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Non una parola, non un pensiero...

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda incrociatore il 12/01/2009, 20:16

ma chi vuole giustificare cosa...
io non ho dubbi che Hamas sia un'organizzazione terroristica... trovo assurdo che si insista a trovare differenze tra il far saltare l'Hotel King David provocando quasi un centinaio di morti e non certo solo ufficiali inglesi, ma anche donne e bambini loro mogli e figli e un nutrito numero di altri poveracci che passavano di li, e i lanci di Kassam...
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda Loredana Poncini il 12/01/2009, 20:33

Un contributo : l'invito a leggere "Il fardello dell'uomo israeliano" di Barbara Spinelli ( La Stampa, 11.1.2009 ).
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda incrociatore il 12/01/2009, 20:42

franz ha scritto:
incrociatore ha scritto:Francesco, anche questa cosa delle zone desertiche che in mano agli israeliani diventano eden non è che va un po' smitizzata o quanto meno analizzata senza partigianeria? Una delle ragioni di disaccordo degli arabi non era solo la dimensione territoriale, ma anche che su quel territorio insisteva la più grande risorsa idrica della palestina... il lago di Tiberiade... poi certo che va riconosciuta una forte e coriacea intraprendenza agli israeliani, ma nemmeno loro fanno olio spremendo ghiaia.

E che i palestinesi non siano riusciti o stati capaci di fare altrettanto è un'altra bufala, anzi, in questo contesto una tremenda ingiustizia...

Per la storia dell'acqua israeliana, la scheda di wikipedia riporta la voce Ambiente
La scarsità di acqua ha spinto Israele a sviluppare svariate tecnologie di risparmio idrico, inclusa l'irrigazione a goccia.[25] L'abbondanza di insolazione ha invece spinto Israele a svillupare le tecnologie per lo sfruttamento dell'energia solare, per la cui produzione pro capite è prima al mondo.[26]

Quanto ai palestinesi io di certo non ho detto che non siano (stati) capaci di fare altrettanto e non mi pare che altri qui lo abbiano sostenuto.

ti cito:
2) sulle condizioni di vita .... basta saper usare google earth e vedere la differenza di colore tra le terre gestite dagli israeliani (verde) e quelle da loro non gestite (color sabbia). Eppure gli arabi moderati sanno anche loro fare altrettanto, infatti basta un po' di pazienza e google earth per vedere come l'Arabia Saudita ha saputo dare vita al deserto per migliaia km quadrati. Ma gli integralisti preferiscono usare risorse per comprare missili da lanciare contro Israele. Loro non capiscono perchè sono prigionieri della loro "visione tunnel", al pari dei 4 gatti che qui da noi li appoggiano "a prescindere".

;)

In una zona in cui l'acqua è preziosa mi pare del tutto ovvio che un organismo centrale controlli (anche nelle zone occupate) che non ci siano prelievi illegali che impoveriscano le falde. Il controllo ferreo (e le autorizzazioni) che citi pero' è relativo solo ai pozzi profondi. Chiaro che quando ci saranno due stati ognuno farà quello che ritiene giusto fare. Per ora Israele è giuridicamente forza occupante, salvo una parziale e graduale cessione di sovranità alla autorità palestinese. Come forza occupante ha doveri e responsabilità, come quelle del controllo dell'acqua.

adesso però, Francesco, non scadiamo nel ridicolo...
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 12/01/2009, 21:24

incrociatore ha scritto:
franz ha scritto:
Quanto ai palestinesi io di certo non ho detto che non siano (stati) capaci di fare altrettanto e non mi pare che altri qui lo abbiano sostenuto.

ti cito:
2) sulle condizioni di vita .... basta saper usare google earth e vedere la differenza di colore tra le terre gestite dagli israeliani (verde) e quelle da loro non gestite (color sabbia). Eppure gli arabi moderati sanno anche loro fare altrettanto, infatti basta un po' di pazienza e google earth per vedere come l'Arabia Saudita ha saputo dare vita al deserto per migliaia km quadrati. Ma gli integralisti preferiscono usare risorse per comprare missili da lanciare contro Israele. Loro non capiscono perchè sono prigionieri della loro "visione tunnel", al pari dei 4 gatti che qui da noi li appoggiano "a prescindere".

