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Speculazione mondiale

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Re: Speculazione mondiale

Messaggioda franz il 21/05/2010, 17:59

trilogy ha scritto:Il governo tedesco e la Merkel in particolare sono un vero disastro ...


È il mercato signora Merkel
di Franco Debenedetti

Esortazioni a vietare le vendite allo scoperto, a mettere fuori legge i Cds, le assicurazioni contro il rischio d'insolvenza, si sono sentite più volte da quando è scoppiata la grande crisi finanziaria. Ad esse si è replicato dimostrando con analisi teoriche e prove empiriche che, poiché si tratta di pratiche utili al mercato e ai risparmiatori, vietarle porta più danni che vantaggi.

Analisi e prove che non è quindi il caso di ricordare a proposito dei provvedimenti contro la vendita allo scoperto emanati nella notte di martedì dal governo Merkel, in una giornata che ha visto l'Ecofin votare una direttiva che obbliga tutti i fondi alternativi (hedge e di private equity) a registrarsi in uno stato dell'Unione per poter continuare ad operare, e Angela Merkel messa sotto pressione dal suo stesso partito per introdurre una tassa sulle transazioni bancarie. Provvedimenti tutti di scarsa efficacia pratica, capaci di produrre effetti contrari alle intenzioni, ispirati da preoccupazioni di sola politica interna.

Scarsa efficacia: le disposizioni del regolatore BaFin si applicano solo ai titoli trattati alla Borsa di Francoforte. Non è chiaro che cosa succeda a quelli trattati su altre Borse. I Cds per l'80% sono negoziati sulla piazza di Londra, ed è inconcepibile che in Gran Bretagna il nuovo governo liberal-conservatore si adegui alla proposta tedesca (anche se incontra il consenso del regolatore finanziario Lord Turner). Se gli hedge fund saranno indotti a traslocare da Londra, dopo quella agli gnomi di Zurigo, faremo guerra alle sirene di Ginevra?

Conseguenze inintenzionali
: è sconcertante la sicumera con cui ci si è passati sopra senza curarsene. Senza chiedersi se sia di utilità o di danno alle 10 grandi società vedersi dichiarate bisognose di protezione da possibili attacchi. Se alletti o distolga i grandi investitori a cui dovremo chiedere di sottoscrivere le future emissioni di debito pubblico: se l'esempio viene seguito, finanziare i nostri debiti ci costerà un poco di più; se non viene seguito, che Unione è?

Se nel caso di un non improbabile indebolimento dell'euro, un intervento così massiccio non offra agli americani il destro per accusarci di beggar thy neighbor. Indicendo ritorsioni che potrebbero far risorgere lo spettro di quello a cui condussero meno di un secolo fa. Questi provvedimenti, e le giustificazioni che ne sono state date, aumentano o diminuiscono la credibilità dell'euro? Agire da soli, quando nell'Europa dell'euro (per non parlare di quella a 27) ci sono situazioni tanto variegate, aumenta o diminuisce la coesione a cui si turibola?

È lo Spiegel, non un giornale anglosassone in odore di euroscetticismo, a scrivere sul suo sito online che il bando alle vendite "nude" serve a venir incontro alla rabbia dell'opinione pubblica, ma che in realtà si tratta di un altro inganno, al solo scopo di dare l'impressione che il sistema politico ha la situazione sotto controllo. Chi semina vento... : quanti articoli si sono letti, anche da noi, anche su giornali che formano l'opinione pubblica, in cui la colpa di tutto viene attribuita all'ingordigia di Wall Street, alla speculazione fatta con i soldi altrui, alla complicità delle agenzie di rating, agli interessi che aspettano solo di lucrare dal fallimento dell'euro e dalla disgregazione dell'Europa? Possibile che si continui a non capire che il mercato non persegue scopi, né politici né economici, che la sola cosa che fa è attribuire prezzi alle cose, e che mettere le zeppe al suo funzionamento, dannoso sempre, diventa massimamente controproduttivo proprio nei momenti di turbolenza?

I mercati - o la speculazione, se si gradisce - non fanno che rilevare le contraddizioni dell'Europa. Dopo tutto quello che si è detto per giustificare l'assoluta necessità di evitare la ristrutturazione del debito greco, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble annuncia che in settimana avanzerà proposte di procedure per "insolvenze ordinate" di paesi dell'euro. Angela Merkel in parlamento ripete la necessità di rinforzare il Patto di stabilità e crescita (avrà ricordato quanto Germania e Francia hanno contribuito a indebolirlo?). Una giaculatoria anche quella, come ci si sta rendendo conto: «I mercati hanno ragione a diffidare del rigore di bilancio», scriveva ieri l'altro Martin Wolf nel suo editoriale sul Sole 24 Ore, senza crescita, nei paesi della periferia europea non ci sarà stabilità dei bilanci. «Da solo il cilicio s'indossa male», la sola strada è un miglioramento strutturale che faccia recuperare produttività e quindi aumentare le esportazioni.

