Pagina 1 di 1

Non solo in Italia ...

MessaggioInviato: 27/01/2012, 14:50
da franz
FRANCIA
"Volevate la mia pelle", si suicida all'ufficio tasse

PARIGI - "Volevate la mia pelle, ora l'avete": ha lasciato questo biglietto agli uscieri dell'ufficio delle imposte di Creteuil, periferia di Parigi, poi si è sparato alla testa un colpo di pistola calibro 38 nel cortile dell'edificio. Così è morto un architetto francese di 55 anni, travolto dalle difficoltà economiche.

"Tutti i giorni riceveva raccomandate, lettere dell'ufficio delle tasse, sembrava martoriato dai debiti", dice una vicina del suicida, che aveva notato negli ultimi tempi il gran numero di lettere con l'intestazione "Centre des impôts".

Sposato e padre di due ragazzi adolescenti, l'architetto-urbanista non lavorava più da tempo e doveva ancora 26.000 euro al fisco.

Re: Non solo in Italia ...

MessaggioInviato: 27/01/2012, 15:58
da pianogrande
Ho l'impressione che ci sia anche un grosso problema di impatto psicologico delle tasse legato alla modalità di riscossione.
Lavoratori dipendenti e pensionati sono abituati a ragionare direttamente sul netto.
Quando spetta loro un rimborso per aver pagato più del dovuto (in relazione a spese sanitarie, assicurazioni, ristrutturazione edilizia e quant'altro) sembra quasi che siano soldi guadagnati e non la restituzione di soldi non dovuti.
Personalmente, ho imparato da poco che, quando si tratta di fatture per ristrutturazione edilizia (per le quali spetta una detrazione a chi paga), la banca stessa trattiene direttamente il 10% al percettore (il 10 % è esattamente l'IVA).
Questo per evitare la tentazione di non dichiarare la fattura (così mi è stato spiegato).
Questo, secondo me, ottiene anche un altro importante risultato.
Il percettore della somma non fa in tempo a considerare soldi suoi quella quota che viene trattenuta.
Soldi dai quali deve dolorosamente separarsi dopo averli visti comparire sul proprio conto corrente.
Io neanche l'ho mai fatta la somma di quanti soldi mi trattiene lo stato.
Non li considero neanche miei.
Qualcuno che, invece, li ha intascati e li ha sommati a tutto il resto dei suoi averi e dopo parecchio tempo deve tirarli fuori per darli a romaladrona invece di usarli per una vacanza o per fare la spesa per la famiglia o per curarsi una malattia, può soffrire terribilmente nel momento della separazione (nel caso in cui li abbia già spesi poi ....).
Non è una differenza da poco.
La moneta elettronica potrebbe portarci anche verso modalità di riscossione che mettano subito il percettore in condizione di vedere da subito la differenza tra i soldi suoi e quelli che sono solo di passaggio.

Re: Non solo in Italia ...

MessaggioInviato: 27/01/2012, 16:23
da franz
pianogrande ha scritto:Ho l'impressione che ci sia anche un grosso problema di impatto psicologico delle tasse legato alla modalità di riscossione.

Tutto giusto ma considera come ulteriore fattore che l'impatto è anche legato alle aliquote.
Guardate le "sale taxes" in usa http://en.wikipedia.org/wiki/Sales_taxe ... risdiction e pensate alla nostra IVA (21 percento) che arriva al 25 % in alcuni paesi. La Francia ha una pressione fiscale superiore alla nostra (che è tutto dire) e superiore alla svezia.
Ulteriore fattore è legato all'impatto giuridico-sociale. In alcuni ordinamenti per esempio il fisco puo', come creditore, far fallire un'azienda ma non un privato cittadino. Significa che se il cittadino ha arretrati con il fisco, lo stato non puo' pretendere piu' del minimo vitale. E se il cittadino è in assistenza pubblica, il fisco si attacca a tram e puo' solo sperare che in futuro il contribuente vinca al lotto.

Re: Non solo in Italia ...

