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The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Hamas

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Hamas

Messaggioda franz il 05/05/2013, 11:25

Ai ragazzini adolescenti palestinesi nelle scuole della striscia di Gaza viene fornito addestramento militare, insegnando loro come si usano lanciarazzi, mitra Kalashnikov e altre armi da guerra. È quanto emerge da un reportage pubblicato domenica scorsa dal quotidiano britannico The Guardian.

Stando a quanto afferma il sito web dello stesso “ministero dell’istruzione” di Gaza, citato dal Guardian, membri delle Brigate Izzadin Kassam, l’ala militare di Hamas, contribuiscono all'addestramento insegnando non solo a sparare, ma anche “i valori di disciplina e di responsabilità”.

Secondo il reportage del Guardian, nei periodi di chiusura delle scuole i programmi vengono integrati con campi d’addestramento “volontari” dove i ragazzi ricevono ulteriore formazione all'uso di armi da fuoco ed esplosivi.
Già 5.000 ragazzi palestinesi sono stati addestrati da quando, nel settembre 2012, è stato avviato il programma che attualmente coinvolge non meno di 37.000 studenti fra i 15 e i 17 anni.
In teoria i genitori avrebbero il diritto di ritirare i propri figli dal corso, ma il giornale afferma che ciò avviene molto raramente.

Il sito web del “ministero dell’istruzione” di Hamas nega che nell'addestramento vengano usate armi vere, ma un video diffuso su YouTube mostra un ragazzino della scuola Gamal Abdel Nasser, nelle vicinanze della città di Gaza, che spara con un lanciarazzi a un bersaglio contrassegnato da una’improvvisata bandiera israeliana.

Il direttore generale delle attività educative di Hamas, Mohammed Syam, nega che si tengano addestramenti di tipo militare e sostiene che solo l'uno per cento del programma viene dedicato alla conoscenza delle armi. Tuttavia in un comunicato stampa a sua firma si legge che il programma è incentrato su “esercitazioni militari, e in particolare sull'addestramento alle armi e all'abilità nel campo dello scontro militare”.
Il “governo” di Hamas starebbe valutando la possibilità di varare l'anno prossimo un programma analogo adattato alle ragazze.

“E’ incredibile – ha dichiarato al Guardian Samir Zakout, membro dell'organizzazione per i diritti umani Al Mezan – Da sei anni Hamas continua a tagliare le attività sportive nelle scuole dicendo che non c’è tempo per svolgere i programmi, ma ha trovato il tempo per inserire all'interno delle scuole l’addestramento militare”.



A scuola di odio (coi soldi Usa e Ue)
Da un articolo di Dan Calic
Un video recentemente diffuso dal Center for Near East Policy Research illustra il funzionamento delle scuole palestinesi gestite dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i “profughi” palestinesi. Il filmato mostra come ai bambini palestinesi non venga insegnata la coesistenza con Israele. Al suo posto, quella che viene impartita ai bambini palestinesi, nelle scuole finanziate dalla comunità internazionale, è in realtà un vero e proprio indottrinamento all'odio e al terrorismo.
Creata nel 1949 specificamente per occuparsi dei profughi palestinesi e dei loro discendenti (a differenza di tutti gli altri profughi del mondo che ricadono sotto l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, e che non tramandano lo status di profugo ai figli), l’Unrwa spende per le scuole circa 500 milioni di dollari ogni anno. Le principali fonti di finanziamento dell’Unrwa sono le tasse pagate da americani ed europei.

L’Unrwa non usa libri di testo propri, ma utilizza quelli prodotti dall'Autorità Palestinese. Un tema centrale in questi testi scolastici è il cosiddetto “diritto al ritorno” (dei profughi palestinesi e soprattutto dei loro discendenti), che si tradurrebbe in sostanza in un “diritto all'invasione” dello stato ebraico che cesserebbe rapidamente di esistere come tale (negando il principio stesso “due popoli-due stati”).

Il video mostra come nelle scuole dell’Unrwa venga alacremente insegnato e propagandato il cosiddetto diritto al ritorno. Nel filmato si vedono alunni palestinesi che iniziano la loro giornata di scuola gridando in coro: “Gloria e vita eterna ai martiri e ai giusti, Gerusalemme è nostra e noi la libereremo”. Gli insegnanti intervistati riconoscono senza problemi che il “diritto al ritorno” (cioè la cancellazione di Israele) è centrale nel programma d’insegnamento. Un educatore spiega che gli insegnanti (islamici) più religiosi insegnano esplicitamente ai loro allievi che “Israele deve essere spazzato via”. Agli studenti viene insegnato a chiamare tout-court “occupanti” gli israeliani in quanto tali, indipendentemente da dove si trovino. Un insegnante dell’Unrwa enumera davanti alla carta le città e i villaggi d’Israele che dovranno essere rivendicati, mentre un altro istruttore dice che ai ragazzi si insegna che “la terra non è mai appartenuta agli ebrei, né in passato né oggi”.

