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Ragioni per augurarsi la scissione del Pd

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Ragioni per augurarsi la scissione del Pd

Messaggioda ranvit il 16/02/2017, 8:21

Concordo. 8-)


Ragioni per augurarsi la scissione del Pd
Con il mercato o no? Non è più tempo per la sinistra parzialmente incinta
Claudio Cerasa
di Claudio Cerasa
15 Febbraio 2017 alle 19:54


In un mondo che cambia a una velocità mai vista – con i populismi che si fanno strada, il lepenismo che avanza, il commercio internazionale minacciato dal nuovo protezionismo e i nazionalismi che si fanno spazio nel dibattito quotidiano coccolati da un’opinione pubblica che spaccia forme aggiornate di fascismo digitale per nuove e benefiche ondate anti sistemiche – dover mettere a tema la questione della “scissione del Partito democratico” è come occuparsi della comodità o meno di una poltrona di un aereo nel momento in cui il pilota segnala una grave avaria che potrebbe far precipitare tutti i passeggeri in mare. Ma siccome in Italia ci si sta occupando proprio della comodità di una poltrona (il congresso) mentre un aereo (l’occidente liberale) sta per precipitare bisogna tentare di dare un senso a questa storia, che al contrario di quello che direbbe Vasco Rossi un senso ce l’ha.

La scissione del Pd oggi viene spacciata per una mera questione procedurale (la data del congresso, non fateci ridere, per favore) ma in realtà nasconde un problema importante che riguarda l’identità stessa della sinistra italiana: da che parte della storia stare. Quando una parte del Pd sostiene che Renzi abbia tradito i valori tradizionali della gauche del nostro paese dice il vero. Il segretario dimissionario ha provato a inscrivere il Pd nel solco della tradizione liberale e ha cercato di muoversi sulla scacchiera della politica con un’idea precisa, seppur a volte non lineare: costruire un partito a vocazione maggioritaria puntando a raccogliere i voti degli elettori non solo progressisti attraverso il superamento di una serie di tabù che per decenni ha immobilizzato la nostra sinistra.

Ciò che si può rimproverare a Renzi, dunque, non è averci provato, ma non essere andato fino in fondo nel progetto di riforma radicale della gauche italiana e probabilmente gli elettori del Pd che rivoteranno Renzi alle prossime primarie lo faranno chiedendogli questo: rompere con forza i tabù che fanno dell’Italia uno dei paesi meno in salute d’Europa (occupandosi per esempio del perché il valore del pil per ore lavorate in Italia equivale a 41 euro mentre in Germania a 52 euro) ed evitare che la sinistra torni rapidamente al medioevo della politica.

La ragione per cui una scissione potrebbe esserci è che la sinistra del Pd (o almeno una parte) considera la trasformazione renziana non un’evoluzione naturale di un progetto, utile a creare un argine contro i populismi, ma un’apertura alle idee della destra. E per opporsi a questa “deriva” la tesi è la seguente: i populismi non si battono prendendo la tessera numero uno del partito dell’apertura e della produttività, ma si battono in un altro modo – cercando di non farsi rubare dagli stessi populisti gli argomenti di sinistra grazie ai quali hanno attirato sotto il loro mantello molti elettori progressisti. Ci si può girare attorno quanto si vuole ma oggi la sfida è questa: opporsi con tutte le forze al ritorno del protezionismo, del nazionalismo, del trumpismo, del populismo, oppure scegliere un campo diverso, non così differente da quello neoprotezionista, per tentare di conquistare qualche sindacalista e qualche grillino. I due progetti non sono compatibili, come è evidente, e se la scissione aiuterà il Pd del futuro a rompere le sue catene con il medio evo della sinistra, allora sì: forza scissione. Non è più tempo di sinistre parzialmente incinta.

http://www.ilfoglio.it/politica/2017/02 ... e--120714/
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Ragioni per augurarsi la scissione del Pd

Messaggioda ranvit il 16/02/2017, 8:26

Bene! Sono anni che la invoco!
Per il bene dell'Italia, fuori dalle balle gli zombi della politica che hanno affossato il Paese!



