
CINA
Processo al super-sceriffo di Chongqing
un terremoto che scuote il potere di Pechino
Scomparso da tre giorni Wang Lijun, numero uno della lotta alla mafia e braccio destro del leader neo-maoista Bo Xilai. E' sotto inchiesta per aver chiesto asilo politico negli Usa. Secondo alcuni sarebbe stato arrestato. Il caso dell'uomo che ha anche ispirato una serie tv è un tassello della lotta interna al Partito comunista
dal nostro corrispondente GIAMPAOLO VISETTI
PECHINO - Più i fatti si chiariscono e più il mistero politico diventa oscuro. Certo è che la Cina, con la drammatica sparizione dell'ex vicesindaco di Chongqing, ripiomba nella paura delle purghe di partito e della guerra per bande che chiuse l'era di Mao Zedong. Dopo tre giorni di silenzi e censura il ministero degli Esteri cinese ha infine ammesso che Wang Lijun, 52 anni, fino alla scorsa settimana capo della polizia di Chongqing, sceriffo-star della lotta contro le triadi e braccio destro di Bo Xilai, neo-maoista astro nascente dell'ala sinistra del partito comunista, è sotto inchiesta con l'accusa di aver chiesto asilo politico negli Stati Uniti.
Fonti interne al governo sostengono che il nemico numero uno della mafia cinese è stato arrestato e portato segretamente a Pechino per essere interrogato dalla commissione disciplina del partito. La versione ufficiale, dopo che da martedì si è persa ogni traccia di Wang Lijun, resta invece sempre la stessa, minacciosa formula dei regimi: all'alto funzionario è stata concessa una "vacanza terapeutica" affinché possa curarsi l'esaurimento nervoso.
Si stanno però lentamente componendo i tasselli di un giallo-politico che, nonostante il silenzio dei media di Stato, grazie a internet appassiona e impressiona la Cina. Wang Lijun, in abiti civili e nascosto da un travestimento, sarebbe fuggito da Chongqing lunedì mattina. Dopo aver detto che avrebbe partecipato a un convegno, a bordo di un'auto privata ha raggiunto Chengdu, capoluogo del Sichuan e sede del consolato Usa. Un viaggio drammatico lungo strade secondarie, di diverse ore, mentre i servizi segreti cinesi, già allertati, si lanciavano al suo inseguimento. L'ex capo della polizia, campione di karate e ispiratore di una popolarissima serie tv, è riuscito infine a entrare nel consolato americano, dove avrebbe chiesto asilo politico per sé e per i propri famigliari.
Nei giorni scorsi, dopo la promozione-rimozione a vicesindaco, sarebbe stato avvisato da fonti confidenziali che stava per essere arrestato con l'accusa di corruzione. Wang Lijun avrebbe dunque tentato una fuga disperata negli Stati Uniti per evitare il carcere, in cui negli ultimi anni ha fatto rinchiudere quasi cinquemila affiliati alle triadi.
Le diplomazie di Cina e Usa hanno rifiutato ogni commento, ma hanno confermato che Wang Lijun è rimasto nel consolato americano oltre un giorno, fino a martedì sera, quando avrebbe "lasciato di propria volontà la sede diplomatica". Esperti degli intrighi che regolano il potere all'interno del partito comunista, affermano che l'ex vicesindaco si sarebbe rassegnato a consegnarsi ai servizi segreti cinesi solo quando un funzionario statunitense gli ha spiegato che la Casa Bianca, che si prepara a ricevere la visita del vicepresidente Xi Jinping, non gli avrebbe mai garantito un volo per gli Usa. Prima di uscire dal palazzo, circondato da ore dalle forze speciali, Wang Lijun avrebbe però consegnato agli americani un plico di documenti riservati, considerato il suo "salva-vita".
Da martedì sera l'ex braccio destro di Bo Xilai è infine scomparso e dopo le prime voci, che lo volevano "in cura" in un manicomio dove vengono rinchiusi anche i dissidenti da "rieducare", è emerso che sarebbe stato condotto in un'ala protetta della scuola del partito, alla periferia della capitale, per essere sottoposto a un "processo disciplinare".
Il terremoto che sta ridisegnando la geografia del potere nella seconda potenza economica del mondo, secondo il ministero degli Esteri di Pechino, "non avrà conseguenze" sulla visita del successore designato di Hu Jintao a Washington, al via lunedì. Ne ha invece moltissime all'interno del partito e dentro la Cina, terrorizzata nel vedere che dopo le teste dei dissidenti (oggi la condanna a sette anni di Zhu Yufu, l'oppositore accusato di aver scritto una poesia sovversiva) cominciano a cadere anche quelle dei principi rossi. La domanda che nel Paese ora tutti si pongono è se la caduta di Wang Lijun sia un evento contro, oppure a favore di Bo Xilai, nuova icona del nazionalismo maoista condito di retorica rivoluzionaria.
La segretezza degli equilibri interni al potere impone ai chiarimenti politici tempi lunghi. Una parte di osservatori sostiene però che sia stato proprio Bo Xilai a volersi sbarazzare di un alleato divenuto concorrente, ingombrante, pericoloso e non più necessario per spiccare il volo verso la commissione permanente del Politburo, ristretta a nove membri. La maggioranza è convinta invece che il "terremoto di Chongqing" sia stato orchestrato dai vertici dello Stato, forse da Hu Jintao e Wen Jiabao in persona, decisi a frenare l'ascesa di un leader "poco cinese" e a reprimere i rigurgiti di maoismo che ha innescato. Alla parte oggi prevalente dell'apparato tecnocratico che comanda a Pechino, a partire dal nuovo leader Xi Jinping, la personalistica campagna autopromozionale all'americana lanciata da Bo Xilai, quasi una sorta di primarie interne autogestite a suon di gesti clamorosi, demagogia e apparizioni mediatiche, sarebbe apparsa pericolosa per la tenuta di una gestione collegiale del potere.
Eliminare Wang Lijun per colpire Bo Xilai, dunque: operazione dell'ala liberale e riformista per ridimensionare la fazione radicale e restauratrice in vista del 18° congresso del partito, che in ottobre darà il via al passaggio di consegne decennale nella leadership del Paese. Molto però resta da chiarire: e in attesa di sapere che fine farà Wang Lijun, e chi vincerà la partita appena iniziata, la Cina si prepara a un anno che già si rivela assai meno stabile di quanto previsto.
(10 febbraio 2012) www.repubblica.it