...quando pensiamo che votare e' inutile, quando decidiamo che non c'e' giustizia in Italia, quando ripetiamo che sono tutti ladri, quando concludiamo che senza un'informazione libera non c'e' niente da fare, quando diciamo che finche' il Vaticano si impiccera' dello Stato non si otterra' niente, forse dovremmo pensare a persone come
Lobna Ahmed Al Hoseini, la quale sicuramente si accontenterebbe della giustizia, dei partiti, delle possibilita', dello "schifo", delle intrusioni vaticane e non si porrebbe problemi ad andare a combattere per una migliore giustizia, per dei partiti piu' onesti, per delle possibilita' piu' decenti, per cacciare indietro proprio quello "schifo". Non so voi, ma io mi sento proprio una nullita' di fronte a gente come questa, o anche alle centinaia di donne che rischiano conseguenze durissime per andare a manifestarle solidarieta'.
Questo non e' un invito ad accontentarsi e nemmeno una facile morale fatta ad altri (visto che il primo che si sente una
merda di fronte a persone come queste sono io). Al contrario penso che e' proprio per evitare il configurarsi di situazioni come queste, che sia il caso di tenere duro. Pero' senza pensare che se non c'e' l'intervento di un qualche campione dall'alto ci sia ben poco da fare.
pagheca
Il caso della giornalista che agita il Sudan
Lobna Ahmed Al Hoseini a processo per aver indossato jeans in pubblico. Donne in piazza e tafferugli
KHARTOUM -
Quaranta frustate per un paio di pantaloni. È la condanna che rischia Lobna Ahmed Al Hoseini, quarantenne sudanese, giornalista e commentatrice del giornale di sinistra Al Sahafa (La stampa) dove tiene una coraggiosa rubrica dal titolo «Gli uomini parlano», nonché collaboratrice del settore media delle Nazioni Unite in Sudan. Lobna è stata fermata lo scorso 3 luglio dalla polizia di Khartoum assieme ad altre 12 donne perché indossava in pubblico un paio di jeans, abbigliamento giudicato nel Paese poco consono a una donna. Nella prima udienza, che si è tenuta il 29 luglio, il giudice ha solo preso atto della
scelta della donna di rinunciare all'immunità di cui avrebbe potuto avvalersi in quanto dipendente delle Nazioni Unite, licenziandosi per fare in modo che il processo segua le normali procedure. Martedì avrebbe dovuto svolgersi una nuova udienza, che è stata però rinviata al prossimo 7 settembre. Poco prima che iniziasse,
centinaia di donne si sono radunate davanti al tribunale della capitale per manifestare il loro sostegno ad al Hoseini, ma sono state poi state disperse dalla polizia con i gas lacrimogeni. Il giudice avrebbe deciso di aggiornare l’udienza per stabilire se la donna goda ancora dell’immunità. Se condannata, Lobna rischia appunto di subire 40 frustate in pubblico.
«Sono pronta ad affrontare ogni tipo di pena e non ho paura - ha affermato la al-Hoseini interpellata da al Arabiya - il mio obiettivo principale è quello di arrivare alla cancellazione dell'articolo 152 del codice penale che prevede questo tipo di reato che io ritengo ingiusto in quanto contrasta con la nostra Costituzione e con la sharia».
PROTESTE DAVANTI AL TRIBUNALE - Il caso di Lobna è diventato a tutti gli effetti un test per la legge sulla decenza vigente in Sudan. E ha scosso il Paese:
un centinaio di donne - alcune delle quali con indosso i pantaloni - si sono riunite davanti al tribunale centrale della città, il Khartoum North, prima dell'inizio del processo. Le manifestanti hanno esposto cartelli e scritte su fasce per capelli, dove si legge «No al ritorno ai periodi bui» e intonato cori contro la legge sulla pubblica decenza. «Siamo contro questa legge, che è contro le donne, contro l'Islam e contro i diritti umani», ha detto Zainab Badradin, una delle donne presenti. Casi giudiziari legati all'oltraggio alla pubblica decenza non sono infrequenti in Sudan, dove c'è un
consistente gap culturale tra i cittadini, in prevalenza arabi e musulmani, del nord e i cristiani del sud. Ma Hoseini ha suscitato l'attenzione dei media rendendo pubblico il suo caso, posando, con i suoi jeans verdi, per alcune foto ed invitando i giornalisti a ribellarsi contro questa legge che, saltuariamente, viene applicata nella Capitale. «La principale difesa che adotterà riguarda il fatto che i suoi pantaloni non erano assolutamente indecenti e, quindi, non è stata infranta nessuna legge», ha detto a Reuters l'avvocato difensore di Lobna, Adib Abdalla. «Se dovesse andar male, ci rivolgeremo alla corte costituzionale. Noi sosteniamo che questa legge, così ampia nella stesura, contravviene ai diritti fondamentali di Hussein, al suo legittimo diritto di un giusto processo». Molti dei gruppi che ora si ribellano sostengono che nella legge non ci sia una chiara definizione di abbigliamento indecente, una mancanza che affida la decisione dell'arresto delle donne completamente nelle mani dei poliziotti.
da
http://www.corriere.it/esteri/09_agosto ... aabc.shtml