Riporto alcuni estratti da articoli molto interessanti sulla rivoluzione nordafricana; non li copio in versione integrale a causa della loro lunghezza.
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Le vere cause delle rivolte in Nord Africa
di Domenico Moro
Le rivolte che, partite dalla Tunisia, si sono estese in tutto il Nord Africa sono state spiegate dai media nostrani, secondo l’ideologia democratica occidentale, come rivolte contro il dispotismo. Tale categoria, però, non spiega perché “despoti” al potere da quaranta anni siano stati messi fuori gioco in poco tempo, né la diffusione rapidissima del contagio in un’area molto vasta. Le cause di quanto sta avvenendo sono senza dubbio molteplici e complesse, ma certamente vi giocano un ruolo importante il modo in cui sono state gestite la crisi mondiale e la globalizzazione.
Il centro del sistema capitalistico mondiale, gli Usa, ha scelto di risolvere la crisi, di cui è stato epicentro nel 2007, mantenendo i tassi d’interesse sul denaro vicini allo zero e procedendo all’immissione di una massa enorme di denaro nel sistema economico mediante il cosiddetto “quantitative easing”. Questo consiste nell’acquisto di titoli del Tesoro per 600 miliardi di dollari da parte della Banca centrale Usa, cui è stata aggiunta la proroga, per 800 miliardi di dollari, degli sgravi fiscali dell’epoca Bush. In questo modo lo Stato Usa ha rilanciato il Pil (nel 4° trimestre 2010 al 3,2%) e i profitti delle imprese (+35%) e delle borse, specie di Wall street, che non chiudeva in rialzo per nove settimane di fila dal ’95.[1] Si tratta però, come accaduto a seguito della crisi del 2001, di una crescita drogata che non risolve la crisi, anzi la aggrava, aumentando il gigantesco debito pubblico, e lasciando inalterata la forte disoccupazione (10%).[2]
Il quantitative easing non risolve la crisi ma soprattutto la estende agli altri paesi, essendo gli Usa al centro del sistema finanziario internazionale. L’effetto più importante della manovra del governo Obama è la diffusione a livello mondiale dell’inflazione. Infatti, l’enorme liquidità creata trova impiego nelle attività speculative di borsa, che garantiscono profitti maggiori, anziché nell’attività produttiva. [...]
Tra gennaio 2010 e gennaio 2011, le materie prime energetiche sono aumentate del 20,4%, i metalli del 28,3%, e le materie prime alimentari del 32%. I maggiori aumenti sono stati registrati dal grano (62%) e dal frumento (58,7%).[3] In particolare, i prezzi di mercato del grano sono passati da 177,5 dollari a tonnellata del 2° trimestre 2010 ai 326 dollari del gennaio 2011.[4] Pur essendo vero che il mercato del grano è stato influenzato dalle pessime condizioni atmosferiche e dai cattivi raccolti di alcuni paesi esportatori, come Russia e Australia, è però altrettanto vero che la volatilità dei mercati è la condizione migliore per chi specula con i futures. Del resto, persino il caffè, che non c’entra nulla con l’Australia e la Russia, è cresciuto ai massimi da tredici anni.
L’aumento delle materie prime alimentari ha avuto un impatto maggiore nei paesi più poveri, dove una quota molto maggiore del reddito viene spesa in alimenti. Mentre in Italia la spesa alimentare ammonta al 17,5% dei consumi, in Egitto raggiunge il 48,1%. L’impatto peggiore si è avuto proprio in Nord Africa, perché è l’area più lontana dall’autosufficienza alimentare e la maggiore importatrice di grano mondiale (21,4 milioni di tonnellate), seguita dal Medio Oriente (18,72 tonnellate). In particolare, l’Egitto, verso il quale la Russia ha recentemente interrotto i rifornimenti, è il primo importatore mondiale, e l’Algeria, che prima di essere convertita alla monoproduzione energetica era un esportatore netto di cerali, il secondo.[5] Di conseguenza, in queste aree i prezzi dei generi alimentari sono incrementati vertiginosamente (del 20% in Algeria). [...]
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Il Mediterraneo è l'avvenire dell'Europa
Dialogo fra Alain de Benoist e Danilo Zolo (*)
Alain de Benoist. Lei è stato l'architetto, insieme a Franco Cassano, di un libro collettivo di oltre 650 pagine intitolato L'alternativa mediterranea (1). Citando Peregrine Horden e Nicholas Purcell - che nella loro opera monumentale The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History (2000) scrivono: «l'unità e la coerenza dell'area mediterranea sono indiscutibili» - aggiungete: «"Unità" non significa uniformità culturale o monoteismo», ma al contrario «pluriverso». Nel corso della storia, dalle guerre di Atene contro Sparta o dal grande scisma d'Oriente alla divisione attuale dei paesi arabi, passando per le avventure coloniali francesi e britanniche, non è che il Mediterraneo sia sempre stato profondamente diviso? Aldilà dei conflitti di cui il Mediterraneo è stato testimone, secondo Lei, cosa crea questa unità mediterranea, sia a livello storico e geografico che a livello spirituale, ambientale o simbolico?
