La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

supercapitalismo

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

supercapitalismo

Messaggioda franz il 31/05/2008, 7:53

Così il supercapitalismo uccide la democrazia
di Guido Rossi, Repubblica - 30 Maggio 2008

Il supercapitalismo inizierebbe verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando l´America aveva creato un capitalismo democratico, inteso come un´economia pianificata, sia pur diretta dalle grandi corporation. Le famiglie americane, che in quegli anni erano prevalentemente composte da operai e impiegati, godevano di salari decenti, di garanzie sindacali del posto di lavoro, di stabilità economica, di assicurazione sulla malattia e sui diritti alla pensione. In queste ultime situazioni, favorite da uno stabile sviluppo economico, garantito da poche grandi imprese, come la General Motors, in un´America abbastanza chiusa e protezionista, si potevano riconoscere i principi fondamentali di una democrazia sostanziale che, d´altra parte, non aveva politicamente mai avvertito incertezze o vocazioni antidemocratiche. Non era proprio l´età dell´oro. Ma si trattava comunque del capitalismo democratico.

La rivoluzione, o comunque il grande cambiamento, si verifica sul finire appunto degli anni Settanta, quando l´economia americana si apre a mercati più concorrenziali e il potere si sposta dai cittadini verso i consumatori e gli investitori e così gli aspetti democratici del capitalismo declinano. L´affermazione è tassativa, sicché gli spocchiosi nostrani adepti del libero mercato e della concorrenza dovrebbero forse avere oltre che un sussulto alla lettura delle pagine di Robert Reich, – professore a Berkeley, già ministro del lavoro sotto la presidenza Clinton e attualmente uno dei consiglieri economici di Barack Obama – anche qualche spunto di umile autocritica. Insomma, il libero mercato e la concorrenza spietata fra le imprese, cioè il supercapitalismo, hanno minato, se non distrutto, una parte assai importante della democrazia e dei diritti dei cittadini. La tecnologia, la globalizzazione, la deregolamentazione hanno dato potere ai consumatori e agli investitori e i cittadini l´hanno perduto. Tutto questo ha creato una concorrenza spietata fra le industrie americane e straniere per cui, per attrarre i consumatori, si abbassano i prezzi e il metodo più semplice è quello di tagliare salari e diritti dei lavoratori. Il cittadino ha perso, non il consumatore, che con la deregolamentazione dei mercati finanziari diventa alla fine investitore nelle nuove potenti istituzioni, i fondi pensione e quelli di vario genere, oltre alle continue invenzioni di nuove strutture per attivare il risparmio da parte del sistema bancario. E anche qui, con i rischi che abbiamo appena vissuto, è la concorrenza l´unica responsabile.

è allora il momento di trarre qualche conclusione. La prima e più inquietante è che è pur vero che la globalizzazione e il supercapitalismo riducono la differenza fra i vari paesi – prendiamo ad esempio Cina e Stati Uniti –, ma all´interno di ciascun paese aumentano vertiginosamente le disuguaglianze, con conseguenze politiche ancora imprevedibili. E con esse aumentano l´insicurezza (non solo del posto di lavoro) e la paura del futuro, alle quali si accompagna l´unico potere dello Stato, quando non gli è tolto o col quale collude qualche grande corporation nel controllo sulle comunicazioni, sui movimenti, sulle opinioni. Gli Stati supercapitalisti arretrano continuamente fino a mettersi a disposizione di un nuovo padrone: la concorrenza nel libero mercato che soddisfa, facendo scendere i prezzi, il consumatore (e l´investitore, ma qui Reich sbaglia) che ormai si è dimenticato di essere un cittadino con dei diritti.

Il libro è rivoluzionario: al centro del supercapitalismo c´è la concorrenza che uccide la democrazia. Così scompare la tanto amata tesi – il luogo comune degli economisti – che il libero mercato è prodromico alla democrazia. E puntualmente alla prima pagina del libro l´autore ricorda questa tesi sbandierata dall´economista Milton Friedman nel marzo del 1975 a sostegno di Pinochet, la cui dittatura brutale durò ben altri quindici anni. Strano destino: i due morirono a poche settimane di distanza verso la fine del 2006. Infine, la concorrenza necessaria a soddisfare il consumatore e l´investitore diventa un male inesorabile e incurabile.

E come libro rivoluzionario l´autore invita indirettamente a una rivolta: il cittadino schizofrenico è inconsciamente esortato a far rientrare lo Stato a garantirgli i diritti di varie generazioni, secondo la terminologia di Bobbio, e a limitare il ruolo delle corporation, soprattutto nella loro operatività e struttura. Ma le ricette predisposte sono poche sicché personalmente non so neppure quanto l´autore si sia reso conto che aver sottolineato la dissociazione consumatore-cittadino, l´aver indicato nella concorrenza e nel libero mercato la caduta senza ritorno della democrazia, sia un manifesto rivoluzionario. Se identifichiamo la classe medio-alta con la nuova borghesia, a partire dalla fine degli anni Settanta la trasformazione è evidente: da lavoratori e impiegati a professionisti e dirigenti, con un´indagine spietata sui lobbisti e sugli avvocati che condizionano a Washington sia l´operato del governo, sia del potere legislativo, c´è ovviamente l´assimilazione borghesia-corporations.
Un´osservazione finale mi appare necessaria per inquadrare e valutare, entro i suoi giusti limiti, un libro che deve essere letto da chiunque voglia capire il mondo in cui viviamo e non si lasci affascinare dai falsi sacerdoti che vanno noiosamente, ma insistentemente predicando che tutto si può risolvere con la concorrenza e il libero mercato. Un libro, tuttavia, che tradisce un difetto di certa cultura americana, in base alla quale le crisi finanziarie sono delle malattie temporanee che in qualche modo si risolvono. Di conseguenza il sistema americano non è e non può essere oggetto di discussione, perché è il solo che può garantire sviluppo economico e globalizzazione. Questa è la tesi sottostante.

