Modernità

" Ci accorgiamo così che in questo processo non c'era stata soltanto una scissione tra capitale e lavoro, già consumata e evidente a tutti. In realtà è saltata l'alleanza tradizionale tra l'economia di mercato e lo Stato sociale, come dice Ulrich Beck, un'alleanza che ha sorretto per decenni il diritto, le istituzioni, la politica, la legittimità stessa delle classi dirigenti che si alternavano al comando, in una parola la forma pratica e quotidiana della democrazia occidentale. Da qui discendeva l'autorità (estenuata e faticosa, e tuttavia resistente) del governo della democrazia, e da questa autorità nasceva la governance della modernità che conosciamo, probabilmente l'unica possibile. Questa legittimità democratica nel governo della complessità contemporanea risiedeva soprattutto nel tavolo di compensazione tra i premiati e gli esclusi, quello che Bauman chiama il "nesso" tra povertà e ricchezza ...
...Se questo è vero, c'è addirittura un contratto sociale da riscrivere, una sovranità da ristabilire, un'autorità democratica che garantisca i diritti anche nel mondo postnazionale, prendendo possesso persino delle bolle senza spazio né tempo della globalizzazione "
Queste righe sono tratte dall'articolo di oggi del direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
Ne ho voluto fare l'incipit di un nuovo argomento, nonostante che si saldasse benissimo con la discussione nata dall'intervento di Veltroni, per sottolineare quello che dicevo nel mio ultimo messaggio: la partita si gioca sulla crisi della democrazia e sulla capacità di capirne i termini.
Una crisi che è cosa diversa dai tradizionali e in qualche modo fisiologici limiti, tutti centrati su meccanismi elettorali e qualità della rappresentanza - limiti che persistono, ovviamente, ma che perdono irrimediabilmente la loro posizione dominante.
Per questo appare piuttosto sterile, e sconfortante, il dibattito sulla "modernità" che si snoda da un decennio in Italia, che per la gran parte dei commentatori sembra riguardare soprattutto l'obsolescenza della sinistra e del socialismo, e dei suoi partiti, laddove in realtà coinvolge sia alcuni caposaldi del liberalismo, sia le forme e i contenuti della democrazia rappresentativa, oltre che il ruolo del capitalismo.
Capisco che questi discorsi abbiano una fastidiosa aria di intellettualismo, ma bisogna che i molti prendano atto che parlare di "modernità" e di svolte epocali è troppo facile, riempiendosene la bocca, se non si ha poi la voglia di affrontare le dimensioni di questa modernità e la complessità dei fenomeni che l'accompagnano - limitandosi a usarne l'evocazione solo per regolare qualche livoroso conto in sospeso con il "vecchio".
...Se questo è vero, c'è addirittura un contratto sociale da riscrivere, una sovranità da ristabilire, un'autorità democratica che garantisca i diritti anche nel mondo postnazionale, prendendo possesso persino delle bolle senza spazio né tempo della globalizzazione "
Queste righe sono tratte dall'articolo di oggi del direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
Ne ho voluto fare l'incipit di un nuovo argomento, nonostante che si saldasse benissimo con la discussione nata dall'intervento di Veltroni, per sottolineare quello che dicevo nel mio ultimo messaggio: la partita si gioca sulla crisi della democrazia e sulla capacità di capirne i termini.
Una crisi che è cosa diversa dai tradizionali e in qualche modo fisiologici limiti, tutti centrati su meccanismi elettorali e qualità della rappresentanza - limiti che persistono, ovviamente, ma che perdono irrimediabilmente la loro posizione dominante.
Per questo appare piuttosto sterile, e sconfortante, il dibattito sulla "modernità" che si snoda da un decennio in Italia, che per la gran parte dei commentatori sembra riguardare soprattutto l'obsolescenza della sinistra e del socialismo, e dei suoi partiti, laddove in realtà coinvolge sia alcuni caposaldi del liberalismo, sia le forme e i contenuti della democrazia rappresentativa, oltre che il ruolo del capitalismo.
Capisco che questi discorsi abbiano una fastidiosa aria di intellettualismo, ma bisogna che i molti prendano atto che parlare di "modernità" e di svolte epocali è troppo facile, riempiendosene la bocca, se non si ha poi la voglia di affrontare le dimensioni di questa modernità e la complessità dei fenomeni che l'accompagnano - limitandosi a usarne l'evocazione solo per regolare qualche livoroso conto in sospeso con il "vecchio".