Danilo Zolo. Come è noto, un contributo di grande rilievo al dibattito sulla questione mediterranea, e quindi sull'unità del Mediterraneo, è stato offerto da Fernand Braudel. Ed è appunto al suo pensiero storiografico che si ispira il libro che Franco Cassano ed io abbiamo recentemente curato per l'Editore Feltrinelli. Mentre Henry Pirenne aveva elaborato lo schema della cesura dell'unità mediterranea a causa della conquista araba del Medio Oriente e dell'Africa del Nord, Braudel ha valorizzato il pluralismo delle fonti culturali che hanno dato vita alla civiltà mediterranea.
È un fatto incontestabile che la tradizione greca e quella latina hanno interagito con la cultura ebraica e con il mondo arabo-islamico grazie, fra l'altro, alla feconda mediazione degli ebrei spagnoli e dei moriscos, rifugiati in massa nel Maghreb nel corso del Cinquecento. Contro gli stereotipi dell'egemonia greco-latina, dell'orientalismo e del razzismo coloniale, Braudel e la "scuola algerina" hanno rivalutato la cultura araba: il suo immaginario artistico, la grande tradizione speculativa, medica e matematica. Come Peregrine Horden e Nicholas Purcell hanno più recentemente sostenuto nella scia della lezione di Braudel, c'è un elemento che dal punto di vista storico-ecologico unifica il Mediterraneo e lo distingue da ogni altra area geografica: è la rara coesistenza fra un ambiente naturale nel quale le comunicazioni umane si sono agevolmente sviluppate lungo le sponde marine e una topografia costituita da nuclei sociali di ridotte dimensioni, dislocati e frammentati lungo le coste e nelle isole. La singolarità orografica, il clima temperato e una vegetazione particolare - la vite, l'ulivo, gli agrumi - hanno fatto del Mediterraneo uno spazio ecologico che per millenni ha favorito, lungo tutte le sue sponde, la formazione e la stabilizzazione di strutture abitative, di colture rurali e di sistemi commerciali spazialmente dislocati e frammentati, ma nello stesso tempo in stretta comunicazione fra loro. L'intensità delle relazioni comunicative, dei travasi culturali, dei rapporti commerciali, degli incroci demografici e degli scambi più diversi, inclusi i conflitti, le guerre, le crociate e le scorrerie piratesche, hanno contribuito a forgiare una solida koiné culturale e civile. Lo sviluppo della cultura europea, a cominciare dalla eccezionale esperienza di Al-Andalus, si è intrecciata con la tradizione coranica. Queste radici comuni non sono state divelte neppure dai più aspri antagonismi e hanno prodotto frutti ricchissimi. Basti pensare che l'area mediterranea vanta la più grande concentrazione artistica del mondo. L'unità e la grandezza del Mediterraneo - questa è una delle tesi centrali del nostro libro su L'alternativa mediterranea - sta nella longevità del suo 'pluriverso' culturale che a rigore si è articolato non entro 'un mare', ma entro un 'complesso di mari'. E si è trattato, come ha scritto Braudel, di mari "ingombri di isole, tagliati da penisole, circondati da coste frastagliate [...] la cui vita si è mescolata alla terra e non è separabile dal mondo terrestre che l'avvolge". In questo senso il Mediterraneo ha preservato la sua unità in quanto 'mare fra le terre', resistendo alla sfida proveniente dai grandi spazi oceanici e continentali scoperti dai navigatori spagnoli e portoghesi. Si potrebbe dire, attualizzando, che le 'civiltà mediterranee' sono sopravissute resistendo all''atlantismo' americano. [...]
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02 ... -in/94044/
Archivio cartaceo | di Massimo Fini
26 febbraio 2011
L’inizio della fine
Le rivolte popolari in Tunisia, Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Bahrein segnano l’inizio della fine dell’Impero americano, e occidentale, in quelle regioni. Da quando hanno vinto la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti, nonostante tutte le loro belle parole di democrazia, hanno sostenuto i dittatori più infami, corrotti e sanguinari, purché gli facessero comodo, quando non hanno fomentato direttamente dei golpe militari. E questa realpolitik imperialista gli si è sempre ritorta contro o li ha messi in situazioni insostenibili.
Il sostegno al dittatore cubano Batista ha generato il castrismo. Il golpe militare organizzato da Henry Kissinger contro Salvador Allende, colpevole di esser socialista e non prono agli interessi yankee, ha portato il Cile, sia pur col tempo, nella “linea Chávez” di indipendenza di buona parte dell’America latina dall’ingombrante tutela di Washington. Il sostegno al patinato Scià di Persia che rappresentava sì e no il 2% della popolazione iraniana, una borghesia ricchissima mentre il resto del Paese moriva di fame, e che governava con la Savak, la più famigerata polizia segreta del Medio Oriente, il che è tutto dire, ha partorito il khomeinismo da cui ha origine la riscossa islamica. Il sostanziale sostegno ai “signori della guerra” somali ha aperto la strada alle Corti islamiche, molto simili ai talebani afghani, che avevano riportato in quel Paese, precipitato nel più pieno arbitrio, l’ordine e la legge, sia pur un duro ordine e una dura legge, la sharia.
Il sostegno ai “signori della guerra afghani”, Massud, Dostum, Ismail Khan, contro i talebani che avevano portato sei anni di pace in Afghanistan dopo tanti di guerra, li ha messi in una situazione insostenibile, avendo i guerriglieri ripreso il controllo dell’80% del Paese, per cui oggi vanno in giro col piattino pietendo dal Mullah Omar una mediazione. [...]