Che cosa abbia a che fare tutto questo con il bando alla vendita allo scoperto, vorremmo scoprirlo anche noi.

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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda trilogy il 21/05/2010, 21:45

Oggi l'Euro quotava sul dollaro 1,2576, e a leggere i commenti di certi politici e giornalisti economici sembra di essere su valori da crisi terminale. Forse conviene riguardarsi le quotazioni degli ultimi 10 anni..... :mrgreen:
Il mercato finanziario è un posto dove le profezie, se sono convincenti, si autorealizzano.

1999
1° gennaio: nasce l'euro e vale 1,16675 dollari.
4 gennaio: sale a 1,1885 dollari, suo massimo storico.
2 dicembre: per la prima volta in parità con il dollaro.

2000
27 gennaio: scende sotto la parità col dollaro.
24 febbraio: l'euro aggancia la parità per l'ultima volta. La riconquisterà solo il 15 luglio 2002.
26 ottobre: l'euro crolla al minimo storico di 0,8229 cents. Il dollaro vale quindi oltre 2.350 vecchie lire.

2001
3 gennaio: i segnali negativi sull' economia Usa spingono
l'euro che inizia l'anno toccando un massimo di 95,70 cents.
5 luglio: l'euro in caduta tocca il nuovo minimo dell'anno a quota 83,71 cents.
13 agosto: torna nuovamente sopra quota 0,90 dollari.
11 settembre: attacchi terroristici alle Torri Gemelle e al
Pentagono, l'euro oscilla tra gli 0,8639 e gli 0,91 dollari.
17 settembre: l'euro tocca quota 93,31 cents.
8 ottobre: offensiva Usa in Afghanistan, euro a 92,14 cent.

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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda franz il 22/05/2010, 9:14

trilogy ha scritto:Oggi l'Euro quotava sul dollaro 1,2576, e a leggere i commenti di certi politici e giornalisti economici sembra di essere su valori da crisi terminale. Forse conviene riguardarsi le quotazioni degli ultimi 10 anni..... :mrgreen:
Il mercato finanziario è un posto dove le profezie, se sono convincenti, si autorealizzano.

Diciamo che gli analisti, preposti alla difesa del patrimonio che gestiscono e inclini a seconda del caso a vari rischi, immaginano "scenari" cercando di anticipare il futuro. Se molti immaginano lo stesso scenario ed agiscono di conseguenza, il loro agire modifica la realtà stessa, contribuendo a realizzare la "profezia". Alla base pero' c'e' sempre lo scenario immaginato, frutto di analisi il piu' possibile oggettive sul futuro andamento di determinati valori (il dollaro, l'euro, la dsoccupazione, înflazione, i tassi di interesse, le quotazioni del greggio, la produzione industriale, i consumi ...., i deficit ed i debiti delle nazioni).

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Prodi: «La speculazione è forte quando la politica è debole»

Messaggioda franz il 28/05/2010, 12:13

«Da un lato i mercati finanziari sono di fatto globalizzati; dall'altro gli strumenti per regolarli hanno ancora una dimensione locale, nazionale. E' questa la contraddizione che ci ha portato alla crisi». Romano Prodi, raggiunto al telefono nella sua casa di Bologna, non fa troppi sconti. Il Professore non nasconde le sue preoccupazioni: il futuro, perlomeno nell'immediato, non è roseo. «Questa dicotomia – dice - non sarà risolta in tempi brevi. Non vedo uno slancio, uno scatto in avanti in favore di una regolamentazione a livello mondiale».

Il problema della finanza è una conseguenza del più ampio fenomeno della globalizzazione…
La globalizzazione, in generale, sta provocando il cambiamento della sovranità nazionale. I mercati finanziari sono una parte del discorso. Lo stato westfaliano, come noi lo conosciamo, è oggetto di profondi mutamenti: è perforato da continui vasi comunicanti, essenzialmente per una duplice causa.

Vale a dire?
In primis, c'è il forte aumento del peso di istituzioni sovranazionali, quali per esempio l'Unione europea. Poi ci sono strumenti non istituzionali, come appunto le Borse e i mercati finanziari. Questi ultimi, però, sono guidati da forze non regolate in maniera sufficiente. E qui sta il guaio: fino a quando non lo affrontiamo, assisteremo al succedersi di altre crisi, di altri periodi di difficoltà.