MessaggioInviato: 30/01/2012, 19:35
da franz
Le big dell'hi-tech e la fuga dal fisco

google, microsoft, apple e i modi per pagare meno imposte fuori dagli usa
Le big dell'hi-tech e la fuga dal fisco
L'escamotage di fatturare in paesi con una minore imposizione tributaria. L'indagine della Sec e i paradisi fiscali


MILANO - Chiariamo subito, per evitare fraintendimenti: tutto perfettamente legittimo. Macinano profitti a ogni giro di orologio, sono le multinazionali dell'hi-tech, la rappresentazione più calzante del progresso tecnologico degli Stati Uniti. Dalla Silicon Valley - il loro incubatore originario - ne hanno tratto linfa vitale per conquistare i mercati globali. Marginalizzano più di tutti nell'era digitale, capitalizzano miliardi di dollari, si sono giovati della visionaria follia dei loro fondatori per assurgere al ruolo di pionieri dell'economia dei bit, e della successiva internet economy di cui soprattutto Google ha finito per esserne l'incarnazione. Definire le loro attività circoscritte a precisi confini territoriali è però un tentativo quanto mai ardito, eppure è lo schema su cui hanno investito le loro fichès per ridurre al minimo l'imposizione tributaria. Utilizzano complicati meccanismi di triangolazione (attraverso le decine di paradisi fiscali sparsi per il mondo) o si giovano di una legislazione che varia da paese a paese individuando tra le pieghe del fisco globale i santuari di un erario più snello, leggero, meno impositivo.

L'INFORMATIVA - Scrive l'edizione elettronica del quotidiano spagnolo «El Paìs» che proprio qualche giorno fa la Sec (l'authority americana di regolamentazione della borsa-valori) ha obbligato le aziende quotate sulle piazze Usa a chiarire quali sono i benefici fiscali di cui godono negli Stati Uniti e negli altri paesi. E la sensazione che se ne ricava è che Google, Apple e Microsoft risparmiano milioni di dollari all'anno di tasse grazie a operazioni di ingegneria finanziaria. Ciò è evidente soprattutto per Google, che sarebbe riuscita a risparmiare circa 7,6 miliardi di dollari di cosiddetti benefici fiscali per le sue attività oltre i confini Usa. Il modello utilizzato da Google è lo schema già utilizzato con successo da Microsoft di fatturare all'estero nei paesi con bassa imposizione fiscale, tanto che l'azienda fondata da Bill Gates (che ha appena fatto sapere al mondo di aver destinato circa 750 milioni di dollari in iniziative filantropiche) ha riconosciuto di canalizzare i suoi proventi attraverso Porto Rico, Singapore e Irlanda. Ma Google ha estremizzato il concetto, tanto che l'azienda fondata da Larry Page ha riconosciuto che tutti i benefici fiscali ottenuti dal gruppo sono stati conseguiti attraverso la controllata irlandese.

LE RAGIONI - Il motivo è presto detto: la legge irlandese permette di trasferire i benefici fiscali ottenuti in società con ragione sociale estera, fuggendo anche dall'aliquota (già molto bassa) del 12,5% richiesta dal legislatore per le società irlandesi. Ecco quindi che quei proventi finiscono in società radicate in paradisi fiscali in modo che non gravino sui profitti. Ma i modi per bypassare le maglie allargate del fisco mondiale sono molti. Un esempio: Google e altre imprese hi-tech vendono le loro licenze, la tecnologia, i diritti di proprietà intellettuale a paesi "lassisti" sul fronte del fisco. Nel caso del principale motore di ricerca del mondo i diritti li riceve una società alle Bermuda a cui la controllata irlandese destina milioni di dollari attraverso un veicolo societario olandese. Il risultato è un capolavoro di maquillage finanziario: Google così pagherebbe solo il 3% delle tasse sui benefici fiscali fuori dagli Usa, Apple il 2,5%, Microsoft l'8%, secondo quanto registra la Sec. E anche Facebook, che ha meno obblighi di trasparenza sui conti almeno fino alla prossima ipo in Borsa, adotterebbe uno schema simile con società alle isole Cayman. Google - interrogata dalla Sec - avrebbe risposto in maniera caustica chiamando in causa i piccoli azionisti: «Abbiamo un obbligo nei loro confronti - ha detto recentemente un portavoce di Google -. Quello di tenere una struttura fiscale efficiente». Lo farebbero per i risparmiatori e per i piccoli investitori in vista di ricchi dividendi, ma negli Stati Uniti tutto ciò comincia a essere fonte di polemica, perché quei soldi sfuggiti all'erario a stelle e strisce non verrebbero comunque reinvestiti in patria.

Fabio Savelli
www.corriere.it