Tutto ciò naturalmente non impedisce alla ministra dell’istruzione dell’Autorità Palestinese, Lamis al-Alami, che ha insegnato per più di vent'anni nelle scuole Unrwa, di negare spudoratamente che vi vengano insegnate queste cose. Intanto nelle stesse scuole viene celebrato Alwad al-Keek, un preside che vi ha insegnato per ventitré anni, e poi ha operato per l’organizzazione terroristica Jihad Islamica fabbricando ordigni e razzi Qassam.
Dal video si apprende inoltre che Ahmed Yassin, fondatore e ideologo di Hamas, venne invitato a parlare in una scuola dell’Unrwa dal capo del sindacato insegnanti di Gaza (prima del ritiro israeliano). Scopo della visita nelle classi era tenere una lezione su “martirio” e attentati suicidi.

Nemmeno i più piccoli sono risparmiati dal programma di educazione all'odio. Altre sequenze mostrano bambini di meno di 10 anni che parlano della necessità di “uccidere gli ebrei”. In una di queste, un giovane studente si riferisce agli ebrei come i “nemici di Allah”, aggiungendo: “Dobbiamo ucciderli tutti”.

Tutto ciò sarebbe terribile ma non particolarmente sorprendente se si trattasse di scuole gestite da Hamas, giacché il suo credo circa la necessità di distruggere Israele è ben noto. Ma l’Unrwa non è Hamas: è un’agenzia delle Nazioni Unite sostenuta dai soldi dei contribuenti americani ed europei. La Carta delle Nazioni Unite ha lo scopo di promuovere la coesistenza pacifica fra tutti i popoli. Lo slogan dell’Unrwa in tutte le sue pubblicazioni è “la pace inizia qui”. In realtà, dentro le aule dell’Unrwa la pace viene sabotata. Stati Uniti ed Europa dovrebbero prendere in seria considerazione l’ipotesi di sospendere il sostegno finanziario all’Onu finché l’Unrwa non smette di somministrare questo programma di studi, che è evidentemente incompatibile con l’esistenza di Israele e che promuove la jihad.

Queste istituzioni “educative” non stanno preparando gli scienziati, gli imprenditori, i tecnici di domani. Stanno preparando future generazioni di terroristi cresciuti nella convinzione che uccidere sia un compito sacro. Come stupirsi, a questo punto, se non si riesce a risolvere il conflitto?
C’è da domandarsi se non sia possibile perseguire l'Unrwa per favoreggiamento di abuso di minori.
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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda flaviomob il 05/05/2013, 13:40

E' vero, andrebbero educati alla pacifica convivenza con... l'occupante ;)
Forse dovrebbero dar loro più... fosforo!


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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda franz il 05/05/2013, 14:35

flaviomob ha scritto:E' vero, andrebbero educati alla pacifica convivenza con... l'occupante ;)
Forse dovrebbero dar loro più... fosforo!

Non ci sono occupanti nella striscia di gaza, flavio.
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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda pianogrande il 06/05/2013, 10:15

franz ha scritto:
flaviomob ha scritto:E' vero, andrebbero educati alla pacifica convivenza con... l'occupante ;)
Forse dovrebbero dar loro più... fosforo!

Non ci sono occupanti nella striscia di gaza, flavio.


Il termine "striscia" forse può, già da solo, spiegare qualcosa.
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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda franz il 06/05/2013, 17:41

pianogrande ha scritto:Il termine "striscia" forse può, già da solo, spiegare qualcosa.

Tesi interessante. La "striscia" è tale già dopo il 1948 quando era amministrata dagli egiziani ed era una lunga fetta che si addentrava nel territorio assegnato ad Israele. Immagino - ma sicuramente sono troppo malizioso - che il termine allora non "spiegasse nulla" e che si spieghi solo perché dopo il 1967 divento' parte dei territori occupati da Israele (e quindi in quanto striscia non ebbe piu' ragione di essere tale - basta guardare una cartina). Ironia della sorte, è tornata ad essere "striscia" solo dopo che gli israeliani si sono ritirati, unilateralmente, nel 2005.