Eppure, almeno a livello di dichiarazioni, c'è chi continua a richiamare il tema della riforma sistemica…
Sì, ma manca la politica. Non vedo all'orizzonte un forte accordo per il cambiamento. Fino all'aprile dell'anno scorso, si spingeva per una regolamentazione di tipo globale. Pian piano, le ambizioni sono diminuite; si è preferito ripiegare su argomentazioni di carattere tecnico, sulla soluzione di singoli aspetti del problema. Per carità, proposte pur sempre importanti ma che non affrontano il "peccato originale", non risolvono alla radice la contraddizione. Basta vedere quello che è successo per la Tobin tax.

Cosa intende dire?
In sé è una buona idea. Ma se non viene condivisa da tutti, se non c'è uno scatto in avanti della politica che la impone a livello planetario non ha senso. Può essere aggirata sempre e comunque, passando per qualche isola del Caimano.

Ma le regole sono veramente sufficienti a riportare nei giusti limiti un capitalismo finanziario che ha messo in atto la fuga in avanti?
Le regole sono tutto. Io parlo di accordi tra istituzioni, governi, organi che devono farle rispettare. La speculazione è forte quando la politica è debole. Se nel caso della Grecia avessimo avuto una politica con legami precisi, accordi precisi, strumenti precisi gli speculatori avrebbero preso una bastonata tale da ricordarsela per molto tempo.

Rimanendo sulla scala mondiale, molti auspicano una maggiore collaborazione tra Europa e Stati Uniti…
Su questi temi sarebbe utile arrivare ad una grande alleanza tra le due sponde dell'oceano Atlantico. Tuttavia, non credo che il governo di Washington sia in grado di prendere una simile iniziativa e le capitali europee non mi sembrano unite tra loro.

Perché pensa che il presidente Barack Obama non sia in grado di farsi promotore di un simile disegno?
Il mondo politico americano è diviso. Nel recente passato, soprattutto sul tema della finanza, ci sono state molte grida ma non grandi passaggi concreti. Non vedo un'idea che possa portare, per esempio, a dar vita ad una nuova Bretton Woods: cioè ad un grande accordo a livello mondiale. La conferenza, avviata nel 1944, avvenne in un momento in cui gli Stati Uniti potevano esercitare una forte leadership. Fu preparata da due anni di dicussioni. E poi, allora, il mondo era più piccolo: adesso bisogna coinvolgere molti più stati. Oggi come oggi solo il G20 potrebbe convocare, per il medio termine, un simile consesso. Tuttavia non vedo una spinta reale in tal senso. Non vorrei sembrare troppo pessimista, ma bisogna leggere la realtà con molta serietà.

Insomma, la politica non c'è. Per quale motivo?
Perché siamo in una fase ancora arretrata di cooperazione internazionale. Ci sono troppi players che vogliono giocare le loro carte. Gli stati nazionali hanno le loro prerogative, le loro regole cui non vogliono rinunciare. A ben vedere, non esiste un colpevole preciso. E' la storia che va avanti: già nel passato abbiamo vissuto periodi di grande mutamento, e nel futuro ce ne saranno altri. Di certo, però, la soluzione non è tornare al protezionismo. I mercati dei beni e quelli finanziari devono restare aperti, collegati tra loro e permettere una vita economica dinamica. Chiuderli significherebbe solo peggiorare le cose: il mondo tornerebbe verso la miseria e la guerra.

Passando a piano più limitato, quello dell'Unione europea, dopo lo scoppio della crisi greca abbiamo assistito ad accenni di maggiore integrazione: nell'ipotesi di riforma del patto di stabilità è ipotizzato, per esempio, che i bilanci statali possano sottostare a una valutazione ex ante del Consiglio europeo. Un passo che condivide?
Sì e mi auguro che, dopo la crisi, i provvedimenti adottati spingano ancora di più in questa direzione. La politica monetaria comune deve essere affiancata da una politica economica coordinata sui grandi temi. Altrimenti, la situazione non può più reggere a lungo.

Quest'impostazione, giocoforza, conduce alla limitazione della sovranità nazionale nella politica fiscale…

Credo che, sui grandi capitoli economici, sia un processo inevitabile. Poi, voglio essere chiaro. Se la domanda è: dev'esserci un sistema sanitario europeo? Bé, rispondo con forza di no. Il principio di sussidiarietà è una cosa seria e i servizi ospedalieri debbono rimanere vicino ai cittadini. Un discorso analogo può farsi, ad esempio, per lo stato sociale: seppure può immaginarsi un coordinamento tra gli stati, la sua organizzazione resta un tema di livello locale. E' compito della politica individuare e definire cosa è nazionale e cosa sovranazionale.

