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Ineguaglianze economiche: gli USA

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Ineguaglianze economiche: gli USA

Messaggioda flaviomob il 13/10/2011, 8:39

http://thesocietypages.org/socimages/20 ... nequality/

OVERVIEW OF U.S. ECONOMIC INEQUALITY
by Gwen Sharp, 14 hours ago at 09:25 am

Shamus Khan posted a link to a great slideshow put together by the Business Insider that summarizes the current state of our economy. It’s a one-stop illustration of, in their words, “What the Wall Street protestors are so angry about,” and definitely worthy of clicking over to see the whole thing. I’m posting just a few of the images here.

The median length of unemployment for those who lose their jobs is now over 20 weeks:

Immagine

About 45% of the currently unemployed have been without a job for at least 27 weeks — six to seven months without a job:

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CEO [chief executive officer, equivalente di "amministratore delegato"] pay is now roughly 350 times higher than the average worker’s:

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And CEO pay has grown dramatically since the early ’90s, though production workers’ pay has barely budged and the minimum wage has actually dropped if you adjust for inflation:


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segue
....

Da sottolineare anche come i primi due grafici evidenzino la gravità e la profondità sociale della crisi economica attuale, senza precedenti nel dopoguerra.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Ineguaglianze economiche: gli USA

Messaggioda franz il 13/10/2011, 16:36

Qualcuno è convinto che le inegualianze nella distribuzione del reddito abbiano prodotto la crisi. O che la aggravino.
Chi la pensa diversamente potrebbe essere tacciato di liberismo ma mi segnalano che tra gli scettici su questa idea troviamo paul krugman. Il quale nel suo blog http://krugman.blogs.nytimes.com/2011/1 ... ror-image/ scrive, tra l'altro:
Here’s an example: is economic inequality the source of our macroeconomic malaise? Many people think so — and I’ve written a lot about the evils of soaring inequality. But I have not gone that route. I’m not ruling out a connection between inequality and the mess we’re in, but for now I don’t see a clear mechanism, and I often annoy liberal audiences by saying that it’s probably possible to have a full-employment economy largely producing luxury goods for the richest 1 percent. More equality would be good, but not, as far as I can tell, because it would restore full employment.

[Traduzione: Ecco un esempio: la disuguaglianza economica è la fonte del nostro malessere economico? Molti lo pensano — e io ho scritto parecchio sui mali della disuguaglianza crescente. Ma non ho seguito quella strada. Non escludo che ci sia una connessione tra la disuguaglianza e i guai in cui siamo, ma per ora non vedo un chiaro meccanismo, e spesso infastidisco le platee progressiste affermando che è probabilmente possibile raggiungere la piena occupazione producendo in larga misura beni di lusso per l'1% più ricco. Più uguaglianza sarebbe una buona cosa ma non, per quel che ne so, perchè ripristinerebbe la piena occupazione]

Ora io non so se PK abbia ragione. Penso che 7 miliardi di persone vogliano mangiare, vestirsi, avere una casa, una sanità decente e scuole in cui imprare tante cose, non da ultima una professione per essere utili altri altri. Per arrivare a questo non ritengo verosimile che si possa quindi lavorare tutti per l'1% piu' ricco ma che un gran parte si debba lavorare per il 99% che non è ultraricco (per fare case, estiti, cibo per tutti). Ma la provocazione di PK è intrigante. Dipende dall'obbiettivo. Se l'obbiettivo è l'occupazione e la crescita, non importa cosa produci e per chi? Questo dice PK?



Approfondimento:
Crisi, ma la disuguaglianza che c'azzecca?
Autore: Marcello Miccoli

Sul numero 2 di qdR, Marco Leonardi [Vedi http://www.qdrmagazine.it/2011/2/21/02_leonardi.aspx ] ha identificato nella crescente disuguaglianza della distribuzione del reddito degli Stati Uniti una delle cause della recente crisi finanziaria. L'aumento della disuguaglianza dei redditi negli USA è un dato ben conosciuto dagli economisti. Tuttavia il meccanismo che lega la disuguaglianza alla crisi finanziaria è controverso: le opinioni fra gli addetti ai lavori variano. C'è chi nega l'esistenza di alcun legame causale fra disuguaglianza e crisi, e chi propone diversi canali di trasmissione degli effetti dell'una sull'altra.

