ma efficaci vignette politiche (i sostenitori di Israele tendono a eccellere in questo, ora come in passato). I palestinesi sono ancora più creativi, sviluppando due tecniche fraudolente: la “disinformazione attraverso le foto” e la cosiddetta “Pallywood” (secondo Wikipedia è un termine composto da “Palestinese” e “Hollywood, un neologismo utilizzato per indicare “la manipolazione dei media, la loro distorsione e la completa truffa da parte dei palestinesi col fine di vincere la guerra mediatica e della propaganda contro Israele”, ndt) utilizzata nei video. In passato, gli israeliani assecondavano la necessità di ciò che chiamano hasbara, ossia veicolare i messaggi (o fare propaganda), ma negli ultimi anni si sono maggiormente concentrati su questo.

Nelle guerre civili in Siria e in Iraq sono di estrema importanza le sommità delle colline, le città e le strade strategiche, mentre la moralità, la proporzionalità e la giustizia dominano le guerre arabo-israeliane. Come scrissi nel 2006 durante lo scontro diretto tra Israele e Hamas, “la solidarietà, la moralità, la lealtà e la comprensione sono l’acciaio, la gomma, il carburante e le armi dei nostri tempi”. O come sottolineai nel 2012: “Gli op-ed hanno sostituito le pallottole, i social media hanno rimpiazzato i carri armati”. Più in generale, questo fa parte del profondo cambiamento della guerra moderna quando le forze occidentali e non-occidentali combattono, come ad esempio nelle guerre condotte dagli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq. Come diceva lo stratega prussiano Carl von Clausewitz, l’opinione pubblica è il nuovo centro di gravità.

Detto questo, come procede Hamas? Non bene. Le perdite subite sul campo di battaglia dall’8 luglio sembrano più ingenti del previsto e Israele non ha ancora fatto incetta di condanne internazionali. Anche i media arabi sono tranquilli. Se va avanti così, Hamas potrebbe arguire che lanciare razzi sulle case israeliane non è una buona idea. Anzi, per essere dissuasa dall’intento di lanciare un nuovo attacco nel giro di qualche anno, Hamas ha bisogno di subire una sconfitta molto pesante sul terreno politico e su quello militare.

Traduzione a cura di Angelita La Spada
http://www.opinione.it/esteri/2014/07/1 ... 17-07.aspx
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la morte di Simone Camilli

Messaggioda franz il 14/08/2014, 0:03

Non è chiaro se sia stata una fatalità oppure incoscenza: le versioni sono per ora contrastanti

Prima si parlava di un missile, poi di una granata
Il corriere riporta:
Per neutralizzare la granata, la polizia di Gaza aveva inviato uno dei suoi team migliori, che aveva già dato prova di coraggio e di perizia in altre località della Striscia trasformatesi nelle settimane scorse in campi di battaglia: a Rafah, ad esempio, e a Khuzaa, nel Sud della Striscia. Il team degli specialisti palestinesi era guidato da Tayassir al-Hum, un ufficiale della polizia palestinese inquadrato a suo tempo nelle forze di Abu Mazen, da 15 anni nel ramo, che aveva seguito corsi di aggiornamento professionale all’estero. Al suo fianco c’erano il vicecomandante della sua unità, Hazem Abu Murad e il loro assistente Billal Sultan. La neutralizzazione degli ordigni è una operazione altamente pericolosa. Di norma nelle vicinanze immediate non sono ammessi estranei. Ma nel team degli artificieri era accompagnato egualmente da tre giornalisti di grande serietà e di documentata esperienza: Simone Camilli, Hatem Mussa (della agenzia di stampa palestinese Wafa) e Ali Abu Afash, un fotografo che fungeva anche da interprete per il collega italiano. Secondo una testimonianza raccolta dall’Ansa il disinnesco della bomba israeliana (di aspetto del tutto normale) è tragicamente fallito e ha fatto esplodere altri cinque ordigni che si trovavano nelle immediate vicinanze.

Repubblica:
Oltre a Camilli hanno perso la vita quattro persone: il fotografo Ali Shehda Abu Afash. che aiutava Camilli come interprete, e tre artificieri palestinesi - Tayassir al-Hum, Hazem Abu Murad e Billal Sultan - che stavano lavorando per disinnescare l'ordigno. Quando la bomba è esplosa, ha innescato altre 5 esplosioni di ordigni nelle vicinanze.

Tra le due versioni la stranezza è trasportare una bomba inesplosa in un posto sicuro dove pero' ci sono altri ordigni.
A questo punto ricordo che tra le varie versioni sentire in radio ho sentito sia "disinnescare" sia "smantellare", che implica il tentativo di ricuperare l'esplosivo, per usi futuri.
La Stampa inoltre riporta che:
Per le prime versioni locali l’ordigno era una bomba inesplosa di un F-16 israeliano, ma altri testimoni locali hanno precisato che si trattava di un barile di esplosivo TNT adoperato da Hamas come trappola per i tank israeliani. Secondo quest’ultima versione, la polizia di Gaza voleva recuperare l’esplosivo impegnato nella trappola anti-tank ma qualcosa è andato storto e vi è stata la violenta esplosione. Quattro ingegneri sono rimasti uccisi assieme a Camilli e Abu Afash mentre il fotografo dell’Ap Hatem Moussa ha subito gravi ferite.

Piu' probabile quindi che nel posto avessero fatto convergere, portandoceli, una serie di ordigni per ricuperarne l'esplosivo e che un'eplosione accidentale abbia innescato tutte le altre, causando la strage.
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