L´impostazione non regge, prima di tutto perché il supercapitalismo è soprattutto un capitalismo finanziario, e qui invece la finanza non appare quasi neanche come comprimaria. È mai possibile, mi chiedo, che un attento studioso come Robert Reich non si sia reso conto che solo la concorrenza sfrenata che ciascuno di noi vuole come consumatore non sia l´unica origine del deficit di democrazia, ma che dalla fine degli anni Settanta nella struttura stessa delle corporation e dei mercati è apparso un vero e proprio malanno che ha minato l´intero sistema e ha oltraggiato spesso la stessa concorrenza: cioè il conflitto di interessi, neppure nominato nel libro. Così, come ho già detto, è assente qualunque critica al sistema bancario e finanziario. Quindi non si è neppure accorto che il vero deficit di democrazia sta nella nuova lex mercatoria, di medievale memoria, la quale è imposta dalle multinazionali, dai suoi studi legali, dalle sue private corti arbitrali, e che esclude spesso le norme fissate dai legislatori e certamente non tiene in minimo conto i diritti del cittadino o i più elementari principi di democrazia.

Quel che a me pare, in definitiva, è che il deficit grave di democrazia debba essere invece affrontato mettendo sotto accusa l´intero sistema, perché la colpa sempre più grave di quel deficit non siamo noi, anzi ciascuno di noi nel suo schizofrenico sdoppiamento fra consumatore vincente e cittadino perdente. Non credo che siamo noi che abbiamo bisogno di uno psicanalista per diventare meno consumisti e più cittadini, ma sono le società per azioni, le banche e i mercati finanziari che, come del resto ho scritto nel mio ultimo libro, abbisognano di un legislatore, magari sovranazionale, severo ma né improvvisato, né prodigo di troppe inutili norme. Ma ciò vale anche per il clima, l´ambiente, per la lotta alla povertà, per il diritto cosmopolitico dei popoli ad avere asilo e una vita decente.

è purtroppo una scelta alternativa, condizionante per il resto del mondo, sapere se gli Stati Uniti vorranno continuare a pensare che il supercapitalismo è ineluttabile o che la democrazia dei diritti di varie generazioni, secondo le classificazioni di Norberto Bobbio, sia il valore prioritario da perseguire per tutti.

“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: supercapitalismo

Messaggioda pianogrande il 10/06/2008, 0:21

Ma la politica a cosa serve se non a questo?
Gli imprenditori facciano gli imprenditori e si facciano concorrenza spietata quanto vogliono ma nell'ambito di leggi e regolamenti.
Sta alla politica promulgare leggi e regolamenti e farli rispettare.
Il deficit di democrazia si ha se la politica lascia fare agli imprenditori (a chi persegue il profitto senza se e senza ma).
Basta prendere l'ultimo esempio di Milano.
Vogliamo dare la democrazia in mano a quella gente?
L'articolo conclude che cittadino e consumatore sono la stessa cosa (ci arrivavamo da soli).
Si saltano troppi passaggi dicendo che il capitalismo porta un deficit di democrazia.
Si salta quel passaggio eversivo che invoca meno stato e più mercato.
Come se le due cose fossero incompatibili.
Gli imprenditori, con quella perniciosa invocazione, non vogliono leggi e regolamenti.
Questo è il problema!
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10610
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

Re: supercapitalismo

Messaggioda mariok il 10/06/2008, 17:28

Quando si discute di questi problemi, obiettivamente non facili, tra i numerosi errori che tutti possiamo commettere, ce n'è uno secondo me particolare: quello di parlare degli USA, pensando in realtà all'Italia.

Confesso di conoscere molto poco della realtà americana. Posso però limitarmi ad alcune banali osservazioni.

Skilling, amministratore delegato della Enron è stato condannato a 24 anni di reclusione, da noi Geronzi è stato nominato presidente di Mediobanca.

Negli USA la benzina costa meno della metà di quanto costa da noi.

Da ex manager di una multinazionale americana, posso garantire che la SEC ha un potere di controllo ed incute un tale "terrore", rispetto ai quali la nostra Consob fà solo ridere.

Parlando di Italia, credo quindi che il problema non è quello di non avere abbastanza Stato. Ma è di averne forse troppo in alcuni settori e soprattutto di cattiva qualità. Se la nostra classe politica spendesse per la ricerca e per alcuni settori vitali come l'energia ed alcune materie prime vitali la metà dell'attenzione e delle risorse destinate al controllo dell'informazione e del sistema televisivo, credo che la nostra situazione di cittadini-consumatori sarebbe infinitamente migliore.

Forse dimentichiamo che l'Eni è controllata per il 35% dallo stato, fà utili per oltre 8 miliardi di euro, che si aggiungono agli incassi per le tasse su benzina, gasolio, gas e forniture di energia, mentre i costi dell'energia sono tra i più alti d'Europa e stanno letteralmente strozzando famiglie e imprese.

Mi sembra quindi che dovremmo riconoscere che da noi non c'è troppo mercato, ma troppa cattiva politica, per giunta in conflitto di interessi.
mariok
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 2943
Iscritto il: 10/06/2008, 16:19

Re: supercapitalismo

Messaggioda franz il 11/06/2008, 8:09

mariok ha scritto:Confesso di conoscere molto poco della realtà americana. Posso però limitarmi ad alcune banali osservazioni.

Skilling, amministratore delegato della Enron è stato condannato a 24 anni di reclusione, da noi Geronzi è stato nominato presidente di Mediobanca.

Negli USA la benzina costa meno della metà di quanto costa da noi.

Da ex manager di una multinazionale americana, posso garantire che la SEC ha un potere di controllo ed incute un tale "terrore", rispetto ai quali la nostra Consob fà solo ridere.

Parlando di Italia, credo quindi che il problema non è quello di non avere abbastanza Stato. Ma è di averne forse troppo in alcuni settori e soprattutto di cattiva qualità. ...

Concordo. Troppo spesso parlando di Italia ci riferiamo esplicitamente agli USA, a volte come positivo esempio (di solito la democrazia, il check and balance, il potere di una stampa libera) a volte come spauracchio negativo (vedi sanità).
Si tratta di un mondo pieno di contrasti e parlando di democrazia ad esempio sono sotto gli occhi di tutti le primarie americane, che sono state una contesa vera. Da noi invece sono state fortemente compromesse dal fatto che a candidati forti e credibili come Bersani è stato impedito di partecipare, con pressioni sottobanco. Con che faccia critichiamo la democrazia altrui?
Altro discorsi riguarda il welfare ed i famosi diritti che sarebbero stati eliminati negli USA.
In effetti a parte la macroscopica situazione del sistema sanitario che non copre tutti i cittadini (che è comunque migliore del nostro) in USA esiste un sistema di protezione sociale che pur ridimensionato rispetto agli anni 70 è comunque migliore del nostro. I sussidi di disoccupazione ed assistenza che ci sono là noi ce li scordiamo.