In tal senso è stata fatta la proposta di un'agenzia di rating europea, un progetto sensato?
Si tratta di un problema serio. Già parecchi anni fa non avevo una grande considerazione di queste società: vedevo come davano i voti. E, poi, se il loro giudizio dev'essere considerato oggettivo perché pubblicarlo a mercati aperti? Senza dimenticare, inoltre, il tema del conflitto d'interessi. Ciò detto, non sono favorevole ad un'agenzia europea che non potrebbe limitarsi a valutare non solo il debito sovrano ma anche i bond aziendali.

Una soluzione potrebbe essere quella di rafforzare la Bce, attribuendogli un potere di valutazione sul merito di credito…
E' un discorso serio. La Bce è indipendente e risponde, in definitiva, all'opininione pubblica europea. Il tema del rafforzamento degli organi comunitari è rilevante. Penso, per esempio, ad Eurostat: che senso ha poter verificare solamente la bottom line di un bilancio, quando non puoi analizzare se gli addendi da cui deriva sono falsi oppure no.

Torniamo al tema della maggiore integrazione e coordinamento, sempre però su i grandi capitoli economici
Insomma… Lei è un glocal

Certo che sì. Da tutta una vita sono glocal; quando ero presidente della Commissione europea ho tenuto la mia famiglia e le mie radici ben salde a Bologna, la mia terra.

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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda franz il 28/05/2010, 14:35

Vale a dire?
In primis, c'è il forte aumento del peso di istituzioni sovranazionali, quali per esempio l'Unione europea. Poi ci sono strumenti non istituzionali, come appunto le Borse e i mercati finanziari. Questi ultimi, però, sono guidati da forze non regolate in maniera sufficiente. E qui sta il guaio: fino a quando non lo affrontiamo, assisteremo al succedersi di altre crisi, di altri periodi di difficoltà.

Il testo di Prodi è lungo e contiene vari spunti. A mio avviso alcuni sono condivisibili, altri meno. Come da prassi ritengo sia da evitare la celebrazione osannante delle parti su cui si puo' convenire e mi concentro sugli aspetti discutibili.

Inzio quindi dalla parte "quotata". Le istituzioni nazionali e sovranazionali sono le principali responsabili dell'attuale ondata di crisi finanziaria, sia per i disastri diretti (grecia, portogallo e paesi simili, PIGS con una o due ""I") sia per quelli indiretti (francia e germania, per l'esplosione del loro deficit e debito) e per la reticenza ad interventi rapidi. Qui nel campo pubblico siamo nel pieno dominio della regolamentazione massima, che in realtà si manifesta con il massimo di inefficacia e ritardi. Ha ragione Prodi se da qui parte per sottolineare il fallimento della politica.

Vero Infatti che dove la politica è debole, il mercato impera. E con il mercato impera chiunque sia disposto a scommettere sul futuro. Ma se non ci fosse il mercato non regolamentato ed istintivo (se non ci fosse chi scommette sul futuro) difficilmente saremmo a conoscenza (comparativa) delle assuridtà commesse da chi agisce nell'ottica della "illuminata pianificazione", i cui disastri sovietici e cinesi già conosciamo, senza pero' ammettere tutte le conseguenze di questi fallimenti. Senza mercato pronto a punire gli errori, i pianificatori sovietici erano perfettamente sicuri della giustezza delle loro farneticazioni ideologiche. E questo vale non solo per i comunisti bolscevichi di qualche decennio fa ma anche per ogni tentazione di "prepotenza" o "predominio" della politica sull'economia, socialista o socialdemocratica.

Allora se è vero che un mercato non regolamentato non funziona, bisogna resistere alla tentazione di imbrigliarlo e reolamentarlo troppo. Le uniche regole ammissibili sono quelle che si basano sui diritti di vendere cose che si possiedono (o che ci si impegna a possedere) sulla contrattualistica legata alle vendite di cose attuali e future. Qui è apparso che troppi Stati, con il loro debito pubblico e con gli impegni a rimborsare a terzi questi prestiti, si sono dimostrati piu' inadempienti dei privati. Hanno venduto cose che non potevano garantire. Il caso Grecia (e prima l'Argentina) sono infinitamente peggiori - su scala planetaria - del caso Parmalat o dell'Ambrosiano. Quindi prima di dettar legge al mercato su come operare, bisognerebbe dimostrare una virtù pari se non superiore. L'assurdo è che chi pretende di "insegnare ai gatti ad arrampicarsi", si presenta con debiti che rappresentano l'80, il 100%, anche il 120% della ricchezza prodotta annualmente. Con che faccia costoro possono dire ai privati che quando il loro debito supera la metà del capitale sociale si devono portare i libri in tribunale? E se questo non viene fatto e si innesca una catena di fallimenti (effetto domino) è lecito dire che è colpa della speculazione?

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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda trilogy il 10/06/2010, 12:57

Buono questo articolo del Sole 24 Ore sull’insider trading sulla borsa italiana.