Perché i renziani vedono la scissione e sotto voce dicono: “Bene, è cosa fatta”
Non c'è solo la minoranza a cercare la rottura nel Pd
di David Allegranti
allegranti@ilfoglio.it
16 Febbraio 2017 alle 06:00

Roma. Non è più solo Pier Luigi Bersani a vedere la scissione. Adesso sono anche i renziani a considerarla già nei fatti. Lo dimostrerebbe, per qualcuno, anche la modifica statutaria che il presidente del Pd Matteo Orfini intende presentare all’assemblea domenica prossima, quella dove Renzi si presenterà dimissionario: il simbolo, dopo il cambio dello Statuto, sarà nelle mani del tesoriere Francesco Bonifazi fino all’elezione del nuovo segretario. Meglio adottare ogni cautela, hai visto mai. Ma il clima di reciproca sfiducia è ormai un fatto palmare. Il Foglio ha contattato parlamentari e dirigenti e intellettuali vicini al segretario del Pd che chiedono però di non essere virgolettati. Dicono, ancorché con sfumature diverse, la stessa cosa: “I bersaniani? Se ne andranno, magari non tutti”. Insomma, la storia del Pd per come lo abbiamo conosciuto potrebbe esaurirsi domenica con l’assemblea nazionale del Pd. D’altronde, l’ex segretario Bersani non vede passi in avanti, aspetta un segnale da Matteo Renzi che però non arriva. “Cosa deve fare uno per ricevere una telefonata?”, dice riferendosi a Matteo Renzi. “Ho fatto il segretario anch’io, so come funziona. Non che basti una telefonata... Ma almeno per buona educazione”. Renzi però sembra già essere con la testa oltre la scissione. Punta dritto al congresso anticipato del Pd, liquida il probabile addio di Bersani come una “scissione sulla convocazione della data del congresso”, cerca quarantenni in giro per l’Italia, riallaccia i rapporti con Matteo Richetti e Graziano Delrio, che stanno organizzando una serie di appuntamenti programmatici, su lavoro ed economia, con alcuni studiosi.

Un modo anche per rispondere alle sollecitazioni del ministro Andrea Orlando sulla maggiore “profondità” da raggiungere. Renzi riparte insomma dal mitologico territorio e – non per un caso – da Torino. Dal 10 al 12 marzo “con gli amici che sosterranno la mozione congressuale ci vedremo a Torino, al Lingotto. Nel luogo dove nacque il Pd a fare... il tagliando a quell’idea di quasi dieci anni fa. Ma anche a fare le pulci all’azione di governo di questi tre anni – dice Renzi – per costruire il prossimo programma. Cosa ha funzionato, cosa no. Cosa dobbiamo fare meglio, oggi e domani. Una discussione vera, senza rete. Su ambiente, cultura, scuola, lavoro, università, sanità, infrastrutture, tasse, giustizia e l’elenco potrebbe continuare a lungo”. L’ex premier, si capisce, è già in campagna elettorale per il congresso e non vuole fornire argomenti agli scissionisti. “Non è la prima volta che alcuni compagni di partito cercano ogni pretesto per alimentare tensioni interne. E io non voglio dare alcun pretesto, davvero. Voglio togliere ogni alibi”, dice. Tradotto significa: se ve ne andate voi, mi evitate la fatica di non ricandidarvi alle prossime elezioni politiche. Ieri Renzi era a Milano, nella sede del Pd in via Lepetit, dove ad attenderlo c’erano esponenti della direzione metropolitana, consiglieri e assessori, insieme all’ex sottosegretario a Palazzo Chigi Tommaso Nannicini.

Milano non è una città qualsiasi per il renzismo; nel capoluogo lombardo ha vinto il “suo” candidato, Beppe Sala. A Milano poi il Sì al referendum ha vinto con il con il 51,13 per cento. Non sarà l’unico appuntamento; Renzi farà il giro delle federazioni anche nel resto d’Italia. In più, c’è la questione Pisapia. I renziani guardano con interesse all’ex sindaco di Milano. Bisogna capire però se c’è corrispondenza d’amorosi sensi, visto che i paletti di Pisapia sono parecchi (per esempio non ci sono spazi per alleanze con il centrodestra, il che significa niente governo con Alfano o con Berlusconi). Intanto però c’è un dialogo aperto ormai da tempo fra Renzi e l’avvocato penalista, tant’è che la settimana scorsa i due si sono incontrati a Milano. Nel Pd sono ore intense di conciliaboli e riunioni. I Giovani Turchi ieri si sono ritrovati per scongiurare, intanto, la propria scissione. “Le correnti non si scindono, semmai si riarticolano: la scissione che ci preoccupa è quella che potrebbe vedere la rottura del Partito”, dice Orlando dopo il frontale con Matteo Orfini.