;)

Grazie della citazione, in cui appare chiaro che io non ho detto che i palestinesi non sono (stati) capaci.
Ho indicato la realtà (a meno che le immagini da satellite non siano artefatte, e chi vuole dimostrarlo ha l'onere della prova) e questa mostra, relativamente alla zona Gaza/Israele una situazione ottica che è comprensibile a qualsiasi non daltonico. In questi anni in cui Israele si è ritirato da Gaza (e non puo' imporre li' alcun controllo sui pozzi, cosa ben diversa quindi, ricordiamocelo, da west bank) chi governa gaza ha dato precedenza ai missil e non all'acqua.
Non ci sono scuse, non ci sono palle. A Gaza non c'è Makrot che tenga. Se vogliono fare missili, fanno missili, se vogliono scavare pozzi per irrigare lo lo fanno. E se vogliono, sanno scavare, come i piu' di 300 tunnel dimostrano.
incrociatore ha scritto:adesso però, Francesco, non scadiamo nel ridicolo...

Tra il ridicolo ed il tragico scusa se preferisco il rischio del ridicolo. :shock:

Ciao,
Franz
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 12/01/2009, 21:35

incrociatore ha scritto:ma chi vuole giustificare cosa...
io non ho dubbi che Hamas sia un'organizzazione terroristica... trovo assurdo che si insista a trovare differenze tra il far saltare l'Hotel King David provocando quasi un centinaio di morti e non certo solo ufficiali inglesi, ma anche donne e bambini loro mogli e figli e un nutrito numero di altri poveracci che passavano di li, e i lanci di Kassam...

Come dicevo, esiste il contesto temporale.
Quello era il quartier generale amministrativo dell'occupazione coloniale inglese.
Un obiettivo simbolico per quegli anni.
Solo un anno o due prima gli alleati avevano fatto molte piu' vittime civili in Italia, per non parlare di Dresda, Hiroshima e Nagasaki.
Ok, ora lo sappiamo, il torto degli ebrei è di non essere gandiani (ed il mahatma lo fece spesso notare).
Forse sono stufi di essere massacrati da 3000 anni senza reagire. Io li capisco.
Mi viene in mente cane di paglia, di Dustin Hoffman.
Ovvio che a furia di stare con gli zoppi, si impara a zoppicare.
Ricorda, caro amico, a mio avviso stanno rendendo solo un millesimo di quanto hanno ricevuto.

Ciao,
Franz
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 12/01/2009, 21:41

Loredana Poncini ha scritto:Un contributo : l'invito a leggere "Il fardello dell'uomo israeliano" di Barbara Spinelli ( La Stampa, 11.1.2009 ).

Faccio di meglio. Lo metto qui, cosi' possiamo leggerlo e commentarlo.
Grazie,
Franz



Il fardello dell'uomo israeliano

Non molto tempo prima dell’offensiva contro Gaza, il premier israeliano Ehud Olmert pose a se stesso e al proprio popolo una domanda gelida, senza precedenti. Una domanda non concernente i valori e la morale, ma la pura utilità.

Era il 29 settembre, e in un’intervista a Yedioth Ahronoth denunciò quarant’anni di cecità: quella d’Israele e la propria. Disse che era arrivato il momento, non rinviabile, in cui lo Stato doveva mutare natura e scegliere come vivere e sopravvivere: se guerreggiando in permanenza, o cercando la pace coi vicini.

Non negò le colpe di Hamas e di molti Stati arabi, ma invitò i connazionali a concentrarsi sul «proprio fardello di colpa». Il fardello consisteva negli automatismi del pensiero militarizzato: «Gli sforzi di un primo ministro devono puntare alla pace o costantemente aspirare a rendere il paese più forte, più forte, più forte, con l’obiettivo di vincere una guerra?».

Aggiunse che personalmente non ne poteva più di leggere i rapporti dei propri generali: «Possibile che non abbiano imparato assolutamente nulla? Per loro esistono solo i carri armati e la terra, il controllo dei territori e i territori controllati, la conquista di questa e quella collina. Tutte cose senza valore». L’unico valore da ritrovare era la pace, perseguibile a un’unica condizione: liquidando le colonie, restituendo «quasi tutti se non tutti i territori», dando ai palestinesi «l’equivalente di quel che Israele terrà per sé». Alla Siria andava reso il Golan, ai palestinesi parte di Gerusalemme. Così parlò il primo ministro d’Israele, non un preconcetto nemico dello Stato ebraico e del suo popolo.