Il recensore di quel libro comunque sottolinea la tesi centrale: il supercapitalismo (o turbocapitalismo) anzi la concorrenza uccide la democrazia; tesi antitetica a quella classica (il mercato è prodromico alla democrazia).

Credo che sia questo il tema centrale da discutere.
A me pare chi sia il troppo stato sia il troppo poco mettano a rischio democrazia e società civile.
Si puo' avere anche il "tutto stato" senza la democrazia. Un esempio furono i paesi comunisti.
Potendo scegliere democraticamente i cittadini si orientano per soluzioni miste, per un mix di stato e privato.

La prima e più inquietante è che è pur vero che la globalizzazione e il supercapitalismo riducono la differenza fra i vari paesi – prendiamo ad esempio Cina e Stati Uniti –, ma all´interno di ciascun paese aumentano vertiginosamente le disuguaglianze, con conseguenze politiche ancora imprevedibili. E con esse aumentano l´insicurezza (non solo del posto di lavoro) e la paura del futuro,

Sotto un certo aspetto questa è una banalità. È infatti evidente che un paese che è totalmente povero ha una distribuzione omogenea della povertà. Se esiste un benestante su mille è facile calcolare un indice di disparità economica e confrontarlo con il caso di 200 benestanti su mille, 500 su mille, 800 su mille. Diciamo che da zero a 500 aumenta la ricchezza media e la disparità sociale. Poi continua a crescere la ricchezza media e mediana e diminuisce la disparità.
Il fatto è che tutti sappiamo che solo innovazione, ricerca, sviluppo, produzione di plusvalore possono produrre ricchezza ed abbiamo imparato (forse, ... qualcuno ancora no) che senza concorrenza quel meccanismo si inceppa e non funziona.
Il socialismo reale è crollato anche per quello, oltre che per le esigenze ed aspettative di democrazia emerse dei cittadini.

Direi che la concorrenza sicuramente ti mette di fronte a scelte difficili, che in un ambito di mercato chiuso e protetto non hai. Limitando l'ambito della scelta si puo' avere l'imressione (nostra) di perdere in libertà. Credo che questa visione, dell'autore del libro e della recensione, non tenga conto che contemporaneamente altrove invece c'è un incremento di libertà di scelta e che il tuttto non è un gioco a somma zero ma che il pianeta globalmente ci guadagna. Probalilmente agli autori non interessa cio' che quasi due o tre miliardi di esseri umani (cittadini e consumatori) hanno guadagnato in questi ultimi 20 anni.
Ora abbiamo l'India che è la piu' rande democrazia nel mondo. Se facciamo i conti da dopoguerra ad oggi vediamo che le nazioni che sono democratiche sono aumentate vertiginosamente. Ora attendiamo al varco la Cina. Se il mercato è veramente preparatorio alla democrazia, se libertà economiche (e diritto alla proprietà) vanno di pari passo con le libertà civili io credo che non dovremo aspettare molto.

Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: supercapitalismo

Messaggioda pianogrande il 11/06/2008, 16:21

franz ha scritto:
mariok ha scritto:Confesso di conoscere molto poco della realtà americana. Posso però limitarmi ad alcune banali osservazioni.

Skilling, amministratore delegato della Enron è stato condannato a 24 anni di reclusione, da noi Geronzi è stato nominato presidente di Mediobanca.

Negli USA la benzina costa meno della metà di quanto costa da noi.

Da ex manager di una multinazionale americana, posso garantire che la SEC ha un potere di controllo ed incute un tale "terrore", rispetto ai quali la nostra Consob fà solo ridere.

Parlando di Italia, credo quindi che il problema non è quello di non avere abbastanza Stato. Ma è di averne forse troppo in alcuni settori e soprattutto di cattiva qualità. ...

Concordo. Troppo spesso parlando di Italia ci riferiamo esplicitamente agli USA, a volte come positivo esempio (di solito la democrazia, il check and balance, il potere di una stampa libera) a volte come spauracchio negativo (vedi sanità).
Si tratta di un mondo pieno di contrasti e parlando di democrazia ad esempio sono sotto gli occhi di tutti le primarie americane, che sono state una contesa vera. Da noi invece sono state fortemente compromesse dal fatto che a candidati forti e credibili come Bersani è stato impedito di partecipare, con pressioni sottobanco. Con che faccia critichiamo la democrazia altrui?
Altro discorsi riguarda il welfare ed i famosi diritti che sarebbero stati eliminati negli USA.
In effetti a parte la macroscopica situazione del sistema sanitario che non copre tutti i cittadini (che è comunque migliore del nostro) in USA esiste un sistema di protezione sociale che pur ridimensionato rispetto agli anni 70 è comunque migliore del nostro. I sussidi di disoccupazione ed assistenza che ci sono là noi ce li scordiamo.

Il recensore di quel libro comunque sottolinea la tesi centrale: il supercapitalismo (o turbocapitalismo) anzi la concorrenza uccide la democrazia; tesi antitetica a quella classica (il mercato è prodromico alla democrazia).

Credo che sia questo il tema centrale da discutere.
A me pare chi sia il troppo stato sia il troppo poco mettano a rischio democrazia e società civile.
Si puo' avere anche il "tutto stato" senza la democrazia. Un esempio furono i paesi comunisti.
Potendo scegliere democraticamente i cittadini si orientano per soluzioni miste, per un mix di stato e privato.