I “turchi” propongono dunque non una conferenza programmatica, come quella lanciata (e bocciata) dal ministro in Direzione, che avrebbe allungato i tempi del congresso, ma un’assemblea programmatica tra l’avvio della raccolta delle firme ed il termine della presentazione delle candidature, una ventina di giorni. Un’iniziativa condivisa anche da Maurizio Martina e da Piero Fassino, entrambi tutt’altro che ostili a Renzi. “Proponiamo che la Convenzione nazionale – prevista dalle attuali regole del Congresso dopo la fase dei congressi di circolo dedicata agli iscritti e prima del coinvolgimento degli elettori – divenga pienamente Convenzione Programmatica consentendoci così di rafforzare ulteriormente il nostro comune impegno di analisi, confronto e discussione”. Ma la minoranza sembra procedere spedita per il proprio cammino. Michele Emiliano e Roberto Speranza sabato andranno all’assemblea di Enrico Rossi organizzata al Teatro Vittoria. “L’ultima direzione nazionale del Partito democratico – dicono i tre candidati al congresso – è stata animata da un dibattito ricco e plurale. Le conclusioni del segretario non hanno rappresentato questa ricchezza di posizioni e visioni, che ci caratterizza come la più grande comunità civile e politica del Paese. L’esito della direzione è stato profondamente deludente e ha sancito la trasformazione del Partito Democratico nel Partito di Renzi, un partito personale e leaderistico che stravolge l’impianto identitario del Pd e il suo pluralismo”. Scissione o no, forse è ora di tirare fuori di nuovo i popcorn.

http://www.ilfoglio.it/politica/2017/02 ... no-120725/
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Re: Ragioni per augurarsi la scissione del Pd

Messaggioda ranvit il 16/02/2017, 16:01

Mi accontento anche del 20% ;)


Pd sull'orlo della scissione, al via la guerra dei sondaggi
Sul tavolo di Renzi l'indagine che lo dà al 27% anche dopo l'eventuale addio di Bersani e D'Alema. Che invece per altri istituti di ricerca varrebbero più del 10%


di MONICA RUBINO
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16 febbraio 2017
75
Pd sull'orlo della scissione, al via la guerra dei sondaggiROMA - Se la scissione non si riuscisse a evitare, il Pd renziano reggerebbe l'urto. Sul tavolo del segretario (quasi dimissionario) Matteo Renzi arriva infatti un sondaggio che dà il suo partito senza la sinistra al 27%. Mentre un'ipotetica lista da Bersani-D'Alema a Vendola arriverebbe al 7%.

Sebbene ancora del tutto virtuale, si tratta comunque di una prima fotogafia di quanto potrebbe valere un Pd scisso a guida renziana. A scattarla l'istituto di ricerche Emg diretto da Fabrizio Masìa, il sondaggista di Enrico Mentana arruolato lo scorso autunno anche da Palazzo Chigi ("dopo aver vinto una regolare gara", tiene a specificare). Per la precisione, il sondaggio è stato condotto la scorsa settimana su un campione rappresentativo di italiani composto da oltre 2000 persone.

"Il Pd, che attualmente si attesta attorno al 31%, con la scissione perderebbe 4 punti - spiega Masìa - in compenso la lista di Bersani e D'Alema potrebbe intercettare anche una piccola quota di elettori del M5S, quei rivoli di sinistra presenti in un soggetto trasversale come i Cinque Stelle che ritornano alle origini, magari attratti dalla presenza di big storici. Ovviamente questo è un dato iniziale, tutto da costruire: il potenziale potrebbe essere superiore e salire fino al 10-12%. O inferiore: pensiamo ad esempio alle ultime amministrative a Torino e Roma dove la sinistra di Airaudo e quella di Fassina non hanno superato il 4%, un risultato al di sotto delle aspettative. In ogni caso il Pd reggerebbe il colpo della scissione".

Ma un altro sondaggio, quello di Ipr Marketing-Tecné, presentato il 30 gennaio durante il programma Porta a Porta è più generoso nei confronti di un'ipotetica lista D'Alema-Bersani, che otterrebbe almeno l'11% per cento. Mentre senza D’Alema e il resto della minoranza dem, il Pd si attesterebbe intorno a un più modesto 22%. Inoltre, se si andasse a votare subito con la legge elettorale modificata dalla Consulta, nessun partito raggiungerebbe la soglia del 40 % necessaria a ottenere il premio di governabilità, nemmeno il M5S che comunque da solo raggiungerebbe il 30%.

"Ovviamente, tutto dipenderà anche dal sistema elettorale - chiarisce ancora Masìa - se ragioniamo in una logica proporzionale, una lista una separata può avere buoni risultati. Mentre in un sistema maggioritario potrebbe risultare schiacciata".

Nella guerra dei sondaggi Giuliano Pisapia per il momento è fuori dai giochi, escluso dal conteggio in attesa delle sue prossime mosse (martedì ha lanciato il suo movimento Campo Progressista a Milano e ieri ha incontrato Renzi): "La lista di Pisapia è ancora un'incognita: bisognerà capire se preferirà dialogare con i vendoliani di Sel o con il Pd renziano", afferma il direttore di Emg, che conclude: "La situazione è ancora molto liquida: va monitorata la ricomposizione del quadro politico all'interno dei Cinque Stelle e si dovrà vedere anche come si riorganizzerà il centrodestra".

http://www.repubblica.it/politica/2017/ ... 158450743/
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