Il problema pero' non è nominalistico ma di cultura. Come puo' un popolo riconoscere pacificamente l'esistenza dell'altro se viene fin da piccolo educato all'odio ed alla violenza? Ora che a gaza questo non lo capiscano ci puo' stare, proprio perché sono "educati", o se preferiamo "maleducati" fin da piccoli, nutriti da pregiudizi. Vivono in quel contesto e ne assorbono tutto quello che i genitori e la religione infondono.

Quello che mi turba è come sia possibile che simili pregiudizi siano coltivati in Italia e magari anche dentro questa lista.
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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda pianogrande il 06/05/2013, 23:37

Il reciproco riconoscimento è quello che auspico da sempre.
In realtà manca da entrambe le parti ma con una differenza fondamentale e cioè che una delle parti è infinitamente più forte dell'altra.
Gli israeliani, altra fondamentale differenza, sono uno stato ed hanno un esercito fortissimo e combattivo oltre ad avere all'appoggio degli Stati Uniti.
Non sono un filo palestinese nel senso che vuoi dargli tu Franz.
Io sono per il reciproco riconoscimento e per i due stati nazionali distinti.
A questo punto, pensare a cose diverse sarebbe fuori dalla realtà.
Israele non vuole neanche per scherzo che nasca uno stato palestinese.
Abbiamo visto le reazioni quando i palestinesi sono stati in qualche modo riconosciuti dall'ONU.
In questo squilibrio di forze in campo chi vince?
Vince il più forte (anche culturalmente).
Come osa una banda di morti di fame (e magari anche maleducati) mettersi contro un esercito così carino e ordinato e disciplinato e sopratutto infinitamente più forte?
Quando finirà questa tragedia?
Sarà ancora molto ma molto lunga.
Anche perché i maleducati hanno pure il brutto vizio di riprodursi a notevole velocità.
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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda flaviomob il 06/05/2013, 23:50

Le forze israeliane hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale nella Striscia di Gaza durante l'offensiva militare di 22 giorni dal nome in codice operazione "Piombo fuso" conclusasi il 18 gennaio. Tra le varie cose, hanno sferrato attacchi indiscriminati e sproporzionati contro civili, preso di mira e ucciso personale medico, usato civili palestinesi come "scudi umani" e lanciato in maniera indiscriminata fosforo bianco su zone residenziali densamente popolate. Più di 1380 palestinesi, compresi più di 330 bambini e centinaia di altri civili, sono rimasti uccisi. Gran parte di Gaza è stata rasa al suolo, lasciando infrastrutture vitali distrutte, l'economia in rovina e migliaia di palestinesi senzatetto.

Le forze israeliane hanno continuato a imporre forti restrizioni di movimento nei confronti dei palestinesi all'interno dei Territori palestinesi occupati (Opt) per l'intero anno, ostacolando l'accesso a servizi essenziali e alla terra. Le restrizioni hanno compreso un blocco militare della Striscia di Gaza, che ha di fatto reso prigionieri 1,5 milioni di residenti, provocando una crisi umanitaria. Ciononostante, Israele ha spesso fermato l'ingresso a Gaza degli aiuti internazionali e dell'assistenza umanitaria. Il permesso di lasciare Gaza per ricevere cure mediche è stato negato o ritardato per centinaia di palestinesi gravemente ammalati e almeno 28 persone sono morte mentre attendevano l'autorizzazione per poter uscire. Le forze israeliane hanno continuato a sgomberare con la forza i palestinesi, a demolire le loro abitazioni e a espropriare i loro terreni nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, mentre hanno concesso alle colonie israeliane di espandersi sui terreni illegalmente confiscati ai palestinesi.

Per tutto l'anno, le forze israeliane hanno impiegato forza eccessiva e, in taluni casi, letale contro civili palestinesi. Non sono cessate le accuse di maltrattamento nei confronti di detenuti palestinesi e raramente sono state indagate. Centinaia di persone sono state sottoposte a detenzione amministrativa senza accusa; altre hanno scontato sentenze imposte al termine di processi militari iniqui. Soldati e coloni israeliani che hanno compiuto gravi violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi hanno di fatto goduto dell'impunità.

Contesto

Le elezioni parlamentari israeliane di febbraio hanno visto una crescita del sostegno verso i partiti dell'ala destra e la formazione di una coalizione di governo che comprendeva il Partito laburista, il partito dell'ala destra Likud e quello di ultra destra Yisrael Beitenu.