La prima e più inquietante è che è pur vero che la globalizzazione e il supercapitalismo riducono la differenza fra i vari paesi – prendiamo ad esempio Cina e Stati Uniti –, ma all´interno di ciascun paese aumentano vertiginosamente le disuguaglianze, con conseguenze politiche ancora imprevedibili. E con esse aumentano l´insicurezza (non solo del posto di lavoro) e la paura del futuro,

Sotto un certo aspetto questa è una banalità. È infatti evidente che un paese che è totalmente povero ha una distribuzione omogenea della povertà. Se esiste un benestante su mille è facile calcolare un indice di disparità economica e confrontarlo con il caso di 200 benestanti su mille, 500 su mille, 800 su mille. Diciamo che da zero a 500 aumenta la ricchezza media e la disparità sociale. Poi continua a crescere la ricchezza media e mediana e diminuisce la disparità.
Il fatto è che tutti sappiamo che solo innovazione, ricerca, sviluppo, produzione di plusvalore possono produrre ricchezza ed abbiamo imparato (forse, ... qualcuno ancora no) che senza concorrenza quel meccanismo si inceppa e non funziona.
Il socialismo reale è crollato anche per quello, oltre che per le esigenze ed aspettative di democrazia emerse dei cittadini.

Direi che la concorrenza sicuramente ti mette di fronte a scelte difficili, che in un ambito di mercato chiuso e protetto non hai. Limitando l'ambito della scelta si puo' avere l'imressione (nostra) di perdere in libertà. Credo che questa visione, dell'autore del libro e della recensione, non tenga conto che contemporaneamente altrove invece c'è un incremento di libertà di scelta e che il tuttto non è un gioco a somma zero ma che il pianeta globalmente ci guadagna. Probalilmente agli autori non interessa cio' che quasi due o tre miliardi di esseri umani (cittadini e consumatori) hanno guadagnato in questi ultimi 20 anni.
Ora abbiamo l'India che è la piu' rande democrazia nel mondo. Se facciamo i conti da dopoguerra ad oggi vediamo che le nazioni che sono democratiche sono aumentate vertiginosamente. Ora attendiamo al varco la Cina. Se il mercato è veramente preparatorio alla democrazia, se libertà economiche (e diritto alla proprietà) vanno di pari passo con le libertà civili io credo che non dovremo aspettare molto.

Ciao,
Franz


Vorrei insistere su un punto.
Mi sembra piuttosto fuorviante questo voler stabilire una correlazione tra statalismo libero mercato e democrazia.
La democrazia non ce la danno né lo statalismo né il libero mercato.
la democrazia appartiene ad una categoria diversa.
Rispetto ai parametri di cui sopra è una variabile indipendente.
Il mercato deve comunque essere sottoposto a leggi e regolamenti.
Chi opera nel mercato non deve delinquere - Punto!
Il meno stato più mercato è un pericoloso slogan degli imprenditori che di leggi e regolamenti non ne vogliono sapere.
Non vogliono lo stato, non vogliono il sindacato, non vogliono le tasse .........
E questa la chiamano libertà.
In quel senso, il mercato libero non potrebbe mai esistere (non sarebbe auspicabile per i poveri cristi).
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10610
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

Re: supercapitalismo

Messaggioda franz il 11/06/2008, 17:30

pianogrande ha scritto:Vorrei insistere su un punto.
Mi sembra piuttosto fuorviante questo voler stabilire una correlazione tra statalismo libero mercato e democrazia.
La democrazia non ce la danno né lo statalismo né il libero mercato.
la democrazia appartiene ad una categoria diversa.
Rispetto ai parametri di cui sopra è una variabile indipendente.
Il mercato deve comunque essere sottoposto a leggi e regolamenti.
Chi opera nel mercato non deve delinquere - Punto!
Il meno stato più mercato è un pericoloso slogan degli imprenditori che di leggi e regolamenti non ne vogliono sapere.
Non vogliono lo stato, non vogliono il sindacato, non vogliono le tasse .........
E questa la chiamano libertà.
In quel senso, il mercato libero non potrebbe mai esistere (non sarebbe auspicabile per i poveri cristi).

Premesso che chiunque non deve delinquere (non solo chi opera nel mercato ma anche chi opera fuori, anche chi opera nello stato e nella politica) e che quindi questa è la vera variabile indipendente e si chiama "stato di diritto" (ovvero res-publicae, che molti fondono e confondono con la democrazia) a mio avviso esiste un filo conduttore tra le libertà economiche e quelle civili.
Un filo conduttore anche storico perché è impossibile non vedere come, a partire dal 1700, le une si siano sviluppate insieme alle altre, in un contesto di accresciuta libertà di movimento, di studio, di ricerca, di impresa, di parola, di pensiero.
Tutte cose imprenscindibili le une dalle altre, almeno nella nostra cultura, e che si stanno estendendo ovunque.

Poi è piu' che ovvio che il mercato (come ogni "sistema") vada regolato.
Lo chiede il liberismo stesso, se si conosce bene l'oggetto della propria critica.
Le normative antitrust e contro i monopoli fanno parte della dottrina classica del pensiero liberale e liberista.
Che poi esistano imprenditori che sono finti liberali e vivono di aiuti di stato questo è un altro paio di maniche.

Si, a concorrenza stessa va regolata. Le normative penali contro l'aggiottaggio per esempio sono un classico cosi' ome di fatto tutta la parte del diritto societario civile regola i rapporti nei vari tipi di società imprenditoriali.

Altre regolazioni se ne possono aggiungere; molte vanno ridotte o eliminate.

Il problema infatti, se vogliamo uscire dalle banalità, non è "regolare" ma "come e cosa regolare".
Perche tutti siamo capaci di dire che il mercato va regolato ma ... quanto a farlo qui si entra nel tecnico e la schiera di coloro in grado di farlo senza produrre disastri si assottiglia.

Anche un motore di automobile va regolato. Lasciando a se stessi una montagna di bulloni, pistoni, bielle, non funziona.
Anche ben montato ed irrorato di benzina non succede nulla. La regolazione è un arte. Se la sbagli il motore si ingolfa e si spegne. Non va. La qualità di questa regolazione è quindi un arte e bisognerebbe vedere se è soggetta al volere del popolo, al metodo democratico. Possiamo immaginare che il popolo decida la formazione degli azzurri, la mappatura del motore della Ferrari alla prossima gara e quali gomme montare, i tassi di interesse nazionali, il prezzo del petrolio, ....?
Abbiamo visto quali disastri economici si sono prodotti (pensiamo all'agricoltura sovietica sotto lisenko) quando la politica si è intromessa con prepotenza in questioni teniche che non le competono, tentando di diminare il mercato (e la produzione) con tecniche da apprendista stregone (cosa che ha causato milioni di morti).