Secondo me, la parte più interessante è questa:
(..)la possibile «asimmetria informativa». Le notizie erano pubbliche, certo. Ma, almeno in Italia, nessuno sapeva dove andarle a cercare: come il proverbiale ago nel pagliaio. Possibile, dunque, che il rally del titolo Fiat sia stato spinto da qualche investitore americano che – trovando prima l'ago – ha guadagnato da questa «asimmetria»? Misteri oceanici.(..)

E’ un fenomeno noto in molti campi, dalla ricerca scientifica, all’economia, all’intelligence. La maggior parte informazioni sono disponibili a tutti, il problema è trovarle, comprenderle ed interpretarle in modo creativo. C’è un bel libro che tocca l’argomento “il secolo imprevedibile” l’autore è un analista che ha lavorato in molti settori e racconta di questo tipo di analisi, assemblare notizie che sono sotto gli occhi di tutti e trarne previsioni.

I semi di una grande scoperta sono costantemente presenti nell'aria che ci circonda, ma essi cadono e fanno radici soltanto nelle menti preparate a riceverli"
Joseph Henry
fisico
:D

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=AYgzPQxB
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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda trilogy il 31/08/2010, 11:26

Una riflessione di Nicholas Taleb sulla crisi finanziaria. Un personaggio di grande spessore Taleb: appassionato lettore di Popper, grande esperto di speculazione finanziaria sui derivati, calcolo delle probabilità, risk management ecc.
In italiano sono stati tradotti due suoi libri:
Giocati dal caso. Il ruolo della fortuna nella finanza e nella vita
Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita


Dieci regole esclusive per stregare il cigno nero
di Nassim Nicholas Taleb

Fonte:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AYHz0KLC

Ho scritto i seguenti dieci princìpi soprattutto nel l'intento di permettere alla vita economica di fronteggiare le necessità del Quarto quadrante dopo la crisi.

1. Quel che è fragile dovrebbe rompersi presto, finché è ancora piccolo
Nulla dovrebbe mai diventare troppo grande per fallire. L'evoluzione nella vita economica aiuta a crescere più degli altri coloro che hanno la massima quantità di rischi nascosti.

2. No alla socializzazione delle perdite e alla privatizzazione dei guadagni
Qualunque cosa possa aver bisogno di essere salvata da un dissesto dovrebbe essere nazionalizzata; qualsiasi cosa non abbia bisogno di essere salvata da un fallimento dev'essere libera, piccola e in grado di affrontare rischi. Noi siamo entrati nelle manifestazioni peggiori del capitalismo e del socialismo. In Francia, negli anni 80 del Novecento, i socialisti hanno assunto il controllo delle banche. Negli Stati Uniti, nel decennio 2001-2010 le banche hanno assunto il controllo del governo. Questa è una cosa surreale.

3. A coloro che hanno guidato uno scuolabus a occhi bendati (e lo hanno distrutto) non si dovrebbe mai affidare un altro autobus
L'establishment economico (le università, i regolamentatori, le banche centrali, i funzionari governativi, varie organizzazioni dotate di un personale formato in gran parte da economisti) perse la sua legittimità in coincidenza con il fallimento del sistema nel 2008. Sarebbe irresponsabile e folle riporre la nostra fiducia nella loro capacità di guidarci fuori da questo disastro. E da irresponsabili anche ascoltare consigli dagli "esperti di rischi" e dagli istituti di scienze commerciali che sostengono ancora le loro misurazioni e che ci hanno ridotto sul lastrico (come il metodo di misurazione del rischio value-at-risk). Scovate le persone intelligenti che hanno le mani pulite.

4. Non lasciare che una persona che si assicura un bonus di incentivazione possa gestire una centrale nucleare, e nemmeno i tuoi rischi finanziari
È molto probabile che una tale persona sia incline a fare tagli sulla sicurezza per presentare questi risparmi come "profitti", sostenendo di essere "prudente".

I bonus non si conciliano con i rischi nascosti di gravi imprevisti. È stata l'asimmetria del sistema dei bonus a condurci alla situazione attuale. Non ci sono incentivi senza disincentivi: il capitalismo distribuisce premi e punizioni, non solo premi.

5. Bilancia la complessità con la semplicità
La complessità derivante dalla globalizzazione e da una vita economica riccamente organizzata in reti ha bisogno di essere controbilanciata dalla semplicità nei prodotti finanziari. L'economia complessa è già una forma di leverage o di potenziamento dell'efficienza economica attraverso il debito. L'aggiunta di debiti a tale sistema può condurre a gorghi sfrenati e pericolosi e non concede spazio a errori. I sistemi complessi sopravvivono grazie al ristagno e alla ridondanza, non grazie al debito e all'ottimizzazione. Il capitalismo non può evitare manie e bolle. Le bolle azionarie (come nel 2000) si sono rivelate moderate; le bolle di debiti sono maligne.