Il governo statunitense ha invitato più volte Israele a fermare l'insediamento delle colonie come primo passo per far ripartire il processo di pace ma le sue richieste sono rimaste inascoltate.

Operazione "Piombo fuso"

L'offensiva militare israeliana su Gaza, durata 22 giorni, e lanciata senza preavviso, aveva il dichiarato proposito di porre fine ai lanci di razzi su Israele da parte di fazioni armate affiliate ad Hamas e altri gruppi palestinesi. L'offensiva ha ucciso più di 1380 palestinesi ferendone all'incirca 5000, molti dei quali in modo grave. Oltre 1800 dei feriti erano bambini. Migliaia di abitazioni civili, edifici commerciali e pubblici sono andati distrutti. Interi quartieri sono stati rasi al suolo. L'elettricità, l'acqua e i sistemi di fognatura sono risultati gravemente danneggiati, così come altre infrastrutture essenziali. Vasti appezzamenti di terreni agricoli e molti beni industriali e commerciali sono stati distrutti. Gran parte della devastazione è risultata gratuita e deliberata e non trova giustificazioni in motivazioni di natura militare. Tredici israeliani sono rimasti uccisi nei combattimenti, compresi tre civili uccisi da razzi e mortai sparati da gruppi armati palestinesi nel sud di Israele (cfr. Autorità Palestinese).

Prima e durante l'operazione "Piombo fuso", l'esercito israeliano ha rifiutato l'ingresso a Gaza di osservatori indipendenti, giornalisti, organismi di monitoraggio dei diritti umani e operatori umanitari, di fatto tagliando Gaza fuori dal mondo esterno. Le autorità si sono inoltre rifiutate di collaborare con un'inchiesta del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Hrc).

Il rapporto dell'Hrc, pubblicato a settembre e noto come Rapporto Goldstone, ha accusato sia Israele che Hamas di crimini di guerra e di possibili crimini contro l'umanità a Gaza e nel sud d'Israele. Il rapporto raccomanda che i responsabili di crimini di guerra siano assicurati alla giustizia.

Le autorità israeliane non hanno istituito alcuna inchiesta indipendente o imparziale sulla condotta delle proprie forze durante l'operazione "Piombo fuso", sebbene siano state condotte alcune indagini interne.
Uccisioni illegali

Centinaia di civili sono stati uccisi durante gli attacchi israeliani condotti tramite il lancio di munizioni a lungo raggio sparate da aerei da combattimento, elicotteri e droni [aerei senza pilota, N.d.T.], o da carri armati piazzati a diversi chilometri di distanza dal loro bersaglio. Le vittime non sono state colpite nel fuoco incrociato o mentre proteggevano militanti, ma sono state uccise nelle loro abitazioni mentre dormivano, o svolgevano le loro attività quotidiane o mentre giocavano. Alcuni civili, bambini compresi, sono stati uccisi da distanza ravvicinata quando non rappresentavano alcuna minaccia alle vite dei soldati israeliani. Paramedici e ambulanze sono stati ripetutamente attaccati mentre soccorrevano i feriti, provocando diversi morti.

Decine di civili sono rimasti uccisi e feriti da armi con un inferiore grado di precisione, come lanci di artiglieria e di mortaio, e granate di "flechette" sparate dai carri armati.

Il fosforo bianco è stato ripetutamente sparato in maniera indiscriminata su zone residenziali densamente popolate, uccidendo e ferendo civili e distruggendone le proprietà.

Molti di questi attacchi hanno violato il diritto internazionale in quanto sproporzionati e indiscriminati; in quanto indirizzati a colpire civili e obiettivi civili, compreso personale medico e veicoli sanitari; in quanto non erano state adottate tutte le debite precauzioni per minimizzare i rischi verso i civili; e in quanto non era stato concesso un tempestivo accesso o passaggio dei mezzi e del personale di soccorso.

*Il 4 gennaio, Sa'adallah Matar Abu Halima e quattro suoi figli sono rimasti uccisi da un attacco al fosforo bianco lanciato sulla loro abitazione, nella zona di Sayafa, nel nord-ovest di Gaza. Sua moglie Sabah è rimasta gravemente ustionata e ha raccontato ad Amnesty International di aver visto la sua neonata Shahed sciogliersi nelle sue braccia. Poco dopo l'attacco, soldati israeliani hanno ucciso a colpi d'arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata i cugini Matar e Muhammad Abu Halima, mentre tentavano di portare in ospedale i loro parenti ustionati.