Oggi una parte sana del tessuto imprenditoriale sa che senza stato non esiste sicurezza, welfare, scuola, sanità e che tutto questo è un prezioso valore aggiunto senza il quale non potrebbero nemmeno fare impresa.

Ma ha ragione mariok quando dice che rispetto ad altri paesi qui da noi di stato ne abbiamo troppo e di pessima qualità.
Ed abbiamo anche un mercato stagnante e bloccato, quasi inesitente nei settore del lavoro e della casa.
Grazie purtroppo a pessime regolazioni fatte in passato che hanno ingessato ed ucciso il mercato, imbrigliandolo.

Un esempio tra tutti il famigerato equo canone, che distrusse il mercato dell'affitto obbligando quasi tutti a comprarsi la casa.

Di iper regolazione si puo' morire e non a caso poi chi vuole fare impresa sempre piu' spesso si trasferisce all'estero.
Basta contare per esempio quante autorizzazioni per aprire una impresa in germani, in francia, in svizzera, in gran bretagna, rispetto a noi.
Siamo uno stato iper regolamentato, con decine di migliaia di leggi (anche se spesso bellamente ignorate e non fatte rispettare (*)).
E siamo una nazione in cui una percentuale ignota tra il 25 ed il 30% lavora in nero.
Tra le cause, oltre alla pressione fiscale e contributiva, la iper regolamentazione e la burocrazia.

Per riprenedere su questo punto i paragoni che faceva mariok, invece negli USA abbiamo una bassa regolamentazione, una burocrazia inesistente, una bassa pressione fiscale ed anche la piu' bassa stima percentuale di lavoro sommerso su PIL nel mondo occidentale. Il legame mi pare evidente.

Quanto al piu' o meno stato, anche qui va visto cosa e come.
Per me vale piu' scuola, piu' sanità, piu' giustizia, piu' assistenza, ... ma meno leggi, meno burocrati, meno sprechi, meno privilegi a funzionari e parenti di funzionari, meno pensioni di anzianità e migliori pensioni di vecchiaia .... e via dicendo.

Ciao,
Franz

(*) non è una novità, già il Guicciadini scriveva, attorno al 1500" Italia, terra di leggi draconiane, temperate dalla generale innosservanza". Non è cambiato molto in 500 anni, vero?
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: supercapitalismo

Messaggioda pianogrande il 11/06/2008, 23:37

franz ha scritto:
pianogrande ha scritto:Vorrei insistere su un punto.
Mi sembra piuttosto fuorviante questo voler stabilire una correlazione tra statalismo libero mercato e democrazia.
La democrazia non ce la danno né lo statalismo né il libero mercato.
la democrazia appartiene ad una categoria diversa.
Rispetto ai parametri di cui sopra è una variabile indipendente.
Il mercato deve comunque essere sottoposto a leggi e regolamenti.
Chi opera nel mercato non deve delinquere - Punto!
Il meno stato più mercato è un pericoloso slogan degli imprenditori che di leggi e regolamenti non ne vogliono sapere.
Non vogliono lo stato, non vogliono il sindacato, non vogliono le tasse .........
E questa la chiamano libertà.
In quel senso, il mercato libero non potrebbe mai esistere (non sarebbe auspicabile per i poveri cristi).

Premesso che chiunque non deve delinquere (non solo chi opera nel mercato ma anche chi opera fuori, anche chi opera nello stato e nella politica) e che quindi questa è la vera variabile indipendente e si chiama "stato di diritto" (ovvero res-publicae, che molti fondono e confondono con la democrazia) a mio avviso esiste un filo conduttore tra le libertà economiche e quelle civili.
Un filo conduttore anche storico perché è impossibile non vedere come, a partire dal 1700, le une si siano sviluppate insieme alle altre, in un contesto di accresciuta libertà di movimento, di studio, di ricerca, di impresa, di parola, di pensiero.

Poi è piu' che ovvio che il mercato (come ogni "sistema") vada regolato.
Lo chiede il liberismo stesso, se si conosce bene l'oggetto della propria critica.
Le normative antitrust e contro i monopoli fanno parte della dottrina classica del pensiero liberale e liberista.
Che poi esistano imprenditori che sono finti liberali e vivono di aiuti di stato questo è un altro paio di maniche.

Si, a concorrenza stessa va regolata. Le normative penali contro l'aggiottaggio per esempio sono un classico cosi' ome di fatto tutta la parte del diritto societario civile regola i rapporti nei vari tipi di società imprenditoriali.

Altre regolazioni se ne possono aggiungere; molte vanno ridotte o eliminate.

Il problema infatti, se vogliamo uscire dalle banalità, non è "regolare" ma "come e cosa regolare".
Perche tutti siamo capaci di dire che il mercato va regolato ma ... quanto a farlo qui si entra nel tecnico e la schiera di coloro in grado di farlo senza produrre disastri si assottiglia.

Anche un motore di automobile va regolato. Lasciando a se stessi una montagna di bulloni, pistoni, bielle, non funziona.
Anche ben montato ed irrorato di benzina non succede nulla. La regolazione è un arte. Se la sbagli il motore si ingolfa e si spegne. Non va. La qualità di questa regolazione è quindi un arte e bisognerebbe vedere se è soggetta al volere del popolo, al metodo democratico. Possiamo immaginare che il popolo decida la formazione degli azzurri, la mappatura del motore della Ferrari alla prossima gara e quali gomme montare, i tassi di interesse nazionali, il prezzo del petrolio, ....?
Abbiamo visto quali disastri economici si sono prodotti (pensiamo all'agricoltura sovietica sotto lisenko) quando la politica si è intromessa con prepotenza in questioni teniche che non le competono, tentando di diminare il mercato (e la produzione) con tecniche da apprendista stregone (cosa che ha causato milioni di morti).

Oggi una parte sana del tessuto imprenditoriale sa che senza stato non esiste sicurezza, welfare, scuola, sanità e che tutto questo è un prezioso valore aggiunto senza il quale non potrebbero nemmeno fare impresa.

Ma ha ragione mariok quando dice che rispetto ad altri paesi qui da noi di stato ne abbiamo troppo e di pessima qualità.
Ed abbiamo anche un mercato stagnante e bloccato, quasi inesitente nei settore del lavoro e della casa.
Grazie purtroppo a pessime regolazioni fatte in passato che hanno ingessato ed ucciso il mercato, imbrigliandolo.