Da queste parole sembra passato un tempo enorme e oggi non sono che fumo e fame di vento, come nel Qohèlet. Allora l’opportunità era imperativa, vicina. Nemmeno tre mesi dopo, la guerra è decretata «senza alternative». Allora Olmert pareva ascoltare gli intellettuali contrari alle soluzioni belliche: da Tom Segev a Gideon Levy a Abraham Yehoshua che tra i primi, su La Stampa, ha invocato negli ultimi giorni la tregua. Tre mesi dopo il pensiero militarizzato si riaccende e il dissenso si dirada. Non restano che Segev, Gideon Levy, Yossi Sarid. Perfino Yehoshua considera vana una reazione proporzionata ai missili di Hamas «perché la capacità di sopportazione e resistenza dei palestinesi è infinitamente superiore a quella degli israeliani». La domanda gelida di Olmert, a settembre, era la seguente e resta valida: «Che faremo, dopo aver vinto una guerra? Pagheremo prezzi pesanti e dopo averli pagati dovremo dire all’avversario: cominciamo un negoziato».

Secondo Olmert, Israele era a un bivio: «Per quarant’anni abbiamo rifiutato di guardare la realtà con occhi aperti (...). Abbiamo perso il senso delle proporzioni».
Non poche cose s’intuiscono, anche se ai giornalisti è vietato il teatro di guerra. Quel paesaggio che da giorni vediamo sugli schermi, alle spalle dei reporter, è praticamente tutta Gaza: non più di 40 chilometri di lunghezza, 9,7 chilometri di profondità. Con 360 chilometri quadrati, Gaza è più piccola di Roma e abitata da 1,5 milioni di palestinesi.

Inevitabile che in un lembo sì minuscolo i civili abbattuti siano tanti (metà degli uccisi, secondo alcuni). Inevitabile chiedersi se i governanti israeliani non persistano nella cecità, quando negano che la loro guerra sia contro i civili e un disastro umanitario.
Israele ha serie ragioni da accampare: i missili di Hamas sulle città del Sud, da anni e malgrado il ritiro unilaterale voluto da Sharon nel 2005, generano angoscia e collera indicibile, anche se i morti non sono molti. Ma ci sono cose non dette, in chi giustamente s’indigna: cose che questi ultimi nascondono a se stessi, dure da ammettere, non vere.
Non è vero, innanzitutto, che lo Stato israeliano reagisca senza voler penalizzare i civili.

Bersagliando i luoghi da cui partono i missili di Hamas, esso sa che subito Hamas e i missili si sposteranno altrove, e che in quei luoghi non resteranno che i civili: vecchi, donne, bambini. Lo dicono essi stessi, ai giornalisti: «Quando parte un missile vicino alle nostre case, scuole, moschee, sappiamo che non Hamas sarà colpito, ma noi». La domanda è tremenda: come spiegare agli abitanti di Gaza la differenza con rappresaglie che, come a Marzabotto, sacrificarono centinaia di civili al posto di introvabili partigiani?
Secondo: non è vero che non esistessero alternative all’attacco aereo e terrestre. Se la tregua con Hamas non ha funzionato, è perché mai iniziò veramente. Perché i coloni avevano evacuato la Striscia ma Israele manteneva il controllo dei cieli, del mare, dei confini. Il cessate il fuoco negoziato a giugno prevedeva la fine del lancio di missili palestinesi ma anche la rimozione del blocco di Gaza, imputabile a Israele. I missili son diminuiti, anche se non scomparsi: ne cadevano a centinaia tra maggio e giugno, ne son caduti meno di 20 nei quattro mesi successivi. Nulla invece è accaduto per il blocco.

Questo è il «fardello di colpe» israeliane, non piccolo, e ancora una volta la geografia aiuta a capire. Dice il governo d’Israele che dal 2005 Gaza appartiene ai palestinesi, ma che non è servito a nulla. È falso anche questo, perché Gaza essendo priva di autonomia non è messa alla prova. Non le manca solo il controllo dell’aria, del mare. Ci sono sei punti di passaggio che dovrebbero consentire il transito di cibo, acqua, elettricità, uomini (lungo la frontiera con Israele il valico Erez a Nord, i valichi Nahal Oz, Karni, Kissufim, Sufa a Est; ai confini con l’Egitto il valico Rafah) e tutti sono chiusi. Per una briciola come Gaza è impossibile vivere senza rapporti coll’esterno, ed essi sono bloccati da quando Hamas ha vinto le elezioni e rotto con Fatah. Anche in tal caso un’intera popolazione paga per i politici, e quando il cardinale Martino parla di campo di concentramento (altri parlano di prigione a cielo aperto) non s’allontana dai fatti. I tunnel servono a contrabbandare armi, è vero. Ma anche a trasportare cibo, medicine, pezzi industriali di ricambio. Il disastro umanitario a Gaza non comincia oggi. E quel milione e mezzo è lì perché cacciatovi dall’esercito israeliano nel ’48.
La punizione è parola chiave, in numerose guerre israeliane. Ma la punizione en masse dei civili non punisce in realtà nessuno, e accresce ire omicide nei contemporanei e nei discendenti. È una sorta di vendetta esibita. È guerra terapeutica che libera da inibizioni morali, guerra fatta per roteare gli occhi, scrive Yossi Sarid (Haaretz, 9 gennaio). È non solo feroce, ma vana. I missili di Hamas continuano a colpire e hanno addirittura allungato la gittata: ormai colpiscono Beer Sheva (36 chilometri dalla centrale atomica di Dimona) e la base di Tel Nof (27 chilometri da Tel Aviv).