6. Non dare ai bambini candelotti di dinamite, anche se hanno un'etichetta di garanzia
I prodotti finanziari complessi non devono essere proibiti per il fatto che nessuno li capisce e che solo poche persone sono abbastanza razionali da saperlo. Noi abbiamo bisogno di proteggere i cittadini da se stessi, dalle banche che vendono loro prodotti per la copertura delle perdite e da regolamentatori creduloni che danno ascolto ai teorici economici.

7. Soltanto gli schemi di Ponzi dovrebbero dipendere dalla fiducia. I governi non dovrebbero mai avere bisogno di "ripristinare la fiducia"
In uno schema di Ponzi (il più famoso dei quali è stato quello perpetrato da Bernard Madoff), una persona usa i fondi affidatigli da investitori recenti per restituire i loro fondi a investitori anteriori che desiderano recedere da un investimento. Le dicerie a cascata sono un prodotto di sistemi complessi. I governi non possono fermare le voci. Semplicemente, noi dovremmo essere in grado di ignorarle, di essere robusti a esse.

8. Non dare a un tossicodipendente altre droghe se ha crisi di astinenza
Prestare denaro a chi soffre per un indebitamento eccessivo nell'intento di aiutarlo ad alleviare i suoi problemi non è omeopatia, è rifiuto. La crisi per indebitamento non è un problema temporaneo, bensì un problema strutturale. Noi dobbiamo recuperare i tossicodipendenti.

9. I cittadini non dovrebbero dipendere da risorse finanziarie come depositi di valori e non dovrebbero fare affidamento sui consigli di "esperti fallibili" per il loro pensionamento. La vita economica dovrebbe essere definanzializzata. Noi dovremmo imparare a non usare i mercati come depositi di valore; essi non contengono le certezze che possono richiedere i normali cittadini, nonostante le opinioni degli "esperti". Gli investimenti dovrebbero essere destinati all'intrattenimento. I cittadini dovrebbero provare ansia per le loro attività economiche (che controllano), non per i loro investimenti (che non controllano).

10. Fai un'omelette con le uova rotte
Infine, nella crisi del 2008 non si trattò di riparare i guasti con metodi di fortuna, non più di quanto si possa rattoppare una barca dallo scafo marcio con soluzioni provvisorie. Abbiamo bisogno di costruire la nuova chiglia con un nuovo materiale (più robusto); dovremo rifare il sistema prima che esso si rifaccia da sé. Scegliamo di passare a un'economia robusta aiutando ciò che deve rompersi a rompersi da solo, convertendo il debito in azioni, marginalizzando le scuole di economia e di business, chiudendo i Nobel in economia, proibendo l'acquisto di società mediante finanziamenti attraverso debiti, confinando i banchieri nell'ambito che compete loro, recuperando gli indennizzi di coloro che ci hanno condotti in una certa situazione (esigendo, per esempio, la restituzione dei fondi pagati a Robert Rubin o ai banksters, le cui ricchezze sono state incrementate dalle tasse versate dai docenti scolastici) e insegnando alle persone a navigare in un mondo con meno certezze.

E a quel punto vedremo una vita economica più vicina al nostro ambiente biologico: aziende minori, un'ecologia più ricca, nessun uso speculativo di capitale avuto a prestito, in un mondo in cui sono gli imprenditori, non le banche, ad affrontare i rischi e in cui ogni giorno nascono e muoiono aziende senza fare notizia.
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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda trilogy il 13/12/2010, 15:31

Sono nove, si riuniscono il terzo mercoledì del mese, controllano tutta la finanza

CORRISPONDENTE DA NEW YORK

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplr ... 8&sezione=

Nove banchieri delle più importanti istituzioni finanziarie di Wall Street si riuniscono il terzo mercoledì di ogni mese nel Distretto finanziario di Manhattan per assicurarsi il controllo e la floridezza del mercato che più preoccupa la Casa Bianca: quello dei derivati.

L’amministrazione Obama ha tentato invano di sottoporli a rigidi controlli nella recente riforma finanziaria varata dal Congresso, e Paul Volcker, l’ex presidente della Federal Reserve consigliere dello Studio Ovale, ne è il critico più aspro, indicandoli come un mercato che «sfugge a ogni regola» e continua a minare la stabilità di Wall Street dopo aver già contribuito alla crisi del settembre 2008. Ma le pressioni di Casa Bianca e Congresso hanno una debole eco nelle riunioni che vedono attorno ad un tavolo banchieri di giganti come JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Deutsche Bank e Morgan Stanley interessati soprattutto a mantenere il controllo di scambi annuali per molti trilioni di dollari che sfuggono a ogni supervisione visto che i derivati sono prodotti finanziari in gran parte non quotati in Borsa.

