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Cina: tra giochi e diritti

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Cina: tra giochi e diritti

Messaggioda franz il 07/08/2008, 16:00

Parigi, 14:40
CINA: SARKOZY INVIA UNA LISTA DI DETENUTI POLITICI

Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha inviato alle autorita' cinesi un elenco di detenuti politici prima della partenza per Pechino per assistere alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Nell'elenco figurano "casi individuali di detenuti e di attivisti per i diritti umani" su cui viene richiamata l'attenzione a nome dell'Ue, di cui la Francia ha la presidenza di turno, ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri, Romain Nadal. Ci sono sia casi individuali gia' sollevati dall'Ue nell'ambito del dialogo periodico con la Cina che casi segnalati dalle organizzazioni per i diritti umani e dall'eurodeputato Daniel Cohn-Bendit. L'invio dell'elenco e' stato annunciato poche ore dopo che la polizia francese ha deciso di vietare un sit-in davanti all'ambasciata cinese che si sarebbe dovuto svolgere in concomitanza con la cerimonia inaugurale dei Giochi. Il divieto e' stato imposto dalla polizia per impedire il ripetersi dei violenti disordini scoppiati ad aprile nella capitale francese per il passaggio della fiaccola olimpica.
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Re: Cina: tra giochi e diritti

Messaggioda franz il 07/08/2008, 16:01

Pechino afferma di "mantenere e promuovere la libertà dei suoi cittadini"
George W. Bush si era detto preoccupato per i diritti umani nel Paese asiatico
La Cina risponde al presidente Usa
"Non interferisca in affari interni"

Ma da entrambe le parti si ricordano le "buone relazioni" tra Washington e Pechino
E il presidente francese Sarkozy annuncia che incontrerà il Dalai Lama entro fine anno
La Cina risponde al presidente Usa "Non interferisca in affari interni"

PECHINO - "Siamo fermamente contrari a qualsiasi dichiarazione o atto che possa interferire con gli affari interni degli altri Paesi, tirando in ballo i diritti umani, la religione o altri temi": dopo le parole di George W. Bush sulla situazione delle libertà in Cina, arriva la risposta piccata di Pechino. Il presidente americano ha parlato di "profonda preoccupazione per dissidenti politici, attivisti religiosi e difensori dei diritti umani" e il gigante asiatico ribatte che "il governo cinese pone la sua popolazione in cima alle sue attenzioni, e si impegna a mantenere e promuovere la libertà e i diritti fondamentali dei suoi cittadini". Ma, nonostante lo scambio di vedute, rimane l'impegno a mantenere buoni rapporti tra i due Paesi. Intanto il presidente francese Nicolas Sarkozy, reduce da giorni di polemica sul suo viaggio nella città dei Giochi, ha annunciato che entro fine anno incontrerà il Dalai Lama.

La preoccupazione di Bush. In Thailandia, durante la seconda tappa del suo viaggio in Estremo Oriente, il presidente statunitense ha espresso profonda preoccupazione per lo stato delle libertà in Cina: "L'America mantiene una ferma opposizione sulla questione della detenzione di dissidenti politici, difensori dei diritti umani e attivisti religiosi". "Ho parlato con chiarezza, franchezza e costanza ai leader di Pechino della nostra profonda preoccupazione - ha aggiunto - perché gli Stati Uniti ritengono che il popolo cinese abbia il diritto delle libertà fondamentali che sono il diritto naturale di tutti gli esseri umani".

La risposta cinese. Alle critiche ha ribattuto il portavoce del ministero degli esteri Qin Gang, spiegando che "i cittadini cinesi hanno libertà di religione in accordo con la legge". "Noi - ha proseguito - abbiamo sempre insistito sul fatto che dobbiamo portare aventi un dialogo sulla base del rispetto reciproco e della parità". Il governo di Pechino lascia intendere che le critiche di Bush non hanno mantenuto il giusto contegno: se uno scambio di vedute su questi temi ci può essere, deve avvenire "su un piano di uguaglianza e rispetto reciproco".