Gaza e Cisgiordania sono più che mai interdipendenti. Quel che accade in Cisgiordania ha pesato amaramente su Gaza, e pesa ancora. In questo caso sì: non c’è alternativa alla decolonizzazione e al ritiro. Anche Israele, come tanti imperi, deve passare di qui. Deve smettere di separare i teatri d’azione: di edificare nuove colonie ogni volta che negozia o ogni volta che guerreggia su altri fronti, in Libano o a Gaza. È quello che teme anche oggi Dror Etkes, coordinatore dell’associazione israeliana Yesh Din (volontari per i diritti umani): «Posso certificare che proprio in queste ore stanno spianando terre in Cisgiordania per una nuova colonia presso Etz Efraim, e per un avamposto presso Kedumim». In un libro di Idith Zertal e Akiva Eldar (Lords of the Land, New York 2007) è scritto che la pace è irraggiungibile se non si riconosce che ogni singola colonia, e non solo i cosiddetti avamposti illegali, viola la legge internazionale; se non ci si spoglia dell’ossessione delle armi e delle terre idolatrate, che Olmert stesso ha denunciato poche settimane fa.
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda incrociatore il 12/01/2009, 21:54

franz ha scritto:...
Quello era il quartier generale amministrativo dell'occupazione coloniale inglese...

anche gli inglesi come Hamas si nascondevano fra i civili per farsene scudo... criminali!
:?
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda incrociatore il 12/01/2009, 21:55

franz ha scritto:Grazie della citazione, in cui appare chiaro che io non ho detto che i palestinesi non sono (stati) capaci.
Ho indicato la realtà (a meno che le immagini da satellite non siano artefatte, e chi vuole dimostrarlo ha l'onere della prova) e questa mostra, relativamente alla zona Gaza/Israele una situazione ottica che è comprensibile a qualsiasi non daltonico. In questi anni in cui Israele si è ritirato da Gaza (e non puo' imporre li' alcun controllo sui pozzi, cosa ben diversa quindi, ricordiamocelo, da west bank) chi governa gaza ha dato precedenza ai missil e non all'acqua.
Non ci sono scuse, non ci sono palle. A Gaza non c'è Makrot che tenga. Se vogliono fare missili, fanno missili, se vogliono scavare pozzi per irrigare lo lo fanno. E se vogliono, sanno scavare, come i piu' di 300 tunnel dimostrano.

ti risponde la Spinelli... mi sembra...
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda incrociatore il 12/01/2009, 22:21

Allarme acqua nella striscia di Gaza
(Dicembre 2003)