Un esempio tra tutti il famigerato equo canone, che distrusse il mercato dell'affitto obbligando quasi tutti a comprarsi la casa.

Di iper regolazione si puo' morire e non a caso poi chi vuole fare impresa sempre piu' spesso si trasferisce all'estero.
Basta contare per esempio quante autorizzazioni per aprire una impresa in germani, in francia, in svizzera, in gran bretagna, rispetto a noi.
Siamo uno stato iper regolamentato, con decine di migliaia di leggi (anche se spesso bellamente ignorate e non fatte rispettare (*)).
E siamo una nazione in cui una percentuale ignota tra il 25 ed il 30% lavora in nero.
Tra le cause, oltre alla pressione fiscale e contributiva, la iper regolamentazione e la burocrazia.

Per riprenedere su questo punto i paragoni che faceva mariok, invece negli USA abbiamo una bassa regolamentazione, una burocrazia inesistente, una bassa pressione fiscale ed anche la piu' bassa stima percentuale di lavoro sommerso su PIL nel mondo occidentale. Il legame mi pare evidente.

Quanto al piu' o meno stato, anche qui va visto cosa e come.
Per me vale piu' scuola, piu' sanità, piu' giustizia, piu' assistenza, ... ma meno leggi, meno burocrati, meno sprechi, meno privilegi a funzionari e parenti di funzionari, meno pensioni di anzianità e migliori pensioni di vecchiaia .... e via dicendo.

Ciao,
Franz

(*) non è una novità, già il Guicciadini scriveva, attorno al 1500" Italia, terra di leggi draconiane, temperate dalla generale innosservanza". Non è cambiato molto in 500 anni, vero?


Tutte cose imprenscindibili le une dalle altre, almeno nella nostra cultura, e che si stanno estendendo ovunque.


Qualsiasi ragionamento, qualsiasi desiderio, qualsiasi aspirazione, portati alle estreme conseguenze si rivelano sbagliati se non pericolosi.
Mi sembra sia questo uno degli "stratagemmi" del buon Shopenauer.
Se mettiamo a confronto tutto stato o niente stato, entrambe le soluzioni sono disastrose.
Quando dico che gli imprenditori non vogliono legggi e regolamenti, non vogliono sindacati, non vogliono tasse dico la situazione attuale.
Come si risponde?
Sicuramente con uno stato migliore, siamo perfettamente daccordo.
Uno stato che non dichiari, nella persona del capo del governo, che il programma degli imprenditori è la copia del suo programma.
Abbiamo bisogno di un governo che gestisca l'interesse comune e non solo di una parte (quella che lo ha votato e che lo appoggia).
Posso esprimere questa opinione anche se non sono un tecnico di come si regola il mercato.
Sono però un tecnico espertissimo di come si vive governati in questo modo.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10610
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

Re: supercapitalismo

Messaggioda franz il 12/06/2008, 11:16

pianogrande ha scritto:Qualsiasi ragionamento, qualsiasi desiderio, qualsiasi aspirazione, portati alle estreme conseguenze si rivelano sbagliati se non pericolosi.
Mi sembra sia questo uno degli "stratagemmi" del buon Shopenauer.
Se mettiamo a confronto tutto stato o niente stato, entrambe le soluzioni sono disastrose.

Esatto e nemmeno credo oggi che qualcuno proponga seriamente questi due estremi come obiettivi seriamente perseguibili.

pianogrande ha scritto:Quando dico che gli imprenditori non vogliono legggi e regolamenti, non vogliono sindacati, non vogliono tasse dico la situazione attuale.

Anche questa di mettere in bocca a tutti gli altri ("gli imprenditori") cose che non affermano è uno dei 35 stratagemmi di Schopenhauer.
Ritengo che forse qualcuno di loro lo pensa (e lo dice a gran voce) ma non tutti. Se basiamo l'analisi politica sugli strepiti di alcuni e non sulla reale volontà dei molti, siamo fuori strada.

pianogrande ha scritto:Come si risponde?
Sicuramente con uno stato migliore, siamo perfettamente daccordo.
Uno stato che non dichiari, nella persona del capo del governo, che il programma degli imprenditori è la copia del suo programma.
Abbiamo bisogno di un governo che gestisca l'interesse comune e non solo di una parte (quella che lo ha votato e che lo appoggia).
Posso esprimere questa opinione anche se non sono un tecnico di come si regola il mercato.
Sono però un tecnico espertissimo di come si vive governati in questo modo.


Guarda, siamo perfettamente d'accordo su questo, anche se come scritto sopra il problema è il come raggiungere l'obiettivo di cui si parla.
Tuttavia vorrei precisare una cosa rigurdante la tua frase che mi sono permesso di sottolineare.
Uno dei difetti della democrazia, forma di governo come noto imperfetta come tutte le cose umane ma che per ora non ha rivali migliori, è che chi governa è eletto da una maggioranza e tenderà ovviamente a fare gli interessi di quella maggioranza (se vuole essere rieletto).
Questo è vero soprattutto se il sistema è di tipo maggioritario.
Unico modo per evitare questo aspetto è avere sempre decisioni alla unanimità, su tutti i temi.
Cosa che come possiamo immaginare è costosissima e porterebbe ogni decisione alle calende greche, esponendo poi tutti al ricatto del singolo voto che manca ad avere l'unanimità. Efetto deleterio di questa unanimità è il restringimento della scelta pubblica, per decidere solo su pochissimi oggetti.

Dal momento stesso che ci si allontana dalla unanimità, si creano varie maggioranze possibili, in competizione per vincere.
Chi vince ovviamente (gli eletti) farà riferimento alla propria maggioranza, cosa facile da verificare con le attuali tecniche di verifica del consenso.

Far riferimento al "bene comune" infatti è molto difficile. È una categoria metafisica.
Non esiste a dire il vero alcun algoritmo, metodo scientifico oggettivo in grado di determinare quale sia il bene comune.
Diciamo anche che se esistesse sarebbe la fine stessa della democrazia e della politica.
Cosa mai servirebbe un sistema complesso di elezioni, camere, organi, etc se bastasse una formula matematica a stabilire quale è il bene comune, l'interesse generale?