Leonardi propone uno specifico meccanismo: le persone con basso tasso di crescita dei salari, a fronte di una crescita generale dell'economia, si sono indebitate per finanziare il loro stato di vita, indebitamento mirato fondamentalmente all'acquisto di immobili. Tuttavia il basso tasso di crescita dei loro salari ha fatto sì che molti non fossero in grado di ripagare i debiti, innescando quella catena di default sui mutui che ha dato inizio alla crisi.

Questa teoria ha una lacuna: non fornisce alcun elemento sul perché a disuguaglianza crescente le persone con reddito più basso avrebbero voluto contrarre più debiti. La teoria economia di solito contempla che gli individui scelgano di indebitarsi di più se prevedono incrementi futuri del loro salario. Il boom economico degli Stati Uniti negli anni pre-crisi potrebbe aver convinto molto persone, tra cui, ma non esclusivamente, quelle a basso reddito, che il loro salario sarebbe aumentato negli anni a venire, per cui hanno iniziato a indebitarsi di più prevedendo di poter ripagare i debiti. Affinché ci sia maggiore indebitamento non è necessaria quindi una maggiore disuguaglianza, ma solo una previsione di maggiore crescita futura. Previsione in effetti presente negli Stati Uniti e aiutata dal salire vertiginoso dei prezzi delle case.

In che modo può quindi la crescita della disuguaglianza indurre un maggiore indebitamento delle persone a più basso reddito? Solo se le scelte di consumo e risparmio della gente dipendono anche dalle scelte di consumo e risparmio delle persone più ricche. In questo modo, per esempio, la sottoscrizione di un mutuo da parte di un vicino più abbiente per una casa più grande può portare a un maggior richiesta d'indebitamento solo per un desiderio d'emulazione. L'evidenza empirica per questo comportamento è tuttavia scarsa.

In ogni modo, anche se probabilmente il legame tra disuguaglianza e crisi finanziaria non sussiste nei termini presentati da Leonardi, vi sono al momento altre teorie che cercano un legame causale tra questi due eventi.

Raghuram Rajan della Chicago Booth Business School propone che la crescita della disuguaglianza ha creato pressioni sulla classe politica affinché si occupasse del problema. La soluzione è stata quella di favorire ed espandere il credito per gli acquisti immobiliari, specialmente attraverso le agenzie statali Fannie Mae e Freddie Mac, oltre quanto fosse ottimale per l'economia. Anche questa teoria non è completamente evidente. In particolare non è chiaro perché i politici avrebbero dovuto risolvere il problema della disuguaglianza attraverso l'espansione del credito per case, e non, per esempio redistribuendo attraverso le tasse (le prime leggi a favore dei mutui sono del 1992, e sono continuate in periodi successivi, in era Clinton, quindi con al governo un partito non avverso alla redistribuzione).

Sfruttando questa lacuna, Daron Acemoglu del MIT propone una teoria diversa. In particolare per lui non c'è nessuna relazione causa-effetto tra disuguaglianza e crisi, ma sono entrambe effetto della deregolamentazione della finanza attuata dalla politica sotto pressione delle lobbies finanziarie.

Come si vede, il legame tra disuguaglianza e crisi è tutt'altro che scontato, ed è un campo di ricerca attivo nella scienza economica. E l'Italia? Come Leonardi osserva, la disuguaglianza dei redditi non è a livelli USA, e il tasso di risparmio tra i due paesi è molto diverso, per cui le economie sono fondamentalmente differenti. Tuttavia, come evidenziato dalle teorie prima proposte, le scelte politiche possono avere un ruolo fondamentale in entrambi i paesi nell'innescare comportamenti non virtuosi nell'economia. Per questo è essenziale lasciare da parte ogni ideologia prima di realizzare e valutare ogni politica economica.

http://www.qdrmagazine.it/2011/2/28/03_miccoli.aspx
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