
http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_03/dramma-sinistra-perche-si-deve-rifondarla-9f2a056c-b8c4-11e6-886d-3196d477f919.shtml
Dalla Francia agli Stati Uniti, la perdita di terreno è complessiva, il vento della storia soffia a destra. Ovviamente ogni Paese rappresenta un caso a sé
di Aldo Cazzullo
Con l’umiliazione di Hollande, primo presidente della Quinta Repubblica a rinunciare di propria volontà a ricandidarsi — Pompidou era morto —, il crollo della sinistra mondiale è pressoché completo. Mancherebbe un solo tassello: la vittoria del No e la caduta del governo Renzi.
In Francia la Gauche con ogni probabilità sarà assente al ballottaggio per le presidenziali, giocato tra le due destre di François Fillon e Marine Le Pen. I democratici americani hanno appena perso ignominiosamente la Casa Bianca contro un miliardario dal parrucchino arancione, che in un colpo solo ha distrutto Hillary e smitizzato Obama.
I socialdemocratici tedeschi sono docili cerbiatti che mangiano nelle mani della Merkel, disposta a lasciare all’Spd la presidenza della Repubblica — che non conta molto più di nulla — in cambio di un prolungamento dell’alleanza, che ormai non è più una Grande Coalizione ma un centrosinistra saldamente guidato dal centro.
I laburisti inglesi si sono arroccati in una posizione radicale che li condanna alla sconfitta e all’irrilevanza. I socialisti spagnoli si sono divisi tra la base, contraria a un accordo con la destra e tentata dal patto con i guevaristi di Podemos, e il vertice, che sostiene con l’astensione il governo Rajoy: una svolta imprevedibile in un Paese dove sino a due generazioni fa la destra affidava gli oppositori di sinistra alla garrota.
Se poi si guarda a oriente, il quadro è uniforme: la stagione dei socialisti alla Kwasniewski è alle spalle; l’Est europeo è passato di fatto dal comunismo sovietico a una forma postmoderna di destra populista e nazionalista, che domani potrebbe vincere le presidenziali anche a Vienna. Il tutto mentre a Mosca Putin regna indisturbato e tra Ankara e Istanbul gli oppositori dell’islamico Erdogan riempiono le prigioni.
Nell’America Latina impoverita dalla crisi negli ultimi dodici mesi i peronisti di sinistra hanno perso il potere a Buenos Aires, Dilma ha subito l’impeachment a Brasilia, Lula rischia pure lui la galera; e a completare il quadro è arrivata pure la morte di Fidel Castro, che con la socialdemocrazia non c’entrava molto ma ha gettato nella depressione una parte dell’opinione pubblica europea, a lungo sensibile alla suggestione dei comunismi altrui, meglio ancora se remoti e caraibici.
Ovviamente ogni Paese rappresenta un caso a sé. Ma la tendenza è mondiale: il vento della storia soffia a destra, nelle due varianti populista e liberista, Trump e Wall Street (che spesso finiscono per mettersi d’accordo). La sinistra è chiamata a rifondarsi, a ritrovare il rapporto con i ceti deboli e con le classi medie, destrutturate dal crollo della produzione industriale e dalla rivoluzione digitale che cancella posti di lavoro nei servizi.
In questo momento drammatico arriva la sfida del referendum italiano. Una trappola che Renzi si è costruito con le proprie mani: dopo aver rotto con Berlusconi sull’elezione di Mattarella, ha perso per strada anche la minoranza del suo partito, tentata dalle vendette personali e dalla possibilità di sbarazzarsi del rottamatore, percepito fin dall’inizio come un alieno, un barbaro. E in effetti Renzi, a catalogarlo con le categorie classiche della politica, è più un uomo di centro che di sinistra.
Ma l’idea che, tolto di mezzo l’usurpatore, tocchi a Speranza e a Pippo Civati, con D’Alema che fa le riforme in cinque mesi insieme con Quagliariello, sarebbe divertente se non fosse patetica. Il No di sinistra esiste, e potrebbe rivelarsi decisivo; ma — come ha scritto Michele Serra — sarà sparutamente minoritario rispetto ai veri vincitori: Grillo, Salvini, Meloni e lo stesso Berlusconi, cui si deve l’unica battuta decente della campagna elettorale, il paragone Renzi-Balotelli. Bersani e i suoi, che hanno detto sei volte in Parlamento sì alla riforma e adesso voteranno No, vanno umanamente capiti: finora sono stati regolarmente fregati da Renzi; la tentazione di essere loro a fregare lui è apparsa irresistibile. Ma sulle prospettive che una vittoria del No apre per la sinistra italiana — un accordo con Berlusconi con ritorno al proporzionale, o l’avvento di Grillo, o un commissariamento del Paese tipo trojka — non splende certo il sol dell’avvenire.