Qui bisogna essere chiari.
È proprio sul piano matematico che con la stessa scoperta ad opera di Nash (l'esensione della games theory dai giochi a somma zero a quelli a somma > di zero) abbiamo avuto come esito la falsificazione sia di alcuni aspetti del liberismo (quello che affermava che l'ottimalità in economia e nel mercato si ottiene quando ogni attore persegue il suo egoistico e personale obiettivo) sia del comunismo (altra strategia "pura" ma diametralmente opposta) e soprattutto si è arrivati a capire che per ora con la metodologia matematica attuale non possiamo individuare quale soluzione mista sia quella ottimale per la società intera.
Negate le teorie strategicamente pure (in quanto sub ottimali) la teoroa ci dice che la situazione migliore per l'insieme degli individui è data da strategie miste.
Non dice quali. Ma il concetto in sè è già interessante.
La teoria dei giochi ci dice che nei giochi a somma > di zero le ottimalità esistono (esiste una strategia migliore delle altre) e che sono anche piu' d'una (vuol dire che possiamo parlare di "beni comuni") ma non è possibile (per ora?) calcolare quale o quali. E secondo me come dicevo prime nemmeno tanto auspicabile.

Se quindi il bene comune rimane una categoria metafisica, ognuno sostiene la sua opinione, senza tema di smentite oggettive.
Io quindi preferisco che un politico svolga il programma per cui una maggioranza lo ha eletto e che faccia meno riferimento possibile al bene comune, che mi puzza molto di retorica, di facile demagogia e populismo. La democrazia dell'alternanza poi porrà rimedio alle scelte sbagliate.

Mi sembrava giusto precisare questo, discutendo di democrazia.

Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: supercapitalismo

Messaggioda pianogrande il 12/06/2008, 12:12

franz ha scritto:
pianogrande ha scritto:Qualsiasi ragionamento, qualsiasi desiderio, qualsiasi aspirazione, portati alle estreme conseguenze si rivelano sbagliati se non pericolosi.
Mi sembra sia questo uno degli "stratagemmi" del buon Shopenauer.
Se mettiamo a confronto tutto stato o niente stato, entrambe le soluzioni sono disastrose.

Esatto e nemmeno credo oggi che qualcuno proponga seriamente questi due estremi come obiettivi seriamente perseguibili.

pianogrande ha scritto:Quando dico che gli imprenditori non vogliono legggi e regolamenti, non vogliono sindacati, non vogliono tasse dico la situazione attuale.

Anche questa di mettere in bocca a tutti gli altri ("gli imprenditori") cose che non affermano è uno dei 35 stratagemmi di Schopenhauer.
Ritengo che forse qualcuno di loro lo pensa (e lo dice a gran voce) ma non tutti. Se basiamo l'analisi politica sugli strepiti di alcuni e non sulla reale volontà dei molti, siamo fuori strada.

pianogrande ha scritto:Come si risponde?
Sicuramente con uno stato migliore, siamo perfettamente daccordo.
Uno stato che non dichiari, nella persona del capo del governo, che il programma degli imprenditori è la copia del suo programma.
Abbiamo bisogno di un governo che gestisca l'interesse comune e non solo di una parte (quella che lo ha votato e che lo appoggia).
Posso esprimere questa opinione anche se non sono un tecnico di come si regola il mercato.
Sono però un tecnico espertissimo di come si vive governati in questo modo.


Guarda, siamo perfettamente d'accordo su questo, anche se come scritto sopra il problema è il come raggiungere l'obiettivo di cui si parla.
Tuttavia vorrei precisare una cosa rigurdante la tua frase che mi sono permesso di sottolineare.
Uno dei difetti della democrazia, forma di governo come noto imperfetta come tutte le cose umane ma che per ora non ha rivali migliori, è che chi governa è eletto da una maggioranza e tenderà ovviamente a fare gli interessi di quella maggioranza (se vuole essere rieletto).
Questo è vero soprattutto se il sistema è di tipo maggioritario.
Unico modo per evitare questo aspetto è avere sempre decisioni alla unanimità, su tutti i temi.
Cosa che come possiamo immaginare è costosissima e porterebbe ogni decisione alle calende greche, esponendo poi tutti al ricatto del singolo voto che manca ad avere l'unanimità. Efetto deleterio di questa unanimità è il restringimento della scelta pubblica, per decidere solo su pochissimi oggetti.

Dal momento stesso che ci si allontana dalla unanimità, si creano varie maggioranze possibili, in competizione per vincere.
Chi vince ovviamente (gli eletti) farà riferimento alla propria maggioranza, cosa facile da verificare con le attuali tecniche di verifica del consenso.

Far riferimento al "bene comune" infatti è molto difficile. È una categoria metafisica.
Non esiste a dire il vero alcun algoritmo, metodo scientifico oggettivo in grado di determinare quale sia il bene comune.
Diciamo anche che se esistesse sarebbe la fine stessa della democrazia e della politica.
Cosa mai servirebbe un sistema complesso di elezioni, camere, organi, etc se bastasse una formula matematica a stabilire quale è il bene comune, l'interesse generale?

Qui bisogna essere chiari.
È proprio sul piano matematico che con la stessa scoperta ad opera di Nash (l'esensione della games theory dai giochi a somma zero a quelli a somma > di zero) abbiamo avuto come esito la falsificazione sia di alcuni aspetti del liberismo (quello che affermava che l'ottimalità in economia e nel mercato si ottiene quando ogni attore persegue il suo egoistico e personale obiettivo) sia del comunismo (altra strategia "pura" ma diametralmente opposta) e soprattutto si è arrivati a capire che per ora con la metodologia matematica attuale non possiamo individuare quale soluzione mista sia quella ottimale per la società intera.
Negate le teorie strategicamente pure (in quanto sub ottimali) la teoroa ci dice che la situazione migliore per l'insieme degli individui è data da strategie miste.
Non dice quali. Ma il concetto in sè è già interessante.
La teoria dei giochi ci dice che nei giochi a somma > di zero le ottimalità esistono (esiste una strategia migliore delle altre) e che sono anche piu' d'una (vuol dire che possiamo parlare di "beni comuni") ma non è possibile (per ora?) calcolare quale o quali. E secondo me come dicevo prime nemmeno tanto auspicabile.