La previsione del presidente Usa. Bush si è detto sicuro che anche nell'ex Impero Celeste "il cambiamento arriverà". Poi ha specificato la natura dell'intervento degli Stati Uniti: "Facciamo pressioni per favorire maggiore apertura e più giustizia, non per imporre le nostre convinzioni, ma per consentire al popolo cinese di poter esprimere le sue".

Non è rottura. Da entrambe le parti le critiche sono comunque accompagnate dall'impegno a mantenere buoni rapporti. "Sono fiducioso perché sono consapevole che i legami tra l'America e i nostri amici asiatici non verranno mai meno", ha affermato il capo della Casa Bianca. Gli fa eco il portavoce del ministero degli esteri cinese, che ha ricordato che "grazie agli sforzi di entrambe le parti, le relazioni tra Cina ed Usa hanno mantenuto un andamento stabile" e che i due Paesi "hanno collaborato nel campo bilaterale su alcuni importanti problemi internazionali".

Sarkozy incontrerà il Dalai Lama entro fine anno. Rapporti da mantenere in equilibrio anche tra la Repubblica popolare cinese e la Francia. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, in questi giorni al centro della bufera Oltralpe per il suo viaggio a Pechino, ha annunciato che incontrerà il leader del popolo tibetano entro la fine del 2008. La notizia giunge dopo che il Dalai Lama ha espresso "il desiderio di incontrare il presidente francese", mentre il 9 luglio scorso la Cina aveva ventilato "gravi conseguenze sulle relazioni tra Francia e Cina" in caso di un tale incontro. Intanto il 22 agosto è in programma la partecipazione della first lady Carla Bruni a una cerimonia con il Dalai Lama.

Frattini contro le polemiche. Anche il ministro degli Esteri italiano interviene sulla questione del boicottaggio ai Giochi. Frattini, durante il discorso agli atleti azzurri nel Villaggio Olimpico, ha detto: "Il Paese e gli italiani credono fortemente nel fatto che voi porterete delle medaglie in Italia e che farete onore al nostro Paese. Questo è il messaggio più importante, che spazza via qualsiasi polemica, perché ora è il momento dello sport ed è il momento di fare il tifo per tutti voi".
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La mia Pechino, una città finta

Messaggioda franz il 08/08/2008, 9:35

Ha scritto "Tira fuori la lingua" e "Beijing coma", dall'86 vive all'estero
E' tornato, sotto molti controlli, e racconta la Cina diversa che vede

"La mia Pechino, una città finta"
Parla Ma Jian, lo scrittore proibito

"Bisogna capire come emerge questa nuova generazione del consenso
Hanno un vuoto di memoria storica eppure credono di poter capire il presente"
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

PECHINO - La buona notizia è che Ma Jian è arrivato a casa mia, insieme con la sua compagna e traduttrice Flora Drew. Finché non li ho visti varcare la soglia ho avuto dei dubbi. Avendo letto la sua raccolta di racconti filo-tibetani "Tira fuori la lingua" (che esce il 21 agosto da Feltrinelli), e il recentissimo "Beijing Coma", il primo grande romanzo centrato sul massacro di Piazza Tienanmen, non pensavo che lo avrebbero fatto entrare durante le Olimpiadi. Ma Jian, nato nel 1953, lasciò Pechino per Hong Kong (allora colonia britannica) nel 1986. Nel '97 partì per la Germania e infine Londra, dove vive da otto anni. Nessuno dei suoi libri può circolare nella Repubblica Popolare. Lui sì, e ci torna anche due o tre volte all'anno. Ha scelto il mese dei Giochi per comprarsi qui un appartamento che sta arredando. Non che il suo ingresso sia sfuggito alle autorità. "All'aeroporto - racconta - mi hanno ispezionato i bagagli e hanno sequestrato 64 libri e articoli, tutti miei, compresa la versione italiana di "Tira fuori la lingua". Poi la polizia è venuta a casa. Mi hanno invitato a prendere un caffè all'hotel Sheraton. Visto che pagavano loro ne ho approfittato per ordinare i pasticcini più cari. Ho spiegato che sono qui in vacanza, non darò conferenze, nessun evento pubblico. Certo sono un vigilato speciale. Riesco a entrare perché ho ancora il passaporto di Hong Kong su cui non occorre visto. Comunque il fatto che io sia qui è un segnale positivo, un'apertura, non lo nego".