*Nella notte del 6 gennaio, 22 membri della famiglia al-Daya, in maggioranza donne e bambini, sono rimasti uccisi quando un F-16 israeliano ha bombardato la loro abitazione nel distretto al-Zaytoun di Gaza City.
Attacchi a obiettivi civili

Le forze israeliane hanno attaccato ospedali, personale medico e ambulanze così come strutture umanitarie, compresi gli edifici dell'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi nel vicino oriente (Unrwa). Almeno 15 dei 27 ospedali di Gaza sono rimasti danneggiati, alcuni in modo esteso; circa 30 ambulanze sono state colpite e 16 operatori sanitari sono rimasti uccisi. Amnesty International non ha rilevato prove che Hamas o militanti armati avessero usato gli ospedali come luoghi in cui nascondersi o per sferrare attacchi e le autorità israeliane non hanno fornito prove che suffragassero tali asserzioni.

*Tre paramedici, Anas Fadhel Na'im, Yaser Kamal Shbeir e Raf'at Abd al-'Al, sono rimasti uccisi il 4 gennaio a Gaza City da un missile israeliano, mentre raggiungevano a piedi due uomini feriti. Anche un ragazzo di 12 anni, Omar Ahmad al-Barade'e, il quale stava mostrando loro la strada, è rimasto ucciso.

*Circa alle 6 di mattina del 17 gennaio, una granata d'artiglieria al fosforo bianco è esplosa nella scuola primaria dell'Unrwa a Beit Lahia, dove si erano rifugiate più di 1500 persone. Due bambini, Muhammad al-Ashqar e suo fratello Bilal, rispettivamente di cinque e sette anni, sono rimasti uccisi. Oltre una dozzina di altri civili che si erano rifugiati nella scuola sono rimasti feriti.
Uso di civili come "scudi umani"

In diverse occasioni soldati israeliani hanno usato civili palestinesi, bambini compresi, come "scudi umani" durante operazioni militari o li hanno costretti a portare a termine compiti pericolosi. Soldati israeliani hanno inoltre lanciato attacchi dai pressi di case abitate.

*Per due giorni a partire dal 5 gennaio, le forze israeliane hanno usato Yousef Abu 'Ida, sua moglie Leila e i loro nove figli come "scudi umani", all'interno della loro abitazione di Hay al-Salam, a est di Jabalia, mentre utilizzavano la casa come postazione militare. Hanno poi costretto la famiglia a uscire e hanno distrutto la casa.
Blocco dell'assistenza umanitaria

Le forze israeliane hanno deliberatamente bloccato e altrimenti ostacolato i soccorsi di emergenza e l'assistenza umanitaria. Esse hanno inoltre attaccato convogli di aiuti e centri di distribuzione, nonché personale medico, costringendo l'Unrwa e l'Icrc a rinunciare alle loro operazioni a Gaza durante l'offensiva.

*Diversi membri della famiglia al-Sammouni sono morti dissanguati nei giorni successivi a un attacco sferrato il 5 gennaio sulla loro abitazione, nel quartiere al-Zaytoun di Gaza City, perché l'esercito israeliano non aveva permesso alle ambulanze o a chiunque altro di soccorrerli. I bambini sono rimasti a terra per tre giorni senza cibo né acqua vicino ai corpi dei loro parenti morti. Complessivamente sono 29 i membri della famiglia al-Sammouni che hanno perso la vita nell'episodio.

Blocco di Gaza - Crisi umanitaria

Il protrarsi del blocco militare israeliano di Gaza, in vigore dal giugno 2007, ha acuito la già profonda crisi umanitaria. Disoccupazione di massa, povertà estrema, insicurezza alimentare, aumento dei prezzi dei beni alimentari causato da carenze di reperibilità hanno costretto quattro abitanti di Gaza su cinque a dover dipendere dagli aiuti umanitari. La portata del blocco e le dichiarazioni dei funzionari israeliani riguardo al suo scopo sono la dimostrazione che questo era stato imposto come forma di punizione collettiva nei confronti degli abitanti di Gaza, in palese violazione del diritto internazionale.

L'operazione "Piombo fuso" ha spinto la crisi a livelli di catastrofe. Dopo la sua conclusione, il blocco ha ostacolato o impedito gli sforzi per la ricostruzione. Di conseguenza, vi è stato un peggioramento della fornitura d'acqua e dei servizi fognari; sono aumentati i tagli all'elettricità, causando gravi problemi durante il caldo estivo e negli edifici pubblici e sanitari; è cresciuto il sovraffollamento delle scuole; sono aumentate le difficoltà per un sistema sanitario già ai limiti del collasso, con strutture danneggiate e un numero crescente di richieste di intervento; il tutto in una scarsa se non nulla possibilità di ripresa economica. Israele ha continuato a negare l'accesso dei contadini alle loro terre entro 500 metri dal confine tra Gaza e Israele e a vietare la pesca oltre tre miglia nautiche dalla riva.

