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Pietro Ichino alla Leopolda: così Matteo Renzi trasformerà pensioni e lavoro
L'Huffington Post | Di Andrea Bassi Pubblicato: 15/11/2012 18:46 CET Aggiornato: 15/11/2012 18:46 CET
Per essere un rottamatore non è necessario avere quaranta anni. Così come averne più di sessanta non è una condizione necessaria per essere rottamati. La dimostrazione di questo postulato sta tutta in Pietro Ichino, 63 anni, giuslavorista e deputato del Pd, sotto scorta per le minacce delle Br a causa delle sue posizioni su welfare, lavoro, pensioni. Stasera Ichino prenderà la parola alla Leopolda, per la tre giorni di convention organizzata da Matteo Renzi per tirare la volata in vista delle primarie.
Cosa dirà professor Ichino?
Che la vecchia sinistra è stata inconcludente. Non ha cavato un ragno dal buco negli ultimi tre o quattro decenni, avendo scelto nella maggior parte dei casi dei bersagli clamorosamente sbagliati. Facciamo un censimento…
Si parte da lontano. Dal rifiuto del part time negli anni settanta, la difesa del monopolio statale del collocamento per tutti gli anni ottanta e metà degli anni novanta. La difesa ad oltranza del principio di inderogabilità al contratto collettivo nazionale che veniva presentato come la chiave di volta dei diritti fondamentali dei lavoratori, salvo poi arrivare a firmare l’accordo interconfederale del giugno dell’anno scorso…
Lei dice una serie di errori. Ma crede che l’attuale sinistra stia proseguendo su questa strada?
Continua ad arrivare sistematicamente in ritardo sui problemi più grossi e a condannarsi a non incidere. Sulla lotta al precariato non è andata oltre l’enunciazione della condanna verbale, ma di fatto ha seguito una linea fallimentare.
Quella che lei chiama vecchia sinistra oggi è rappresentata dal suo segretario Pierluigi Bersani. Lei stasera parla alla convention di Matteo Renzi, con il quale ha collaborato anche alla stesura del programma. E’ questa la nuova sinistra?
Se per sinistra intendiamo una forza politica che pone al centro dei propri obiettivi le pari opportunità per tutti, le pari condizioni di partenza per tutti e soprattutto per i più svantaggi, allora sì, il programma di Renzi è più efficiente ed efficace di quello seguito fin qui dalla sinistra.
Andiamo nel concreto. Riforma pensioni della Fornero. Va tenuta o rottamata?
Era una cosa che andava fatta. E va conservata. Senza ci sarebbe stato uno squilibrio previdenziale a favore delle vecchie generazioni. Questo sarebbe inaccettabile. Tra i 55 e i 65 anni abbiamo un tasso di occupazione di un terzo, mentre nei Paesi del Nord Europa è di due terzi.
La riforma Fornero delle pensioni però ha prodotto anche decine di migliaia di esodati. Vanno salvati?
Va fatta una distinzione. Un conto è la situazione di chi ha rinunciato al posto di lavoro sulla prospettiva di avere un pensionamento a breve scadenza, a un anno o due. In questo caso il nuovo regime pensionistico non deve essere una trappola. Queste persone vanno tutelate con le vecchie regole. Per chi si trova invece nella situazione di avere una prospettiva di pensione in anni più lontani e nel frattempo ha perso il lavoro o lo perderà, il problema non si risolve con un’esenzione dalla nuova regola pensionistica, ma attraverso sostegni nel mercato del lavoro. Gli va dato il sussidio di disoccupazione. Non possiamo più mandare le persone in pensione a 58 anni come prevedeva la proposta Damiano.
E la riforma del mercato del lavoro?
Qui la legge Fornero ha fatto un passo timido ma che va nella direzione giusta, quello della flessibilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e un contrasto agli abusi nel campo delle collaborazioni autonome. Su questo terreno il programma di Renzi prevede qualcosa di molto più incisivo. Innanzitutto una grande semplificazione, sostituire le 2 mila pagine della legislazione del lavoro nazionale, con un codice del lavoro semplificato di 59 articoli comprensibile non solo dai lavoratori e dai datori di lavoro, ma che sia anche traducibile in inglese. L’investitore straniero è assolutamente nell’impossibilità di capire le regole del nostro ordinamento.
E per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, la convincono le modifiche all’articolo 18?
Al lavoratore non va data la garanzia di continuare a lavorare nello stesso posto tutta la vita, l’errore commesso dalla nostra sinistra fino ad oggi. Quello ce deve essere tutelato è il reddito e la continuità professionale.
Il modello danese in Italia. I suoi oppositori dicono che un’utopia…
Ci dobbiamo confrontare sui contenuti effettivi di questa proposta. Il sostegno per i lavoratori deve essere raddoppiato attraverso un trattamento complementare a carico dell’impresa se il lavoratore non viene collocato entro un anno. Questo è un incentivo per le imprese ad attuare servizi di outplacement dei lavoratori. Dopo di che il costo di questi servizi deve essere coperto almeno due terzi dalla Regione utilizzando i contributi del fondo sociale europeo. Soldi che per ora stiamo buttando.
E l’articolo 18?
E’ stata la causa del dualismo del mercato del lavoro. Non potendosi applicare a tutti i lavoratori ha creato una platea di inamovibili e una senza diritti. Anche il nanismo delle nostre imprese nasce da questa rigidità. Da questo punto di vista una regolazione dei licenziamenti, che non toglie sicurezza ai lavoratori ma che dà a tutti garanzie nel mercato del lavoro, è un passaggio necessario. E’ una proposta presente nel programma.
In genere quella che lei chiama la vecchia sinistra le risponde che non è possibile perché in Italia lavoro non ce n’è?
In Italia ogni anno si stipulano 2 milioni di contratti a tempo indeterminato. Sono occasioni di lavoro oggi acquisite solo attraverso reti relazionali, parentali o amicali. Invece devono essere acquisite attraverso dei buoni servizi di assistenza. E’ una visione nuova.
Confindustria, Banca d’Italia, investitori istituzionali, il presidente della Bce Mario Draghi. Tutti chiedono che si prosegua sul solco di questo governo portando avanti l’agenda Monti. Sottoscrive?
Se per agenda Monti intendiamo tutto quello che ha fatto il governo fino adesso, allora no. Ci sono stati anche errori. Quando si parla di Agenda Monti si parla della strategia europea disegnata da Mario Monti. Ossia la fiducia dei nostri interlocutori europei nella nostra capacità di attuare misure per ridurre lo spread. Questo nel primo anno ha comportato solo un grosso sacrificio e un vantaggio in termini di interessi. Se sapremo seguire questa strategia i risultati saranno visibili già dal prossimo anno. Se riusciamo a ridurre gli interessi sul debito dal 6% al 3% liberiamo 50 miliardi di euro.