La rivolta in 50 sedi del PD

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Pd, la rivolta delle 50 città: sedi occupate contro l’inciucio (Carlo Tecce).
04/05/2013 di triskel182
La rivolta
Da Torino a Palermo, la base si ribella. Il 19 maggio tutti in piazza per dire “no”.
“IL PD SIAMO NOI, CI DEVONO ASCOLTARE: MAI CON IL CAIMANO”.
Ecosì, allora, il Pd convolò al nozze con il Pdl. Chi aveva qualcosa da ridire, e ancora ingolla e non riesce a espellere la delusione, tiene insieme una cartina d’Italia. Queste bandiere democratiche, messe in ordine in queste pagine, sventolano a mezz’asta. Sono simboli di occupazioni di sedi e ribellioni ai dirigenti, cinquanta capoluoghi e paesoni di provincia; sono il fallimento a colori, ma anche un’opportunità, l’ultima, per il fu Pd. A Torino e Bologna non volevano le metafore: niente inciuci. A Belluno e Trapani non volevano cedere: o con noi o senza di voi. A Roma e Milano non volevano conservare tessere inutili: noi le bruciamo, voi non ci bruciate.
IL 19 MAGGIO, a Prato, #OccupyPd farà quel gesto che i democratici avevano smesso di fare con l’abdicazione di piazza San Giovanni “presa” dal M5S: ci metteranno le facce, gli accenti e pure le convulsioni ideologiche, fra chi vorrebbe un esecutivo breve e giusto e chi non lo vorrebbe vedere nemmeno in un incubo.
Lorenzo Rocchi controlla la posta, spedisce volantini, tiene a bada chi non ci crede più: “A Prato c’è stato un movimentospontaneo: l’errore su Franco Marini ci aveva preoccupato, poi è andata sempre peggio. E ora dobbiamo far capire a quelli d Roma, a quelli che si ostinano a larghe intese e governi di scopo, che noi siamo l’alternativa a Berlusconi. Noi non siamo la destra. Non potranno eliminare le distanze che ci separano”. Quindici risposte affermative per il raduno toscano: da Torino a Monza, da Bologna a Perugia, da Roma a Bari.
É quella cartina che si compone di pezzetti democratici, di bandierine che si piantano di ora in ora, di un conteggio che non porta nessuno perché nessuno li rappresenta.
Fausto Raciti ha esordito nel palazzo nel momento più drammatico: “Io più che deputato, mi sento sempre il responsabile nazionale dei giovani Pd e condivido le loro paure che sono le mie paure, apprezzo l’impegno e la passione perché dimostrano che la sinistra, seppur sia implosa, può avere un futuro”. Raciti, quale futuro? Il governo di Enrico Letta è un vostro governo? “In tanti osservano un esecutivo che non gli appartiene. La sconfitta è di tutti. Ora va fatto o rifatto il Pd”. I militanti, o la base per dirla con più conformismo, navigano a metà fra chi non vuole abbandonare a se stesso il vicesegretario Letta e fra chi non accetta la contaminazione berlusconiana.
Pure le dimissioni vanno di moda, ovunque, come estremo tentativo di mollare per riprendere: in Piemonte, lascia il responsabile Gianfranco Morgando; in Toscana, i vertici da Firenze a Livorno sono azzerati.
E in Emilia Romagna, i Giovani Democratici non si tengono più. Il coordinatore Vinicio Zanetti attraversa da Bologna questo deserto che porterà al congresso e, spera, a una miracolosa terapia di rianimazione: “Che dovevamo fare? Io non sono soddisfatto, nemmeno a me piace il governo con Berlusconi, ma l’errore sta a monte, anzi a Marini a Prodi, a quelli che hanno pugnalato il fondatore. Il resto è una triste conseguenza, quasi inevitabile. L’unica speranza è avere una legge elettorale onesta, approvare qualche buona riforma e ritornare dagli elettori con un progetto chiaro e stavolta sincero”.
PER MISURARE il grado di esasperazione va fatto qualche chilometro, più su, verso Torino dove il servizio d’ordine, il primo maggio, si è ammutinato e si è ritrovato nel gruppo “resistenza democratica”. Paolo Furia, da Biella , prova a incollare i frammenti dei suoi giovani democratici, ma non vuole salvare nessuno, laggiù, nei palazzi romani: “Il cambio dovrà essere totale. Non accetteremo un congresso senza le nostre proposte”. Il mandato di Letta, però, ancora divide i giudizi: “La nostra prima reazione è stata naturale: protestare e occupare. Adesso avvertiamo il bisogno di creare per noi un partito nuovo con un avviso per chi oggi è palazzo Chigi: se Berlusconi pretende troppo, se non avremo spazio, dobbiamo essere noi del Pd a staccare la spina”. Antonella Pepe, da Benevento, dirige i giovani campani. La politica, a qualsiasi età, è comunque politica: ovvero compromesso, passaggi intermedi . Sorprende che anche in Campania, in una regione strappata di sorpresa dal centrodestra che fu di Nicola Cosentino, non ci sia un’opposizione irreversibile al Pdl. Anzi, stupisce che ancora si disquisisca di documenti o mozioni: “C’è una lettera – dice Pepe – che abbiamo diffuso per esporre la nostra posizione: siamo cresciuti combattendo il berlusconismo, abbiamo visioni diverse su qualsiasi tema…”. Sì, ma il dilemma: “Però questo governo deve affrontare l’emergenza. Che sarebbe finita così, s’era capito con la rielezione di Giorgio Napolitano. Non c’era strada diversa. Ma che sappiano, a Roma, che noi qui soffriamo”. Almeno la sofferenza è trasversale.
Da Il Fatto Quotidiano del 04/05/2013.