Tra quanti sono rimasti intrappolati a Gaza, vi erano persone gravemente malate che necessitavano di cure mediche al di fuori di Gaza e studenti e lavoratori che avevano bisogno di spostarsi per recarsi nelle università o nei luoghi di lavoro in Cisgiordania o all'estero.

*Samir al-Nadim è morto il 1° novembre dopo che la sua uscita da Gaza per un'operazione cardiaca era stata ritardata per 22 giorni. Quando le autorità israeliane ne hanno autorizzato la partenza il 29 ottobre, egli aveva ormai perso conoscenza ed era attaccato a un respiratore artificiale. È morto per collasso cardiaco in un ospedale di Nablus in Cisgiordania.

...

http://www.amnesty.it/Rapporto-Annuale- ... i-occupati


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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda franz il 07/05/2013, 8:49

Che strano, in quella regione solo gli israeliani commettono "crimini", secondo Amnesty International?
Nessuno spara missili su Israele, colpendo civili? Nessuno fa operazioni di terrorismo verso Israele?
Se fosse vero dovremmo chiamarla "Amnesy International". Ma potrebbe essere anche un evidente caso di strabismo.

Venendo a pianogrande, tu non sarai filopalestinese nel senso che supponi che io vorrei darti ma sei comunque imbevuto come tanti della classica propaganda filopalestinese che ben conosciamo. A senso unico. Ridicola la tesi per cui la colpa di Istaele è di essere forte e molto armato. Se non lo fosse sarebbe già stato annientato da 60 anni. In pratica gli si rimprovera di essere sopravvissuto? Complimenti. L'ostacolo è una realtà palestinese, dominata dai terrorismo alla Hamas, che non vuole riconoscere l'esistenza di Israele. Il problema è tutto qui. La lega Araba sarebbe anche d'accordo, i palestinesi no. Arafat (e l'OLP) riconobbe Israele ma oggi la presenza di Hamas, maggioritaria nei territori, vedere le elezioni legislative del 2006, impedisce questo riconoscimento. Hamas ha come obbiettivo la distruzione di Israele.

Tanto per equilibrare la propaganda anti istraeliana, sentiamo cosa si dice in Israele sul tema dei territori e del riconoscimento e come sono le problematiche regionali.


03-05-2013
Netanyahu: Il conflitto è sul riconoscimento, non sul territorio
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito mercoledì che il conflitto coi palestinesi non concerne tanto il territorio quanto piuttosto il rifiuto palestinese di riconoscere Israele come stato ebraico.
Netanyahu non stava commentando direttamente le ultime notizie circa la cosiddetta “iniziativa di pace araba”, tuttavia le sue parole mettono in discussione l’idea di fondo che la chiave della soluzione di tutto il conflitto sia nella formula “terra in cambio di pace”. “La radice del conflitto – ha detto Netanyahu – non è di natura territoriale, e infatti iniziò ben prima del 1967 [dunque quando non c’erano territori occupati da Israele, e i palestinesi avrebbero potuto creare il loro stato in Cisgiordania e striscia di Gaza]. La radice del conflitto sta nel mancato riconoscimento da parte palestinese dello Stato di Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Se dobbiamo arrivare a un accordo di pace – ha aggiunto Netanyahu – voglio essere sicuro che il conflitto non continuerà e che arabi e palestinesi non avanzeranno ulteriori pretese e rivendicazioni”.

La versione originaria della “iniziativa araba” del 2002, presentata come un pacchetto “prendere o lasciare” senza margini di trattativa, prevedeva un accordo di pace con Israele a patto che Israele, fra l’altro, si ritirasse esattamente sulle linee pre-’67 (cioè sulle linee armistiziali del 1949). Lunedì scorso, per la prima volta il primo ministro del Qatar, Hamad bin Jassem Al Thani, parlando a Washington a nome di una delegazione della Lega Araba si è espresso in linea di principio a favore di “piccoli scambi di territorio equivalenti e reciprocamente concordati” fra israeliani e palestinesi nel quadro di un futuro accordo di pace “basato delle linee del ’67”.
La novità è stata accolta positivamente dal capo negoziatore israeliano e ministro della giustizia Tzipi Livni, dal presidente Shimon Peres e dai principali partiti d’opposizione della Knesset, oltre che dal segretario di stato Usa, John Kerry, che l’ha definita “un grosso passo avanti”.

