Dalle "due notizie" di Crepaldi:
qualche giorno fa è stata presentata la terza ricerca sui
conflitti dimenticati dal titolo "Nell’occhio del ciclone". Il lavoro, curato da Caritas Italiana, in collaborazione con il settimanale “Famiglia Cristiana” e il quindicinale “Il Regno”, approfondisce in particolare il legame tra conflittualità armata organizzata e degrado ambientale, tra povertà e cambiamenti climatici.
Nel corso degli ultimi dieci anni il numero di guerre è andato gradualmente calando, sia pure in modo non uniforme. I dati parlano di 24 conflitti attivi all’inizio del 2008, tra cui solamente cinque guerre con più di 1000 morti per anno, il numero più basso dalla fine della Guerra fredda. Nel decennio 1990/2000, 17 dei 33 paesi più poveri del mondo hanno subito guerre civili.
Uno degli elementi che emergono dalla ricerca risiede nella complessità delle attuali situazioni di conflitto ed emergenza umanitaria. Uno degli indicatori della complessità risiede nel crescente numero di situazioni in cui si
combinano disastri naturali, violenza e guerra. Da un lato i disastri ambientali costituiscono, di per sé, una situazione di conflitto e di rischio per la vulnerabilità e la sopravvivenza. In altri casi, un’emergenza di tipo ambientale può determinare una situazione di conflitto armato: si pensi agli effetti indotti dai cambiamenti climatici, dai disastri naturali e dalla lotta per il controllo delle risorse naturali ed energetiche. In particolare, acqua e petrolio rappresentano gli esempi più eclatanti. Si pensi al conflitto per il controllo delle rendite petrolifere nel Delta del Niger, oppure alle lotte causate o aggravate dalle tensioni idriche (come nel caso della Mauritania, del Mali, dell’Etiopia, dei territori palestinesi). Anche altri tipi di risorse possono scatenare una situazione di conflitto, si pensi alla lotta per i diamanti in Angola e Sierra Leone, al traffico di cocaina in Colombia, al mercato dell’oppio in Afghanistan, ecc.
La dimensione dei media è stata sondata attraverso un monitoraggio su radio e televisioni italiane e su alcune testate giornalistiche internazionali presenti su Internet. Le notizie sui tre conflitti/disastri «dimenticati» (Sudan, Pakistan, Colombia), corrispondono allo 0,3% di tutte le trasmissioni radio-televisive trasmesse in Italia dal luglio 2004 al dicembre 2007. I dati confermano l’esistenza di situazioni di emergenza umanitaria dimenticate da parte dei media radio-televisivi italiani, con una piccola sorpresa, costituita dalla buona copertura radiotelevisiva registrata dal Pakistan. Viene confermata la logica secondo cui la “notiziabilità” è ormai fortemente legata ad “eventi spettacolari”, cosicché l’attenzione mediatica è più forte quando viene rilevato un evento tragico (ambientale e/o umanitario), che diventa notizia per il breve periodo di apparizione della notizia.
La ricerca ha anche previsto un sondaggio sulla popolazione italiana, da cui si apprende – anche evidentemente in conseguenza di un sostanziale silenzio massmediatico - che il 20% degli italiani non è in grado di indicare alcun conflitto armato del pianeta risalente agli ultimi cinque anni. Vengono rimosse guerre come quella dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Palestina/Israele. Rispetto alla stessa rilevazione effettuata nel 2004, la percentuale di oblio aumenta di ben tre punti. Le nuove generazioni sono quelle meno informate: il 30% dei giovani non ricorda alcuna guerra. E questo nonostante l’utilizzo di Internet per informarsi sui conflitti
sia passato, negli ultimi quattro anni, dal 6 al 16%.
L’indagine mette inoltre il dito nella piaga relativamente alle risorse destinate ad aiuti allo sviluppo. I governi mondiali, nel summit mondiale di Rio de Janeiro (1992), adottarono un programma d’azione che includeva, tra l’altro, il raggiungimento di una quota di aiuti pari allo 0,7% del prodotto interno loro (per i paesi più ricchi). Tra il 2006 e il 2007, l’apporto dell’Italia agli aiuti allo sviluppo mondiale è caduto del 3,6%, passando in termini assoluti da 3.641 milioni a 3.509 milioni di dollari. Tale somma costituisce un magro 0,19% del Pnl italiano, meno della metà della media degli Stati europei, membri del Comitato di assistenza allo sviluppo (0,46%).
Ad avviso di Antonio Sciortino, direttore di “Famiglia Cristiana” i conflitti sono dimenticati perché “le responsabilità sono diffuse. E quelle dei media sono altissime […] bisogna che la politica, la cultura, i media di interroghino su quali sono le cause, su chi sono le vittime e chi i colpevoli. La situazione attuale (la forbice che aumenta tra ricchi e poveri) porta ragionevolmente a pensare che le sfide che ci attendono in campo umanitario diventeranno sempre più complesse. Già il numero dei rifugiati e degli sfollati è in aumento e si tratta di persone che hanno un nome un cognome una famiglia, progetti e sogni. Nessuno di noi può far finta di niente, nessuno di noi può dire non mi interessa, nessuno di noi può chiudere la porta. E non basta metter mano ogni tanto al portafoglio e dare qualcosa alla Caritas. Bisogna anche stimolare la politica ad essere più responsabile nelle azioni economiche, negli accordi internazionali sul commercio, nella considerazione dei diritti umani. Per evitare che a livello popolare si diffondano impotenza, sconforto, assuefazione. E passi l’idea che il mondo comunque debba stare fuori dalla porta della nostra casa.”

“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)