"Tira fuori la lingua" uscì per la prima volta nel 1987 e fu subito proibito, costringendola all'esilio. In quei racconti il buddismo aveva un'importanza centrale. Lei è ancora religioso?
"Il mio viaggio in Tibet che ispirò quel libro ebbe inizio come un pellegrinaggio religioso. Il Tibet simbolizzava per me la libertà spirituale. Quando ci arrivai lo trovai trasformato in una prigione da cui neppure Budda poteva liberarsi. Già in quel libro metto in discussione la fede. Tirare fuori la lingua, il gesto antico che è il saluto più tradizionale fra i tibetani, è anche quello che faccio alla visita medica perché il dottore possa capire i miei mali. Sentivo un male dentro di me che andava diagnosticato".

Le sue storie tibetane sono dure, disperate. La stessa religione vi svolge un ruolo tragico. Lei ha un amore profondo per il Tibet, ma è agli antipodi dalla visione romantica di quel paese in voga in Occidente.
"Quel libro si legge come una tragedia, la tragedia della perdita della fede. La scrittura consente di guardare più lucidamente dentro se stessi, non di trovare una nuova via alla salvezza. Lo scrittore è come quel pesce che nuota nell'intestino del cadavere divenuto trasparente, l'immagine dell'ultimo racconto".

E' mai tornato in Tibet da allora?

"No, per due ragioni. Anzitutto perché, dopo essere stato perseguitato dalla censura, metterei in pericolo chiunque parli con me: il conflitto tra i cinesi-han e i tibetani è troppo duro. E poi ho paura di essere deluso dagli scempi della modernizzazione".

Cos'ha pensato a marzo quando è scoppiata la rivolta di Lhasa?
"Che era prevedibile. Ribellioni ce n'erano state tante anche prima. Quella di marzo ha suscitato più attenzione all'estero grazie alle Olimpiadi. Il Tibet è una grande prigione dove l'ordine è mantenuto con le armi. Il risentimento della popolazione viene compresso ma può esplodere in qualsiasi momento. Alla frustrazione dei tibetani per l'oppressione della loro identità culturale e religiosa, si aggiunge sempre di più un'altra causa di rancore, l'emarginazione sociale ed economica. Si vedono circondati da una ricchezza nuova ma a goderne sono solo i cinesi han e una piccola minoranza di tibetani privilegiati".

"Beijing Coma", il suo ultimo romanzo centrato in larga parte su Piazza Tienanmen, è stato accolto con entusiasmo dalla critica americana. Ma sul sito del New York Times accanto alle recensioni positive sono apparse delle email molto critiche di giovani lettori cinesi. L'accusano di appartenere a un'altra generazione, che non può capire la Cina di oggi. Come valuta il consenso giovanile verso questo modello di capitalismo autoritario?
"Bisogna capire come emerge questa nuova generazione. Non sentono nessuna curiosità verso la storia. Hanno un vuoto di memoria storica eppure credono di poter capire il presente. E' difficile avere una discussione razionale. Sono stati nutriti dall'informazione dei mass media di regime, sempre "positiva". Ed ecco che improvvisamente, grazie ai Giochi, gli viene liberalizzato l'accesso al sito della Bbc in mandarino. La loro prima reazione non è affatto quella che si aspetta l'Occidente: sono indignati, accusano i mass media stranieri di diffamare la Cina. Non capiscono il ruolo della stampa libera che è di stimolare il cambiamento. Il nazionalismo dei giovani crea una tremenda barriera alla comprensione. L'orgoglio per lo status mondiale della Cina si proietta sulla loro autostima, la fiducia che hanno in se stessi. Criticare il paese è come demolirgli l'immagine che hanno di sé. Sono sicuro che alla cerimonia d'inaugurazione dei Giochi ci saranno allusioni alla grandezza della Cina imperiale. C'è un parallelo implicito fra certe figure di "buon tiranno" del passato e l'autoritarismo attuale. Finché la maggioranza sta bene, le sofferenze di tante minoranze sembrano un prezzo accettabile".