Netanyahu, dal canto suo, ha messo in discussione l’assunto che la questione chiave siano i confini. I palestinesi hanno più volte recisamente respinto la sua richiesta che riconoscessero il diritto di Israele ad esistere come stato ebraico, sostenendo che questo, fra l’altro, comprometterebbe la facoltà per milioni di profughi palestinesi (in realtà, dei loro discendenti) sparsi nel mondo di rivendicare il cosiddetto “diritto al ritorno” all'interno di Israele: che è appunto uno degli ostacoli più grossi sulla strada del negoziato.

In un’intervista giovedì alla tv Al Jazeera, il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Mashaal, ha seccamente respinto il concetto di scambi territoriali ventilato dal Lega Araba come emendamento alla propria “iniziativa di pace”, sostenendo che "il vero obiettivo di questo piano sostenuto dagli Stati Uniti non è quello di migliorare la condizione dei palestinesi, bensì di favorire l’integrazione di Israele nella regione". Mashaal ha ribadito che l’obiettivo di Hamas è “liberare i territori palestinesi nell'arco dei prossimi quattro anni”, e che per questo egli è pronto a usare tutte le opzioni a sua disposizione, ma l'iniziativa della Lega Araba non farebbe che “nuocere alla causa palestinese”.

Già martedì sera Hamas aveva espresso “grave preoccupazione” per la nuova spinta verso un accordo di pace con scambi di terra: “La nostra lunga esperienza con il nemico sionista – diceva un comunicato pubblicato sul sito web dell’organizzazione – ci ha insegnato che il nemico cerca di farci fare concessioni sui nostri principi nazionali. L’occupante non vuole la pace, ma solo imporre la resa al nostro popolo e alla nostra nazione”.
Giovedì sera anche il “primo ministro” di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, ha espresso netta opposizione alla presa di posizione della delegazione della Lega Araba sullo scambio di territori tra israeliani e palestinesi. "La Palestina non è terra da vendere, scambiare o acquistare”, ha dichiarato Haniyeh.

“Nel 2002 – racconta Danny Ayalon, all'epoca consigliere del primo ministro israeliano per la politica estera – Ariel Sharon mi incaricò di sondare i sauditi per capire se facevano sul serio con l’iniziativa araba che avevano proposto”. Attraverso intermediari, Ayalon cercò di organizzare un incontro con Adel Jubeir, consigliere dell’allora principe ereditario (oggi re) saudita Abdullah. “Eravamo sul punto di vederci in un ristorante di Washington quando all'ultimo minuto Jubeir fece sapere che non intendeva venire all'incontro – ricorda Ayalon – Avevamo promesso che sarebbe stato un incontro assolutamente di basso profilo, ma i sauditi si tirarono indietro”. Il resto è storia: Israele non ha mai formalmente risposto all'iniziativa araba.

Ayalon, che è stato vice ministro degli esteri fino all'inizio di quest'anno, spiega che Gerusalemme non si è mai entusiasmata per quella proposta perché veniva presentata come un aut-aut “prendere-o-lasciare”, senza spazio di discussione. E aggiunge che tutt’al più poteva servire come base di partenza per futuri negoziati.

Il fatto che adesso la Lega Araba sembra aver capito che Israele non potrà mai accettare di ritirarsi esattamente sulle linee pre-67 sarà sufficiente per consentire una svolta concreta? Dopo tutto, l'idea di scambi concordati di territorio circola da più di un decennio ed è già stata accolta, in diversa misura, da alcune delle parti coinvolte e dai presidenti americani Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama. Ma l'iniziativa araba di ispirazione saudita chiedeva ben di più del completo ritiro israeliano dalla Cisgiordania (e dalla striscia di Gaza, da dove Israele si è ritirato nel 2005). Alcune altre richieste contenute in quel documento paiono molto problematiche. Basti pensare che, oltre al cosiddetto “diritto al ritorno”, l’iniziativa araba prevedeva la spaccatura di Gerusalemme in due (come nel periodo 1949-67) e il ritiro completo di Israele dalle alture del Golan.