Dunque vengono scambiati privatamente e spesso registrati nei bilanci in maniera così ambigua da suggerire sospetti di illeciti. E’ proprio per indagare sul possibile rischio di frodi capaci di mettere a rischio la stabilità delle maggiori banche - e dunque i risparmi di milioni di cittadini - che il ministero della Giustizia di Washington ha creato una task force investigativa, il cui titolare Robert Litan ha scoperto il segreto del «club del mercoledì» finito ieri sulla prima pagina del New York Times.

A dare corpo all’indagine sono state le testimonianze raccolte fra gli alti funzionari di Bank New York Mellon, fondata nel 1784, che hanno consentito di ricostruire come la loro richiesta di entrare nel «club del mercoledì» - che porta il nome di Ice Trust - sia stata rifiutata dai nove banchieri sulla base della convinzione che «la domanda non era sostenuta da un sufficiente volume di scambi di derivati durante l’anno».

«Si tratta di una risposta assurda perché siamo una delle banche da più tempo attive nel Distretto finanziario» ha fatto presente Sanjay Kannambadi, ceo della sussidiaria creata da Bank New York Mellon per entrare nell’Ice Trust, secondo il quale «il vero motivo per cui ci hanno tenuti fuori è la volontà di mantenere alti margini di profitto e di non condividere con altri la redazione delle regole che governano questo tipo di scambi».

Di fronte a tale ricostruzione Robert Livan non ha fatto altro che riscontrare la possibile creazione di un gruppo finanziario impegnato a gestire il mercato dei derivati con metodi non pubblici, sollevando lo scenario di qualcosa che assomiglia a una setta segreta di banchieri nel cuore di Wall Street per gestire i prodotti derivati che continuano a essere quelli capaci di garantire i maggiori profitti economici.

Da qui l’inchiesta, solamente all’inizio, che minaccia di mettere a soqquadro Wall Street. Gary Gensler, presidente della Commodity futures trading commission incaricata di regolare gli scambi della maggioranza dei derivati, suggerisce la necessità di «una maggiore supervisione sull’operato delle banche» al fine di scongiurare il rischio di intese non pubbliche destinate ad «aumentare i costi per tutti i cittadini americani». Ma i membri del «club del mercoledì» respingono tali accuse, affermando l’esatto contrario. «Il sistema creato consente di ridurre i rischi esistenti in questo mercato e fino a questo momento la cooperazione fra noi si è rivelata un successo» ha dichiarato al New York Times una portavoce di Deutsche Bank, lasciando intendere che il super-club svolge quelle mansioni di controllo che la riforma finanziaria non è riuscita ad assegnare ad alcuna istituzione.
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Re: Speculazione mondiale

Messaggioda flaviomob il 14/12/2010, 1:48

E allora bastoniamoli tutti, questi ribassisti. Dove si compra, il bastone?


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Tramonto occidentale

Messaggioda flaviomob il 11/01/2011, 11:03

Perché tocca a Obama gestire il declino degli Usa
di Vladimiro Giacché

Sul ruolo della finanza nella genesi della crisi attuale si sono versati fiumi d’inchiostro. Purtroppo, però, ai molti facili anatemi nei confronti di banchieri e “speculatori” si sono accompagnate poche analisi serie del fenomeno della finanziarizzazione dell’economia. Che non data da pochi anni, ma abbraccia gli ultimi decenni: una ricerca della McKinsey di qualche anno fa vedeva il rapporto tra il valore complessivo degli assets finanziari a livello mondiale e il prodotto interno lordo mondiale in crescita dal 100% del 1980 al 356% di fine 2007. Non si è insomma trattato di un fenomeno contingente, ma strutturale - e che quindi richiede di essere spiegato in quanto tale. C’è poi un secondo aspetto che merita attenzione: l’espansione dell’attività finanziaria non è affatto un fenomeno storicamente nuovo.