Lei non è ottimista sull'impatto che le Olimpiadi avranno sulla società cinese.
"Nell'immediato rafforzeranno ulteriormente la base di consenso del regime. Cioè l'esatto contrario di quel che accadde in Corea del Sud dove i Giochi accelerarono la transizione democratica. Al tempo stesso ho speranza nei cambiamenti di lungo termine indotti da questo evento. Le Olimpiadi costringono i cinesi a tener conto che c'è un altro sguardo su di loro. La vicenda del sito Bbc accessibile è significativa. In passato l'Occidente si sarebbe aspettato che una maggiore libertà d'informazione provocasse la morte rapida del partito comunista. Oggi al contrario la reazione iniziale è il disgusto verso l'Occidente, accusato di avere dei pregiudizi anti-cinesi, di essere invidioso del successo di Pechino. Ma nel lungo termine questa apertura all'informazione può costringere la gente ad avere uno sguardo più razionale sul proprio paese. Ci vorranno anni, non mi faccio illusioni".

Nel frattempo che impressione la fa rientrare a Pechino nel clima olimpico?
"Mi sembra una città finta, trasformata in un salone d'esposizione. Niente deve essere fuori posto, è stata ripulita dei mendicanti e di chiunque desse fastidio. Il governo ha trasformato questi Giochi in una grande operazione politica. Un quartiere storico vicino a Piazza Tienanmen è stato raso al suolo e poi ricostruito come una replica di se stesso, una cosa disgustosa. Le misure di sicurezza sono eccessive, non puoi neppure salire su un autobus con una bottiglia di vino per paura che sia esplosivo. Si percepisce che questo regime all'apparenza così forte ha poca fiducia nella propria solidità. Li spaventa l'idea che possa infilarsi un granello di sabbia nei loro ingranaggi".

Eppure chi arriva per la prima volta e visita il quartiere dei pittori, la 789, o i locali di musica rock, ha l'impressione di una grande creatività artistica.
"In superficie c'è questo movimento di avanguardia artistica che fa finta di essere dissidente, si atteggia a controcultura. Ma stanno tutti molto attenti, sanno quali sono i limiti, evitano i temi di attualità politica e sociale più scottanti. Certi sedicenti artisti dissidenti vanno all'estero a portare le loro opere sponsorizzati dalle ambasciate cinesi. Quest'arte cosiddetta sovversiva è un ottimo business. Dietro ci sono troppi compromessi. I veri dissidenti sono in carcere. Qualcosa di più interessante accade nelle università, alcuni docenti riescono a trattare problemi gravi e hanno accesso anche ai mass media. E' una critica dall'interno del sistema".

Lei è severo con il suo paese ma continua a tornarci.

"Devo tornare perché qui trovo la mia ispirazione, il mio materiale narrativo. La mia letteratura sarà sempre cinese e sempre sui cinesi".

Il sogno di Tienanmen è finito, o lei spera che il cambiamento politico torni all'ordine del giorno?
"Questo regime, all'interno della sua logica, ha realizzato il massimo che poteva. Da qui in poi sarà indispensabile accettare delle forme di democrazia. L'anno prossimo con il ventesimo anniversario di Piazza Tienanmen sarà difficile non fare i conti con quell'evento. Non potranno sottrarsi alla necessità di rivedere il loro giudizio storico".