Stando così le cose, l'accettazione da parte della Lega Araba del concetto di scambi territoriali è davvero una grande novità? “Lo è e non lo è”, risponde Barry Rubin, direttore del centro Global Research in International Affairs di Herzliya. Secondo Rubin, è chiaro che gli stati del Golfo sono disposti a prendere in considerazione la fine del conflitto con Israele in gran parte perché hanno paura dell’Iran, e un accordo di pace potrebbe far loro buona pubblicità con l’Occidente. Ma ci sono una serie di questioni che, a suo parere, rendono l’iniziativa della Lega Araba, per lo meno in questi termini, impraticabile. Innanzitutto, Rubin dubita che tutti i paesi firmatari facciano sul serio.

“Dobbiamo credere che il regime dei Fratelli Musulmani in Egitto, il regime dominato da Hezbollah in Libano e il regime in Qatar, eccentrico ma pro-Hamas e pro-Fratelli Musulmani, siano improvvisamente pronti a rimangiarsi tutto ciò che hanno sempre detto pur di arrivare a un compromesso di pace con Israele? Come minimo è molto improbabile”. Rubin indica poi diverse clausole dell'iniziativa di pace araba, solitamente trascurate dai mass-media, che sono in contraddizione con qualsiasi prospettiva di accordo: a cominciare da quella “giusta soluzione al problema dei profughi palestinesi” che nel lessico arabo significa che Israele dovrebbe accettare “l'immigrazione all'interno dei suoi confini di centinaia di migliaia di palestinesi ardentemente anti-israeliani”. E infatti, l’iniziativa prevede che gli stati arabi possano rifiutarsi di assimilare i profughi palestinesi (e loro discendenti), anche quelli che già vi risiedono. Inoltre, prevede che Israele restituisca il Golan: ma restituirlo a chi? La Siria è sprofondata da più di due anni in una atroce guerra civile fra fazioni, nessuna delle quali vorrebbe o potrebbe firmare, men che meno rispettare, un accordo di pace con Israele.

“Possiamo trarre conforto dal sapere che almeno una parte del mondo arabo sta cominciando a riconoscere che la minaccia iraniana e il caos del dopo ‘primavera araba’ impongono seri sforzi per arrivare a un qualche tipo di accordo con Israele – scrive Zalman Shoval su Israel HaYom – Ma speriamo che tutto ciò non si limiti a una riproposta dell’iniziativa saudita di dodici anni fa, perché quella non era altro che un editto che Israele avrebbe dovuto accettare in blocco prima ancora di negoziare, ivi compresa la velata minaccia di nuove violenze se non l’avesse osservato. Altra cosa sarebbe se la Lega Araba, o più precisamente i palestinesi giacché dopo tutto è con loro che dobbiamo trattare, venissero a dirci: vogliamo riprendere i negoziati senza precondizioni e questi sono i punti che vogliamo discutere, comprese le linee del 1967. Al che Israele potrebbe rispondere: bene, procediamo, e noi avanzeremo le nostre richieste, che invece non prevedono le linee del 67”.

(Da: Times of Israel, YnetNews, Israel HaYom, israele.net, 1-2.5.13)
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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda flaviomob il 08/05/2013, 21:39

Perché mai Israele dovrebbe essere riconosciuto come "stato ebraico"? Può e deve essere riconosciuto come stato indipendente, laico, multietnico, anche considerando che una consistente minoranza dei suoi cittadini sono arabi musulmani. Altrimenti, perché non riconoscere l'Italia come "stato cattolico" o la Germania come "stato ariano"?


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Re: The Guardian: addestramento militare nelle scuole di Ham

Messaggioda franz il 08/05/2013, 23:20

flaviomob ha scritto:Perché mai Israele dovrebbe essere riconosciuto come "stato ebraico"? Può e deve essere riconosciuto come stato indipendente, laico, multietnico, anche considerando che una consistente minoranza dei suoi cittadini sono arabi musulmani. Altrimenti, perché non riconoscere l'Italia come "stato cattolico" o la Germania come "stato ariano"?

Flavio, "ebraico" è l'aggettivo che denota un popolo, appunto quello ebraico.
Come l'Italia che è lo stato nazionale del popolo italiano, cosa che non esclude che ci siano italiani fuori d'Italia e che in Italia risiedano anche cittadini di altri popoli o nazioni (per esempio i sardi). Il fatto che contemporaneamente esista anche una religione ebraica non dovrebbe trarre in inganno persone intelligenti come noi. A meno che qualche pregiudizio (religioso o politico?) non tragga in inganno. Israele è uno stato laico e multietnico ma è pur sempre lo stato del popolo ebraico.

Forse questo ad Hamas non piace ma spero sia accettato dagli amici della lista.
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