Terremoto distrugge Haiti, migliaia di morti

La città di Port-au-Prince al buio per tutta la notte. Crollato il palazzo presidenziale. I morti si contano a migliaia. Scatta la solidarietà internazionale
Devastata da quattro scosse tremende - la prima, più forte, di 7-7.3 gradi Richter - nel pomeriggio di ieri (poco prima della mezzanotte in Europa), la capitale di Haiti Port-Au-Prince, due milioni di abitanti, si è trasformata in un attimo in una distesa di rovine, un'enorme nube grigia di polvere con migliaia di persone inghiottite sotto le macerie.
Con il calare della notte, mentre i soccorritori hanno cominciato a reagire in ordine sparso, la città è diventata una macchia di oscurità totale, popolata di spettri accasciati sulle strade senza sapere dove andare.
L'ipocentro delle quattro scosse è stato ad appena 10 chilometri di profondità. Ravvicinati gli epicentri, tutti in terraferma e nelle vicinanze della capitale: a 15 km a sud-ovest la prima, a 25 km. a ovest-sud-ovest la seconda e la terza, a 30 km. a sud ovest la quarta.
«Tutto ha ballato, la gente ha urlato, le case hanno cominciato a crollare. Il caos è totale», ha detto un giornalista della Reuters sul posto.
Con il passare delle ore le dimensioni del disastro, subito definito da fonti americane «un'enorme catastrofe», assumono contorni sempre più tragici: i morti e dispersi nella sola Port-Au-Prince si conterebbero già a migliaia.
Nulla si sa per ora del resto del paese: comunicazioni telefoniche interrotte, nessuna notizia arriva dalle fonti ufficiali di un governo paralizzato e impotente. « Parlare di centinaia di vittime - ha commentato amaro il dirigente di un'organizzazione di volontariato - assomiglia ad una pietosa sottovalutazione».
A seminare la morte gli edifici più alti e più, in teoria, moderni: crollati come cartapesta ospedali, il palazzo presidenziale, vari ministeri, hotel cosiddetti di lusso nel paese più povero delle Americhe, edifici per uomini d'affari, grandi magazzini.
Anche il Quartier generale della missione militare e civile dell'Onu, che nel paese disloca ben 9.000 uomini - 7.000 militari e 2.000 poliziotti - è stato quasi raso al suolo. «Siamo tremendamente preoccupati - ha detto un portavoce dell'Onu - Moltissimo il personale disperso, con cui non riusciamo a stabilire alcun contatto».
L'enormità della catastrofe ha fatto scattare la solidarietà internazionale. A cominciare dagli Stati Uniti, il paese più coinvolto, nel bene e nel male, nella tragedia di un paese da decenni in preda alla povertà, alla dittatura e a governi eletti dal voto popolare spesso corrotti e incapaci: il presidente Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton hanno promesso aiuti immediati. La Banca mondiale ha promesso l'invio di una missione di esperti per valutare i danni e stilare piani per la ricostruzione del paese.
ATS
Devastata da quattro scosse tremende - la prima, più forte, di 7-7.3 gradi Richter - nel pomeriggio di ieri (poco prima della mezzanotte in Europa), la capitale di Haiti Port-Au-Prince, due milioni di abitanti, si è trasformata in un attimo in una distesa di rovine, un'enorme nube grigia di polvere con migliaia di persone inghiottite sotto le macerie.
Con il calare della notte, mentre i soccorritori hanno cominciato a reagire in ordine sparso, la città è diventata una macchia di oscurità totale, popolata di spettri accasciati sulle strade senza sapere dove andare.
L'ipocentro delle quattro scosse è stato ad appena 10 chilometri di profondità. Ravvicinati gli epicentri, tutti in terraferma e nelle vicinanze della capitale: a 15 km a sud-ovest la prima, a 25 km. a ovest-sud-ovest la seconda e la terza, a 30 km. a sud ovest la quarta.
«Tutto ha ballato, la gente ha urlato, le case hanno cominciato a crollare. Il caos è totale», ha detto un giornalista della Reuters sul posto.
Con il passare delle ore le dimensioni del disastro, subito definito da fonti americane «un'enorme catastrofe», assumono contorni sempre più tragici: i morti e dispersi nella sola Port-Au-Prince si conterebbero già a migliaia.
Nulla si sa per ora del resto del paese: comunicazioni telefoniche interrotte, nessuna notizia arriva dalle fonti ufficiali di un governo paralizzato e impotente. « Parlare di centinaia di vittime - ha commentato amaro il dirigente di un'organizzazione di volontariato - assomiglia ad una pietosa sottovalutazione».
A seminare la morte gli edifici più alti e più, in teoria, moderni: crollati come cartapesta ospedali, il palazzo presidenziale, vari ministeri, hotel cosiddetti di lusso nel paese più povero delle Americhe, edifici per uomini d'affari, grandi magazzini.
Anche il Quartier generale della missione militare e civile dell'Onu, che nel paese disloca ben 9.000 uomini - 7.000 militari e 2.000 poliziotti - è stato quasi raso al suolo. «Siamo tremendamente preoccupati - ha detto un portavoce dell'Onu - Moltissimo il personale disperso, con cui non riusciamo a stabilire alcun contatto».
L'enormità della catastrofe ha fatto scattare la solidarietà internazionale. A cominciare dagli Stati Uniti, il paese più coinvolto, nel bene e nel male, nella tragedia di un paese da decenni in preda alla povertà, alla dittatura e a governi eletti dal voto popolare spesso corrotti e incapaci: il presidente Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton hanno promesso aiuti immediati. La Banca mondiale ha promesso l'invio di una missione di esperti per valutare i danni e stilare piani per la ricostruzione del paese.
ATS