Proprio “la scoperta della finanziarizzazione come modello ricorrente nel capitalismo storico” rappresenta uno dei principali fili conduttori della ricerca di Giovanni Arrighi. Poco noto nel nostro paese e scomparso nel 2009, Arrighi è stato tra i maggiori studiosi delle dinamiche dell’economia internazionale. Una raccolta di suoi scritti appena pubblicata, Capitalismo e (dis)ordine mondiale (Roma, manifestolibri, pp. 232), rende facilmente accessibili al lettore italiano, anche grazie all’eccellente introduzione di Giorgio Cesarale, le linee fondamentali della sua ricerca.
Secondo Arrighi la finanziarizzazione dell’economia inizia negli anni Settanta, quando, a motivo delle pressioni salariali e dell’aumento del prezzo delle materie prime, la produzione manifatturiera nei paesi capitalistici più avanzati, e in particolare negli Stati Uniti, comincia a diventare meno redditizia. Si ha insomma una crisi di sovraccumulazione, con una sovrabbondanza di capitale che non riesce a valorizzarsi adeguatamente. A questo punto, dice Arrighi, “il capitale ha cercato di valorizzarsi in nuove direzioni”. Essenzialmente due: “da un lato, l’espansione produttiva poteva continuare in luoghi più periferici”; dall’altro “poteva interrompersi, e i profitti e gli altri surplus monetari essere investiti nella speculazione finanziaria, puntando ad acquisire, a prezzi stracciati, titoli che assicuravano rendite finanziarie e diritti sulle entrate dei governi”.

Per gran parte degli anni Settanta i due fenomeni sono andati di pari passo: in quegli anni, infatti, vi è stata un’enorme crescita dei prestiti internazionali ai Paesi del terzo mondo (e anche a quelli del cosiddetto “blocco socialista”). Negli Ottanta, invece, la musica cambia e il secondo tipo di espansione eclissa il primo. Con la violenta stretta monetaria attuata da Volcker nel 1979, che porta alle stelle i tassi d’interesse Usa, gli Stati Uniti cambiano le regole del gioco dei prestiti internazionali, costringendo i paesi del terzo mondo a pagare onerosissimi interessi sui debiti contratti e ricominciando ad attrarre nei paesi occidentali più sviluppati, a cominciare dagli stessi Stati Uniti, i maggiori flussi finanziari internazionali. Non a caso, a partire dagli anni Ottanta gli Usa conoscono una ripresa dei profitti, trainata dal settore finanziario, la cui proporzione sui profitti totali da allora crescerà progressivamente sino a raggiungere il 40% del totale nel 2007, alla vigilia della crisi attuale. In questo senso, la supremazia di Wall Street nella finanza internazionale ha consentito agli Stati Uniti, per un periodo relativamente lungo, di “volgere l’intensificazione della concorrenza per il capitale mobile a proprio vantaggio, alimentando i propri profitti e potere a spese del resto del sistema”.

Per Arrighi, però, non si tratta di una novità. Al contrario, “il gonfiarsi dei profitti e del potere statunitensi negli anni Novanta ha seguito un modello tipico del capitalismo mondiale fin dai suoi albori”. Lo stesso era avvenuto in Olanda a metà Settecento e in Gran Bretagna tra fine Ottocento e primo Novecento: anche allora, alla perdita di egemonia di questi Stati-guida del capitalismo mondiale nel settore manifatturiero, aveva fatto seguito una loro centralità nelle transazioni finanziarie internazionali. Anche se poi, precisa Arrighi, “in entrambi i casi i revival di potere, e le espansioni finanziarie che ne erano alla base, si conclusero 30 o 40 anni dopo il loro inizio, con il crollo totale dell’ordine egemonico in declino”.

La conclusione di Arrighi è assai netta. L’espansione finanziaria globale degli ultimi decenni non è né un nuovo stadio del capitalismo mondiale, né il sintomo dell’“egemonia emergente dei mercati globali”. Si tratta invece del “chiaro segnale del fatto che ci troviamo nel mezzo di una transizione egemonica analoga alle transizioni olandese-britannica e britannico-statunitense”. In che direzione? Per intenderlo è sufficiente constatare che, se l’egemonia finanziaria britannica era stata parallela all’affermarsi degli Stati Uniti come potenza industriale, allo stesso modo negli ultimi decenni “l’espansione finanziaria imperniata sugli Stati Uniti è stata accompagnata da uno spostamento del centro di gravità dell’economia globale dal Nord America all’Asia Orientale”.

Le modalità della transizione non sono meno importanti della sua direzione, se solo consideriamo che il crollo egemonico della potenza britannica fu contrassegnato da due guerre mondiali. Al riguardo Arrighi è comprensibilmente cauto nel prefigurare gli scenari futuri, pur non escludendo affatto l’ipotesi che si possa aprire una fase di “caos sistemico”.

In questo contesto, dopo il disastro della presidenza Bush, secondo Arrighi ad Obama spetta un compito tutt’altro che esaltante: quello di “gestire con intelligenza il declino, individuando politiche che si adattino al cambiamento nei rapporti internazionali”.

Che si tratti anche di un compito tutt’altro che facile, è quanto ci dicono con chiarezza i risultati delle elezioni di medio termine di novembre.

dal Fatto Quotidiano

http://www.sinistrainrete.info/crisi-mo ... o-giacche-


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