Centinaia di migliaia in fuga nel Nord Kivu
I filo-ruandesi sono vicini alla capitale
Congo, i ribelli verso Goma
Le Ong: "Emergenza ignorata"
Un volontario italiano: "Siamo ormai in una terra di nessuno"
di ALESSIA MANFREDI
GOMA - Centinaia di migliaia di persone sfollate, in fuga. Impaurite, costrette a lasciare la propria casa per scappare dagli scontri armati: un'emergenza umanitaria che sta mettendo in ginocchio la provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, avvolta da un silenzio assordante.
Nel nord-est del Paese, i ribelli del Cndp dell'ex generale dissidente filo-ruandese Laurent Nkunda si scontrano ormai da giorni senza sosta con le forze dell'esercito regolare congolese. A pochi chilometri da Goma, la capitale della provincia al confine con il Ruanda, si combatte con armi pesanti. Contro l'avanzata dei ribelli l'Onu ha schierato gli elicotteri da combattimento, ma i caschi blu sono in difficoltà; e un nuovo esodo di civili punta verso la capitale che i ribelli minacciano di conquistare "entro tre giorni".
"La strada tra Rutshuru e Kibumba è terra di nessuno, qui a Goma si sentono continuamente colpi di mortaio dalle colline" racconta al telefono Gavin Braschi, responsabile dei progetti della VIS a Goma. L'ong Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, promossa dal centro nazionale opere salesiane, ha diverse iniziative sul territorio, soprattutto a favore dei ragazzi: educazione, lotta alla malnutrizione, inserimento socio-economico dei più deboli, come i ragazzi-soldato. Ed è testimone diretta di una situazione che precipita di ora in ora: "Per ora la popolazione è calma, ma in città gli esercizi commerciali sono chiusi, banche comprese" continua Braschi, interrotto più volte dal fischio di una sirena. Chi può cerca di andarsene. Si sta cercando di evacuare il personale in zona e il VIS ha già fatto partire cinque volontari: ora a Goma, lontana dal fronte solo una decina di chilometri, rimangono in quattro.
Dopo una guerra decennale e cinque milioni di vittime, il Congo si trova ad affrontare una nuova pesante crisi umanitaria. Gli sfollati - per l'Onu sono 250mila solo da agosto, quando il cessate il fuoco siglato a gennaio è diventato carta straccia - aumentano di giorno in giorno. Epidemie di colera e diarrea hanno già ucciso decine di persone nei centri di accoglienza, spesso improvvisati. Il Monuc, la missione Onu in Congo, ha suggerito alle ong di congelare le attività: i caschi blu sono impegnati al massimo nel contenere l'avanzata dei ribelli e non possono assicurare protezione o assistenza.
"Nel nostro centro ci sono 250 ragazzi e non possiamo lasciarli soli" dice Braschi, ma il rischio è che la situazione si destabilizzi. "Arrivano migliaia di persone e Goma non è pronta ad accoglierle. C'è una sensazione di panico, insicurezza che si va cronicizzando, ma, tristemente, questo sembra non interessare a nessuno", racconta.
L'ennesima tragedia che cade nel silenzio: Medici senza frontiere ha rilanciato l'allarme per il Nord Kivu nel suo rapporto annuale, attribuendo alla provincia il triste primato di una delle crisi più ignorate del globo. Una guerra di fronte alla quale la comunità internazionale appare impotente, e la missione Onu un fallimento, denuncia l'organizzazione umanitaria. Ufficialmente il conflitto è fra i miliziani ribelli del Cndp, che affermano di agire per difendere la comunità tutsi, e le forze governative congolesi, accusate di collaborare coi miliziani hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), presenti nel Nord Kivu dagli anni '90. Kinshasa accusa il Ruanda di armare gli uomini di Nkunda, Kigali nega ogni coinvolgimento, ma la tensione cresce. Di fatto, l'assenza di una soluzione negoziata chiara e la mancanza di autorità del governo nella regione orientale del Paese lasciano campo libero a diverse bande armate interessate alle risorse minerarie di cui il Nord Kivu è ricco, che agiscono nell'impunità seminando il panico fra la popolazione.
L'escalation degli ultimi giorni non è una sorpresa, spiega Braschi. Era nell'aria da tempo,. "Per ora contiamo di rimanere", conclude. Finché sarà possibile.
(29 ottobre 2008)
www.repubblica.it