Nel Medio Oriente c’è una bomba ecologica a scoppio ritardato: la falda idrica sotto la striscia di Gaza, una delle regioni più densamente popolate del Medio Oriente, sta per esaurirsi. In una rara cooperazione, ingeneri israeliani e palestinesi lottano contro la prevedibile e disastrosa penuria d’acqua potabile che si prospetta. Nella striscia di Gaza, su un territorio di 365 chilometri quadrati, vivono circa 1,2milioni di persone. I palestinesi che vi abitano ricevono la maggior parte dell’acqua potabile dalla falda idrica in prossimità della costa mediterranea. Quest’acqua diventa sempre più imbevibile. Un gruppo di chimici e geologi israeliani, palestinesi e francesi ha ora accertato che il livello della falda si è notevolmente abbassato a causa degli enormi prelievi. La falda riceve l’acqua che affluisce da Israele, ma quest’acqua contiene elevate quantità di sali, nitrati e boro che ne contaminano la potabilità(dovuta alle forti concentrazioni di fertilizzante utilizzato nelle fattorie israeliane). Già oggi, molti pozzi non corrispondono più agli standard internazionali diigiene, afferma Avner Vengosh dell’Università israeliana Ben-Gurion, e il problemasi aggraverà ancora notevolmente. Secondo le stime, fino al 2010, il numero degli abitanti nella striscia di Gaza si raddoppierà raggiungendo 2,6 milioni di persone. “Il problema non è quello della quantità, ma della qualità dell’acqua”, dice Vengosh, “Si tratta di una potenziale bomba a scoppio ritardato”. In base ad un modello della falda, il gruppo di scienziati propone una soluzione del problema: costruendo un certo numero di grandi pozzi al confine orientale della striscia, si potrebbe intercettare il flusso d’acqua contaminata proveniente da Israele e rallentare la sua penetrazione nella falda d’acqua potabile. Secondo Vengosh questo progetto ha anche un altro vantaggio: L’acqua salmastra raccolta nei pozzi potrebbe essere dissalata e renderla così potabile. Vengosh mette inrilievo che: “Dal punto di vista israeliano non c’è niente da perdere”, l’acqua raccolta nei pozzi è troppo salata per essere utile senza potabilizzazione. Un taleprogetto potrebbe essere anche un segnale per stimolare la collaborazione israelo-palestinese. Quando si parla d’acqua, normalmente si aggravano i conflitti, ma inquesto caso nessuno può perdere”. E’ però incerta l’approvazione di Tel Aviv di un tale megaprogetto. Israele ha il monopolio dell’acqua potabile nella regione. Sin dalla guerra dei sette giorni, nel 1967, Israele controlla il Giordano, che è la principale fonte idrica del Paese, ma anche dei territori palestinesi, della Giordania e della Siria. Il fiume è alimentato dalle sorgenti sulle alture del Golan, anch’esse occupate da Israele nel 1967. Queste alture sono state l’unico accesso della Siria al Lago Tiberiade, da cui Israele ricava il 40 circaper cento del suo fabbisogno d’acqua potabile. Ciò nonostante, anche Israele si trova a dover fronteggiare un grave problema idrico. Dalla pace del 1994, Israele deve fornire annualmente 50 milioni di metri cubi d’acqua proveniente dal Lago Tiberiade alla Giordania. Nei caldi mesi estivi neevaporano quotidianamente un centinaio di migliaia di metri cubi e il livello del lago si abbassa costantemente. Gli avvertimenti degli ambientalisti israeliani non incontrano nessun interesse. Gli Israeliani invece continuano a consumare sfrenata-mente l’acqua, per esempio per le irrigazioni di parchi, giardini e aree agricole. Il governo concede l’acqua agli agricoltori a basso costo, per non destare opposizioni e malcontento. Ciò impedisce la costruzione di impianti di dissalazione, della cui tecnologia Israele è uno dei leader mondiali. Ognuna delle famiglie israeliane dellaregione litoranea e della Giordania occidentale consuma ogni giorno circa 250 litri d’acqua, mentre una famiglia media palestinese si accontenta di circa 60 litri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce, come minimo, un fabbisogno giornaliero di 100 litri. Secondo le stime, il fabbisogno idrico di Israele, della Giordania e della Palestina aumenterà fino al 2040 a 6,5 miliardi di metri cubi; le fonti attualmente sfruttate forniscono invece solo 3 miliardi.

Fonte: Spiegel-Online 5 novembre 2003
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Re: Non una parola, non un pensiero...

Messaggioda franz il 12/01/2009, 22:30

incrociatore ha scritto:ti risponde la Spinelli... mi sembra...

A me non sembra.
Risponde e dice cose giuste, che condivido, e meno giuste. Non è la bibbia solo perché è barbara spinelli.
1) Il blocco non è alimentare ma economico, focalizzato sulle funzioni amministrative e finanziarie.
I valichi sono sempre stati aperti, tranne i giorni in cui sono stati lanciati razzi.
Che come dice anche Barbara, sono continuati a lungo, anche se meno di prima.
E' continuato il contabando di armi. E' una evidenza sotto gli occhi di tutti.
2) "E quel milione e mezzo è lì perché cacciatovi dall’esercito israeliano nel ’48." Palle! i profugughi palestinesi furono invitati a lasciare le loro case dalla "avanzante ed inizialmente vittoriosa" armata araba, nel '48, con la promessa di un rapido ritorno.La cosa fu detta per radio e con trionfalistici proclami scritti. Sono tracce storiche.
Ovviamente poi ognuno scappa dalle zone di guerra ma a maggor ragione lo fa se l'esercto che afferma di difenderlo gli dice di tirarsi fuori dalle palle per pochi mesi cosi' puo' meglio sconfiggere il nemico ebreo, pardon sionista.

Ciao,
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