Pd, la rivolta delle 50 città: sedi occupate contro l’inciucio (Carlo Tecce).
04/05/2013 di triskel182
La rivolta
Da Torino a Palermo, la base si ribella. Il 19 maggio tutti in piazza per dire “no”.
“IL PD SIAMO NOI, CI DEVONO ASCOLTARE: MAI CON IL CAIMANO”.
Ecosì, allora, il Pd convolò al nozze con il Pdl. Chi aveva qualcosa da ridire, e ancora ingolla e non riesce a espellere la delusione, tiene insieme una cartina d’Italia. Queste bandiere democratiche, messe in ordine in queste pagine, sventolano a mezz’asta. Sono simboli di occupazioni di sedi e ribellioni ai dirigenti, cinquanta capoluoghi e paesoni di provincia; sono il fallimento a colori, ma anche un’opportunità, l’ultima, per il fu Pd. A Torino e Bologna non volevano le metafore: niente inciuci. A Belluno e Trapani non volevano cedere: o con noi o senza di voi. A Roma e Milano non volevano conservare tessere inutili: noi le bruciamo, voi non ci bruciate.
IL 19 MAGGIO, a Prato, #OccupyPd farà quel gesto che i democratici avevano smesso di fare con l’abdicazione di piazza San Giovanni “presa” dal M5S: ci metteranno le facce, gli accenti e pure le convulsioni ideologiche, fra chi vorrebbe un esecutivo breve e giusto e chi non lo vorrebbe vedere nemmeno in un incubo.
Lorenzo Rocchi controlla la posta, spedisce volantini, tiene a bada chi non ci crede più: “A Prato c’è stato un movimentospontaneo: l’errore su Franco Marini ci aveva preoccupato, poi è andata sempre peggio. E ora dobbiamo far capire a quelli d Roma, a quelli che si ostinano a larghe intese e governi di scopo, che noi siamo l’alternativa a Berlusconi. Noi non siamo la destra. Non potranno eliminare le distanze che ci separano”. Quindici risposte affermative per il raduno toscano: da Torino a Monza, da Bologna a Perugia, da Roma a Bari.
É quella cartina che si compone di pezzetti democratici, di bandierine che si piantano di ora in ora, di un conteggio che non porta nessuno perché nessuno li rappresenta.
Fausto Raciti ha esordito nel palazzo nel momento più drammatico: “Io più che deputato, mi sento sempre il responsabile nazionale dei giovani Pd e condivido le loro paure che sono le mie paure, apprezzo l’impegno e la passione perché dimostrano che la sinistra, seppur sia implosa, può avere un futuro”. Raciti, quale futuro? Il governo di Enrico Letta è un vostro governo? “In tanti osservano un esecutivo che non gli appartiene. La sconfitta è di tutti. Ora va fatto o rifatto il Pd”. I militanti, o la base per dirla con più conformismo, navigano a metà fra chi non vuole abbandonare a se stesso il vicesegretario Letta e fra chi non accetta la contaminazione berlusconiana.
Pure le dimissioni vanno di moda, ovunque, come estremo tentativo di mollare per riprendere: in Piemonte, lascia il responsabile Gianfranco Morgando; in Toscana, i vertici da Firenze a Livorno sono azzerati.
E in Emilia Romagna, i Giovani Democratici non si tengono più. Il coordinatore Vinicio Zanetti attraversa da Bologna questo deserto che porterà al congresso e, spera, a una miracolosa terapia di rianimazione: “Che dovevamo fare? Io non sono soddisfatto, nemmeno a me piace il governo con Berlusconi, ma l’errore sta a monte, anzi a Marini a Prodi, a quelli che hanno pugnalato il fondatore. Il resto è una triste conseguenza, quasi inevitabile. L’unica speranza è avere una legge elettorale onesta, approvare qualche buona riforma e ritornare dagli elettori con un progetto chiaro e stavolta sincero”.
PER MISURARE il grado di esasperazione va fatto qualche chilometro, più su, verso Torino dove il servizio d’ordine, il primo maggio, si è ammutinato e si è ritrovato nel gruppo “resistenza democratica”. Paolo Furia, da Biella , prova a incollare i frammenti dei suoi giovani democratici, ma non vuole salvare nessuno, laggiù, nei palazzi romani: “Il cambio dovrà essere totale. Non accetteremo un congresso senza le nostre proposte”. Il mandato di Letta, però, ancora divide i giudizi: “La nostra prima reazione è stata naturale: protestare e occupare. Adesso avvertiamo il bisogno di creare per noi un partito nuovo con un avviso per chi oggi è palazzo Chigi: se Berlusconi pretende troppo, se non avremo spazio, dobbiamo essere noi del Pd a staccare la spina”. Antonella Pepe, da Benevento, dirige i giovani campani. La politica, a qualsiasi età, è comunque politica: ovvero compromesso, passaggi intermedi . Sorprende che anche in Campania, in una regione strappata di sorpresa dal centrodestra che fu di Nicola Cosentino, non ci sia un’opposizione irreversibile al Pdl. Anzi, stupisce che ancora si disquisisca di documenti o mozioni: “C’è una lettera – dice Pepe – che abbiamo diffuso per esporre la nostra posizione: siamo cresciuti combattendo il berlusconismo, abbiamo visioni diverse su qualsiasi tema…”. Sì, ma il dilemma: “Però questo governo deve affrontare l’emergenza. Che sarebbe finita così, s’era capito con la rielezione di Giorgio Napolitano. Non c’era strada diversa. Ma che sappiano, a Roma, che noi qui soffriamo”. Almeno la sofferenza è trasversale.
Da Il Fatto Quotidiano del 04/05/2013.