da pierodm il 16/01/2009, 11:16
Guido
Hai cercato di spiegare, e va bene. Certe cose sono giuste, altre più discutibili, altre sono una libera interpretazione che ne vale un'altra opposta.
Ma il punto non è questo - per me almeno, non so per Pino.
Il punto è che c'è in Italia, oggi molto più di prima, una tendenza ad aver paura di essere sempre "eccessivi": un po' troppo idealisti, un po' troppo liberali, un po' troppo radicali, giustizialisti, massimalisti, manichei, moralisti, socialisti, insomma sempre un po' troppo "a sinistra" - in un'interpretazione tutta italiana che chiama massimalista, manichea, giustizialista, giacobina qualunque posizione sia semplicemente chiara e coerente con alcuni principi essenziali della democrazia.
Una sindrome che ha una lunghezza d'onda "storica", che cioè travalica i dettagli della cronaca e delle metamorfosi sociologiche.
Lo vediamo anche nel modesto ambito delle nostre discussioni recenti: dei sessant'anni di storia italiana l'unico fenomeno che molti riescono a vedere in modo gagliardamente negativo è l'esistenza, il comportamento, i limiti della sinistra, che equivale a dire in sostanza che c'è stata "troppa sinistra".
Con quali risultati per la sinistra lo vediamo bene: per il momento ne è scomparso il nome, fra non molto ne scomparirà anche il ricordo - unico paese democratico europeo, più o meno. Il trionfo della forza di gravità.
I diversi raid nella memoria che possiamo fare, insomma, servono semplicemente a capire la misura e le sfaccettature di questa sindrome, al di là dell'analisi puntuale dei diversi momenti e personaggi.
Vittorio
Hai ragione a farmi questa domanda. Ma una risposta "ragionata" sarebbe forse troppo lunga: diciamo che la puoi ricavare nell'insieme dei miei interventi, quelli passati e quelli che verranno.
In estrema sintesi, potrei dire: il socialismo. Aggiornato, evoluto, modernizzato, ma sostanzialmente socialismo: democratico, liberale, libertario.
Naturalmente, capisco bene che anche il PD - nelle sincere e buone intenzioni di Veltroni - dovrebbe rappresentare quella "evoluzione" di cui sopra. Dovrebbe e, teoricamente, potrebbe. Ma non credo che la realtà corrisponda a quest'ambizione, e non per una deficienza contingente superabile con la "buona volontà", ma per un difetto genetico sostanziale, che in parte si ricollega a quello che dicevo sopra a Guido.
Ricordo, a questo proposito, una barzelletta piuttosto scema, ma sintomatica, che circolava al tempo del Concilio: due prelati che s'incontrano in treno e conversano piamente sulle novità conciliari, e ad un certo punto uno di loro obietta: "Sì, tutto giusto ... però, fratello, quest'ultima enciclica del "porcum deum" mi sembra un po' eccessiva...".
L'obiezione fondamentale che in genere si usa frapporre a questa tesi "socialista" - l'obiezione più intelligente, intendo - è quella delle trasformazioni che ha avuto la nostra società occidentale, oltre che il mondo nel suo insieme, che avrebbe reso il socialismo obsoleto.
Trovo che questa sia un'obiezione intelligente solo se applicata ad una serie di fenomeni, in quanto pone l'accento sull'importanza delle mutazioni sociali che sono avvenute negli ultimi decenni, che hanno depotenziato alcune rivendicazioni tipiche del socialismo di origine ottocentesca che si erano mantenute vive quasi per tutto il secolo successivo.
Ma questa è la situazione nella quale si trova la gran parte delle ideologie e delle prassi sulle quali fondiamo il nostro sistema politico: il liberalismo, per esempio, e il capitalismo sono forse ancora più obsoleti del socialismo - sicuramente più "vecchi" come età anagrafica, per dirne una - e lo stesso regime democratico e le sue istituzioni mostrano di essere irrimediabilmente inadeguati alla nuova realtà del mondo.
Gli stessi concetti e i valori, i termini, il linguaggio con il quale articoliamo le nostre leggi, le nostre istituzioni, la nostra discussione politica, suonano sempre più come pura retorica, ovvero contenitori dentro i quali è sempre più difficile far entrare la realtà delle cose.
Quindi, io vedo l'evoluzione del socialismo all'interno di una generale evoluzione della democrazia, di un aggiornamento e adeguamento dei suoi concetti fondanti e delle sue istituzioni.