Se quindi il bene comune rimane una categoria metafisica, ognuno sostiene la sua opinione, senza tema di smentite oggettive.
Io quindi preferisco che un politico svolga il programma per cui una maggioranza lo ha eletto e che faccia meno riferimento possibile al bene comune, che mi puzza molto di retorica, di facile demagogia e populismo. La democrazia dell'alternanza poi porrà rimedio alle scelte sbagliate.

Mi sembrava giusto precisare questo, discutendo di democrazia.

Ciao,
Franz


Caro Franz
Non mi dispiace affatto questa stimolante discussione.
Non sempre riuscirò a seguire ma, finché posso....
Anche qui non bisogna estremizzare etc. etc.....
Sarebbe facile rispondere che, se un governo sta tutto da una parte, ne scaturirebbe una rivoluzione.
Il bene comune può essere individuato su quella famosa scala che dai bisogni primari (fame, freddo e quant'altro) si spinge, addirittura, fino all'autorealizzazione.
Il governo di un paese deve chiedersi dove collocare i suoi cittadini.
Deve stabilre uno standard minimo sul quale mantenere perfino quelli che gli danno del buffone.
Questo va dall' assistenza sociale, sanitaria etc alle più o meno pari opportunità fino anche alla difesa da furbi e furbetti.
Deve perfino far ingoiare qualche rospo ai "suoi" come sta dicendo di fare Tremonti.
Sotto questo aspetto, sono molto curioso di vedere quali saranno i limiti della pax berlusconiana.
Il capitalismo non può essere non soggetto alla politica.
La politica lo può condizionare tanto o poco ma la politica è una categoria superiore rispetto al capitalismo (al mercato) che può aspirare solo ad esserne una più o meno valida componente.
La democrazia dell'alternanza mi va benissimo.
Può esistere solo con un sistema maggioritario (che evita il vile mercato del centro).
Nell'accontentare i cittadini, però, il governo non può che usare il sistema proporzionale (non può trovarsi contro metà della popolazione).
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10610
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

Re: supercapitalismo

Messaggioda franz il 13/06/2008, 11:17

pianogrande ha scritto:Caro Franz
Non mi dispiace affatto questa stimolante discussione.
Non sempre riuscirò a seguire ma, finché posso....
Anche qui non bisogna estremizzare etc. etc.....
Sarebbe facile rispondere che, se un governo sta tutto da una parte, ne scaturirebbe una rivoluzione.
Il bene comune può essere individuato su quella famosa scala che dai bisogni primari (fame, freddo e quant'altro) si spinge, addirittura, fino all'autorealizzazione.

Se il governo sta tutto da una parte .... minoritaria è già questo un golpe (non so se rivoluzionario) ma se sta da una parte .... maggioritaria ... si chiama democrazia.
Ci sono tuttavia dei pero'. Come sempre.
Si è discusso, nell'ambito delle discussioni sulla democrazia, la possibilità che un governo debba prendere misure impopolari.
E del coraggio del leader che sa di perdere il consenso ma di fare la cosa giusta.
Medicine amare non le vuole prendere nessuno e questo è uno dei limiti della democrazia.
Dipende dal grado di maturità e di istruzione dei cittadini.
Concetto che ha come corollario il famoso detto che "il medico pietoso fa la piga cancrenosa".

Qui la democrazia come sappiamo si attua tramite la elezione di rappresentanti nei vari poteri (legislativo ed esecutivo - ed in alcuni stati anche giudziario) ed è chiaro che una volta eletto il capitano della nave lui deve saper navigare ascoltando il paese ma soprattutto la sua esperienza, che gli serve per non finire sugli scogli.
Infatti la funzione tecnica di governo è assai meno democratica della funzione del legislatore.
Il governo deve prendere decisioni e se il popolo gli chiede di virare (chi a destra e chi a sinistra) il vero pericolo per tutti sono gli scogli e le secche.
In pratica per non governare direttamente il popolo sceglie un buon capitano e poi lo lascia lavorare per un certo periodo, pronto a cambiarlo se va male (imparerà a scegliere meglio). Caso simile se vuoi per il parlamento, visto che eleggiamo i nostri delegati "senza vincolo di mandato".
A questo l'unico rimedio è una maggiore democrazia diretta, per poter decidere autonomamente su alcuni temi e per poter destituire rapidamente il capitano inadeguato (caso accaduto in california). Comediceva Popper infatti piu' che discutere su come eleggere i rappresentanti, dovremmo concentrarci su come destituirli, quando danno i numeri.

Sulla scala dei bisogni primari (fame freddo etc) le dittature offrono di meglio, direi.
Sul piano dell'autorealizzazione (e della felicità, come nella cost americana, mi pare) ti seguo volentieri ma il "come" rimane un dilemma.
Tra i tanti ed infiniti "come", cosa scegliamo? E chi sceglie? il popolo oppure un bravo tecnico?

Il problema è che la ricerca della ottimalità (cosa che interessa gli studiosi da qualche secolo) è un fatto decisamente tecnico, dove pero' siamo anche privi di strumentazione adeguata a livello modellistico e matematico. È molto probabile ad esempio che una scelta democratica sia sub-ottimale rispetto ai tentativi ripetuti per approssimazione di un buon gruppo di tecnici e politici. L'unico vantaggio della scelta democratica è che non si puo' obiettare piu' di tanto (il popolo è sovrano, anche quando sbaglia) e caso mai ci si concentra sulla formazione del consenso (televisioni, media, ...) lamentandosene quando la scelta popolare è avversa alle proprie posizioni poliche.

Insomma non sono problemi facili e se lo fossero avremmo lo stesso tipo (migliore) di democrazia ovunque.
Invece ogni nazione ha il suo sistema. Tanti sistemi diversi, da confrontare. Come con la concorrenza.

Ecco perché non comprendo e non condivido la tesi che la concorrenza uccida la democrazia.
Per me è piu' verosimile sostenere che è la televisione ad uccidere la democrazia.
Troppe persone oggi ritengono che occuparsi di politica possa esaurirsi guardando qualche programma televivo che si occupa di temi politici.
Questo è il dramma.

Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Prossimo

Torna a Temi caldi nel mondo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 18 ospiti

cron