(8 agosto 2008)
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Il Dalai Lama: "Lunedì la Cina ha massacrato 140 persone"

Messaggioda franz il 21/08/2008, 16:43

Il capo spirituale intervistato da Le Monde: il numero di morti "deve essere confermato"
Il leader tibetano è a Parigi e domani incontrerà alcuni membri del governo francese

Il Dalai Lama accusa la Cina
"Lunedì massacrate 140 persone"


Immagine
Il Dalai Lama durante la visita in Francia

PARIGI - Il Dalai Lama accusa l'esercito cinese di aver "sparato sulla folla" il 18 agosto scorso nella regione di Kham, nell'est del Tibet. Secondo il leader spirituale buddista, sono stati uccisi circa 140 tibetani, bilancio che "deve essere confermato". Lo ha dichiarato in un'intervista a Le Monde sul numero in edicola oggi pomeriggio. Il leader tibetano si trova a Parigi per una visita e domani incontrerà dei componenti del governo francese.

I morti di Lhasa. Il Dalai Lama ha poi denunciato che dall'inizio delle sommosse il 10 marzo scorso ''testimoni affidabili hanno potuto constatare che 400 persone sono state uccise nella sola regione di Lhasa. Uccisi da colpi di arma da fuoco, mentre manifestavano disarmati''. ''Se consideriamo tutto il Tibet, il numero delle vittime è sicuramente più elevato. Diecimila persone sono state arrestate, però non sappiamo se siano state incarcerate'' ha aggiunto.

Colonizzazione militare. Secondo il premio Nobel per la Pace, l'esercito cinese starebbe costruendo ''dei veri accampamenti militari''. ''La presenza militare in Tibet è antica, ma la frenesia di nuove costruzioni, nelle regioni dell'Amdo e del Kham, mi fa dire che questa colonizzazione da parte dell'esercito è destinata a durare''. Per il Dalai Lama, ''non è stata registrata alcuna apertura'' nelle discussioni con Pechino. ''Dopo le sommosse di marzo e i Giochi Olimpici avevamo creduto a dei segnali positivi. Il nostro entusiasmo è però calato rapidamente. I nostri emissari si sono scontrati contro un muro'', ha concluso.

L'incontro con le autorità francesi. Nonostante il carattere prettamente religioso della visita in Francia, iniziata in modo molto discreto lo scorso 11 agosto - nessuna personalità di Stato lo aveva accolto all'areoporto - domani il leader tibetano incontrerà diverse personalità francesi: il ministro degli Esteri Bernard Kouchner, il segretario di Stato ai diritti umani Rama Yade e la moglie del presidente Carla Bruni-Sarkozy. L'incontro si terrà in occasione dell'inaugurazione di un tempio buddista vicino a Lodeve nel dipartimento dell'Herault. Ieri Pechino aveva chiesto alla Francia di gestire "con prudenza" la questione "importante e sensibile" del Tibet durante il faccia a faccia col Dalai Lama.

Buoni rapporti con il Vaticano. La denuncia del Dalai Lama arriva in un momento in cui la Cina sembra lanciare segnali di distensione nei confronti del Vaticano. Il vescovo di Pechino, Giuseppe Li Shan, ha auspicato ieri in un'intervista al Tg1 una visita in Cina di Papa Benedetto XVI e ha assicurato che ''i rapporti con il Vaticano vanno sempre meglio''. Pronta la risposta di padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana: ''Diversi problemi importanti non sono risolti, ma da parte della Santa Sede vi è l'intenzione e la volontà di continuare a portare avanti un dialogo leale e costruttivo''. Per padre Lombardi ''l'intervista del vescovo Li-Shan, può essere considerata uno dei segnali con cui, da parte cinese, si risponde alla disponibilità e all'auspicio manifestato dal Papa, nella sua lettera di un anno fa, per cercare una normalizzazione dei rapporti tra Cina e Santa Sede''. Padre Lombardi ha tuttavia precisato che un viaggio del Papa in Cina e' ''totalmente prematuro''.

(21 agosto 2008)
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PS: leggo ora: <Poi arriva la sua smentita: "Mai detto">
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